Monthly Archives: aprile 2015

con gli occhiali di Piero e di Nicolò…

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Il 27 aprile 1937 muore Antonio Gramsci, assassinato dal carcere fascista.
Grande sardo, grande la sua lezione, spesso trascurata, specie dalla scuola.
Del mio affetto per Gramsci vedi Aladinpensiero, 22 gennaio 2014.
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foto gramsci a slussurgiu
migheli nicoIn una delle sue ultime lettere Gramsci scrive che desiderava rientrare a Santu Lussurgiu per poter curare la sua salute malferma. Nel paese del Montiferru, come testimonia la fotografia, aveva frequentato le prime classi del ginnasio. (Dalla pagina fb di Nicolò Migheli)

Oggi lunedì. lunis, 27 aprile, de abrili 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: domani Sa die de sa Sardigna, già in corso iniziative in tutta la Sardegna.
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Fiera della Sardegna: assente il Sindaco Massimo Zedda… e non solo all’inaugurazione

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fiera2015ape-innovativa2All’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna (che mantiene una denominazione allo stato non veritiera, anche se programmaticamente auspicabile per un possibile futuro) mancava il Sindaco di Cagliari. La sua assenza era pienamente giustificata dai concomitanti impegni istituzionali della Giornata della Liberazione. La dirigenza della Fiera pensava, sbagliando, che all’ora fissata per l’inaugurazione, le 11, i connessi impegni del Sindaco, come di altre autorità, fossero terminati. Non è andata così, e dunque il Sindaco non si è presentato. Avrebbe però potuto delegare qualcuno, per esempio uno dei sui otto assessori, preferibilmente l’assessore alle attività produttive Barbara Argiolas, che infatti era stata data come sostituto del Sindaco. Anche lei impegnata nel corteo della manifestazione della Liberazione? Certo che no: non si è vista neppure lì, così come altri suoi colleghi. Azzardiamo quindi che l’assenza alla manifestazione fieristica dell’Amministrazione comunale è stata voluta. Male, malissimo: si è trattato di una scelta sbagliata, di una diserzione rispetto alla necessità di un impegno della città per la sua Fiera. A maggior ragione in quanto la Fiera così com’è non va bene e che va pertanto ripensata rispetto alle esigenze dell’economia di Cagliari e della Sardegna. Un comportamento, quello dell’amministrazione comunale, che non contribuisce a dare prospettive allo sviluppo della città. Lo abbiamo sempre sostenuto: da soli non si va da nessuna parte; occorre invece unità di intenti e vera collaborazione tra le istituzioni, le imprese e l’associazionismo. Tutti pronti a fare fotografie di gruppo e a dare dimostrazione di splendidi rapporti collaborativi che però non bastano a coprire una diversa realtà fatta di assurdi compartimenti stagni e incapacità di gestire importanti progetti comuni. Attenzione: le elezioni sono vicine e certi errori si pagano, soprattutto quando sono conseguenze di miopi scelte politiche!

28 de Abrile 2015 Tzelebratzione de Sa Die de sa Sardigna: Catedrale, a oras de sas 10:30, Missa narada dae s’archipìscamu Missennore Arrigo Miglio

logo-sa-die-F-Figari-300x173Sa die RAS.
Catedrale, a oras de sas 10:30, Missa narada dae s’archipìscamu Missennore Arrigo Miglio, cantada dae su Cuncordu Sas Enas de Bortigali, Coru de Bosa, Sos Cantores de Irgoli; sonadores de launeddas Stefano Pinna, Graziano Montixi, Marcello Trucas. (Una faina de su Comitadu pro sa Die).
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- 28 aprile 1794 Arcivescovo di Cagliari Vittorio Filippo Melano
- 28 aprile 2015 Arcivescovo di Cagliari Arrigo Miglio.

“The Slave Ship” – La nave negriera

Turner The Slave ShipW.J. Turner: “The Slave Ship” – La nave negriera. Mercanti di schiavi gettano in mare parte del loro carico umano, uomini e donne ancora con le catene. Gli squali attaccano, tingendo l’ acqua di rosso. Anche l’orizzonte è rosseggiante ed è in arrivo un tifone: sembra che anche la Natura manifesti il suo orrore per quanto sta accadendo.
Il dipinto venne acquistato dal (futuro) critico d’arte John Ruskin, ipnotizzato dallo splendore cromatico del quadro, anche se turbato e sconvolto dal tema. (1840).

