Monthly Archives: gennaio 2018

Oggi mercoledì 31 gennaio 2018

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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DEMOCRAZIA
img_4677L’acqua pubblica nell’urna
di ALEX ZANOTELLI

Nigrizia, 23 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Il 4 marzo non bisognerebbe votare per nessuno dei membri del Parlamento uscente: una congrega di bugiardi che non hanno obbedito all’ordine del popolo di restituire ai cittadini i diritto all’acqua.
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lampadadialadmicromicroGli editoriali di Aladinews. img_4678 Protezionismo nazionalista ? No difesa del lavoro con la SocialConsumptionTax, la grande occasione di una risposta europea a Trump. di Leonardo Becchetti, dal suo blog.
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img_4689SOCIETÀ E POLITICA » EVENTI » 2015-LA GUERRA DIFFUSA
Vincere le guerre non serve. Vi spiego quanto sono disumane le guerre “umanitarie”
di ALBERTO NEGRI

tiscali.it, 26 gennaio 2018, ripreso da eddyburg e da aladinews. Le guerre sono diventate degli strumenti per alimentare l’industria bellica, diventano “umanitarie” per farci credere che si fanno per dei nobili principi.(i.b.)
Link a questo post
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Referendum insularità: la propaganda ha le gambe corte, come le bugie
31 Gennaio 2018

democraziaoggi
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
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vitobiolchini blog occhialini1Ecco perché è stato bocciato il referendum sull’insularità! E ora torna centrale lo Statuto di Autonomia: che prima modifichiamo, meglio è.
Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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La lettera attesa. Rimettere il fondamento.

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logo76Scegliete oggi chi volete servire (Gs 24,15)

Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 64 del 30 gennaio 2018

Cari Amici,
mentre in Italia si sta per votare, il costituzionalista Mario Dogliani sul sito di “Sbilanciamoci” (che è quello di studi e ricerche per un’economia alternativa) accende una luce su ciò che più di tutto sarebbe necessario ma che nessuno immagina e propone: che l’intervento pubblico (non solo dello Stato, diciamo noi, ma di tutta la sfera pubblica – la res publica – nazionale e internazionale o europea) crei lavoro, quel lavoro che non c’è più.
Il lavoro non c’è non perché costa troppo di tasse, come crede il Jobs act, ma perché il capitalismo all’ora del suo trionfo globale ha preteso azzerarlo, sia sostituendolo con le macchine, sia andandoselo a prendere dove costa di meno ed è senza diritti. E ciò con l’intento non solo di ridurre al minimo tale costo di produzione, ma di sopprimere il suo stesso storico antagonista nel conflitto, fondativo della modernità, tra capitale e lavoro. Questa è la realtà evocata nell’articolo di Dogliani. Ma se non c’è il lavoro, o è ridotto allo stato gassoso, non solo non c’è vita (non si può comprare né vendere), ma non c’è più neanche il fondamento della Repubblica, e dunque salta tutto il sistema delle libertà e dei diritti; ragione per cui diventa necessario per la Repubblica prima di tutto ricreare essa stessa il suo fondamento. E dunque il lavoro non più come affare privato, qual è nell’attuale vulgata neoliberista, ma come interesse e finalità pubblica.
Di ciò non compare il minimo accenno nella campagna elettorale, come del resto nessuno parla della pace, delle guerre e delle armi, e di che cosa l’Italia ci sta a fare al mondo.
Invece si parla di cose che non stanno né in cielo né in terra, e se in terra, illegittime e incostituzionali. Così gli uni parlano di una flat tax (un’aliquota uguale per tutti) che è esclusa in partenza perché in Costituzione (e nel buonsenso) c’è la progressività delle imposte; l’altro vuole il servizio civile obbligatorio, quando a meno che non sia una variante dell’obbligo militare (com’era in Italia ai tempi dell’obiezione di coscienza alla coscrizione obbligatoria) esso è equiparato al lavoro forzato e coatto, e come tale condannato in tutte le Convenzioni internazionali sulle libertà e i diritti; si introduce poi senza pudore il vincolo di mandato, escluso dalla Costituzione, sia mediante appositi contratti, con tanto di penale per voti in Parlamento difformi da quelli richiesti, sia mediante la “pulizia etnica” delle liste dei candidati (come l’ha chiamata il costituzionalista Massimo Villone) compilate in funzione dei futuri interessi politici del capo; e infine per chiudere le vie dei migranti, si armano confini lontani e si cede sovranità alla Libia, quando le rinunzie alla sovranità sono sì ammesse e anzi raccomandate dalla Costituzione, ma all’unico e infungibile scopo di assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”, non certo per alimentarne il genocidio.
Sicché sarà difficile questa volta scegliere nel voto, che il 4 marzo dovrà essere dato soprattutto per tenere aperti gli spazi della democrazia e della Costituzione finora grazie a Dio salvaguardata, in vista di futuri pensieri e coraggiose operazioni di novità politica, economica e sociale.
Nel nostro sito continua la riflessione sulle prospettive aperte dall’assemblea del 2 dicembre scorso di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri. Pubblichiamo in proposito una riflessione di padre Alberto Simoni, domenicano e animatore di “Koinonia”, sui possibili esiti del processo di uscita dal “regime di cristianità”.

Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Da Sbilanciamoci
Il ruolo dello Stato al tempo dell’economia digitale
Mario Dogliani

17 gennaio 2018 | Sezione: Italie, Mondo, Società
Con le attuali trasformazioni tecnologiche socializzare la ricchezza prodotta è l’unica strada per stabilire un equilibrio tra produzione e consumo ed evitare catastrofi sociali infinitamente peggiori di quelle già in atto

Ecco, una voce squillante ci ingiunge di ritornare in noi stessi, riempie di figure le oscurità in cui ci aggiravamo, i fantasmi fuggono lontano … (En clara vox redarguit …)

1.- La politica e la cultura italiana avrebbero bisogno di una voce che riempia di figure l’oscurità indistinta e scacci i fantasmi.

Gandhi

img_4685Il 30 gennaio 1948, a Nuova Delhi, muore Bapu Gandhi, assassinato da un fanatico indù con tre colpi di pistola.
Queste parole furono per lui: “La luce e’ partita dalle nostre vite e c’è oscurità dappertutto.”.
Due milioni di persone, lungo il fiume Gange, parteciparono al suo funerale.
GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x15014131 [dalla pagina fb di Piero Marcialis]

Anpi 2018

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Giornata del Tesseramento ANPI 2018
Cagliari, domenica 4 febbraio.

Elezioni e dintorni

img_4633Mura e Marilotti, velista e scrittore, candidati a Cagliari per il M5S
29 Gennaio 2018
democraziaoggi-loghetto
Red su Democraziaoggi.
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Liste. Che dite? Meglio il PD, LeU o i Cinque stelle?
30 Gennaio 2018

Amsicora su Democraziaoggi.
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costat-logo-stef-p-c_2-2Il Comitato d’Iniziativa Costituzionale e Statutaria è convocato per la riunione ordinaria mercoledì 31 gennaio alle ore 18,30 presso la CSS in via Roma, 72 Cagliari.

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Documentazione utile. I programmi elettorali a confronto: http://www.today.it/politica/elezioni/politiche-2018/programmi.html
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img_4614Autodeterminatzione online. Ecco il sito: http://www.autodeterminatzione.net/
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Oggi martedì 30 gennaio 2018

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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DEMOCRAZIA
img_4677L’acqua pubblica nell’urna
di ALEX ZANOTELLI

Nigrizia, 23 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Il 4 marzo non bisognerebbe votare per nessuno dei membri del Parlamento uscente: una congrega di bugiardi che non hanno obbedito all’ordine del popolo di restituire ai cittadini i diritto all’acqua.
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lampadadialadmicromicroGli editoriali di Aladinews. img_4678 Protezionismo nazionalista ? No difesa del lavoro con la SocialConsumptionTax, la grande occasione di una risposta europea a Trump. di Leonardo Becchetti, dal suo blog.
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lampadadialadmicromicro132Gli Editoriali di Aladinews.IL DIBATTITO POLITICO. Può esistere un populismo democratico? img_4683
di Gianfranco Sabattini.
“Un nuovo spettro s’aggira per l’Europa”: il populismo, col quale vengono indicate tutte le manifestazioni politiche considerate anomale dagli establishment prevalenti, preoccupati di perdere le loro posizioni di comando.
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IL DIBATTITO POLITICO. Può esistere un populismo democratico?

