Monthly Archives: agosto 2016

Sabato 27 agosto 2016

ucellin orto 25 ago 16Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413. .

Venerdì 26 agosto 2016

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Aiuti ai terremotati. Iniziativa Caritas

Caritas Sardegna logocaritas_button(COMUNICATO STAMPA)
COLLETTA DIOCESANA PER LE POPOLAZIONI DEL CENTRO ITALIA
COLPITE DAL TERREMOTO

La Caritas diocesana di Cagliari, su indicazione dell’Arcivescovo Mons. Arrigo Miglio, promuove una raccolta fondi per le popolazioni del Centro Italia colpite dal terremoto. La colletta diocesana, da subito operativa, sarà finalizzata a integrare la somma di un milione di euro già stanziata dalla Conferenza Episcopale italiana (CEI) dai fondi dell’otto per mille, per far fronte alle prime urgenze e ai bisogni essenziali.
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Terremoto, come un film già visto

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
La cronaca del terremoto, l’ennesimo in quelle aree, non ha bisogno di altri commenti. Prontamente i media ci hanno informato nel merito. E’ chiara in noi la gravità dell’accaduto, cresce il numero dei morti e dei feriti, aumenta vertiginosamente il numero dei senza tetto. Si muovono la macchina dei soccorsi e della protezione civile e il volontariato. Negli ospedali si registrano code per donare il sangue e la raccolta di aiuti e di denaro è attivata. Non è il momento delle polemiche e delle analisi ma quello della lotta per salvare vite, soccorrere i feriti e dare ospitalità e sostegno a chi non ha più un alloggio. Resta comunque netta la sensazione di rivedere un film già visto, qualcosa che abbiamo già vissuto in altre circostanze, in altre aree geografiche e con gli stessi drammatici problemi. Diventa quindi inevitabile cominciare a riflettere su alcune questioni fondamentali da approfondire ulteriormente quando la prima emergenza sarà superata. L’Italia è un paese con un alto tasso di pericolo sismico, un paese con vaste aree del territorio fortemente degradate e suscettibili di favorire catastrofi naturali di dimensioni considerevoli, si pensi alle frane e agli smottamenti diffusi. E’ evidente quindi che, pur evitando sterili polemiche e atteggiamenti demagogici poco produttivi, sia necessario riflettere seriamente per individuare valide linee guida per il governo del territorio e la massima protezione possibile dalle catastrofi. E’ vero che un terremoto non può essere previsto con assoluta certezza ma è anche vero che terremoti della stessa entità di quello in corso in questi giorni, in altre aree del pianeta fanno registrare un numero di morti molto esiguo e danni limitati. In un paese cosi esposto a eventi sismici, è inconcepibile che non si sia ancora pensato di estendere a tutte le nuove costruzioni, l’obbligo di adottare criteri costruttivi capaci di contenere l’impatto e i danni dei terremoti futuri che inevitabilmente accadranno. E’ inconcepibile che in nessuna città si pratichi la ristrutturazione ordinaria degli edifici antichi e il consolidamento dei monumenti dimenticando che qualunque edificio realizzato dall’uomo non può essere eterno, prima o poi subirà lesioni, cedimenti, crolli che produrranno danni per le vite umane e l’ambiente. La maggior parte dei Comuni non ha, nelle proprie commissioni edilizie, la figura del geologo e dell’esperto in sismi per garantire la massima sicurezza possibile almeno nelle nuove costruzioni e un’intelligente politica di recupero e consolidamento degli edifici vecchi. Occorre pensarci e agire di conseguenza. Sono necessari provvedimenti governativi che individuino concrete linee guida che vadano di là dell’emergenza. C’è poi da tenere sotto osservazione il meccanismo della raccolta dei fondi per i terremotati. La generosità della gente è sempre considerevole e di questo dobbiamo andare fieri. Ma è anche vero che troppe volte abbiamo assistito al fenomeno dei finanziamenti raccolti utilizzati con grave ritardo e in modo non sempre appropriato a causa dei meccanismi della burocrazia che si trova a dover gestire tale operazione di distribuzione degli aiuti finanziari. Anche in questo caso è necessario imparare dagli errori del passato. Le catastrofi naturali sono un qualcosa di relativamente imprevedibile, una fatalità con la quale convivere, ma sono anche fenomeni da controllare e, per quanto possibile, gestire in condizioni di massima sicurezza. La prevenzione dei rischi, un’attenta politica delle costruzioni di opere e infrastruttura, una politica di governo dei fenomeni naturali che interessano il territorio, sono quindi assolutamente indispensabili e prioritarie.
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norcia675
(Da Il Fatto quotidiano) Norcia esempio virtuoso, senza morti né feriti grazie alla “buona ricostruzione”
Il caso del comune umbro: senza vittime, nonostante sia a soli 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma che ha provocato devastazioni tra le Marche e il Lazio. Qui le case sono state ricostruite, rispettando le disposizioni antisismiche, dopo i terremoti del 1979 e 1997. Il sismologo Boschi: “In Italia si costruisce con criteri antisismici solo dopo un terremoto grave”
di F. Q. | 24 agosto 2016
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“(…) una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie”
Comunicato del Consiglio Nazionale dei Geologi
Tortorici: “In Italia in media un sisma di magnitudo superiore ai 6.3 ogni 15 anni”
“Sul nostro Pianeta, si verificano, in media, ogni anno, almeno un paio di terremoti distruttivi ed in Italia un sisma di magnitudo superiore a 6.3. ogni 15 anni in media. Ciò dovrebbe spingere ad una maggiore cultura della prevenzione sismica e della protezione civile”. Lo ha dichiarato Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, commentando quanto sta accadendo in queste ore in Italia.
“È necessario un continuo aggiornamento delle mappe di pericolosità sismica del territorio nazionale – ha proseguito Tortorici – e per far ciò sarebbe indispensabile la presenza dei geologi in ogni comune, con una loro distribuzione accurata sul territorio e non lacunosa come allo stato attuale.
Gli studi di microzonazione sismica, cioè di suddivisione di un dato territorio in zone omogenee sotto il profilo della risposta a un terremoto di riferimento atteso, tenendo conto delle interazioni tra onde sismiche e condizioni geologiche, topografiche e geotecniche locali, hanno dato i loro risultati; infatti, i fabbricati realizzati dopo l’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC) del 2008, hanno meglio resistito alla scossa di questa notte.
La microzonazione sismica ha una importante dimensione “sociale”, perché la conoscenza delle risposte dei vari siti è una condizione imprescindibile per prendere decisioni di governo del territorio. I risultati sono di grande utilità nella: pianificazione territoriale e urbanistica (per orientare la scelta di nuovi insediamenti e infrastrutture, per definire le priorità degli interventi sull’esistente); questo tipo di studi sono il futuro della geologia sismica e della prevenzione dai terremoti.
Ma una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie”
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Amatrice particolare di dipinto Madonna in trono
Citta’ di Amatrice- Lazio-Italy
Dal sito fb Fan di Philippe Daverio
<< Amatrice è la città delle cento chiese, tanti sono i luoghi di culto presenti sul territorio del comune reatino. Dal 2015 è entrata a far parte del Club "I borghi più belli d'Italia per il suo patrimonio storico architettonico che comprende monumenti romani, barocchi e rinascimentali, tra cui vanno ricordate: la Torre civica risalente al XIII secolo e le torri campanarie risalenti al quattrocento della chiesa Sant'Emidio e della chiesa di Sant'Agostino, la chiesa di San Francesco della seconda metà del Trecento con un portale gotico di marmo e contenente nell'abside affreschi del XV secolo, e quella di Santa Maria di Porta Ferrata. Amatrice deve la sua gloria gastronomica ad una tradizione antica; elemento fondante della sua scuola erano e sono le qualità degli ingredienti primari: la carne di primissimo livello, grazie ai pascoli abbondanti dei Monti della Laga, i formaggi conseguenti >> (Nella foto: particolare dell’affresco della Madonna in trono con bambino benedicente)
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Emergenza sisma
emergenza sisma ONG

