Monthly Archives: dicembre 2015

Cari amici vicini e lontani BUON ANNO 2016 !

via santa margherita 31 dic 15

Odio il capodanno.Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore (Nino Gramsci).

Pg 27 dic 15di Antonio Gramsci *

Ogni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.

Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna.

E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore.

Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.

* Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, Avanti!, edizione torinese, rubrica Sotto la Mole.
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sant'anna porta via fara

Buon anno a tutti!

Eraclito e Democrito LL“…Ed ho studiato, ahimè, Filosofia…”
(Lamentatio Doctoris Fausti).
Eraclito, a sinistra, piange. Democrito, a destra, ride.
Il dipinto è di Donato Bramante (più noto come architetto). Democrito ride per la follia degli uomini; Eraclito piange per la caducità delle cose che si perdono nel flusso del divenire.
- Buon Anno a tutti, filosofi e no.

Buon anno a tutti!

Eraclitopace bandieradi ALBIO TIBULLO. Elegiae. L’amore per la pace (I, 10)

Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?
Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,
Tum brevior dirae mortis aperta via est.
An nihil ille miser meruit, nos ad mala nostra
Vertimus, in saevas quod dedit ille feras?
Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,
Faginus astabat cum scyphus ante dapes.
Non arces, non vallus erat, somnumque petebat
Securus varias dux gregis inter oves.
Tunc mihi vita foret, Valgi, nec tristia nossem
Arma nec audissem corde micante tubam.
Nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis
Haesura in nostro tela gerit latere.
Sed patrii servate Lares: aluistis et idem,
Cursarem vestros cum tener ante pedes.
Neu pudeat prisco vos esse e stipite factos:
Sic veteris sedes incoluistis avi.
Tunc melius tenuere fidem, cum paupere cultu
Stabat in exigua ligneus aede deus.
Hic placatus erat, seu quis libaverat uvam
Seu dederat sanctae spicea serta comae:
Atque aliquis voti compos liba ipse ferebat
Postque comes purum filia parva favum.
At nobis aerata, Lares, depellite tela,
Hostiaque e plena rustica porcus hara.
Hanc pura cum veste sequar myrtoque canistra
Vincta geram, myrto vinctus et ispe caput.
Sic placeam vobis: alius sit fortis in armis,
Sternat et adversos Marte favente duces,
Ut mihi potanti possit sua dicere facta
Miles et in mensa pingere castra mero.
Quis furor est atram bellis accersere Mortem?
Imminet et tacito clam venit illa pede.
Non seges est infra, non vinea culta, sed audax
Cerberus et Stygiae navita turpis aquae:
Illic peresisque genis ustoque capillo
Errat ad obscuros pallida turba lacus.
Quin potius laudandus hic est quem prole parata
Occupat in parva pigra senecta casa!
Ipse suas sectatur oves, at filius agnos,
Et calidam fesso comparat uxor aquam.
Sic ego sim, liceatque caput candescere canis
Temporis et prisci facta referre senem.
Interea Pax arva colat. Pax candida primum
Duxit araturos sub iuga curva boves:
Pax aluit vites et sucos condidit uvae,
Funderet ut nato testa paterna merum:
Pace bidens vomerque nitent, at tristia duri
Militis in tenebris occupat arma situs.
At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto,
Profluat et promis candidus ante sinus.
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Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi?
Quanto malvagio e feroce quello fu!
Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre,
allora venne aperta una via più breve alla terribile morte.
Eppure quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi abbiamo volto a nostro danno quello,
che egli ci aveva dato contro le bestie feroci.
Questo è colpa del ricco oro, e non vi furono guerre
finché una tazza di legno di faggio era posta davanti ai banchetti.
Non vi erano fortezze, non bastioni,
e il pastore si addormentava senza preoccupazione tra pecore di vari colori.
Dolce sarebbe stata allora per me la vita, Valgio, e non avrei conosciuto
le funeste armi, né avrei udito la tromba con il cuore palpitante.
Ora sono trascinato a forza a combattere, e già forse qualche nemico
produce dei dardi destinati a configgersi nel mio corpo.
Ma patri Lari proteggetemi e salvatemi: voi stessi mi avete allevato,
quando ancora bambino correvo qua e là.
E non abbiate vergogna di essere fatti di antico legno:
così voi abitaste le sedi dell’antico avo.
Allora con più sincerità (gli uomini) mantenevano la parola data, quando con scarso ornamento
il dio stava in una modesta nicchietta.
Questo era soddisfatto, sia che qualcuno avesse fatto libagioni con uva
sia che qualcuno avesse offerto una corona di spighe alla santa chioma:
e colui che è padrone di qualcosa offriva delle focacce
dietro di lui come compagna la piccola figlia offriva un favo intatto.
Tenete lontano da noi, Lari, i dardi di bronzo
e avrete come rustica vittima una scrofa del mio porcile pieno.
Io stesso col capo cinto di mirto accompagni questa con una veste disadorna
e porti canestri ornati di mirto.
Così io possa piacere a voi: sia pure un altro valoroso nelle armi,
e atterri col favore di Marte i comandanti avversari,
in modo che mentre sto bevendo un soldato possa raccontarmi le sue imprese
e disegnare col vino gli accampamenti sulla mensa.
Che pazzia è mai quella di chiamare a sé con la guerra la nera morte?
La morte ci sta sopra e segretamente arriva con passo silenzioso.
Non campo coltivato v’è nel mondo sotterraneo, non vigna, ma l’audace
Cerbero e il turpe nocchiero delle acque dello Stige:
ivi una pallida turba con le gote dilaniate e i capelli arsi
erra presso le nere paludi.
In quanto è più da lodarsi colui che coglie la sua tarda vecchiaia
nella sua umile capanna in mezzo ai suoi figli!
Egli stesso conduce al pascolo le pecore, il figlio invece gli agnelli,
e la moglie prepara l’acqua calda al marito stanco.
Possa anch’io esser così e mi sia concesso veder sul capo divenir bianchi i miei capelli
e vecchio raccontare i fatti della giovinezza.
Frattanto la Pace coltivi i canti. La Pace ha insegnato
a condurre sotto i gioghi ricurvi i buoi per arare:
la Pace ha sostentato le viti e ripose il succo d’uva,
perché l’anfora di terracotta del padre versasse il vino puro:
durante la pace brillano il bidente e il vomere, la ruggine
ricopre le funeste armi dell’insensibile soldato nei nascondigli.
Orsù vieni a noi, benefica Pace, e terrai una spiga
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presepio di pietra Assisi
Auguri Natale 2015 PCC 2