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di Gianfranco Sabattini*

“Un nuovo spettro s’aggira per l’Europa”: il populismo, col quale vengono indicate tutte le manifestazioni politiche considerate anomale dagli establishment prevalenti, preoccupati di perdere le loro posizioni di comando. Secondo Íñigo Errejón, segretario politico di Podemos (“L’Occidente nel suo momento populista”, in Historia Magistra, n .23/2017), un numero sempre crescente di fenomeni politici, “praticamente tutti quelli che costituiscono delle novità, sono catalogati sotto la stessa etichetta, nonostante, in molti casi, portino avanti progetti di segno opposto”. In mancanza di una più corretta considerazione, il populismo è da tempo rappresentato nell’immaginario collettivo come tutto ciò che eccede la normale valutazione dello stato del mondo, da parte delle élite tradizionali, e per questo motivo demonizzato indiscriminatamente.
In tal modo, le élite mancano di cogliere che, all’interno dei singoli Stati, da tempo si è formato un coagulo di “forze che aspirano a mobilitare una nuova volontà popolare a fronte dei partiti tradizionali, sottomessi ai poteri oligarchici e finanziari”; essi, i partiti tradizionali, anziché preoccuparsi di cogliere la “domanda politica” inevasa, originante dalla protesta di quelle forze, sono unicamente impegnati a trovare il modo di neutralizzarle, indipendentemente da ogni valutazione riguardo alla caratterizzazione politica dei soggetti che le esprimono, ovvero se essi sono di orientamento reazionario e xenofobo, oppure democratico e progressista.
Accade così che il populismo sia largamente “incompreso”, sia da destra che da sinistra. I ceti conservatori e liberali sono soliti reagire con lo spavento e la condanna morale; per essi gli Stati devono essere difesi dal protagonismo politico delle masse popolari, forti del convincimento che, secondo l’ideologia neoliberista interiorizzata, l’appartenenza ad una comunità libera e l’affermazione di valori tolleranti possono essere garantite solo da forze autenticamente liberali e razionali. Inoltre, tali ceti conservatori si avvalgono del fatto che le loro posizioni siano spesso difese dalle forze politiche socialdemocratiche che, invece di risultare schierate a sinistra, manifestano d’essere subalterne alle politiche e agli interessi degli establishment prevalenti.
Dall’altra parte dello schieramento politico è collocata una sinistra caratterizzata da una scarsa disponibilità a comprendere i mutamenti che hanno caratterizzato le società capitalistiche nella seconda metà del secolo scorso, per via della sua incapacità di elaborare una comune strategia. Essa, infatti, si compone di una parte portatrice di istanze radicali, che tende ancora ad avvalersi di categorie interpretative dei fenomeni sociali da tempo superate; categorie, queste, che spingono la sinistra radicale ad “attendere la crisi economica definitiva” del capitalismo, per cui ogni accadimento politicamente rilevante rappresenta per essa una conferma di quanto previsto dalla sua ideologia di riferimento, anche quando si tratta di accadimenti contrari alle sue previsioni.
L’altra parte della sinistra, quella socialdemocratica, anche quando appare aperta alla comprensione del senso della domanda politica della quale si rendono interpreti i movimenti populisti, tende a demonizzarli e a considerarli distruttivi, a causa della sua tendenziale subalternità alle posizioni dei ceti liberali e conservatori, siano questi movimenti di segno progressista o conservatore o reazionario. L’atteggiamento acritico della sinistra socialdemocratica nei confronti del populismo è senz’altro un errore, in quanto può avere – come afferma Íñigo Errejón – la conseguenza di lasciare le forze progressiste portatrici della protesta popolare “fuori da qualsiasi possibilità di governo”, e dunque impotenti ad affrontare realmente le oligarchie economico-finanziarie che oggi “si impongono sopra ogni necessità e domanda delle maggioranze sociali”. Se lasciate a se stesse, le forze sociali, che con la loro protesta, alimentano i movimenti populisti, sono destinate inevitabilmente ad essere catturate per intero dalla destra reazionaria nazionalista e xenofoba.