Terremoto, come un film già visto

emergenza sisma ONGsedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
La cronaca del terremoto, l’ennesimo in quelle aree, non ha bisogno di altri commenti. Prontamente i media ci hanno informato nel merito. E’ chiara in noi la gravità dell’accaduto, cresce il numero dei morti e dei feriti, aumenta vertiginosamente il numero dei senza tetto. Si muovono la macchina dei soccorsi e della protezione civile e il volontariato. Negli ospedali si registrano code per donare il sangue e la raccolta di aiuti e di denaro è attivata. Non è il momento delle polemiche e delle analisi ma quello della lotta per salvare vite, soccorrere i feriti e dare ospitalità e sostegno a chi non ha più un alloggio. Resta comunque netta la sensazione di rivedere un film già visto, qualcosa che abbiamo già vissuto in altre circostanze, in altre aree geografiche e con gli stessi drammatici problemi. Diventa quindi inevitabile cominciare a riflettere su alcune questioni fondamentali da approfondire ulteriormente quando la prima emergenza sarà superata. L’Italia è un paese con un alto tasso di pericolo sismico, un paese con vaste aree del territorio fortemente degradate e suscettibili di favorire catastrofi naturali di dimensioni considerevoli, si pensi alle frane e agli smottamenti diffusi. E’ evidente quindi che, pur evitando sterili polemiche e atteggiamenti demagogici poco produttivi, sia necessario riflettere seriamente per individuare valide linee guida per il governo del territorio e la massima protezione possibile dalle catastrofi. E’ vero che un terremoto non può essere previsto con assoluta certezza ma è anche vero che terremoti della stessa entità di quello in corso in questi giorni, in altre aree del pianeta fanno registrare un numero di morti molto esiguo e danni limitati. In un paese cosi esposto a eventi sismici, è inconcepibile che non si sia ancora pensato di estendere a tutte le nuove costruzioni, l’obbligo di adottare criteri costruttivi capaci di contenere l’impatto e i danni dei terremoti futuri che inevitabilmente accadranno. E’ inconcepibile che in nessuna città si pratichi la ristrutturazione ordinaria degli edifici antichi e il consolidamento dei monumenti dimenticando che qualunque edificio realizzato dall’uomo non può essere eterno, prima o poi subirà lesioni, cedimenti, crolli che produrranno danni per le vite umane e l’ambiente. La maggior parte dei Comuni non ha, nelle proprie commissioni edilizie, la figura del geologo e dell’esperto in sismi per garantire la massima sicurezza possibile almeno nelle nuove costruzioni e un’intelligente politica di recupero e consolidamento degli edifici vecchi. Occorre pensarci e agire di conseguenza. Sono necessari provvedimenti governativi che individuino concrete linee guida che vadano di là dell’emergenza. C’è poi da tenere sotto osservazione il meccanismo della raccolta dei fondi per i terremotati. La generosità della gente è sempre considerevole e di questo dobbiamo andare fieri. Ma è anche vero che troppe volte abbiamo assistito al fenomeno dei finanziamenti raccolti utilizzati con grave ritardo e in modo non sempre appropriato a causa dei meccanismi della burocrazia che si trova a dover gestire tale operazione di distribuzione degli aiuti finanziari. Anche in questo caso è necessario imparare dagli errori del passato. Le catastrofi naturali sono un qualcosa di relativamente imprevedibile, una fatalità con la quale convivere, ma sono anche fenomeni da controllare e, per quanto possibile, gestire in condizioni di massima sicurezza. La prevenzione dei rischi, un’attenta politica delle costruzioni di opere e infrastruttura, una politica di governo dei fenomeni naturali che interessano il territorio, sono quindi assolutamente indispensabili e prioritarie.
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norcia675
(Da Il Fatto quotidiano) Norcia esempio virtuoso, senza morti né feriti grazie alla “buona ricostruzione”
Il caso del comune umbro: senza vittime, nonostante sia a soli 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma che ha provocato devastazioni tra le Marche e il Lazio. Qui le case sono state ricostruite, rispettando le disposizioni antisismiche, dopo i terremoti del 1979 e 1997. Il sismologo Boschi: “In Italia si costruisce con criteri antisismici solo dopo un terremoto grave”
di F. Q. | 24 agosto 2016

Giovedì 25 agosto 2016

Logo_Aladin_Pensieroaladin-lampada-di-aladinews312sardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413. .

