Monthly Archives: giugno 2016

Il primo discorso della Sindaca Chiara Appendino al Consiglio comunale e alla città di Torino

appendinosindacoAbbiamo, tutti insieme, l’occasione di cambiare la Storia. Adriano Olivetti scriveva “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.”

Signore e Signori Consiglieri,
Vorrei anzitutto ringraziare gli uffici del Tribunale, tutte le autorità civili e militari presenti, le istituzioni locali e gli Uffici Comunali.

Prima di iniziare mi preme ricordare le vittime dell’attentato di Istanbul di pochi giorni fa: troppe volte in questo Consiglio ci è capitato di affrontare questi tristi momenti che sono purtroppo sempre più frequenti. La violenza non è mai giustificabile e non può essere tollerata in nessuna forma.

Ciascuno di noi è stato scelto dai torinesi per sedere in quest’aula e rappresentare la nostra amata Torino, custodendo, governando e migliorando l’eredità di coloro che ci hanno preceduto.
Non sono di rito i ringraziamenti agli amministratori che hanno ricoperto i ruoli e gli incarichi che ora sono affidati per i prossimi cinque anni a noi. Nella figura del mio predecessore, Piero Fassino, desidero riassumere un sentito grazie a ciascuno.

Questo è il luogo del confronto e dell’incontro; questo è il luogo nel quale dialogheremo, portando nei dibattiti che ci saranno la nostra passione e le nostre idee e, insieme, decideremo per il bene di Torino. Il monito inscritto nella tela del soffitto di quest’aula ci ricorda che nessuno è detentore della verità assoluta, ma solo nel consiglio, inteso come metodo costante di confronto, si può ambire alla vera sapienza.

Viviamo un momento storico di forti tensioni sociali e politiche, assistendo ad un aumento della distanza tra governanti e governati, ma anche tra popoli che pensavamo ormai uniti. Quell’Unione Europea, che avrebbe dovuto essere un ponte tra differenti anime, per costituire un modello di unità nella diversità si interroga ora, a pochi giorni dal referendum del Regno Unito, su quale sia il proprio destino e quali le risposte rimaste inevase. Il trionfo delle democrazie occidentali al quale abbiamo assistito dopo la seconda guerra mondiale e, ancora di più, dopo il crollo dei regimi socialisti dell’89, sembra ora arenato, messo nell’incapacità di arginare crescenti estremismi ed una insofferenza fatta ormai cifra dell’azione politica.

Occorre una nuova concezione della Politica, come più volte ho affermato in questi mesi, nella quale le componenti del servizio, della partecipazione e dell’ascolto siano i pilastri di un rinnovato edificio sociale. Ciascuno di noi non può, infatti, considerarsi privo di responsabilità per ciò che accade anche a migliaia di chilometri di distanza dalla città nella quale viviamo. In un mondo globalizzato le idee e gli esempi viaggiano così veloci da diventare quasi istantaneamente motori del cambiamento, tanto positivo quanto negativo.

Noi tutti siamo chiamati a diventare Persone, uniche nella propria identità, responsabili nei confronti del Prossimo e attivi operatori di una solidarietà che prescinda dalle paure ataviche, iscritte nella millenaria storia della nostra evoluzione biologica. Sappiamo bene, infatti, che il mantenimento delle norme che ci siamo dati per garantire la convivenza civile è necessario e tutti coloro che partecipano al patto sociale sono portatori di diritti e soggetti ai doveri. Ma sappiamo anche che solo in una società armoniosa e strutturalmente solidale si può avere una reale sicurezza.

Le risorse naturali, sebbene finite, sono in grado di accogliere la vita di ogni essere vivente, consentendo loro nel breve spazio della propria esistenza di contribuire in modo unico ed irripetibile alla storia. Tutto ciò non è però possibile se si costruiscono muri di diffidenza e di paura, si abbattono ponti costruiti con difficoltà in tanti anni di lavoro e, soprattutto, si tradisce la fiducia che era stata riposta nell’Altro.

Come amministratori di una Città noi abbiamo il dovere di ripartire proprio dalla fiducia che i torinesi hanno avuto in noi e, con un lavoro che sarà collegiale con ciascuno di voi che sederà in quest’aula, al di la delle parti politiche, dimostrare che il Prossimo non è nostro nemico, che non siamo in pericolo se usciamo da noi stessi per andare ad incontrarlo. “Nessun uomo è un’isola”, scriveva John Donne e ora, in questo dilagare di egoismo e particolarismo, queste parole devono risuonare come un forte monito a ricordare la nostra profonda natura umana.