Oggi 31 dicembre 2015 giovedì ultimo giorno dell’anno 2015

Auguri senza Auguri aladin
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Oggi 30 dicembre 2015 mercoledì

San Francesco viaAuguri senza Auguri aladin
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Guido Reni LLCanone Occidentale.
Maria col Bambino.

(Guido Reni, Bologna, 1575-1642).

Enzo Bianchi parla pe noi

Enzo Bianchi Assisi 29 dic 15 Citt 2Enzo Bianchi, il priore di Bose si racconta: “Tutti i governi sono inginocchiati al mercato”
di Silvia Truzzi

By sardegnasoprattutto / 26 dicembre 2015/ Società & Politica/

Il Fatto Quotidiano 24 dicembre 2015. La strada sembra fatta apposta per prepararti a Bose. Dal casello si attraversano solo campi, boschi umidi di nebbia e paesi deserti di tapparelle abbassate. Negozi con insegne scolorite chiusi chissà da quanto, strade strette che passano sotto ponti di pietra. A parte un trattore, non incroci nessuno, né a piedi né in auto. L’autoradio l’hai spenta quasi subito dopo l’autostrada. Poi l’hai riaccesa e di nuovo spenta: alla pace ci si abitua con difficoltà, ma a un certo punto bisogna arrendersi. Dunque è soprattutto silenzio, fino alla radura che ospita il monastero che ospita tutti: pellegrini, migranti, fedeli e infedeli, affamati, amici e persone smarrite.