Terremoto nel centro Italia. Disastro, morti e solidarietà

I Vigili Del Fuoco pubblicano una foto del paese Amatrice completamente distrutto dal terremoto di stanotte.
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Migranti. Le politiche in (lenta) costruzione e le buone effettive pratiche locali

Migranti, Giro: “Svegliati Europa, l’Italia è già pronta per agire”
Dalla creazione del fondo fiduciario per il continente nero al Migration Compact (proposta tutta italiana), i piani per fronteggiare i flussi migratori non mancano. Ora, però, servono i soldi e una maggiore consapevolezza da parte dei governi africani: «Stanno perdendo il loro futuro»
di Nicola Grolla su Linkiesta (23 Agosto 2016)
neri per cagliariDi “piani” per affrontare la crisi dei migranti, la Ue e gli Stati membri sembrano esserne talmente pieni da non sapere quale scegliere. Finendo per lasciare tutto com’è. Dal sistema delle quote al ritornello dell’«aiutiamoli a casa loro», fino all’accordo con il “sultano” di Turchia Tayyip Erdogan che per molti osservatori sembra essere l’unica spiegazione per il mancato biasimo di quanto sta accadento al di là dello stretto del Bosforo. Anche l’Italia ha fatto la sua parte. Stavolta per l’Africa. Non solo con gli innumerevoli interventi della Marina militare al largo del Mediterraneo, ma proponendo un piano di aiuti che porta un nome inglese (stile Jobs Act): il Migration Compact. Fatto proprio dalla Ue durante il vertice fra i capi di stato e di governo che si è tenuto il 28 e 29 giugno, quello in cui si è parlato soprattutto degli esiti del voto inglese sulla Brexit, il progetto italiano ha tuttavia subìto diverse variazioni: «Attualmente manca interamente tutta una parte, quella sugli investimenti. Non si capisce perché i Paesi africani debbano accettare le richieste dell’Europa se non c’è per loro un vantaggio reale», afferma il viceministro degli esteri Mario Giro. Dopo una lunga esperienza nella Comunità di Sant’Egidio che lo ha portato a viaggiare in lungo e in largo per l’Africa, dal gennaio 2016 Giro ha preso il posto lasciato libero da Lapo Pistelli nella squadra del ministro Gentiloni. Un innesto che pesca all’interno della Farnesina, dato che l’attuale viceministro era già sottosegretario dal 2013 e da allora segue i temi della cooperazione internazionale. Compreso la proposta tutta italiana del Migration Compact.
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Mercoledì 24 agosto 2016

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Il Manifesto di Ventotene

manifesto di ventotene- Il Manifesto di Ventotene.
- Manifesto Ventotene (solo testo)

Europa, Europa

FESTA-EUROPA-BOMELUZO-2016La farsa di Ventotene
Hanno detto tutte cose sacrosante, Renzi, Merkel e Hollande, nel vertice trilaterale a largo dell’isola in cui fu scritto il manifesto che diede vita all’idea di Europa unita. Peccato che siano state solo parole al vento
di Francesco Cancellato su LinKiesta
23 Agosto 2016 – 08:12
Da europeisti convinti quali siamo, dovremmo essere entusiasti dell’incontro organizzato a Ventotene dal premier italiano Matteo Renzi con la cancelliera tedesca Angela Merkel e con il presidente francese François Hollande. I tre Paesi fondatori della Comunità Europea, che si incontrano per rilanciarne l’azione sull’isola in cui Altiero Spinelli scrisse il suo manifesto per un Europa unita e libera. E lo fanno dicendo che «l’Europa è la soluzione, non il problema» (Renzi), che «l’idea di una difesa comune oggi assume una veste essenziale» (Hollande), che «bisogna riflettere» su come «portare avanti investimenti pubblici» che «aiutino Italia e Francia a crescere» (Merkel). Cosa si può desiderare di meglio?

Ecco, forse è proprio qua, il problema. Che tutti e tre hanno detto quel che speravamo dicessero. Che sembrerebbe abbiano fatto cadere i veti su flessibilità, esercito europeo, cooperazione nella gestione dei migranti. Più in generale che ognuno dei tre leader abbia finalmente compreso che il futuro non è più un derby tra Italia, Francia e Germania, bensì una sfida geopolitica e geoeconomica che coinvolge gli Stati Uniti d’America, la Cina, la Russia, il Medio Oriente, l’Africa e, per l’appunto, l’Europa. Che la prospettiva è la ever closer union. O, se preferite le parole di Altiero Spinelli, «un largo stato federale».

Il contesto e la realtà, come al solito, si incaricano di far scemare l’entusiasmo. Nessun altro Paese europeo, infatti, sembra granché interessato a seguire i tre fondatori. Non a est, dove non c’è Paese che non sia contrario alla flessibilità sui conti pubblici e a una soluzione unitaria del problema dei profughi. Non la Spagna, che ancora non ha un governo. Non l’Olanda e l’Austria in balia degli ultra nazionalisti di destra. Piccola postilla: i trattati europei, da Maastricht in poi, non consentono di fare un bel nulla di quel che Renzi, Merkel e Hollande hanno prefigurato, senza unanimità dei 27 Stati membri. Auguri, insomma.

Dietro ai simboli e alle belle parole pronunciate sulla portaerei Garibaldi, insomma, non c’è nulla, o quasi. Non pare esserci un’idea di come arrivare all’obiettivo, modificando o meno i trattati, con un’Europa a una o a due, o a tre velocità. Non pare nemmeno esserci alcuna scadenza, né tantomeno una chiara road map. E nemmeno la comprensione reale di cosa stia davvero distruggendo l’Europa
La cosa buffa, poi è che nemmeno Merkel, Hollande e Renzi sembrano poi crederci più di tanto a quel che hanno detto. Fa sorridere Renzi quando dice che l’Europa è l’alibi perfetto e poi finisce per dare la colpa di ogni guaio economico dell’Italia alle regole europee, dal fiscal compact, al bail in. Fa sorridere pure Hollande quando parla di cooperazione per risolvere la questione profughi, lui che ha chiuso a doppia mandata la frontiera di Ventimiglia con l’Italia, solo un’estate fa. E fa sorridere anche Merkel – sicuramente la più coerente e concretamente europeista dei tre – mai in prima fila nel prendersi la responsabilità di guidare l’Unione verso un futuro più unito, nonostante la chiara egemonia tedesca lo renda di fatto ineluttabile.