Siamo ripartiti dalle periferie di Torino e abbiamo annunciato che entro il mese di Ottobre presenteremo un protocollo per il rilancio e la riqualificazione di tutti i quartieri della nostra Città. E’ più complesso invece ripartire dalle periferie esistenziali, quelle nelle quali ciascuno di noi può scivolare o si può rifugiare nei momenti di smarrimento. Il nostro dovere di Amministratori sarà rimettere al centro ogni torinese, in particolare i più fragili, per far sentir loro che la Città, la loro Città, gli è vicino. Non abbiamo l’illusione di poter cambiare la realtà con un delibera, di risolvere una volta per sempre la povertà oppure la solitudine, ma abbiamo il dovere di dedicare ogni nostra energia affinché ciascuno si senta parte di questa Comunità Urbana.

È indispensabile coinvolgere in questo grande progetto tutte le istituzioni, quelle locali come le circoscrizioni, la Città Metropolitana e la Regione, e quelle nazionali ed Europee, l’Università e il Politecnico, ma anche tutti i soggetti della società torinese, come le realtà religiose, in primo luogo l’Arcidiocesi, ma anche le comunità Islamiche, le Chiese Ortodosse e i credenti di ogni fede. Le associazioni, di qualsivoglia tipologia, rappresentano inoltre i corpi intermedi che rendono una Città viva e dialogante, mediando le istanze e svolgendo un indispensabile ruolo di rappresentanza.
Le imprese, dalle micro alle grandi, passando per le medie e gli artigiani, che sono chiamate ad affrontare la sfida delle nuove tecnologie e dell’innovazione, costituiscono la struttura portante della nostra comunità urbana e Torino, ne siamo certi, dovrà rafforzare e proseguire la propria grande tradizione produttiva e manifatturiera che qui in più di un secolo ha messo solide radici.
La Città si offre come partner istituzionale per tutti coloro che favoriranno l’insediamento di imprese provenienti da paesi Europei o extra europei. La sfida sarà, infatti, fare sistema per rendere il nostro territorio più attrattivo ed ognuno dovrà contribuire per questo comune obiettivo.

Le città sono, inoltre, ormai fabbriche del sapere organizzato, nelle quali ogni parte concorre, come in un mosaico disegnato con cura, a dare supporto e energia a tutti coloro che interagiscono in modo armonioso. Torino ha anche un immenso patrimonio di cultura e di creatività, che abbiamo ereditato e che è dovere per tutti coloro che amano la nostra Città rafforzare e promuovere.
Il ridisegno del welfare, al quale cercheremo di dedicare ogni risorsa che riusciremo a reperire riorganizzando la struttura amministrativa della Città, dovrà ripartire proprio dalle persone, mettendo al centro i loro bisogni e cercando di dare a ciascuno la possibilità di realizzare i propri progetti e i propri sogni. Coloro che lavorano per la Città devono essere orgogliosi di ciò che ogni giorno fanno ed essere messi nelle condizioni di dare a tutti noi una Torino più efficiente e semplice.

Una delle prime delibere che questo Consiglio dovrà esaminare sarà, come di prassi, la delibera quadro sull’organizzazione degli Uffici. In quel testo si troverà chiaramente esposto il nostro progetto di tagliare almeno del 30% i costi degli staff della Giunta e dei Dirigenti fiduciari. Mi auguro che ci possa essere da parte di ogni consigliere comunale una piena partecipazione a questa scelta. Come abbiamo detto nei mesi passati queste risorse saranno immediatamente usate per un fondo per aiutare i giovani ad entrare nel mondo del lavoro. Non si tratta della soluzione di questo grande problema per la nostra città, ma di un segnale: nessuno di noi è insensibile alla tristezza e alla rassegnazione che si legge negli occhi di un giovane che non studia e non lavora, un pezzo di futuro abbandonato.

Avremo modo nelle prossime sedute del Consiglio di dibattere le linee di mandato per il governo di Torino fino al 2021, auspico che quello sia il primo banco di prova per inaugurare una stagione di dialogo franco e di confronto nell’interesse unico ed esclusivo di Torino.

17_bellezia_2Nel passati cinque anni ero seduta nei banchi dell’opposizione poco sotto il quadro che raffigura Gianfrancesco Bellezia, grande sindaco di Torino dell’inizio del XVII secolo. Durante la pestilenza del 1630, a soli 28 anni, sentì su di sé la responsabilità di una città e rimase a Torino, a rischio della propria stessa vita, per coordinare quel poco di struttura sanitaria che in quell’epoca esisteva e soprattutto dimostrare che le Istituzioni sono più grandi della nostra natura umana. A quel modello di servizio cercherò di ispirare il mio mandato, garantendovi fin d’ora che ogni mia energia sarà spesa per Torino.