Po “sa die de sa Sardigna” 2015

logo-sa-die-F-Figari-300x173Sa die RAS.
Il significato. La storia. Il programma: Sa die in Casteddu, sa die in totu sa Sardigna.
- Sul sito della Fondazione Sardinia
http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=10319#more-10319
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Oggi domenica, dominigu, 26 aprile, de abrili 2015

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: verso Sa die de sa Sardinia 28 aprile 2015.
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ape-innovativaLogo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413

L’Università per la Fiera e oltre

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ape-innovativa2Oggi, inaugurazione della Fiera della Sardegna. Di nuovo c’è l’impegno dell’Università, che può essere soggetto attivo di un’auspicabile coesione delle istituzioni, delle imprese e dell’associazionismo nella costruzione di un diverso sviluppo per la Sardegna. “Pessimismo della ragione, ma ottimismo della volontà”. Ci aggrappiamo al nostro grande e amato conterraneo Antonio Gramsci!
- Nel parterre della presidenza e dei relatori: per l’Università il pro rettore Franco Mola e i docenti Alessandro Spano e Maurizio Memoli.
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Grazie!

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Po ‘sa die de sa Sardigna’ 2015

UserFiles-Image-News-7958_25-aprilesantefisio duelogo-sa-die-F-Figari-300x173Sa die RAS.
Po ‘sa die de sa Sardigna’ 2015

Sa die de sa Sardigna (28 aprile) congiunge ogni anno la festa della liberazione dalla dittatura nazi-fascista (25 aprile) alla festa del lavoro (1 maggio) che in Sardegna è pure festa del martire testimone della fede cristiana, S. Efisio.
Nel loro svolgersi i Sardi sono chiamati a percorrere le strade delle città e dei paesi portando i segni che richiamano i significati dei propri valori: la libertà da ogni oppressione, l’affermazione della propria identità, la fede in valori metastorici.
Sa die de sa Sardigna, memoria del triennio rivoluzionario (1793- 96) e della cacciata dei Piemontesi il 28 aprile 1794, rappresenta la data d’inizio della Sardegna contemporanea per tre ragioni: la contestazione dell’ancien regime, comune alle rivoluzioni europee della fine del Settecento; la rivolta del popolo e della classe dirigente sarda per la riaffermazione della propria costituzione esprimentesi nel Parlamento stamentario; la volontà di dirigere l’economia, la società, la cultura.

Procurade de moderare, barones, sa tirannia… rappresenta il perenne grido dei diritti storici del Popolo sardo.

Martedì prossimo, festa nazionale del Popolo sardo, a partire dalle ore 9,00, le associazioni culturali si riuniscono nel Salone del Palazzo Regio in Cagliari, il palazzo del potere conquistato allora dal popolo cagliaritano in rivolta in sa die de ‘acciappa.
Per le ore 10,30 il Comitato invita i cittadini a partecipare alla S. Messa celebrata in duomo dall’arcivescovo mons. Arrigo Miglio.

I Sardi di oggi vogliono essere i continuatori di quei valori di libertà, uguaglianza e fraternità, nell’impegno per l’affermazione della propria identità, di orgoglio del proprio passato e di coraggioso impegno per il futuro.

Buona festa:
per il 25 aprile, per sa die de sa Sardigna, per il 1° maggio 2015

IL COMITATO PER ‘SA DIE DE SA SARDIGNA’

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Immigrazione: guardare in faccia la realtà. Facciamo i conti anche in casa nostra… e pensiamo al “che fare”

barcone_immigrati3Caro Presidente, e se fosse la Sardegna la terra di accoglienza che cercano?
di Marco Meloni

Caro Presidente,

Le scrivo pubblicamente dopo giorni di riflessioni, rabbia ed un profondo quanto lacerante senso di impotenza e dopo le tante, sicuramente troppe, prese di posizione di chi, cavalcando la paura, parla di minaccia e invasione, di chi non si ferma neanche davanti ad un mare tinto di rosso, il nostro mare. Bombardiamo, blocchiamo, affondiamo: ma chi e che cosa? Giovani, bambini, donne, uomini disperati? Profughi che scappano da una guerra? E se scappassero “solo” dalla fame e dalla quotidiana violenza? Sarebbe davvero così diverso?

Li definiamo clandestini, profughi, rifugiati, immigrati, perché spesso non abbiamo il coraggio di chiamarli persone, di riconoscere che l’unica vera differenza tra noi e loro è quella di essere capitati in due lati diversi dello stesso mare. Interpretiamo il Mediterraneo come confine e barriera, il nostro problema è unicamente che stiano arrivando qui e non la barbarie dalla quale stanno scappando.