Non bastasse, quelli che si sono incontrati a Ventotene sono due tre leader politici fragili in patria, perlomeno non all’apogeo della loro parabola politica. Hollande ha un piede e mezzo fuori dall’Eliseo e c’è chi dice che il Partito Socialista nemmeno lo ricandiderà, alle presidenziali del 2017. Renzi è a un passo dal referendum-all in che rischia di farlo declinare con la stessa velocità con cui era asceso. Anche su Angela Merkel girano voci di una ricandidatura alla cancelleria – sarebbe la quarta – ancora in forse. I sondaggi, nel frattempo, dicono che persino una coalizione tra Cdu/Csu e la Spd faticherebbe ad arrivare al 50% dei consensi.

- Dietro ai simboli e alle belle parole pronunciate sulla portaerei Garibaldi, insomma, non c’è nulla, o quasi. Non pare esserci un’idea di come arrivare all’obiettivo, modificando o meno i trattati, con un’Europa a una o a due, o a tre velocità. Non pare nemmeno esserci alcuna scadenza, né tantomeno una chiara road map. E nemmeno la comprensione reale di cosa – al di là delle chiacchiere da bar su tecnocrazie e austerità – stia davvero distruggendo l’Europa

E dire che Spinelli, Rossi e Colorni lo avevano spiegato piuttosto bene, nel manifesto che tutti citano e che in pochi hanno letto davvero: «Le forze conservatrici [...] e i loro quadri abili e adusati al comando [...] si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia – c’è scritto -. Il punto sul quale essi cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello Stato nazionale». In altre parole, se l’odierna Unione Europea è diversa da quella immaginata da Spinelli e Rossi è perché è ancora molto più dipendente dai voleri degli Stati nazionali che la compongono e delle loro ventisette, distinte, opinioni pubbliche. Italia, Germania e Francia compresi. Noi ci crediamo a un’Europa libera e unita. Ma voi, cari Renzi, Merkel, Hollande, avete capito chi deve fare un passo indetro?

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foto_isola VentoteneCohn-Bendit: i tre leader rilancino l’ideale federalista. O sarà un’usurpazione
di Stefano Montefiori
By sardegnasoprattutto/ 21 agosto 2016/ Società & Politica/

Il Corriere.it L’intellettuale e politico franco-tedesco: «L’unica via per andare avanti?
Difesa comune, mutualizzazione del debito e investimenti»
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Che effetto le fa immaginare Merkel, Hollande e Renzi a Ventotene?
«Sono molto curioso di vedere che cosa faranno durante il summit. Ventotene è un luogo importante, carico di storia, potrebbero approfittarne per ridare forza all’Europa. Temo invece che continueranno a essere gli stessi che abbiamo visto all’opera in questi anni. E allora, se visiteranno la tomba di Altiero Spinelli, assisteremo a un’usurpazione della sua memoria, perché nessuno dei tre leader mostra di avere un vero progetto europeo».

Daniel Cohn-Bendit, 71 anni, è poco indulgente con il trio Merkel-Hollande-Renzi, e con la decisione simbolica di organizzare il vertice sulla portaerei Garibaldi ancorata vicino alla piccola isola del Tirreno: il «manifesto di Ventotene» scritto al confino da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann ha guidato l’impegno politico di Cohn-Bendit nei suoi vent’anni da deputato europeo ecologista.

Con Guy Verhofstadt, Sylvie Goulard e Isabelle Durant, nel 2010 Daniel Cohn-Bendit ha fondato al Parlamento europeo il «gruppo Spinelli», una rete di personalità di diversi orientamenti politici accomunate dal desiderio di anteporre gli interessi dell’Europa a quelli nazionali. Proprio come raccomandava nel manifesto di Ventotene Altiero Spinelli, negli ultimi anni sempre più inascoltato dai leader europei.

Che cosa si aspetta dal trio?
«Se rendendo omaggio a Spinelli vorranno rilanciare l’idea di un’Europa federale dico “bravi!”, ma non ci credo. Nelle loro parole non c’è mai alcun riferimento alla volontà di dare nuova forza all’Europa in senso federale».

La Francia è sempre stata più restia al federalismo, concetto in teoria più famigliare alla Germania. Ora anche Berlino sembra frenare. L’idea di un’Europa federale è ormai da considerarsi accantonata?
«Nella coppia franco-tedesca Merkel e Hollande mi sembrano ugualmente corresponsabili della mancanza di un progetto federalista. Si è fatta strada questa visione di una Europa delle nazioni, ma io continuo a credere in un’Europa federale, che ovviamente protegga e rispetti le diverse identità che rappresentano la sua ricchezza. Il solo modo di andare avanti è la mutualizzazione del debito, un rilancio degli investimenti, una difesa comune. Una maggiore condivisione di sovranità, per arrivare a una sovranità europea».

Di difesa comune si parlerà nel vertice di domani, ma qui torna il problema della Gran Bretagna, alla quale la Francia è legata da un importante trattato bilaterale sulla cooperazione militare.
«È il problema di una visione nella quale ogni Stato ha continuato a pensare prima di tutto ai suoi interessi».

Quanto influirà la Brexit?
«La Germania sembra disposta a concedere tempo alla Gran Bretagna, forse troppo. Londra vorrebbe essere “un po’ incinta”, ma deve capire che non è possibile. Ha scelto di uscire dall’Europa, ora ci lasci andare avanti».

Quali potrebbero essere i terreni di intesa tra Germania, Francia e Italia?
«Si dovrebbe cercare un compromesso sulla Siria, e su un grande progetto di investimento europeo. Se invece ciascuno resta sulle sue posizioni avremo i soliti accordi minimi che non significano nulla».

Si parla molto di un’opinione pubblica euroscettica. Ma ci sarebbero forze pronte invece a sostenere un nuovo progetto europeo?