Nel caso dell’Italia, perciò, la sinistra socialdemocratica dovrebbe decidersi a riflettere sul fatto che, come viene affermato da un gruppo di docenti e ricercatori (Mchelangela di Giovanni, Sanuele Mazzolini, Stefano Barolini, Stefano Poggi, Tommaso Nencioni, Paolo Gerbaudo) in “Per un populismo democratico. Manifesto di senso comune” (Historia Magistra, n. 23/2017), il “crescente livello di astensionismo e di apatia nei confronti della politica sono solo l’epifenomeno di un processo di scollamento tra la popolazione italiana e le sue istituzioni senza precedenti”; la sinistra socialdemocratica dovrebbe prendere in seria considerazione questa “spaccatura” profonda che denuncia “il sequestro delle istituzioni politiche ad opera dei potentati economico-finanziari”, rendendo l’uguaglianza politica a fatto puramente formale e polarizzando “in maniera progressiva la società in due campi, élite economiche e politiche da una parte, gente comune dall’altra”.
In questo contesto, i sottoscrittori del “Manifesto” evidenziano che le parti sociali dominanti, mancando un’efficace opposizione e in assenza di risposte adeguate rispetto all’entità della crisi della società italiana, hanno potuto “usare le loro posizioni di potere per difendere i propri privilegi”. In questo modo, le forze della sinistra socialdemocratica, non schierandosi dalla parte della società più debole, consentono di lasciare il governo del possibile cambiamento “alle forze conservatrici e reazionarie”. Ciò sta consentendo che le istituzioni, “sorte a parziale difesa del potere popolare dopo la Seconda guerra mondiale” siano depotenziate, lasciando il presidio di ciò che resta di tali istituzioni ai movimenti populisti, trascurando però di considerare che solo un “populismo democratico può dare vita ad istituzioni nuove a difesa degli stati di bisogno popolari.
Lasciando che la spaccatura tra popolazione italiana ed istituzioni si approfondisse, è accaduto che all’apice della piramide sociale si siano collocate fasce sociali “sempre più ristrette e potenti, indifferenti come non mai alle sorti del resto della società”; ciò ha alimentato un processo che ha dato luogo all’approfondimento del divario tra “ricchi” e “poveri”, generando un disorientamento dei ceti popolari, al quale le forze della sinistra socialdemocratica non hanno tentato di porre rimedio. Allo stato attuale, perciò, secondo i sottoscrittori del “Manifesto”, la sinistra socialdemocratica, aprendosi alle ragioni del populismo democratico, dovrebbe ricuperare il consenso della protesta popolare raccogliendo una platea di consenso, “non più facendo leva su una classe intesa come fatto sociologico, come qualcosa di già dato, quanto piuttosto su una comunità immaginata che ancori il cambiamento all’articolazione di pratiche rivendicative che contengano un’ipotesi universalistica”; in altri termini, le forze della sinistra socialdemocratica dovrebbero “dare voce” alle richieste della protesta popolare, incanalando “i sentimenti di rabbia e di frustrazione di ampie fasce della popolazione con linguaggi e istanze da essa comprensibili e sentite come proprie”.
Tanti sono i temi ai quali le forze socialdemocratiche potrebbero aprirsi: tutela dell’ambiente, insicurezza sociale e lavorativa, modalità di fruizione dei beni comuni, forme di sostegno alternative del reddito, equità fiscale e distributiva, contrasto dell’evasione e dell’elusione fiscale, riduzione dei livelli non più sopportabili di burocratizzazione nel funzionamento della pubblica amministrazione, difesa del risparmio e tanti altri ancora. Sono temi, questi – affermano i firmatari del “Manifesto” – “su cui costruire la piattaforma di un populismo democratico in grado di mettere insieme un programma di trasformazione con una sua visione del futuro che recuperi la carica critica e la capacità di immaginazione di un’idea di democrazia efficace ed inclusiva”. Inoltre, quelli indicati sono temi che, a parere dei “firmatari”, possono rendere il populismo, non già sinonimo di “demagogia o autoritarismo”, configurarandolo non in termini di una patologia o di un’ideologia distruttiva, ma come “logica costruttiva di una politica attraverso la quale diversi progetti competono per egemonizzare il campo sociale”.
Il dubbio che dai movimenti populisti non possa emergere un personale in grado di dare una risposta adeguata alla domanda politica non soddisfatta dalle forze politiche oggi dominanti è di solito uno dei motivi con cui il populismo viene descritto come movimento distruttivo. Il dubbio non è privo di qualche fondamento; in Italia, l’opposizione politico-sociale popolare è stata mobilitata prevalentemente dal Movimento 5 Stelle, al quale deve essere riconosciuto il merito di aver coagulato un ampio ventaglio di “domande di giustizia provenienti dal Paese reale e di aver indicato per primo la delegittimazione delle istituzioni e del ceto politico”; la sua capacità di trasformare la protesta in azione di governo ha, però, presto presentato il limite di non essere riuscito “ad elaborare sbocchi politici adeguati per le istanze sociali che si sono riversate al suo interno”.