Scrivo a Lei, chiamato a governare la nostra Isola in difficoltà, dove una crisi strutturale sembra impedirci di declinare i verbi al futuro, le scrivo perché la nostra sofferenza e paura non diventino cecità. Poche settimane fa al centro del dibattito politico sardo discutevamo animatamente del ridimensionamento scolastico. Nel dibattito le ragioni di chi cerca di difendere ogni scuola anche nei piccoli centri, per la fondamentale funzione educativa e motivazioni sociali, si confrontavano e si scontravano con le ragioni di chi vorrebbe rendere maggiormente efficiente un sistema ridimensionato nei finanziamenti e ancor di più nei numeri dei fruitori. Chiedendoci se fosse giusto mantenere multiclassi con pochi alunni, ci si è reciprocamente accusati di uccidere i comuni da una parte e di barattare lo sviluppo dei nostri giovani per interessi locali dall’altra. Sullo sfondo però, la vera questione è e continuerà ad essere lo spopolamento dell’intera nostra regione, soprattutto nelle sue zone interne. Nel 2014 in Sardegna il numero di morti supera quelle delle nascite di 3.344 persone. La nostra crescita naturale (per mille abitanti) è stimata a -2,3 , in un anno ogni mille sardi sono nati appena 7,1 bambini. (dati Istat) A ciò si aggiunge l’ingente emigrazione dei nostri concittadini in età da lavoro che silenziosamente anno dopo anno lasciano la nostra Isola in cerca di un futuro migliore, a volte, semplicemente di un futuro possibile. Un preoccupante processo di sofferenza demografica interessa il 55% del territorio regionale. Paesi come Armungia, Sini, Bortigiadas, Ussassai, Borutta e tanti altri rischiano di scomparire, molti invece, pur salvandosi, nei prossimi anni andranno incontro ad una desertificazione demografica graduale e apparentemente inesorabile.

Metto a confronto i due fenomeni, in un triste ossimoro, coerente con la nostra epoca di disequilibrio ma incoerente con la ragione umana. E le faccio una proposta coraggiosa: accogliamoli noi, se non tutti una parte importante, proponiamogli di far vivere la nostra terra, le nostre campagne, le montagne e le più numerose colline, sino alle coste. Non avremo risorse faraoniche, ma sappiamo spezzare il nostro pane. Gli ultimi decenni ci dimostrano come la diminuzione delle persone nelle tavole non abbia portato ad un maggiore benessere. Al contrario dove mancano braccia e teste non c’è ripresa né rilancio.

Non le sto proponendo di aprire i nostri centri di accoglienza ad un numero maggiore di persone, seppur plaudo alla risposta che si sta cercando di dare in emergenza, né di capitalizzare la sofferenza dei migranti come molti hanno tristemente fatto, le sto proponendo un modello di sviluppo basato sulla dignità della vita, sull’apertura all’altro e sulla cooperazione comunitaria.

Ospitiamoli nei nostri paesi, insegniamogli i nostri mestieri e le nostre arti, rilanciamo le nostre produzioni di qualità, impariamo dalle loro storie, mettiamoci in gioco. Così faremo della Sardegna un grande laboratorio multiculturale, una terra di incontro e pace, un luogo nel quale anche i nostri tanti emigrati potranno tornare portando con sé le proprie esperienze. Del resto abbiamo fatto tanti sacrifici per salvare banche e grandi economie, questa volta facciamoli per salvare vite, le loro, e vitalità, la nostra.

Non vi è traccia di purezza razziale nel nostro popolo Presidente, le gocce di sangue nuragiche nei secoli si sono mischiate con il sangue dei conquistatori, dei mercanti, dei tanti popoli che sono approdati nella nostra isola. Siamo di fatto figli dei Fenici, dei Punici, dei Romani, dei tanti Spagnoli, dei Pisani, Piemontesi, Genovesi. È il mediterraneo che ci scorre nelle vene. Abbiamo imparato a convivere con lingue ed usi diversi dal nostro, abbiamo aperto le case anche a chi poi ha approfittato della nostra accoglienza, abbiamo spesso salutato i nostri figli in partenza, abbiamo pianto i nostri morti in mare ed in guerra, ci siamo sentiti gli ultimi. Noi possiamo capire cosa significa la loro sofferenza, abbiamo la responsabilità storica e morale di farlo.

Certamente l’Europa deva essere chiamata a fare la sua parte e la comunità internazionale, ONU in primis, non può voltare le spalle a questa emergenza umanitaria. Ma, nel frattempo, abbandoniamo il nostro solito attendismo e dipendenza per dare risposte di impegno e solidarietà a livello locale.

Dimostriamo che la nostra identità non è racchiusa solo in celebrazioni storiche, sagre e nei maialetti in viaggio per l’EXPO. Identità è differenza che arricchisce, oggi vorrei che sapessimo esprimerla con una scelta coraggiosa e umana. Oggi in questo vorrei sentirmi diverso, vorrei orgogliosamente sentirmi sardo.