«Un potenziale federalista esiste. In Francia per esempio il ministro Macron è molto attivo in senso europeista, in Germania le forze ci sono, potrebbero essere mobilitate se i leader ne fossero capaci».

La visione federalista è irrinunciabile?
«Io non dico che un’Europa federale si possa costruire in due anni. Ma è inevitabile andare verso una sovranità europea, e quindi verso un’Europa federale. Questo resta l’orizzonte. Sempre che si voglia avere un ruolo nella gestione della globalizzazione».
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Brexit z
lampadadialadmicromicro13Come promesso sul precedente numero di Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) Umberto Allegretti prosegue le sue riflessioni sull’esito referendario della Gran Bretagna, aggiornate con le ultime novità. Puntualmente anche noi di Aladinews riprendiamo il suo articolo (apparso sul successivo numero di Rocca, n. 16-17 agosto/settembre 2016) ribadendo l’importanza delle questioni nella prospettiva del “che fare?” per l’Europa. Ringraziamo anche in questa circostanza la redazione di Rocca e, in particolare, il direttore Gino Bulla, auspicando che si concretizzi l’idea degli “Amici sardi della Cittadella di Assisi” per l’organizzazione di un’apposita conferenza di Umberto Allegretti a Cagliari, in collaborazione con l’associazione culturale “Stampaxi” e con la Fondazione di Sardegna.

di Umberto Allegretti, su Rocca n. 16-17 agosto/settembre 2016*

Dopo un mese dal referendum che ha votato per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (23 giugno), le sue conseguenze non sono chiare né nel Paese protagonista né nei suoi partner europei. La diversità e contraddittorietà delle idee espresse per darvi seguito sono infatti apparse massime; sembra che, come diceva Mao, grande sia la confusione sotto il cielo.
uno stato confusionale
Confusione, innanzi tutto, nella stessa Gran Bretagna: non tanto per la permanente volontà di adesione all’Ue da parte della Scozia, che pone problemi non semplici, e per l’ulteriore anche più complicato passo che potrebbe tentare nella stessa direzione l’Irlanda del Nord. Ma, prima di tutto, per gli effetti prodottisi in seno alle diverse parti politiche del Regno Unito. I dissensi sono solo in parte riflesso delle differenze di voto tra l’elettorato giovanile (che ha però votato unicamente per il 30%) e quello colto e londinese che hanno in maggioranza votato Remain, mentre gli anziani, le zone interne e le regioni proletarie si sono prevalentemente espressi per il Leave, ma con un tasso di presenza elettorale di circa l’80%. Maggiori sono i dissidi di origine largamente personale tra i leader in seno ai vari par- titi, tanto da far parlare, in Gran Bretagna e fuori, di un dramma shakespeariano di tradimenti (con tanto di presenza di lady Macbeth nell’opera di incitamento della signora Gove verso il marito già candidato). Alla fine le lotte in seno al maggioritario Partito conservatore hanno trovato un epilogo nella designazione alla presidenza di Theresa May, la quale ha rapidamente formato il proprio governo.
Nonostante qualche resipiscenza nel Paese rispetto al risultato del voto, senza peraltro possibilità di una seconda consultazione popolare e semmai con l’eventualità di convocare nuove elezioni generali per ricavare chiarezza sulle tendenze dell’elettorato, le prime dichiarazioni del nuovo governo e la sua stessa composizione (che include un personaggio controvertibile quale il già pro-Brexit Johnson) non hanno un contenuto rassicurante.
Anche nell’Unione le reazioni non sono univoche. A parte quelle di favore per il risultato referendario quelle, prevalenti, di sfavore hanno avuto diverso andamento. Alcuni leader, come il capo del governo italiano, si sono espressi per una veloce condotta delle trattative sulla fuoriuscita effettiva del Regno Unito, richieste dal Trattato di Lisbona per regolare i complessi problemi risultanti dall’abbandono di uno Stato membro. Altri, come nell’iniziale atteggiamento della maggiore rappresentante politica dell’Europa, la tedesca Angela Merkel (ma non del suo super-ministro Schaüble), hanno invece patrocinato un’uscita morbida e lenta, per ragioni che non appaiono del tutto chiare e coerenti. La prima tesi sembra ormai prevalere.
trattative Ue-Gran Bretagna
Si arriva però ai limiti della farsa quando da personaggi di entrambe le parti taluno auspica che il rapporto tra Gran Bretagna e Unione resti quello di «amici, alleati, partner», quasi che sia possibile, come è stato con humour rilevato, che «esista una mezza strada fra il divorzio e la stabilità dell’unione». Proprio questa seconda è la posizione della politica britannica, che aspira alla costruzione di un legame tra Ue e Uk simile al rapporto dell’Unione con la Norvegia (si vorrebbe addirittura un «Norway plus»). Ma può un componente, fuoriuscito da un’unione che gli ha accordato tante deroghe e privilegi rispetto agli altri membri, pretendere ora uno statuto ancor più privilegiato?