Enzo Bianchi ha una faccia conosciuta: occhi limpidi e chiari, rughe scolpite; ingannevole invece la mitezza. Il file audio dell’intervista è pieno di picchi: tutte le volte che qualcosa lo fa arrabbiare il tracciato s’impenna. È nato il giorno prima di Gesù Bambino, 3 marzo ’43. Non c’è un porto in questa storia, ma il bric di Zaverio, le colline del Monferrato. E ci sono le bombe.

“Quando sono nato, mio papà non c’era: stava in montagna con i partigiani. Faceva il magnan, lo stagnino. Ma anche il barbiere, il vetraio e l’elettricista per tirar su qualche soldo. Mia madre soffriva di una malattia al cuore, che si sarebbe potuta curare: dal 1952 hanno cominciato a fare gli interventi per operare la valvola mitralica. Ma lei è morta nel ’51, a trent’anni, io appena otto. Già da piccolo sapevo che se ne sarebbe andata presto. Sono nato in casa e fu una nascita difficile: i medici avevano sconsigliato a mia madre, così malata, di avere figli. Mio padre, che veniva da una famiglia rossa di anticlericali, voleva per me un nome che non fosse di un santo, e scelse ‘Enzo’. Ma mia madre, che invece era una donna piena di fede, volle chiamarmi ‘Giovanni’: con questo nome fui battezzato di notte, portato al parroco da una vicina di casa, amica di mia madre. Quando lei se n’è andata, siamo rimasti io e mio padre, pieni di debiti per le spese mediche: vita misera, ma dignitosa. Riuscii, con l’aiuto economico di due donne vicine di casa e le borse di studio, a iscrivermi a Economia. Poi abbandonai tutto per la vita monastica che iniziai a Bose”.

Com’è successo?
Ero impegnato in politica: fanfaniano, ero il segretario dei giovani democristiani in provincia di Asti. Poi, nel 1965, sono stato tre mesi alla periferia di Rouen, insieme all’abbé Pierre. Vivevo con ex legionari, ex alcolizzati, ex carcerati, passavo tra le case a raccogliere stracci e ferraglia. Quei tre mesi mi hanno dato un insegnamento enorme. Ho capito che i poveri non sono i destinatari della carità, ma soprattutto maestri. Se c’è qualcuno degno di una cattedra sono i poveri: sanno insegnare tante cose che di solito s’ignorano. Vedere la capacità di amore e di cura che avevano questi poveri tra di loro mi ha profondamente cambiato. Ha modificato la mia idea di cattolicesimo, fino a quel momento legata all’azione cattolica, al ‘fare il bene per dare testimonianza’.

Lì ha capito che voleva diventare monaco?
Fin da giovane sono stato legato alla religione: come ho detto, mia madre era profondamente cattolica. Due donne si sono prese cura di me: mia madre e una maestra che mi ha dato in mano San Basilio a 13 anni. Tenevo le Regole sul tavolino da notte ed ero solo un ragazzino.

E dopo Rouen?
In quel periodo ero stato sospeso dal partito: avevo firmato un manifesto dei comunisti contro la tortura e la condanna a morte di Julián Grimau, il leader del Partito comunista spagnolo perseguitato da Franco. Intanto avevo costituito a Torino un gruppo ecumenico – cattolici, valdesi, battisti, ortodossi – che si riuniva nel mio alloggio: tutte queste circostanze insieme e l’apertura ecumenica del Concilio vaticano II, mi fecero maturare l’idea della vita monastica. Così arrivai qui a Bose.
- segue –