Abbiamo, tutti insieme, l’occasione di cambiare la Storia. Adriano Olivetti scriveva “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.”

A tutti noi un augurio di buon lavoro. Grazie.
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JohnDonnePer chi suona la campana
Il titolo è ricavato da un famoso sermone di John Donne; in relazione al concetto secondo il quale nessun uomo è un’”isola”, cioè può considerarsi indipendente dal resto dell’umanità, egli disse:

“…And therefore never send to know for whom the bell tolls. It tolls for thee”.
(“E allora, non chiedere mai per chi suoni la campana. Essa suona per te”.)
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Oggi 30 giugno anniversario de Sa battalla de Seddori (1409)

Sa battalla de Seddori loghettoMarghinottibattagliaSanluriSA BATTALLA
A sud dell’abitato di Seddori (Sanluri, secondo la strana traduzione italiana) si trova il luogo denominato Su bruncu de sa battalla. Il 30 giugno 1409 fu qui che si combattè l’aspra battaglia tra le truppe aragonesi di Martino il Giovane, guidate dal luogotenente Pietro Torrelles, e l’esercito di Arborea, guidato da Guglielmo III visconte di Narbona, nipote di Eleonora d’Arborea.
Vinse Martino il Giovane che morì a Cagliari 25 giorni dopo di malaria, il giorno del suo 35° compleanno. Sa battalla non fu l’ultima tra Arborea e Aragona, ancora si combattè il 14 aprile 1470 a Uras e vinse Leonardo Alagon, marchese di Oristano, che sarà sconfitto 8 anni dopo a Macomer.
GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501419- Su Aladinews il 30 giugno 2013.
- Un sito web dedicato, anche se ormai desueto.

Ma si può parlar male di Garibaldi?

FronteGaribaldiSui Savoia e dintorni
di Francesco Casula
Ma si può parlar male di Garibaldi?
Storicamente, l’esule di Caprera, è sempre stato osannato, unanimisticamente: a destra come a sinistra e al centro. Così durante il ventennio fu santificato ed eletto come padre putativo di Mussolini e del regime e dunque fu “fascista”. Alle elezioni politiche del ’48 la sua icona fu scelta come simbolo elettorale del Fronte popolare e dunque divenne socialcomunista. Negli anni 80 fu esaltato da Spadolini e dunque divenne repubblicano. Craxi lo considerò “come il difensore della libertà e dell’emancipazione sociale” e divenne socialista. Fu persino rivendicato da Piccoli che lo fece dunque diventare democristiano. Ecco è proprio questo unanimismo, intorno al personaggio simbolo del Risorgimento che non convince. E’ questa intercambiabilità ideologica dei suoi “eroi” che rende sospetti. Ecco perché bisogna iniziare a fare le bucce al Risorgimento, iniziando a sottoporre a critica rigorosa tutta la pubblicistica tradizionale. – segue -

Brexit mette all’angolo il Ttip: gli Usa perdono il principale alleato. Intesa sempre più difficile

stop TTIP mano loghettoLondra era il principale sostenitore dell’accordo di libero scambio tra gli Stati Uniti e l’Unione europea. Parigi alza un muro: “Dobbiamo essere fermi, non è un buon trattato, perché non fa gli interessi dell’Europa”. Da sciogliere i nodi degli appalti e dell’agricoltura. Dopo tre anni di trattativa ancora non esiste alcun testo consolidato, ma solo scambi di offerte

di GIULIANO BALESTRERI su La Repubblica online

MILANO – Brexit, l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea, potrebbe mettere la parola fine al Ttip, il trattato di libero scambio tra Usa e Ue a cui la Casa Bianca e Bruxelles stanno lavorando dal 2013. Gli inglesi erano i primi sostenitori dell’intesa anche nella loro ottica di trasformare l’Unione europea in un’enorme area di libero scambio senza vincoli politici. Con l’esito del referendum, Londra si è chiamata fuori lasciando il pallino dei negoziati con Washington a Parigi e Berlino che sul trattato hanno già sollevato diversi dubbi. “Gli americani stanno perdendo uno dei paesi più favorevoli all’accordo” dice Chad Bown, ex economista della Banca mondiale. Di certo il tema sarà sul tavolo al Consiglio europeo in programma fino a domani: il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, ha chiesto ai governi un rinnovo del mandato per chiudere l’intesa, ma il referendum inglese ha rapidamente cambiato le priorità europee.
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Domani convegno organizzato da Giustizia e Libertà e Comitato per il No nel referendum costituzionale

comitato-no-logo-okDalla “notte dei 101” al DDL Renzi – Boschi: verso la rottamazione della Carta?
Venerdì 1 luglio 2016, ore 17.30
Hostel Marina – Scalette S. Sepolcro, 2, Cagliari