Guardando poi alla sostanza, nonostante la convinzione secondo cui ci sono nella struttura dell’Unione e nelle sue politiche carenze che hanno provocato l’atteggiamento dell’elettorato britannico e potrebbero provocarne di simili in altri Paesi, i divari si fanno anche maggiori. Se tutti coloro che non hanno una pregiudiziale nazionalistica auspicano un potenziamento dell’unità europea in direzione federale che dovrebbe tradursi in modifiche profonde delle istituzioni, c’è divisione tra chi ritiene che, proprio attribuendo il Brexit alla mancanza di un vero progresso in senso federale, è tempo di por mano a inno- vazioni di questo tipo. E chi invece è dell’opinione che non è questo il momento per procedere a modificazioni organizzative che i popoli europei, e soprattutto quelli dell’Est, attestati su posizioni fortemente «nazionali», avvertirebbero come una sfida inadatta alla situazione attuale, nella quale essi sentono piuttosto il bisogno della soluzione di problemi politici, economici e sociali.
È certo che sono da migliorare la politica economica e quella bancaria, la crescita e l’occupazione giovanile, la politica culturale e di ricerca e la sicurezza. Cameron ha spiegato – e i primi atteggiamenti del governo May, nettamente di destra malgrado qualche cenno a un miglioramento della politica sociale, lo confermerebbero – che la ragione fondamentale del Brexit sta nell’insoddisfazione inglese in merito alla libera circolazione delle persone, perfino tra Regno Unito e partner europei, benché la politica migratoria (tranne in parte nel caso tedesco) non sia certo ampia né solidale. Per molti, troppi, l’enfasi sulla sicurezza porta a una politica di immigrazione restrittiva, senza valutare quali gravi condizioni portano, non solo i popoli in guerra aperta come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan, ma quelli della cerchia della fame – l’Africa subsahariana innanzi tutto – a affrontare la morte in mare o nelle lunghe marce nel deserto e lungo i Balcani. E quindi si manca soprattutto al consenso necessario a una delle migliori proposte di Renzi, quella di una sorta di «Piano Marshall per l’Africa» (proposta che abbiamo personalmente sentito condividere da un personaggio certo non secondario come Prodi), dotato delle necessarie garanzie ma che elevi il tenore di vita di quei Paesi e spinga la gente a rimanervi.
la questione bancaria
La questione bancaria vede forti contrapposizioni tra i governi italiano e tedesco, il primo deciso a un eccezionale intervento di Stato per salvare i risparmiatori dalle difficoltà di una serie di istituti di credito, il secondo contrario; solo di recente sembrano delinearsi (ma ancora, mentre scriviamo, con grosse incertezze) possibilità più vicine alla posizione del nostro Paese. Analoga contrapposizione continua a sussistere sulla questione dei bond europei, voluti da Paesi come l’Italia e negati dalla Germania, ossessionata dalle paure di una sua responsabilità economica. Se queste ed altre cose non si fanno, per esempio nelle politiche sociali, ciò in parte dipende dall’«indebolimento della Francia», così che la Germania sembra un protagonista dell’Unione drammaticamente «solitario» (così ancora Prodi, e Habermas sul Corriere della Sera del 10 luglio è arrivato a dire che la sua patria è «un’egemone riluttante», «insensibile ed incapace»).
Il cambiamento delle politiche va chiesto dai popoli con più forte voce, senza perciò andare alla rottura, che non farebbe se non danni maggiori. Oppure dobbiamo pensare che gli atteggiamenti dei membri europei dell’Est siano l’ultimo frutto avvelenato del comunismo sovietico, in cui a un’ideologia ipercapitalistica si accompagna una scarsa propensione alla libertà e alla solidarietà? Giustamente scriveva poco tempo fa Napolitano che, se non vogliamo ritenere che la loro simultanea ammissione all’Unione sia stato un errore, un errore sicuramente fu non far capire loro bene quali limitazioni di sovranità e quali obblighi di solidarietà erano a base di quell’adesione.
Al momento attuale – se il Brexit è il «suicidio» dell’Uk (così lo si è sentito giustamente chiamare da Prodi) e anche «l’omicidio» dell’Unione – è assai meno prevedibile che cosa accadrà dell’Ue dopo quest’evento. Ma è lecito esprimere una previsione non pessimistica. Vedendo i danni che certamente il Brexit sta provocando nella vita europea, la minaccia di uscita dall’Unione di altri Paesi o di loro porzioni dovrebbe essere meno probabile e i nocumenti all’economia del Continente potrebbero, con saggi comportamenti, essere ben dominati. E infatti, secondo un’inchiesta di cui dà atto Le Monde, nella mag- gior parte dei Paesi membri (ma il maggior pessimismo si verificherebbe proprio in Italia) dopo il Brexit si starebbe producendo una rinascita di sentimento pro-europeo e perfino pro-euro.

* ROCCA 15 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2016

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Martedì 23 agosto 2016

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Oltre brexit

sardegnaeuropa-bomeluzo44-300x211Europa al bivio: chi ha ucciso lo spirito di Ventotene?
Appunti per Merkel, Renzi e Hollande alla vigilia del vertice a tre per ridare un’anima all’Europa, lì dov’è nata. Tre consigli: tornare a parlare di solidarietà, smettere di usarla come alibi, costruire istituzioni sovranazionali forti, autorevoli e legittimate

di Arianna Sgammotta su LinKiesta

Ventotene ospita oggi il vertice tra Renzi, Hollande e Merkel. Il secondo dal referendum britannico, l’ennesimo in una lunga serie di crisi vissute in questi mesi dall’Ue. L’isola laziale torna con cadenza regolare a essere evocata ogni qualvolta l’Europa sembri smarrire la via o semplicemente veda appannarsi il proprio spirito. E non potrebbe essere diversamente, è qui che nel 1941 Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Ursula Hirschmann scrissero “Il manifesto” per un’Europa federale. Un testo definito profetico e che ha gettato le basi per l’Europa di oggi, ma che soprattutto negli ultimi anni sembra ostaggio delle (ancora) 28 capitali Ue.
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Lunedì 22 agosto 2016

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Oltre brexit

foto_isola VentoteneCohn-Bendit: i tre leader rilancino l’ideale federalista. O sarà un’usurpazione
di Stefano Montefiori
By sardegnasoprattutto/ 21 agosto 2016/ Società & Politica/

Il Corriere.it L’intellettuale e politico franco-tedesco: «L’unica via per andare avanti?
Difesa comune, mutualizzazione del debito e investimenti»
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Che effetto le fa immaginare Merkel, Hollande e Renzi a Ventotene?
«Sono molto curioso di vedere che cosa faranno durante il summit. Ventotene è un luogo importante, carico di storia, potrebbero approfittarne per ridare forza all’Europa. Temo invece che continueranno a essere gli stessi che abbiamo visto all’opera in questi anni. E allora, se visiteranno la tomba di Altiero Spinelli, assisteremo a un’usurpazione della sua memoria, perché nessuno dei tre leader mostra di avere un vero progetto europeo».

Daniel Cohn-Bendit, 71 anni, è poco indulgente con il trio Merkel-Hollande-Renzi, e con la decisione simbolica di organizzare il vertice sulla portaerei Garibaldi ancorata vicino alla piccola isola del Tirreno: il «manifesto di Ventotene» scritto al confino da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Ursula Hirschmann ha guidato l’impegno politico di Cohn-Bendit nei suoi vent’anni da deputato europeo ecologista.