Oggi martedì 29 dicembre 2015

Auguri senza Auguri aladin
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Quis fuit horrendos primus qui protulit enses? “Chi è stato il primo ad inventare le orride armi?”

pace bandieradi ALBIO TIBULLO. Elegiae. L’amore per la pace (I, 10)

Quis fuit, horrendos primus qui protulit enses?
Quam ferus et vere ferreus ille fuit!
Tum caedes hominum generi, tum proelia nata,
Tum brevior dirae mortis aperta via est.
An nihil ille miser meruit, nos ad mala nostra
Vertimus, in saevas quod dedit ille feras?
Divitis hoc vitium est auri, nec bella fuerunt,
Faginus astabat cum scyphus ante dapes.
Non arces, non vallus erat, somnumque petebat
Securus varias dux gregis inter oves.
Tunc mihi vita foret, Valgi, nec tristia nossem
Arma nec audissem corde micante tubam.
Nunc ad bella trahor, et iam quis forsitan hostis
Haesura in nostro tela gerit latere.
Sed patrii servate Lares: aluistis et idem,
Cursarem vestros cum tener ante pedes.
Neu pudeat prisco vos esse e stipite factos:
Sic veteris sedes incoluistis avi.
Tunc melius tenuere fidem, cum paupere cultu
Stabat in exigua ligneus aede deus.
Hic placatus erat, seu quis libaverat uvam
Seu dederat sanctae spicea serta comae:
Atque aliquis voti compos liba ipse ferebat
Postque comes purum filia parva favum.
At nobis aerata, Lares, depellite tela,
Hostiaque e plena rustica porcus hara.
Hanc pura cum veste sequar myrtoque canistra
Vincta geram, myrto vinctus et ispe caput.
Sic placeam vobis: alius sit fortis in armis,
Sternat et adversos Marte favente duces,
Ut mihi potanti possit sua dicere facta
Miles et in mensa pingere castra mero.
Quis furor est atram bellis accersere Mortem?
Imminet et tacito clam venit illa pede.
Non seges est infra, non vinea culta, sed audax
Cerberus et Stygiae navita turpis aquae:
Illic peresisque genis ustoque capillo
Errat ad obscuros pallida turba lacus.
Quin potius laudandus hic est quem prole parata
Occupat in parva pigra senecta casa!
Ipse suas sectatur oves, at filius agnos,
Et calidam fesso comparat uxor aquam.
Sic ego sim, liceatque caput candescere canis
Temporis et prisci facta referre senem.
Interea Pax arva colat. Pax candida primum
Duxit araturos sub iuga curva boves:
Pax aluit vites et sucos condidit uvae,
Funderet ut nato testa paterna merum:
Pace bidens vomerque nitent, at tristia duri
Militis in tenebris occupat arma situs.
At nobis, Pax alma, veni spicamque teneto,
Profluat et promis candidus ante sinus.
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Chi fu colui, che per primo inventò le terribili armi?
Quanto malvagio e feroce quello fu!
Allora nacquero le stragi a danno del genere umano, allora sorsero le guerre,
allora venne aperta una via più breve alla terribile morte.
Eppure quell’infelice non ebbe alcuna colpa, noi abbiamo volto a nostro danno quello,
che egli ci aveva dato contro le bestie feroci.
Questo è colpa del ricco oro, e non vi furono guerre
finché una tazza di legno di faggio era posta davanti ai banchetti.
Non vi erano fortezze, non bastioni,
e il pastore si addormentava senza preoccupazione tra pecore di vari colori.
Dolce sarebbe stata allora per me la vita, Valgio, e non avrei conosciuto
le funeste armi, né avrei udito la tromba con il cuore palpitante.
Ora sono trascinato a forza a combattere, e già forse qualche nemico
produce dei dardi destinati a configgersi nel mio corpo.
Ma patri Lari proteggetemi e salvatemi: voi stessi mi avete allevato,
quando ancora bambino correvo qua e là.
E non abbiate vergogna di essere fatti di antico legno:
così voi abitaste le sedi dell’antico avo.
Allora con più sincerità (gli uomini) mantenevano la parola data, quando con scarso ornamento
il dio stava in una modesta nicchietta.
Questo era soddisfatto, sia che qualcuno avesse fatto libagioni con uva
sia che qualcuno avesse offerto una corona di spighe alla santa chioma:
e colui che è padrone di qualcosa offriva delle focacce
dietro di lui come compagna la piccola figlia offriva un favo intatto.
Tenete lontano da noi, Lari, i dardi di bronzo
e avrete come rustica vittima una scrofa del mio porcile pieno.
Io stesso col capo cinto di mirto accompagni questa con una veste disadorna
e porti canestri ornati di mirto.
Così io possa piacere a voi: sia pure un altro valoroso nelle armi,
e atterri col favore di Marte i comandanti avversari,
in modo che mentre sto bevendo un soldato possa raccontarmi le sue imprese
e disegnare col vino gli accampamenti sulla mensa.
Che pazzia è mai quella di chiamare a sé con la guerra la nera morte?
La morte ci sta sopra e segretamente arriva con passo silenzioso.
Non campo coltivato v’è nel mondo sotterraneo, non vigna, ma l’audace
Cerbero e il turpe nocchiero delle acque dello Stige:
ivi una pallida turba con le gote dilaniate e i capelli arsi
erra presso le nere paludi.
In quanto è più da lodarsi colui che coglie la sua tarda vecchiaia
nella sua umile capanna in mezzo ai suoi figli!
Egli stesso conduce al pascolo le pecore, il figlio invece gli agnelli,
e la moglie prepara l’acqua calda al marito stanco.
Possa anch’io esser così e mi sia concesso veder sul capo divenir bianchi i miei capelli
e vecchio raccontare i fatti della giovinezza.
Frattanto la Pace coltivi i canti. La Pace ha insegnato
a condurre sotto i gioghi ricurvi i buoi per arare:
la Pace ha sostentato le viti e ripose il succo d’uva,
perché l’anfora di terracotta del padre versasse il vino puro:
durante la pace brillano il bidente e il vomere, la ruggine
ricopre le funeste armi dell’insensibile soldato nei nascondigli.
Orsù vieni a noi, benefica Pace, e terrai una spiga