Oggi giovedì 30 giugno 2016

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Domani venerdì 1° luglio 2016
No del 1 luglio 2016

Oggi giovedì 30 giugno 2016

bannersitounica- Approfondimenti su UnicaNews.
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GIOVEDÌ 30 GIUGNO: QUARTIERI IN PIAZZA
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La rete dei Centri di Quartiere del Comune di Cagliari organizza il secondo appuntamento di “Quartiere in festa” al porto di Cagliari. Giovedì 30 giugno dalle 19.00 alle 21.00 al Porto, Molo Sanità (la piazza antistante la Stazione Marittima, altezza Infopoint).

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In giro per la rete

lampada aladin micromicroIn giro per la rete con la lampada di Aladin.
- Il movimento francesce Nuit Debout continua a stupire.
Fare politica in modo diverso recuperando il valore dell’agorà
. Da SENZA FILTRO – Notizie dentro il lavoro
- Le Città in comune sono un modello o un ostacolo? Articolo de il manifesto, ripreso da il manifesto sardo-pagina fb.
- Saviano: “In fuga dalle bugie”. Su La Repubblica online, ripreso da Aladinpensiero blog.
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Oggi 29 giugno: il giorno dei Santi Pietro e Paolo, giusto per ricordare che occorre restaurare un’antica chiesa cagliaritana (Sancti Petri de Piscatori)

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- La chiesa di San Pietro dei pescatori, a Cagliari, in viale Trieste.SS Pietro e Paolo 2016
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lampada aladin micromicroAPPELLO AL COMUNE e al GREMIO DEI PESCATORI:
lo riproponiamo perché la situazione rispetto a un anno fa si è aggravata, tanto che la chiesa è allo stato inagibile. Nel mentre il supermercato ha chiuso…
SAN PIETRO DEI PESCATORI: APPELLO AL COMUNE del 2015
di Alessandro Zorco -agosto 11, 2015
Il Comune di Cagliari acquisti l’area davanti alla Chiesa di San Pietro dei Pescatori in viale Trieste e vincoli quell’area destinandola ad una piazza con giardino fruibile dai cagliaritani. La proposta è stata lanciata al sindaco di Cagliari Massimo Zedda dal segretario della Confederazione sindacale sarda Giacomo Meloni che sul suo profilo facebook ha reso noto che il supermercato che attualmente sta in viale Trieste 98 starebbe per chiudere. “Probabilmente, scavando attorno all’abside della Chiesa, si potrebbero trovare antiche tombe – afferma Meloni -. Ma soprattutto Cagliari avrebbe un nuovo spazio da ammirare e godere”.

LA CHIESA DI SAN PIETRO DEI PESCATORI
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Oggi mercoledì 29 giugno 2016

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VIA Umberto I!

Carta2_regno_feudale_di_Sardegnadi Francesco Casula
Via i Savoia – non solo Carlo feroce – dalla Toponomastica Sarda


Alcune motivazioni perché Umberto I di Savoia non è degno di essere intestatario di una Via, una Piazza o altri simili ed equivalenti “onori” e riconoscimenti nei paesi e nelle città della Sardegna

Umberto I di Savoia, re d’Italia dal 1878 al 1900 fu responsabile (o comunque corresponsabile in quanto capo dello stato) delle scelte più devastanti e perniciose, che furono prese dai Governi, che operarono durante il suo regno, nei confronti della Sardegna. In modo particolare nel campo economico e fiscale, nel campo ambientale (con la deforestazione selvaggia), nel campo delle libertà civili e della democrazia, con leggi liberticide e una repressione feroce.