Il limite è consistito nel fatto che il M5S non è riuscito ad elaborare un’analisi dei motivi di fondo della crisi della società italiana che andasse al di là della mera protesta, né a formulare un modello sufficientemente compiuto del modo in cui affrontare i temi che costituiscono il “nocciolo duro” della protesta sociale da esso rappresentata. Su tutti i temi che hanno motivato la crescita e la diffusione delle protesta sociale, “la vaghezza dei programmi del M5S” ha fatto intravedere solo un vuoto di idee che rende poco auspicabile un suo eventuale accesso al governo del Paese.
Così stando le cose, solo una considerazione superficiale della politica – secondo i firmatari del “Manifesto” – “può fare pensare che la conquista del potere popolare possa avvenire spontaneamente o sull’onda di uno slancio di indignazione”. L’impegno per l’accesso al governo delle forze che sono portatrici del senso della protesta popolare richiede una strategia di ben altra natura rispetto a quella sin qui praticata; richiede, cioè, che tali forze si organizzino in un movimento articolato, all’interno del quale le diverse organizzazioni delle forze popolari possano coordinare la loro azione. Questo movimento deve porsi principalmente, sostengono i “firmatari”, “l’obiettivo di fare affiorare tutte quelle domande e quei conflitti irrisolti che rimangono silenti”; ciò, al fine di rendere “palpabile” il danno provocato agli strati popolari della società dall’aver lasciato per troppo tempo inevasa la domanda politica relativa ai temi che sono oggi il contenuto principale della protesta.
Un problema rilevante che si porrà per un movimento così inteso, consisterà nello stabilire l’atteggiamento più conveniente che esso dovrà tenere nei riguardi dei partiti tradizionali, tenendo ferma l’idea che la sua azione dovrà essere sempre “contro” l’establishment prevalente, evitando però che, nella pratica della sua strategia politica, prevalgano forme di chiusura settaria, poiché nei partiti tradizionali esistenti “si annidano risorse inquiete e insoddisfatte, pronte a mobilitarsi”.
La non chiusura settaria e l’attenzione rivolta verso le potenziali forze che possono essere “ricuperate” dai partiti esistenti, non significa che il cambiamento possa essere realizzato attraverso l’utilizzazione di “spezzoni” di vecchi progetti politici; significa, al contrario, che il cambiamento potrà essere realizzato solo con il supporto di una nuova maggioranza sociale, anziché con l’ausilio di “minoranze politiche”. Invece di fare appello “a frammenti di ceto politico ormai non più rappresentativi”, occorrerà- sostengono i firmatari del “Manifesto” – “mobilitare le energie sorte in seno alla società e dare loro uno sbocco politico”. Solo così, concludono i “firmatari”, l’organizzazione della protesta popolare potrà “dare voce” a spazi sociali in cui “la nuova politica del senso comune trovi il suo ideale terreno di coltura”.
Come tutti i “Manifesti” che si sottoscrivono per auspicare un mutamento di situazioni che si ritiene abbiano “fatto il loro tempo”, si può dire che quello proposto dai “firmatari” “pecchi” di realismo. L’analisi che essi effettuano riguardo alla crisi di molti sistemi sociali moderni, incluso quello italiano, e la spiegazione del perché si sono affermati i movimenti populisti sono certamente credibili; ciò che lascia ampi margini di dubbio e perplessità è l’ipotesi implicita nella loro analisi che il tipo di proposta che essi avanzata (ovvero che l’organizzazione della protesta popolare per l’attuazione di una “politica del senso comune”) possa avere immediata attuazione.
E’ questo un ostacolo insormontabile per la realizzazione di quanto i “firmatari” propongono; ciò perché il loro suggerimento può essere accolto solo da forze politiche, quali potrebbero essere quelle che si raccolgono intorno a quanto resta del vecchio partito socialista democratico; quest’ultimo, considerata la sua esigua consistenza elettorale, potrebbe, profittevolmente per la società italiana, privilegiare l’organizzazione della protesta popolare oggi rappresentata da movimenti populisti politicamente non professionalizzati, anziché scegliere la confluenza nelle maggioranze politiche esistenti, obnubilando così la propria storia ed il proprio prestigio e dimenticando di essere stato, fin dall’origine e per un lungo periodo di tempo, sempre dalla parte dei più deboli.
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*anche su Avanti online