Marco Meloni

“buonista”
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sardu dueL’ossimoro del sardo razzista
di Nicolò Migheli

Dopo la strage in mare dei novecento migranti La Nuova Sardegna e l’Unione Sarda hanno dovuto ritirare gli articoli dalle loro edizioni on-line, perché strapieni di commenti offensivi e razzisti. I lupi da tastiera non aspettano altro. A volte si nascondono dietro eteronimi. Altri più coraggiosi, non esitano a firmare con i propri nomi. In questi ultimi anni, più volte è capitato di leggere o assistere a manifestazioni di intolleranza nei confronti di migranti o dei rom. Tutte le volte ci si è consolati con un “i sardi non sono razzisti.”

Bisogna dire, ad onor del vero, che il razzismo biologico è ormai scomparso, seppellito con la Seconda Guerra Mondiale. Solo il professore irlandese Richard Lynn e qualche gruppo minoritario di “Supremazia Bianca” insistono su dottrine finite nell’immondezzaio della storia. Oggi prevalgono le teorie sulle diversità culturali e sulla inconciliabilità delle stesse. In un mondo così globalizzato trionfa la paura dell’altro e su questo si costruiscono fortune politiche. Il razzismo e la xenofobia non sono una caratteristica occidentale; ad esempio i turchi disprezzano gli arabi e si sentono superiori, gli arabi a loro volta considerano inferiori gli africani neri.

Solo in Occidente però le teorie razziali spacciate come scientifiche, sono state fondanti di regimi, non solo quelli fascisti e nazisti, ma anche di quelli coloniali. Lo stereotipo del “ fardello dell’uomo bianco” che “civilizza” il mondo, ha nella superiorità razziale e culturale il suo fondamento. Le decine di migliaia di persone che fuggono dalle guerre dei loro paesi o dalla povertà estrema, si riversano sulle rive del Mediterraneo provocando reazioni di paura e rifiuto. Anche in questi giorni di lutto le reti sociali e il web sono pieni di falsità e di gente che specula sul dolore degli altri. Gruppi di estrema destra e leghisti che in questa disgrazia colgono segni di fortune elettorali.

Nessuna parte d’Italia è indenne. La stessa Sardegna non si differenzia. Vi sono gruppuscoli di destra che sotto il velo dell’autodeterminazione dei sardi mostrano gli stessi comportamenti xenofobi e razzisti di chi predica “prima gli italiani”. Applicano quanto Borghezio affermò in Francia, che in Italia la vera difesa delle identità era possibile solo con partiti localistici come la Lega e che questi sono il grimaldello per il diffondere politiche nazionalsocialiste. Naturalmente i sardo-leghisti e chi li segue sul web, non sanno che i sardi erano i barbari interni dell’Italia post unitaria.

“La Sardegna così presenterebbe una zona doppiamente maledetta: maledetta nella terra, […] immodificabile, maledetta negli uomini, che non hanno facoltà di adattamento alla civiltà! La conclusione sarebbe addirittura dolorosa; e meno male se non si trattasse di applicarla che alla piccola zona delinquente della Sardegna. Ma la logica è fatale e suggerisce altrimenti: la razza maledetta, che popola tutta la Sardegna, la Sicilia e il mezzogiorno d’Italia, ch’è tanto affine per la sua criminalità per le origini e pel suoi caratteri antropologici alla prima, dovrebbe essere ugualmente trattata col ferro e col fuoco,condannata alla morte come le razze inferiori dell’Africa dell’Australia ecc. che i feroci e scellerati civilizzatori dell’Europa sistematicamente distruggono per rubarne le terre.” Scrive il deputato repubblicano Napolone Colajanni in un pamphlet del 1898 confutando gli scritti di Alfredo Niceforo, definiti “romanzo antropologico” di nessuna attendibilità scientifica.

È interessante però che anche un progressista come lui non sfugga a quei cascami di positivismo considerando i non europei inferiori. Niceforo divideva l’Italia unita in due “razze” a nord gli ariani e a sud e nelle isole i mediterranei; lo faceva su basi fisiche, quali la forma del cranio, indici cefalici, circonferenza cranica, fronte, naso, faccia, zigomi, statura, perimetro toracico, peso, colorito, capelli, occhi e barba. Tratti da cui faceva discendere atteggiamenti culturali e psicologici considerati inferiori. Lino Businco, firmatario nel 1938 del Manifesto per la Razza, inserì i sardi tra gli ariani; c’era stata la Prima Guerra Mondiale e la Brigata Sassari, la razza criminale era diventata etnia combattente e il fascismo non poteva accettare di avere la Sardegna abitata da individui di razza inferiore.

Nonostante ciò nei pregiudizi e negli stigmi degli italiani del nord, in maniera inconsapevole, sono rimaste le classificazioni niceforiane. Tutta la predicazione leghista anti meridionale ha qui le sue fondamenta. Oggi il sardo razzista accetta, alla fin fine, quelle suddivisioni di fine Ottocento. Si inserisce in una gerarchia, sarà sempre dipendente di una visione in cui lui non sarà alla pari dei Salvini e compagni. Loro la razza eletta, e lui l’ascaro buono per i lavori sporchi.