1. campo fiscale.
Le tasse che la Sardegna paga sono superiori alla media delle tasse che pagano le altre regioni italiane, talvolta persino superiori a quelle delle regioni più ricche. Scrive Giuseppe Dessì nel romanzo Paese d’ombre “La legge del 14 luglio 1864 aveva aumentato le imposte di cinque milioni per tutta la penisola, e di questi oltre la metà furono caricati sulla sola Sardegna, per cui l’isola si vide triplicare di colpo le tasse.
In molti paesi del Centro, quando gli esattori apparivano all’orizzonte, venivano presi a fucilate e se ne tornavano, a mani vuote, ma più spesso l’esattore, spalleggiato dai Carabinieri, metteva all’asta casette e campicelli e tutto questo senza che nessuno tentasse di difendere gli isolani. I politici legati agli interessi del governo, predicavano la rassegnazione. I sardi si convincevano di essere sudditi e non concittadini degli italiani…”

a. tassa sul macinato
Durante il suo regno permarrà l’imposta sul macinato (istituita nel 1868 ed abolita nel 1880), l’imposta più odiosa di tutte, “perché gravava sulle classi più povere, consumatrici di pane e di pasta e particolarmente dura in Sardegna, dove il grano veniva di solito macinato nelle macine casalinghe fatte girare dall’asinello”. (Natalino Sanna, Il cammino dei sardi, vol.III, Editrice Sardegna, pagina 440).
b. aggio esattoriale
Scrive lo storico Ettore Pais: ”Nelle altre province del regno l’aggio esattoriale ha una media che non supera il 3%, in Sardegna non è minore del 7% e in alcuni comuni arriva persino a 14%” (F. Pais Serra, Antologia storica della Questione sarda a cura di L. Del Piano, Cedam, Padova, 1959, pagina245).
c. sequestro di immobili
A dimostrazione che la pressione fiscale in Sardegna era fortissima e comunque più forte che nelle altre regioni ne è una riprova il fatto che dal 1 gennaio 1885 al 30 giugno 1897 – anni in cui Umberto I è re – si ebbero in Sardegna “52.060 devoluzioni allo stato di immobili il cui proprietario non era riuscito a pagare le imposte, contro le 52.867 delle altre regioni messe insieme” (F. Nitti, Scritti nella Questione meridionale, Laterza, Bari, 1958,pagina 162). Ed ancora nel 1913 – regnante il figlio Vittorio Emanuele III, di cui vedremo –, la media delle devoluzioni ogni 1000.000 abitanti era 110,8 in Sardegna e di 7,3 nel regno, è sempre Nitti nel libro sopra citato a scriverlo.

2. Campo economico
In seguito alla rottura dei Trattati doganali con la Francia (1887) e al protezionismo tutto a beneficio delle industrie del Nord, fu colpita a morte l’economia meridionale e quella sarda. Con la “guerra” delle tariffe voluta da Crispi, i prodotti tradizionali sardi (ovini, bovini, vini, pelli, formaggi) furono deprivati degli sbocchi tradizionali di mercato.
La “Guerra delle tariffe con la Francia – scrive ancora Giuseppe Dessì in Paese d’ombre – aveva interrotto le esportazioni in questo paese e diversi istituti bancari erano falliti. Clamoroso fu il fallimento del Credito Agricolo Industriale Sardo e della Cassa del Risparmio di Cagliari”.
Mentre Raimondo Carta Raspi annota: ”Nel solo 1883 erano stati esportati a Marsiglia 26.168 tra buoi e vitelli, pagati in oro. Malauguratamente il protezionismo a beneficio delle industrie del nord e la conseguente guerra doganale paralizzarono per alcuni anni questo commercio e l’isola ne subì un danno gravissimo non più rifuso coi nuovi trattati doganali” (Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Ed. Mursia, Milano, 1971, pagina 882)
Dopo il 1887 tale commercio crollerà vertiginosamente e con esso entrerà in crisi e in coma l’intera economia sarda. Salgono i prezzi dei prodotti del Nord protetti: le società industriali siderurgiche e meccaniche fanno pagare un occhio della testa – sostiene Gramsci – ai contadini, ai pastori, agli artigiani sardi con le zappe, gli aratri e persino i ferri per cavalli e buoi.
Di contro crollano i prezzi dei prodotti agricoli non più esportabili: il vino, da 30-35 e persino 40 lire ad ettolitro, rende adesso non più di 6-7 lire. Discende bruscamente il prezzo del latte. Anche come conseguenza di ciò arrivano in Sardegna gli spogliatori di cadaveri.