Periferie. Le politiche attive per il sociale delineate dal Parlamento nella legislatura conclusa

fullsizerender COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE CONDIZIONI DI SICUREZZA E SULLO STATO DI DEGRADO DELLE CITTA’ E DELLE LORO PERIFERIE
LE LINEE EVOLUTIVE: INDIRIZZI E PROPOSTE

Estratto dalla Relazione conclusiva approvata in Commissione nella seduta del 14 dicembre 2017
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6. Le politiche attive per il sociale
Nel quadro di un rinnovato piano per le periferie, un’attenzione particolare va data all’infrastrutturazione sociale per aumentare le opportunità per i soggetti più deboli, non solo attraverso investimenti in opere ma, soprattutto, con la realizzazione di servizi, sperimentazione di azioni immateriali, sostegno a progetti di inclusione sociale, di produzione culturale, di nuovo welfare. Una strada è quella di costituire Agenzie sociali di quartiere, dove possano essere impiegati giovani agenti di sviluppo, miste dal punto di vista della gestione, che operino un’interfaccia accogliente ed efficace, nella logica dello sportello unico, per superare la frammentazione del trattamento amministrativo dei bisogni.
Di immediata necessità è l’ampliamento dei servizi di welfare a sostegno delle misure contro la povertà, in particolare in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo 15 settembre 2017, n. 147 recante “Disposizioni per l’introduzione di una misura nazionale di contrasto alla povertà”, che prevedono l’introduzione del cosiddetto reddito di inclusione attiva. Occorre dunque un potenziamento dei servizi sociali e la creazione di nuove figure professionali per la presa in carico di persone e famiglie in difficoltà.
Sono, inoltre, da sostenere e rafforzare tutte le iniziative di co-housing per disabili e soggetti deboli, studenti, famiglie; lo sviluppo dei servizi domiciliari e la tutela locale “di quartiere” delle persone anziane attraverso servizi di monitoraggio e prevenzione.
Particolare rilievo ha il rafforzamento della scuola nelle periferie, non ancora pienamente inclusiva a causa degli elevati tassi di dispersione e abbandoni e che, invece, deve essere messa nelle condizioni di contrastare il disagio e l’esclusione, ricostruendo comunità e offrendo nuove opportunità di crescita. Occorre proseguire l’esperienza di scuola al centro, prolungando l’orario di apertura, offrendo un arricchimento dell’offerta formativa agli studenti e soprattutto un punto di riferimento per il territorio.
L’obiettivo è altresì quello di ampliare i servizi educativi per l’infanzia (0-3), garantendone la presenza attraverso un’equa distribuzione territoriale, specie nelle periferie, e superando le sperequazioni esistenti nel territorio nazionale.