Il 25 di aprile si festeggerà la Liberazione dal fascismo e dal nazionalsocialismo, ma razzismo e xenofobia sono più forti che mai. Una Italia che non si è mai defascistizzata, che negli ultimi trent’anni ha subito una esaltazione dell’odio per il diverso propagandata da Mediaset e anche dalla tv pubblica, ha fatto in modo che i fondamenti culturali del disprezzo si diffondessero fino a diventare sentire comune.

Questa è la triste verità. L’onda migratoria non aiuta e il nostro è un paese di vecchi impauriti, con politiche che mirano alla distruzione della scuola pubblica favorendo l’ignoranza. Chi non è d’accordo con questa visione del mondo ha davanti a sé anni di duro impegno. “Vaste programme“, ebbe a dire il generale De Gaulle a chi gli urlava “mort aux cons” (morte agli idioti).
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By sardegnasoprattutto / 23 aprile 2015/ Culture
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Immigrazione: guardare in faccia la realtà
fiori naufragio-migrantidi Vanni Tola
Ciascuno di noi ha una parte di responsabilità in tutto ciò che accade. E’ inutile e ipocrita chiamarsene fuori con argomentazioni pretestuose. Il colonialismo e la politica di rapina delle risorse dei paesi sottosviluppati e del continente africano, i nostri egoismi individuali e collettivi, le scelte di strategia economica dei paesi occidentali, hanno determinato e alimentano crisi, miseria, guerre. Oggi questi problemi presentano “il conto”. Viviamo e siamo partecipi di un esodo biblico di disperati che cercano condizioni di vita umane nei nostri paesi dopo che, nei loro, si è scatenato l’inferno. Un mare, il Mediterraneo, un tempo “culla di civiltà”, luogo di scambi culturali e commerciali tra culture e popoli diversi, trasformato in sterminato cimitero di esseri umani. L’occidente, i paesi che amano definirsi civili, evoluti, progrediti, devono compiere scelte adeguate alla gravità della situazione, adottare scelte politiche e strategie operative per porre fine agli squilibri che dovranno essere nuove e realmente efficaci. Occorre rimettere in discussione, con serietà e onestà, la ripartizione delle ricchezze mondiali per garantire a tutti condizioni di vita migliori pur sapendo che ciò potrebbe limitare il nostro attuale sistema di vita caratterizzato da ipersfruttamento delle risorse e da sprechi. Occorre infine togliere l’ossigeno alle guerre, a tutte le guerre, a partire degli scontri tribali per arrivare agli scontri tra gli Stati africani, ai diversi focolai di tensione del pianeta, agli scontri interreligiosi. Un passo fondamentale da compiere con la massima urgenza dovrà essere rappresentato dalla drastica limitazione della produzione e del commercio di armi e munizioni mettendo al bando i commercianti di morte e i fomentatori delle guerre. Non si può piangere i morti, applaudire gli appelli del Papa al mattino e nel pomeriggio continuare a vivere favorendo, sia pure indirettamente, la condizione di miseria e sottosviluppo di gran parte del mondo con politiche di rapina e vendita di armi. E soprattutto non si può girare il volto e la mente dall’altra parte e fare finta di non vedere o di non sapere. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti” (F. De André.)
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Come evitare la prossima strage di migranti nel Mediterraneo
[Nel riquadro: Carta di Laura Canali da Chi ha paura del califfo]

Accogliere tutti è impossibile e illogico, persegui(ta)re chi fugge da paesi in guerra anche. Ma qualche soluzione c’è, per l’Europa e per l’Africa.
di Riccardo Pennisi, Limes 21/04/2015

Sulla scala delle innumerevoli crisi con cui l’Europa si trova ad avere a che fare, quella dell’immigrazione attraverso il Mediterraneo è ormai tra le più gravi per le sue proporzioni in termini di persone e di valori morali coinvolti.

Se vogliamo comprenderne le dimensioni reali, non possiamo trascurare alcuni dati. Il primo è certamente quello della consistenza inedita dei flussi migratori: tanto grandi che non solo l’Italia, ma l’intera Europa non ne ha mai visti di simili nella sua storia recente. Per quanto i singoli Stati possano credere bene di intervenire promulgando leggi aspre e repressive, o pensare di impiegare armi e soldati per blindare il confine marittimo, il numero di persone disposte a rischiare di morire per arrivare nel nostro continente non diminuirà. Lo si comprende osservando una mappa del mondo: attorno all’Europa si sono moltiplicati gli scenari di crisi, le guerre, le guerre civili, le carestie – un cambiamento spesso dovuto proprio alla goffa diplomazia o agli errori di calcolo strategico dei singoli Stati europei. Mali e Algeria, Sahel, Libia, Darfur e Corno d’Africa; Siria, Iraq e Afghanistan: lasciarsi alle spalle questi inferni vale qualsiasi pena e qualsiasi spesa.