3. Campo ambientale
L’Isola del «grande verde», che fra il XIV e XII secolo avanti Cristo fonti egizie, accadiche e ittite dipingevano come patria dei Sardi shardana è sempre più solo un ricordo. La storia documenta che l’Isola verde, densa di vegetazione, foreste e boschi, nel giro di un paio di secoli fu drasticamente rasata, per fornire carbone alla industrie e traversine alle strade ferrate, specie del Nord d’Italia. Certo, il dissipamento era iniziato già con Fenici Cartaginesi e Romani, che abbatterono le foreste nelle pianure per rubare il legname e per dedicare il terreno alle piantagioni di grano e nei monti le bruciarono per stanare ribelli e fuggitivi, ma è con i Piemontesi che il ritmo distruttivo viene accelerato. Essi infatti bruciarono persino i boschi della piana di Oristano per incenerire i covi dei banditi mentre i toscani li bruciarono per fare carbone e amici e parenti di Cavour, come quel tal conte Beltrami “devastatore di boschi quale mai ebbe la Sardegna”, mandò in fumo il patrimonio silvano di Fluminimaggiore e dell’Iglesiente.
Con l’Unità d’Italia infine si chiude la partita con una mostruosa accelerazione del ritmo delle distruzioni, specie con il regno di Umberto I a fine Ottocento. Scriverà Eliseo Spiga” lo stato italiano promosse e autorizzò nel cinquantennio tra il 1863 e il 1910 la distruzione di splendide e primordiali foreste per l’estensione incredibile di ben 586.000 ettari, circa un quarto dell’intera superficie della Sardegna, città comprese”. (La sardità come utopia, note di un cospiratore, Ed. CUEC, Cagliari 2006, pagina 161).
Mentre il poeta Peppino Mereu, a fine Ottocento, mette a nudo la “colonizzazione” operata dal regno piemontese e dai continentali, cui è sottoposta la Sardegna, proprio in merito alla deforestazione: Sos vandalos chi cun briga e cuntierra/benint dae lontanu a si partire/sos fruttos da chi si brujant sa terra, (I vandali con liti e contese/ vengono da lontano/a spartirsi i frutti/dopo aver bruciato la terra). E ancora: Vile su chi sas jannas hat apertu/a s’istranzu pro benner cun sa serra/a fagher de custu logu unu desertu (Vile chi ha aperto la porta al forestiero /perché venisse con la sega/e facesse di questo posto un deserto).
E Giuseppe Dessì, sempre nel suo romanzo Paese d’ombre scrive: La salvaguardia delle foreste sarde non interessava ai governi piemontesi, la Sardegna continuava ad essere tenuta nel conto di una colonia da sfruttare, specialmente dopo l’unificazione del regno.