La presenza di rom e sinti abitanti nei campi e in situazioni di precarietà (per metà italiani, non più “nomadi”, per metà minori) è potenziale fonte di conflitto sociale nelle periferie.
La Commissione ha affrontato il tema dell’illegalità e degli alti tassi di fenomeni criminali sia negli insediamenti regolari, sia nelle baraccopoli, causa di degrado, come la produzione di rifiuti negli insediamenti abusivi, i roghi dei residui di materiali ferrosi, o le forme di “abusivismo commerciale”. Di fronte a reali problemi sociali (condizioni di vita inaccettabili, scarsa scolarizzazione, illegalità), le Istituzioni devono sia garantire sicurezza ai cittadini (anche attraverso i nuovi Comitati metropolitani), sia agire concretamente a favore dell’inclusione, dell’inserimento sociale e della scolarizzazione.
Si tratta di attuare la strategia nazionale di inclusione di Rom, Sinti e Camminanti (2012- 2020) approvata dal Consiglio dei ministri nel febbraio 2012 in attuazione della Comunicazione n.173 del 2011 della Commissione europea. Rom e Sinti hanno chiesto da tempo il riconoscimento come minoranza storico-linguistica, anche al fine di contrastare il diffuso antigitanismo. Tale strategia comporta, a ben vedere, una azione coordinata tra inclusione sociale per il miglioramento delle condizioni di vita di queste popolazioni e adozione di misure rigorose di tutela della sicurezza pubblica e dei cittadini, laddove si manifestino pratiche illegali, criminali o lesive della pubblica convivenza come nel caso dei roghi tossici, del traffico illegale di rifiuti, di pratiche di microcriminalità diffusa, di abbandono dei minori o loro istradamento a condotte illegali o all’abbandono scolastico. La Commissione considera pertanto decisiva per restituire fiducia alle Istituzioni in relazione al tema delle periferie, l’attenzione verso queste problematiche, nonché la capacità di contemperare il massimo impegno sia per l’inclusione dei nuclei familiari che restano nel campo della legalità, sia per il contrasto netto e determinato per gli elementi portatori di condotte illegali o addirittura criminali.
Particolare attenzione meritano, infine, tutte quelle esperienze civiche che si muovono nel campo della sussidiarietà sociale urbana.
La Commissione ha potuto riscontrare come, accanto ai fenomeni di degrado e di difficoltà si sviluppi, nelle periferie e nelle zone critiche a vario titolo delle città, una reazione positiva fatta di associazionismo diffuso e di volontariato che opera nel campo dei servizi sociali, della cultura, della cura e manutenzione dei beni comuni, dello spazio pubblico, dell’ambiente e dell’agricoltura e come, anche, si debba registrare il fiorire di una diffusa creatività giovanile che si indirizza verso la musica, l’arte ed esperienze creative di tipo più moderno come il cinema, la fotografia, il web.
Particolarmente significativa appare l’esperienza dell’universo Retake, un movimento di ispirazione americana, che sta diffondendosi in tutte le maggiori città italiane e che organizza migliaia di volontari intorno ad obbiettivi di recupero degli spazi pubblici.
Si impone, da parte delle amministrazioni a ogni livello, la necessità di stabilire un rapporto di vera alleanza con queste realtà, ascoltando e cercando di dare risposte alle mille esigenze pratiche che esse propongono (e su cui ci sono riferimenti nel testo della relazione) e che vanno dalla necessità di convenzionare gli interventi volontari, assicurare i rischi di infortunio, garantire un uso calmierato (ma rigorosamente controllato in termini di legalità e trasparenza degli usi) di parti di patrimonio pubblico per far fiorire le tante esperienze civiche che si generano nelle città e creare spazi polifunzionali e creativi per i giovani.
Moltiplicare nei quartieri i luoghi di aggregazione, di formazione, di diffusione del senso e dell’educazione civici, della cura dei beni comuni e delle buone pratiche di convivenza rappresenta un fattore decisivo per spostare in positivo gli equilibri tra indifferenza, rassegnazione al degrado e partecipazione attiva, solidarietà, inclusione. Queste energie non solo non possono essere disperse, ma è dovere delle Istituzioni favorirle e consolidarle.
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Dibattito