Il crollo di molti Stati e apparati amministrativi conseguente a queste crisi agevola i trafficanti di esseri umani: il tragitto attraverso il Sahara o per le rotte del Medio Oriente e l’imbarco dalle coste mediterranee avvengono in assenza quasi totale di controlli; inoltre, i vari gruppi che si disputano la signoria sui territori di passaggio utilizzano i migranti come succosa e facile fonte di reddito.

Ad esempio, a occuparsi della sorveglianza sui 600 km di coste della Tripolitania libica – una zona caduta sotto il controllo delle forze ribelli al governo appoggiato dagli occidentali, che ha sede nell’altra parte del paese – ci sono solo due navi-vedette di stanza nel porto di Misurata, per metà devastato dalla guerra. Altre quattro navi sono in mano all’Italia che doveva riequipaggiarle, grazie a un accordo con il governo libico, ma non le ha ancora restituite perchè non c’è alcuna certezza del vero uso che ne verrà fatto.

Proprio il crollo della Libia subito dopo il rovesciamento del dittatore Mu’ammar Gheddafi fa sì che il paese sia diventato lo sbocco ideale per traffici illeciti di ogni tipo, e che i flussi migratori vi si concentrino, privilegiando la rotta su Lampedusa piuttosto che quelle dal Marocco o dall’Algeria al sud della Spagna, o dalla Turchia alle isole greche.

Il record di sbarchi registrati in Italia lo scorso anno (150 mila rifugiati e migranti tratti in salvo secondo l’Unhcr) si prepara a essere battuto nel 2015: l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati certifica già più di 30 mila arrivi in Italia e Grecia a metà aprile – cifra destinata a crescere con lo stabilizzarsi delle condizioni metereologiche: fonti libiche raccolte da Le Monde parlano di 300-700 uomini in partenza quotidianamente nelle giornate di bel tempo.

Gli Stati dell’Unione Europea hanno finora affrontato la questione come un fenomeno stagionale. L’operazione Mare Nostrum costava a Roma 9 milioni al mese, e secondo Human Rights Watch ha soccorso un totale di 100 mila persone. Tuttavia, data l’indisponibilità italiana a contrastare in solitudine un fenomeno che riguarda tutto il continente e la convinzione che una missione meno “generosa” scoraggiasse i migranti, i membri dell’Ue si sono accordati su un suo surrogato.

Sotto il nome di Triton, al costo di 3-5 milioni al mese spalmati sui 28 Stati contribuenti, l’operazione europea in vigore da novembre si limita al pattugliamento, e non alla ricerca e al salvataggio come in precedenza. La sua inefficacia, riconosciuta in febbraio anche dal commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti umani Nils Miuznieks, è tristemente provata dal numero di morti registrati negli ultimi mesi, di cui la strage di domenica è solo l’episodio più evidente.

Cosa fare dunque? Considerando che la nostra frontiera è il mare e che non possiamo costruirci sopra un muro come hanno fatto gli Stati Uniti con il loro confine messicano, il modo in cui gli europei si misurano con questo epocale fenomeno dovrebbe cambiare attraverso una nuova assunzione di responsabilità, una revisione degli strumenti di intervento e un piano strategico di medio e lungo periodo. Il regolamento europeo di Dublino, finora in vigore, obbliga a che i migranti chiedano asilo nel paese di approdo: in questo modo l’onere di provvedere alle necessità delle persone soccorse ricade sempre sugli stessi paesi rivieraschi del Mediterraneo, nella proporzione del 70% sul totale dei rifugiati dell’Ue. La destinazione dei migranti è invece nella maggior parte dei casi Germania, Gran Bretagna, Svezia o Norvegia: Stati da cui è giusto pretendere un maggiore coinvolgimento.

Inoltre, l’Ue deve rivedere il suo atteggiamento nei confronti del Nord Africa. La stabilizzazione di tutta l’area deve diventare una priorità sulla quale avere il coraggio di investire risorse, così come una cooperazione allo sviluppo politico-civile che vada oltre il mero riconoscimento delle elezioni (che di per sé non certificano l’esistenza di uno Stato democratico) allargandosi al sostegno dei soggetti che con la loro attività rendono il pluralismo e la partecipazione una prassi diffusa. Risulterebbe difficile, altrimenti, ottenere una collaborazione allo stesso tempo efficace e umanitaria da Stati come l’Egitto, attraversati da moltissimi flussi di passaggio, o la Libia, molo di partenza per eccellenza.