- SEGUE –

La dissoluzione della rappresentanza

vanitasvanitatemGovernabilità e burocratizzazione della politica

democraziaoggidi Andrea Pubusa su Democraziaoggi

L’artificiosità della pretesa governabilità tanto in voga in questi anni è agevolmente individuabile nella fallacia del suo presupposto: la pretesa unitarietà del popolo e della sua volontà. In realtà il corpo elettorale non è “un collettivo unitario e omogeneo” ma è attraversato da interessi diversi e contrastanti, cosicché non può esistere una volontà unitaria di esso. Neanche la maggioranza può dunque rappresentare interamente la volontà popolare ma ne esprime solo una parte numericamente maggiore. La democrazia è un regime per sua natura senza capi, senza interpreti unici della volontà del corpo elettorale.
Ora, a ben vedere, i parlamentari e i senatori nominati, assomigliano quanto a legittimazione ai funzionari, anch’essi scelti, ne acquisiscono la mentalità burocratica e sono, al tempo stesso, espressione di questa. Concorrono alla progressiva confusione e concentrazione dei poteri, anzitutto della funzione politica e di quella amministrativa. A questa omogeneizzazione fra politica e amministrazione concorrono altri potenti fattori. Anzitutto la commistione fra poteri politici e poteri economici e la prevalenza di questi ultimi sui primi. Il fenomeno, con Berlusconi, si è mostrato senza paraventi nel conflitto di interesse, che in Italia sopravvive alla concentrazione, senza confronti e senza precedenti, nelle stesse mani dei poteri di governo, di un enorme sistema di interessi e di poteri economici e finanziari, nonché dei poteri mediatici assicurati dal (quasi) duopolio dell’informazione televisiva. Anzi se nella concentrazione nella singola persona di siffatti poteri, non può neppure parlarsi, propriamente, di conflitto di interessi, un aperto primato degli interessi privati sugli interessi pubblici persiste quando la subordinazione dei secondi ai primi, sono assunti dai governanti “come una sorta di nuova norma fondamentale, inderogabile e non negoziabile, del nuovo sistema politico”. Si è parlato così, al tempo di Berlusconi, appropriatamente, “a proposito dell’anomalia italiana, di una singolare regressione premoderna allo stato patrimoniale contrassegnato da connotati populisti: in sintesi, di una forma di patrimonialismo populista o se si preferisce di populismo patrimonialista”. E il fatto nuovo è costituito dalla scomparsa della distinzione che pur caratterizzava la vecchia degenerazione della sfera pubblica, “quando la politica era corrotta, comprata e subordinata agli interessi economici privati e tuttavia da questi pur sempre distinta e separata”. “Il risultato di questo connubio tra patrimonialismo e populismo è la dissoluzione della rappresentanza. In entrambi i sensi della parola. Viene meno, in primo luogo, la rappresentanza giuridica o legale, che come dice il codice civile, è incompatibile con il conflitto tra gli interessi del rappresentante e quelli del rappresentato. Ma viene compromessa anche la rappresentanza politica, che secondo l’art. 67 della Costituzione è rappresentanza della Nazione e non può quindi essere condizionata dagli interessi del rappresentante, tanto più se questi è il capo della maggioranza” (L. Ferrajoli). La politica degrada così dalla decisione all’esecuzione con limitati margini di discrezionalità come nell’azione amministrativa.
La mutazione antropologica e culturale che questo nuovo rapporto politica-economia ha determinato poi accentuata dalla burocratizzazione della politica, che permane come lascito del berlusconismo. Della nomina dei parlamentari e ch’essa assimili il politico al funzionario si è già detto. Ma tale assimilazione avviene anche per vie interne alla politica attraverso il fenomeno della burocratizzazione. Il quesito non è nuovo: quale rapporto esiste, nelle moderne democrazie di massa, fra democrazia e burocrazia? Già Robert Michels, studiando il comportamento politico delle élite intellettuali, nella sua opera più nota sulla sociologia dei partiti politici, descrisse “la ferrea legge dell’oligarchia”. Nel suo libro Sociologia del partito politico, teorizza che tutti i partiti politici si evolvono da una struttura democratica aperta alla base, in una struttura dominata da una oligarchia, ovvero da un numero ristretto di dirigenti. Questo deriva dalla necessità di professionalizzazione, la quale fa sì che un partito si strutturi in modo burocratico, creando un apparato dirigente sempre più svincolato dall’influenza e dal controllo degli iscritti. Con il tempo, chi occupa cariche dirigenti, allontanandosi dalla base, diventa un’élite compatta dotata di spirito di corpo, una “casta”, come si dice oggi, ma come già diceva Gramsci. Nello stesso tempo, il partito tende a smarrire i propri obiettivi generali: l’obiettivo fondamentale diventa la sopravvivenza dell’organizzazione, e non la realizzazione del suo programma. Più in generale per Michels “chi dice organizzazione dice tendenza all’oligarchia”. Le moderne forme di burocratizzazione del potere del resto accomunano le analisi di Weber e Gramsci. E, benchè il primo rilevi il possibile contrasto tra democrazia e potere burocratico, la democratizzazione non è tanto legata “all’aumento necessario della partecipazione attiva dei dominati al potere” quanto “esclusivamente al livellamento dei dominati di fronte al gruppo dominante, organizzato burocraticamente, che da parte sua può possedere di fatto, e spesso anche formalmente, una posizione assolutamente autocratica”. La “burocrazia divenuta necessità” non cancella anzi solleva con forza il problema del suo rapporto con la politica, ossia la questione “di formare una burocrazia onesta e disinteressata, che non abusi della sua funzione per renderla indipendente dal controllo del sistema rappresentativo” (Gramsci).
Accanto a questa critica delle degenerazioni burocratiche del parlamentarismo e del regime rappresentativo Gramsci punta la sua attenzione anche sulla progressiva burocratizzazione dell’attività politica come fattore epocale e irresistibile della nascente politica di massa. Se si vuole studiare la “forma partito”, scrive Gramsci, «occorre distinguere: il gruppo sociale; la massa del partito; la burocrazia o stato maggiore del partito. Quest’ultima è la forza consuetudinaria più pericolosa: se essa si organizza come corpo a sé, solidale e indipendente, il partito finisce con l’anacronizzarsi». La perdita della «base sociale storica» del partito e della sua capacità di “presa” sul reale porta alla «crisi dei partiti», che però mantengono comunque un ruolo centrale nella vita politica: «i partiti francesi sono i più utili per studiare l’anacronizzarsi delle organizzazioni politiche: nati in conseguenza della Rivoluzione dell’89 e dei movimenti successivi essi ripetono una terminologia vieta, che permette ai dirigenti di mantenere la vecchia base pur facendo compromessi con forze affatto diverse e spesso contrarie e asservendosi alla plutocrazia».
La comune burocratizzazione della politica e dell’amministrazione tende ad accomunarle in una funzione meramente esecutiva e di esercizio discrezionale negli spazi lasciati liberi dai decisori economici e, più in generale dalla concezione generale egemone da questi determinata. Questo processo si trasfonde e rafforza quella commistione fra politica e amministrazione che il principio di separazione fra queste in realtà tende a rinsaldare in una identica visione e funzione esecutiva dei progetti altrui e nel rinchiudere il proprio potere decisionale nei limitati spazi applicativi della norma fondamentale dominate fondata sul mercato e non sul lavoro o sulla sovranità popolare, come invece prescrive la nostra Costituzione.
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silenzio aladinews
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Crisi della rappresentanza, poteri forti… e piccoli!