Con Guy Verhofstadt, Sylvie Goulard e Isabelle Durant, nel 2010 Daniel Cohn-Bendit ha fondato al Parlamento europeo il «gruppo Spinelli», una rete di personalità di diversi orientamenti politici accomunate dal desiderio di anteporre gli interessi dell’Europa a quelli nazionali. Proprio come raccomandava nel manifesto di Ventotene Altiero Spinelli, negli ultimi anni sempre più inascoltato dai leader europei.

Che cosa si aspetta dal trio?
«Se rendendo omaggio a Spinelli vorranno rilanciare l’idea di un’Europa federale dico “bravi!”, ma non ci credo. Nelle loro parole non c’è mai alcun riferimento alla volontà di dare nuova forza all’Europa in senso federale».

La Francia è sempre stata più restia al federalismo, concetto in teoria più famigliare alla Germania. Ora anche Berlino sembra frenare. L’idea di un’Europa federale è ormai da considerarsi accantonata?
«Nella coppia franco-tedesca Merkel e Hollande mi sembrano ugualmente corresponsabili della mancanza di un progetto federalista. Si è fatta strada questa visione di una Europa delle nazioni, ma io continuo a credere in un’Europa federale, che ovviamente protegga e rispetti le diverse identità che rappresentano la sua ricchezza. Il solo modo di andare avanti è la mutualizzazione del debito, un rilancio degli investimenti, una difesa comune. Una maggiore condivisione di sovranità, per arrivare a una sovranità europea».

Di difesa comune si parlerà nel vertice di domani, ma qui torna il problema della Gran Bretagna, alla quale la Francia è legata da un importante trattato bilaterale sulla cooperazione militare.
«È il problema di una visione nella quale ogni Stato ha continuato a pensare prima di tutto ai suoi interessi».

Quanto influirà la Brexit?
«La Germania sembra disposta a concedere tempo alla Gran Bretagna, forse troppo. Londra vorrebbe essere “un po’ incinta”, ma deve capire che non è possibile. Ha scelto di uscire dall’Europa, ora ci lasci andare avanti».

Quali potrebbero essere i terreni di intesa tra Germania, Francia e Italia?
«Si dovrebbe cercare un compromesso sulla Siria, e su un grande progetto di investimento europeo. Se invece ciascuno resta sulle sue posizioni avremo i soliti accordi minimi che non significano nulla».

Si parla molto di un’opinione pubblica euroscettica. Ma ci sarebbero forze pronte invece a sostenere un nuovo progetto europeo?

«Un potenziale federalista esiste. In Francia per esempio il ministro Macron è molto attivo in senso europeista, in Germania le forze ci sono, potrebbero essere mobilitate se i leader ne fossero capaci».

La visione federalista è irrinunciabile?
«Io non dico che un’Europa federale si possa costruire in due anni. Ma è inevitabile andare verso una sovranità europea, e quindi verso un’Europa federale. Questo resta l’orizzonte. Sempre che si voglia avere un ruolo nella gestione della globalizzazione».
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lampadadialadmicromicro13Come promesso sul precedente numero di Rocca (n. 15 del 1° agosto 2016) Umberto Allegretti prosegue le sue riflessioni sull’esito referendario della Gran Bretagna, aggiornate con le ultime novità. Puntualmente anche noi di Aladinews riprendiamo il suo articolo (apparso sul successivo numero di Rocca, n. 16-17 agosto/settembre 2016) ribadendo l’importanza delle questioni nella prospettiva del “che fare?” per l’Europa. Ringraziamo anche in questa circostanza la redazione di Rocca e, in particolare, il direttore Gino Bulla, auspicando che si concretizzi l’idea degli “Amici sardi della Cittadella di Assisi” per l’organizzazione di un’apposita conferenza di Umberto Allegretti a Cagliari, in collaborazione con l’associazione culturale “Stampaxi” e con la Fondazione di Sardegna.

di Umberto Allegretti, su Rocca n. 16-17 agosto/settembre 2016*

Dopo un mese dal referendum che ha votato per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (23 giugno), le sue conseguenze non sono chiare né nel Paese protagonista né nei suoi partner europei. La diversità e contraddittorietà delle idee espresse per darvi seguito sono infatti apparse massime; sembra che, come diceva Mao, grande sia la confusione sotto il cielo.
uno stato confusionale
Confusione, innanzi tutto, nella stessa Gran Bretagna: non tanto per la permanente volontà di adesione all’Ue da parte della Scozia, che pone problemi non semplici, e per l’ulteriore anche più complicato passo che potrebbe tentare nella stessa direzione l’Irlanda del Nord. Ma, prima di tutto, per gli effetti prodottisi in seno alle diverse parti politiche del Regno Unito. I dissensi sono solo in parte riflesso delle differenze di voto tra l’elettorato giovanile (che ha però votato unicamente per il 30%) e quello colto e londinese che hanno in maggioranza votato Remain, mentre gli anziani, le zone interne e le regioni proletarie si sono prevalentemente espressi per il Leave, ma con un tasso di presenza elettorale di circa l’80%. Maggiori sono i dissidi di origine largamente personale tra i leader in seno ai vari par- titi, tanto da far parlare, in Gran Bretagna e fuori, di un dramma shakespeariano di tradimenti (con tanto di presenza di lady Macbeth nell’opera di incitamento della signora Gove verso il marito già candidato). Alla fine le lotte in seno al maggioritario Partito conservatore hanno trovato un epilogo nella designazione alla presidenza di Theresa May, la quale ha rapidamente formato il proprio governo.
Nonostante qualche resipiscenza nel Paese rispetto al risultato del voto, senza peraltro possibilità di una seconda consultazione popolare e semmai con l’eventualità di convocare nuove elezioni generali per ricavare chiarezza sulle tendenze dell’elettorato, le prime dichiarazioni del nuovo governo e la sua stessa composizione (che include un personaggio controvertibile quale il già pro-Brexit Johnson) non hanno un contenuto rassicurante.
Anche nell’Unione le reazioni non sono univoche. A parte quelle di favore per il risultato referendario quelle, prevalenti, di sfavore hanno avuto diverso andamento. Alcuni leader, come il capo del governo italiano, si sono espressi per una veloce condotta delle trattative sulla fuoriuscita effettiva del Regno Unito, richieste dal Trattato di Lisbona per regolare i complessi problemi risultanti dall’abbandono di uno Stato membro. Altri, come nell’iniziale atteggiamento della maggiore rappresentante politica dell’Europa, la tedesca Angela Merkel (ma non del suo super-ministro Schaüble), hanno invece patrocinato un’uscita morbida e lenta, per ragioni che non appaiono del tutto chiare e coerenti. La prima tesi sembra ormai prevalere.
trattative Ue-Gran Bretagna
Si arriva però ai limiti della farsa quando da personaggi di entrambe le parti taluno auspica che il rapporto tra Gran Bretagna e Unione resti quello di «amici, alleati, partner», quasi che sia possibile, come è stato con humour rilevato, che «esista una mezza strada fra il divorzio e la stabilità dell’unione». Proprio questa seconda è la posizione della politica britannica, che aspira alla costruzione di un legame tra Ue e Uk simile al rapporto dell’Unione con la Norvegia (si vorrebbe addirittura un «Norway plus»). Ma può un componente, fuoriuscito da un’unione che gli ha accordato tante deroghe e privilegi rispetto agli altri membri, pretendere ora uno statuto ancor più privilegiato?