Una collaborazione reciproca che è necessario mettere in pratica con pragmatismo e preparazione: l’impossibilità politica dell’accoglienza in ogni caso e per tutti e l’illogicità dell’opzione repressiva di chiusura dimostrano il fallimento degli approcci ideologici o estemporanei finora adottati.

Senza la collaborazione della Libia, attualmente uno Stato-fantasma, si va poco lontani. La cooperazione con i paesi a lei vicini è necessaria per sorvegliare le rotte percorse dai migranti fino al mare e per smantellare le reti di traffico di esseri umani che le utilizzano; la distruzione dei mezzi di trasporto usati dai criminali, proprio come avviene con l’operazione antipirateria Atalanta al largo della Somalia, potrebbe essere un buon inizio.

La chiusura delle frontiere in Europa provoca un aumento della clandestinità: sarebbe dunque meglio estendere la possibilità di chiedere asilo anche nei paesi nordafricani, e direttamente dai paesi nordafricani per tutti i paesi europei – magari armonizzando le politiche attualmente sbilanciate dei singoli Stati Ue in materia di status di rifugiato e asilo politico. Il peso delle richieste di asilo su Grecia, Malta e Italia dovrebbe essere sostenuto economicamente e amministrativamente da tutte le capitali europee.

Infine, le regole di ingaggio di Triton dovrebbero almeno essere riportate a quelle di Mare Nostrum, in attesa di costruire una maggiore integrazione con le forze di salvataggio e sorveglianza nordafricane – perchè non siano semplice assistenza in mare ma permettano anche un migliore contrasto al traffico di esseri umani. A tal fine l’Europa dovrebbe dotarsi di quella politica comune sull’immigrazione che finora gli Stati, gelosi delle loro prerogative nazionali, hanno rifiutato di concedere a Bruxelles. In mancanza di questa, l’Ue potrà solo continuare a stilare liste di buoni propositi.

Sulla sponda nord del Mediterraneo l’immigrazione continua ad essere usata con successo dai partiti populisti ed eurofobici proprio come prova dell’inefficacia e dell’inutilità dell’Unione Europea. Sulla sponda sud, non solo il crimine organizzato la utilizza come fonte di profitto e serbatoio di reclutamento, ma anche il terrorismo comincia a vedere il potenziale destabilizzante del fenomeno.

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Oggi sabato di aprile, sabudu de abrili, 25

aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Festa della Liberazione. Inaugurazione Fiera internazionale della Sardegna.
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La LIBERTA’ guida il Popolo, di E. Delacroix, 1830. La Libertà è una donna, che come una moderna Nike, precede e dirige l’ impeto dei combattenti, oltre la barricata, contro il nemico. Come l’ antica Nike di Samotracia, ha il seno scoperto e una veste svolazzante; impugna la baionetta e innalza il tricolore – segue –

25 aprile: 70° anniversario della liberazione dal nazifascismo

UserFiles-Image-News-7958_25-aprileLe celebrazioni per il 70° anniversario della liberazione dal nazifascismo, promosse dal Comitato 25 Aprile. Iniziative di Cagliari, Sassari, Quartu, Monserrato, San Nicolò Gerrei
Cartellone delle iniziative da venerdì 24 a sabato 25 aprile.
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L’evento Fiera occasione per riproporre nuove relazioni con i paesi della sponda sud del Mediterraneo, a partire dalla Tunisia. L’impegno dell’Università.

fiera2015ape-innovativa2Domani all’inaugurazione della Fiera internazionale della Sardegna, l’Università sarà presente con il Magnifico Rettore Maria Del Zompo. L’Ateneo ha anche assicurato un ulteriore contributo di contenuti attraverso due brevi interventi, uno sul versante dell’economia e del management, curato dal prof. Alessandro Spano, l’altro sulle relazioni tra il Nord Africa e la Sardegna, a cura del prof. Maurizio Memoli. Quest’ultimo farà il suo intervento utilizzando un bellissimo e innovativo lavoro di ricerca da lui realizzato con un gruppo di lavoro interdisciplinare. Si tratterà solo di una “punta ‘e billettu”, come diciamo noi a Cagliari, per ricordarci quanto sono importanti soprattutto per la Sardegna le relazioni con i paesi della sponda Sud del Mediterraneo, a partire dalla Tunisia*, su cui è incentrato detto lavoro, che per larga parte è disponibile su un sito web dedicato:
http://webdoc.unica.it/it/index.html#Home
Tuniscentre
* (dal Progetto) Il tema della web-ricerca: perché Tunisi e la Rivoluzione
La Rivoluzione tunisina è stata di fatto considerata come la prima delle rivoluzioni della cosiddetta Primavera araba, fonte di un “contagio” che, con un effetto domino, ha investito tante altre città del Maghreb e del Medio Oriente, per poi arrivare anche in Europa. Tante forme di contestazione, rivolta, rivoluzione che, secondo molti osservatori, hanno significato, per il Nord Africa e il Medio Oriente, un cambiamento di impatto paragonabile a quello della caduta del muro di Berlino del 1989 per i Paesi dell’Est dell’Europa.
Al di là delle obiezioni che si possono fare a quest’assunto, gli effetti dei moti di contestazione hanno costituito una “rottura” nella geografia politica di questi territori, in cui molte città e molti spazi pubblici hanno rappresentato contemporaneamente un enjeu territoriale, un “luogo d’elezione” e un “nodo cruciale” delle pratiche sociali della contestazione e della rivendicazione.