Oggi lunedì 28 dicembre 2015

Pg 27 dic 15
Auguri senza Auguri aladin
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Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?
Meister_des_Mausoleums_der_Galla_Placidia_in_Ravenna_002« מִזְמ֥וֹר לְדָוִ֑ד יְהוָ֥ה רֹ֜עִ֗י לֹ֣א אֶחְסָֽר׃
בִּנְא֣וֹת דֶּ֭שֶׁא יַרְבִּיצֵ֑נִי עַל־מֵ֖י מְנֻח֣וֹת יְנַהֲלֵֽנִי׃
נַפְשִׁ֥י יְשׁוֹבֵ֑ב יַֽנְחֵ֥נִי בְמַעְגְּלֵי־צֶ֗֜דֶק לְמַ֣עַן שְׁמֽוֹ׃
גַּ֤ם כִּֽי־אֵלֵ֙ךְ בְּגֵ֪יא צַלְמָ֡וֶת לֹא־אִ֨ירָ֤א רָ֗ע כִּי־אַתָּ֥ה עִמָּדִ֑י שִׁבְטְךָ֥ וּ֜מִשְׁעַנְתֶּ֗ךָ הֵ֣מָּה יְנַֽחֲמֻֽנִי׃
תַּעֲרֹ֬ךְ לְפָנַ֙י׀ שֻׁלְחָ֗ן נֶ֥גֶד צֹרְרָ֑י דִּשַּׁ֖נְתָּ בַשֶּׁ֥מֶן רֹ֜אשִׁ֗י כּוֹסִ֥י רְוָיָֽה׃
אַ֤ךְ׀ ט֤וֹב וָחֶ֣סֶד יִ֭רְדְּפוּנִי כָּל־יְמֵ֣י חַיָּ֑י וְשַׁבְתִּ֥י בְּבֵית־יְ֜הוָ֗ה לְאֹ֣רֶךְ יָמִֽים׃ »
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« Salmo. Di Davide.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. »
Tregua-di-Natale1
Tacciano le armi e gli uomini cantino la pace
di Raffaele Deidda