democraziaoggidi Aldo Lobina su Democraziaoggi

La crisi della rappresentanza è crisi del concetto stesso di democrazia, così come si era delineato precedentemente alle attuali distorsioni ipermaggioritarie. Quando parliamo di attività politica non possiamo dimenticare che tra una decisione, frutto magari di una corretta elaborazione (rientrante cioé nel progetto programmatico per il quale si era stati eletti) e la sua attuazione non ci sono solo le burocrazie internazionali con la loro autoreferenzialità, ci sono anche le burocrazie delle regioni e dei comuni, con le quali tocca di fare i conti non solo a noi cittadini, ma anche ai politici che di volta in volta vengono selezionati con leggi più o meno porcelline.
Voglio spostare per un momento l’attenzione dal mercato e dal grande capitale che giuoca un ruolo di primo ordine nella globalizzazione, costringendo la politica degli stati nazionali alle forche caudine delle sue decisioni, dal mercato – dicevo – a quella cinghia di trasmissione del potere cui in Italia i politici hanno demandato responsabilità tecniche enormi. Meccanismo che nella migliore delle ipotesi asseconda le scelte politiche, ma più spesso le condiziona, arrivando a distorcerle. Lungaggini, sviste, inadempienze spesso contrastano l’azione dei governi locali, non sempre attrezzati all’amministrazione del bene comune.
Basta osservare quello che accade nei nostri piccoli centri dove se il burocrate è disattento o ci fa – e i politici di turno non sono all’altezza – arrivano a chiudere servizi di rilevante importanza o si attivano contenziosi inutili, con lo sperpero di risorse e di tempo preziosi. Ma avrà un bel da fare il nuovo sindaco di Roma con la sua macchina comunale, esito di una selezione non proprio contigua alla sua parte.
Ci sono allora differenti problemi, in ordine di grandezza: i poteri forti del capitale e delle banche che dettano le politiche internazionali; la non rappresentatività di un parlamento eletto con legge porcellina o eligendo con la sua variante italica (referendum permettendo), la mostruosità di un apparato burocratico – e per esso intendo anche quello non strettamente legato alla pubblica amministrazione – che può fare il bello e il cattivo tempo. Quando non viene addirittura trasformato in burocratico un servizio geneticamente differente. Si pensi a cosa è diventato per esempio il nostro sistema sanitario nazionale: medici di famiglia e medici ospedalieri trasformati in impiegati, direttori di strutture complesse distolti dalle loro attività principali di diagnosi e cura, affossamento delle strutture pubbliche, affidate a direzioni burocratiche (mi sarebbe piaciuto dire sanitarie, ma non posso) a favore di quelle private, gestite dai vari capicchi locali.
Finché non prenderemo coscienza della necessità di scegliere persone preparate per amministrare anche le piccole realtà locali non saremo in balia solo dei poteri forti, ma anche di quelli deboli. Il che è tutto dire.

Verso la rottamazione della Costituzione?

comitato-no-logo-okVenerdì 1 luglio alle ore 17.30 all’Hostel Marina nelle Scalette S. Sepolcro n°2 a Cagliari si svolgerà il dibattito pubblico organizzato dal Circolo Libertà e Giustizia di Cagliari e dal Comitato per il NO nel referendum di Cagliari dal titolo: Dalla “notte dei 101” al DDL Renzi – Boschi: verso la rottamazione della Carta?
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Scuola Popolare Is Mirrionis IL RUDERESaviano: “In fuga dalle bugie”
Articolo di ROBERTO SAVIANO, su La Repubblica online, ripreso da Aladinpensiero blog.
Renzo Piano le definisce “le città del futuro”, ma le periferie sembrano essere, oggi, gli spazi meno compresi dal governo e, visto il risultato del referendum sulla Brexit, non solo dal nostro. (…)