- Ecco una breve e intensa clip: https://www.facebook.com/1381459882101884/videos/vb.1381459882101884/1402553599992512/?type=2&theater

“Transatlantic Trade and Investment Partnership”. Cos’è il “TTIP” e perché dobbiamo occuparcene

TTIP aladinCos’è il “Transatlantic Trade and Investment Partnership” e perché dobbiamo occuparcene (seconda parte).
sedia di Vannitoladi Vanni Tola
Completiamo la presentazione della trattativa in corso per la realizzazione dell’accordo commerciale internazionale tra gli Stati Uniti e i Paesi Europei meglio noto come TTIP. Nei giorni scorsi in alcune delle principali città europee e negli Stati Uniti si sono svolte diverse manifestazioni per chiedere il blocco o la soppressione “tout court” del trattato TTIP. Al momento ci interessa principalmente completare il quadro d’insieme relativo alla trattativa in corso introdotto col precedente articolo pubblicato su Aladinpensiero (http://www.aladinpensiero.it/?p=40855). Robuste argomentazioni sostengono l’importanza e le potenzialità del Trattato. Una di quelle maggiormente diffuse preannuncia un prevedibile incremento del volume degli scambi e in particolare delle esportazioni europee verso gli Stati Uniti, stimato intorno al 28%, circa 187 miliardi di euro. Altro argomento a favore del Trattato è rappresentato dalla riduzione e, in prospettiva, dalla eliminazione dei dazi nei commerci tra Stati Uniti ed Europa che, benché notevolmente più bassi di quelli applicati nei commerci con altre aree del mondo, rappresentano comunque un notevole “freno” all’ulteriore sviluppo degli scambi commerciali. L’applicazione del Trattato TTIP dovrebbe far registrare un aumento del PIL mondiale tra lo 0,5 e l’1%, qualcosa come 120 miliardi di euro e, naturalmente, aumenterebbe anche quello degli stati contraenti il patto, stimato in 550 euro/anno per ciascuna famiglia europea. Altri vantaggi descritti dai sostenitori del TTIP deriverebbero poi dal fatto che si attiverebbe nell’area oggetto del Trattato una maggiore concorrenza e generali benefici sull’innovazione e il miglioramento tecnologico delle diverse produzioni. Un ultimo e importante elemento positivo dell’applicazione del Trattato sarebbe poi rappresentato dalla semplificazione burocratica e dalle nuove regolamentazioni riguardanti gli scambi commerciali. All’accordo prospettato con la trattativa per la realizzazione del TTIP, si oppongono numerose organizzazioni internazionali e una nutrita rete di associazioni (compresa Slow Food) con le loro delegazioni presenti in diversi paesi e una consistente schiera di esperti ed economisti. Una delle maggiori critiche alle trattative il corso è rivolta al fatto che le stesse si svolgano in forma segreta e i contenuti oggetto degli incontri restino confinati nei ristretti gruppi di negoziatori rappresentanti le parti contraenti. La poca trasparenza relativa al confronto è, di per sé, fonte di preoccupazione e sospetto. Altra fonte di preoccupazione è rappresentata dal fatto che uno dei più importanti studi a favore del TTIP sia stato realizzato da un Centro Studi di Londra finanziato da grandi banche internazionali (Center for Economic Policy Research). Gli aspetti positivi del Trattato descritti in tale studio non rappresenterebbero, a parere degli oppositori, una stima dei risultati affidabile perché riferiti a tempi abbastanza lunghi e anche per il fatto che una infinità di variabili potrebbero, in tempi cosi dilatati, vanificare, o quantomeno modificare, le stime di previsione. Altre possibili conseguenze negative riguarderebbero la circolazione di farmaci meno affidabile, l’aumento della dipendenza dal petrolio, la perdita di posti di lavoro per la scomparsa delle norme sulla preferenza nazionale in materia di forniture pubbliche, l’assoggettamento degli stati a un diritto fatto su misura per le multinazionali. - segue -