By sardegnasoprattutto/ 23 dicembre 2015/ Culture/

Assisi 27 – 30 dicembre 2015

Pro civitate christiana Assisi
- Su fb.

Oggi domenica 27 dicembre 2015

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Santo Stefano

santo Stefano LLSanto del Giorno: S. Stefano.
(di Luca Giordano, Napoli 1634-1705). santo-Stefano-Bomeluzo-212x300GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014131ANNIVERSARI. Oggi, come il 26 dicembre di un anno, due anni… fa, Santo Stefano. Storia sarda e Dian Fossey. – Il 26 dicembre 2013 su Aladinpensiero.

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Anderson LLSophie Gengembre Anderson (1823-1903), Portrait of a Fairy, 1869, oil on canvas

Oggi sabato 26 dicembre 2015.

Auguri senza Auguri aladin
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Cosa fare per gli immigrati? Per favore se ne discuta per agire con tempestività anche per recuperare i ritardi che pagheremo comunque a caro prezzo.

migranti per editoriale aladin
di Franco Meloni.
ape-innovativaNon so quanti esattamente siano. Certamente meno di quanti la loro diffusa (e senza dubbio cresciuta) presenza in città faccia apparire. Stiamo parlando dei ragazzi di colore che incontriamo all’uscita dei bar e dei supermercati, ai semafori, nelle adiacenze delle chiese o semplicemente in sosta in alcune piazze della città, e così via. Alle vecchie presenze di rom, mendicanti nostrani, improbabili parcheggiatori e venditori vari… si sono affiancate quelle dei giovani provenienti dai recenti sbarchi. Che, credo, costituiscono uno dei più rilevanti attuali problemi dell’area del disagio, che, sebbene non disgiunto da molti altri, riguarda i soggetti più precari, quelli per i quali la politica dell’accoglienza agli immigrati si ferma alle prime fasi successive agli sbarchi: la visita sanitaria, i riconoscimenti di rito, il ricovero in strutture ospedaliere per i casi di malattia (per fortuna pochi), e, infine, la sistemazione in alloggi recuperati in città o nell’area vasta. Poi tutto diventa presidio minimo della loro presenza per garantire uno standard di sopravvivenza. Riconosciamo che l’emergenza è ben governata dai servizi predisposti dalla Prefettura e dalla Caritas, basata soprattutto sul lavoro dei molti volontari e non solo (a cui dobbiamo tutti riconoscenza). Ma è sul poi che vogliamo soffermarci. Sappiamo che molti di questi giovani migranti non vogliono sistemarsi né a Cagliari né nel resto della Sardegna e neppure in Italia, considerato che le loro agognate mete sono la Germania e i paesi del Nord Europa. Per questa ragione molti fanno resistenza all’essere riconosciuti e “schedati”. Ma, intanto, ci sono! E il fatto che siano costretti di fatto a stare tra di noi (per breve o lungo tempo) non deve comportare l’accettazione dell’attuale situazione, che sostanzialmente è di sofferenza per loro (gli immigrati) e di crescente fastidio per i cittadini, anche per quelli che non hanno ragioni ideologiche o motivazioni razziste per contrastarne la presenza tra noi. Fa tristezza vedere queste persone nel fiore della giovinezza mendicare o comunque passare le giornate nella noia e nel confine di recinti in cui sono di fatto costretti. Giovani che dovrebbero lavorare, studiare, divertirsi… con gli stessi diritti di tutti i giovani del mondo. E, invece, spinti sulla strada dell’assistenzialismo e dell’accattonaggio che corrompe il corpo e la mente. Conosciamo e anticipiamo subito la prima obiezione: “Ma come qui non c’è lavoro per i nostri ragazzi e dovremmo trovarne per