Guardando poi alla sostanza, nonostante la convinzione secondo cui ci sono nella struttura dell’Unione e nelle sue politiche carenze che hanno provocato l’atteggiamento dell’elettorato britannico e potrebbero provocarne di simili in altri Paesi, i divari si fanno anche maggiori. Se tutti coloro che non hanno una pregiudiziale nazionalistica auspicano un potenziamento dell’unità europea in direzione federale che dovrebbe tradursi in modifiche profonde delle istituzioni, c’è divisione tra chi ritiene che, proprio attribuendo il Brexit alla mancanza di un vero progresso in senso federale, è tempo di por mano a inno- vazioni di questo tipo. E chi invece è dell’opinione che non è questo il momento per procedere a modificazioni organizzative che i popoli europei, e soprattutto quelli dell’Est, attestati su posizioni fortemente «nazionali», avvertirebbero come una sfida inadatta alla situazione attuale, nella quale essi sentono piuttosto il bisogno della soluzione di problemi politici, economici e sociali.
È certo che sono da migliorare la politica economica e quella bancaria, la crescita e l’occupazione giovanile, la politica culturale e di ricerca e la sicurezza. Cameron ha spiegato – e i primi atteggiamenti del governo May, nettamente di destra malgrado qualche cenno a un miglioramento della politica sociale, lo confermerebbero – che la ragione fondamentale del Brexit sta nell’insoddisfazione inglese in merito alla libera circolazione delle persone, perfino tra Regno Unito e partner europei, benché la politica migratoria (tranne in parte nel caso tedesco) non sia certo ampia né solidale. Per molti, troppi, l’enfasi sulla sicurezza porta a una politica di immigrazione restrittiva, senza valutare quali gravi condizioni portano, non solo i popoli in guerra aperta come la Siria, l’Iraq e l’Afghanistan, ma quelli della cerchia della fame – l’Africa subsahariana innanzi tutto – a affrontare la morte in mare o nelle lunghe marce nel deserto e lungo i Balcani. E quindi si manca soprattutto al consenso necessario a una delle migliori proposte di Renzi, quella di una sorta di «Piano Marshall per l’Africa» (proposta che abbiamo personalmente sentito condividere da un personaggio certo non secondario come Prodi), dotato delle necessarie garanzie ma che elevi il tenore di vita di quei Paesi e spinga la gente a rimanervi.
la questione bancaria
La questione bancaria vede forti contrapposizioni tra i governi italiano e tedesco, il primo deciso a un eccezionale intervento di Stato per salvare i risparmiatori dalle difficoltà di una serie di istituti di credito, il secondo contrario; solo di recente sembrano delinearsi (ma ancora, mentre scriviamo, con grosse incertezze) possibilità più vicine alla posizione del nostro Paese. Analoga contrapposizione continua a sussistere sulla questione dei bond europei, voluti da Paesi come l’Italia e negati dalla Germania, ossessionata dalle paure di una sua responsabilità economica. Se queste ed altre cose non si fanno, per esempio nelle politiche sociali, ciò in parte dipende dall’«indebolimento della Francia», così che la Germania sembra un protagonista dell’Unione drammaticamente «solitario» (così ancora Prodi, e Habermas sul Corriere della Sera del 10 luglio è arrivato a dire che la sua patria è «un’egemone riluttante», «insensibile ed incapace»).
Il cambiamento delle politiche va chiesto dai popoli con più forte voce, senza perciò andare alla rottura, che non farebbe se non danni maggiori. Oppure dobbiamo pensare che gli atteggiamenti dei membri europei dell’Est siano l’ultimo frutto avvelenato del comunismo sovietico, in cui a un’ideologia ipercapitalistica si accompagna una scarsa propensione alla libertà e alla solidarietà? Giustamente scriveva poco tempo fa Napolitano che, se non vogliamo ritenere che la loro simultanea ammissione all’Unione sia stato un errore, un errore sicuramente fu non far capire loro bene quali limitazioni di sovranità e quali obblighi di solidarietà erano a base di quell’adesione.
Al momento attuale – se il Brexit è il «suicidio» dell’Uk (così lo si è sentito giustamente chiamare da Prodi) e anche «l’omicidio» dell’Unione – è assai meno prevedibile che cosa accadrà dell’Ue dopo quest’evento. Ma è lecito esprimere una previsione non pessimistica. Vedendo i danni che certamente il Brexit sta provocando nella vita europea, la minaccia di uscita dall’Unione di altri Paesi o di loro porzioni dovrebbe essere meno probabile e i nocumenti all’economia del Continente potrebbero, con saggi comportamenti, essere ben dominati. E infatti, secondo un’inchiesta di cui dà atto Le Monde, nella mag- gior parte dei Paesi membri (ma il maggior pessimismo si verificherebbe proprio in Italia) dopo il Brexit si starebbe producendo una rinascita di sentimento pro-europeo e perfino pro-euro.

* ROCCA 15 AGOSTO/1 SETTEMBRE 2016

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