questi?” A questa obiezione si risponde che i diritti dei nostri giovani (o meno giovani) non devono essere posti in contrapposizione a quelli degli immigrati. Per diverse ragioni etiche e non solo. Il fatto che i migranti arrivino da parti del mondo sconvolte da conflitti devastanti e drammatici deve farci ragionare sui loro e insieme sui nostri problemi. Nella sostanza non ci salviamo difendendo i nostri livelli di condizioni economiche e di benessere di cittadini occidentali, contro le popolazioni vittime di guerre e costrette in condizioni di povertà estrema. Si tratta invece di trovare soluzioni per tutti, anche con la creazione di nuovo lavoro in forme nuove e per intervenire rispetto a nuove esigenze o che si pongono in modo diverso rispetto al passato, come, per esempio, la cura delle persone, l’educazione, l’accoglienza… Ma non vogliamo, in questa sede, affrontare questioni di enorme portata e di dimensioni planetarie, seppure da queste non si può prescindere. Vogliamo affrontare più modestamente la questione dei migranti che arrivano nelle nostre città e nei nostri paesi (rifugiati politici o profughi economici che siano, comunque in fuga dalla guerra e dalla miseria). Non si può andare avanti nell’attuale situazione che ogni giorno peggiora. Dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti attualmente disponibili e cercarne altri per modificare lo stato delle cose esistente. E per queste finalità tutti dobbiamo impegnarci. Innanzitutto le Istituzioni. Qui non possiamo non richiamare la necessità che i Comuni (a partire da quello di Cagliari) utilizzino i programmi di integrazione come sovente ci richiama l’amico Roberto Mirasola, ultimamente con una precisa dichiarazione ripresa da questa News: “Non bisogna alimentare inutili paure, per questo c’è sempre il Salvini nazionale. Perché la gestione dell’accoglienza dei migranti deve sempre essere legata a problemi di sicurezza? Esistono degli strumenti, bene allora applichiamoli. Perché non si aderisce ai progetti SPRAR previsti dal ministero? Perché non si crea un elenco di associazioni capaci di gestire l’emergenza? Anzi se mettiamo a sistema forse non dovremo più parlare di emergenza. È evidente che le prefetture da sole non sono sufficienti, c’è urgente bisogno della politica”. Nella ricerca di buone prassi che pure sono diffuse in Sardegna, in Italia e all’estero, abbiamo recentemente proposto come esempio da seguire quello della Norvegia, che finanzia corsi per spiegare agli immigrati come funzionano in Europa leggi e codici sociali sui rapporti tra uomo e donna. Il nostro impegno continuerà nella pubblicizzazione di queste buone prassi dovunque esse si praticano e nell’invito martellante alle Istituzioni perché le riproducano o che comunque attuino politiche attive di accoglienza. Il questo quadro considerata la dimensione dei problemi e per certi versi la loro inedita proposizione, rinnoviamo la proposta che il presidente della Regione Pigliaru nomini un’“Alta autorità per il problemi dell’immigrazione e per le politiche di accoglienza”, dotata di adeguate competenze e risorse, anche per l’utilizzo virtuoso di pertinenti finanziamenti europei già disponibili. Per questo ci vuole forse un’apposita legge regionale? Benissimo: una ragione di più per coinvolgere la nostra classe politica decisamente distratta e con scarsa consapevolezza della drammaticità dei problemi qui esposti. Per favore se ne discuta per agire con tempestività anche per recuperare i ritardi che pagheremo comunque a caro prezzo.