img_4649EDDYBURG » POSTILLE » PER COMPRENDERE
Le periferie, priorità nazionale: non è questo il modo
eddyburgdi SERGIO BRENNA, su eddyburg.

Una valutazione fortemente critica del modo in cui la camera dei deputati intendeva affrontare il problema delle periferie, vitale per la città d’oggi. Che deciderà il Parlamento che eleggeremo il 4 marzo? con postilla, su eddyburg. Estratto dalla Relazione finale.
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Segnaliamo

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Oggi lunedì 29 gennaio 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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SOCIETÀ E POLITICA » TEMI E PRINCIPI » DEMOCRAZIA
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di ALEX ZANOTELLI

Nigrizia, 23 gennaio 2018, ripreso da eddyburg. Il 4 marzo non bisognerebbe votare per nessuno dei membri del Parlamento uscente: una congrega di bugiardi che non hanno obbedito all’ordine del popolo di restituire ai cittadini i diritto all’acqua.
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Caccia al seggio o al consenso?
democraziaoggi-loghetto29 Gennaio 2018

Gianni Pisanu su Democraziaoggi.
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Lavoratori di tutto il mondo organizzatevi contro i capitalisti del pianeta!

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Protezionismo nazionalista ? No difesa del lavoro con la SocialConsumptionTax, la grande occasione di una risposta europea a Trump.

di Leonardo Becchetti, dal suo blog.
Il commercio è, in larga parte purtroppo, ancora una corsa al ribasso sulla dignità del lavoro. In moltissime parti del mondo i lavoratori hanno salari e condizioni di lavoro inaccettabili, al di sotto dei minimi legali e dei minimi di sopravvivenza commisurati agli standard dei loro paesi. Tutto questo rischia di mettere fuori mercato, a parità di qualità, i prodotti di imprese che offrono condizioni dignitose ai lavoratori. Esistono ovviamente le nicchie di qualità e l’innovazione ma tutto questo non basta. La corsa al ribasso ha ormai polarizzato le società nei nostri paesi. Da una parte chi ha qualifiche medio-basse e viene trascinato in basso dalla concorrenza sul costo del lavoro, ha basso potere d’acquisto e diventa a sua volta consumatore dei sottocosti e dell’hard discount. Dall’altra i lavoratori a medio-alta qualifica, che hanno potere contrattuale nei loro ambienti di lavoro, buoni salari e tenore di vita e possono permettersi prodotti ad alto standard.
Non si risolve il problema difendendo il lavoro in un solo paese. Chi lo fa finisce per aumentare i divari di costo tra i nostri produttori e i produttori esteri (o nazionali talvolta) che sfruttano il basso costo del lavoro finendo per produrre l’effetto paradossale di aumentare delocalizzazioni, nero o di ridurre comunque le occasioni di lavoro da noi.
La via del protezionismo nazionalista, l’approccio Trumpiano dei dazi Usa contro Cina ed India, è sbagliata perché non si tratta di contrapporre lavoratori americani a indiani e cinesi. E le rappresaglie in termini di dazi e guerre commerciali rischiano di cancellare i presunti benefici iniziali.
L’unica strada è quella della SocialConsumptionTax. Un’Iva riformata e maggiorata per i prodotti (ovunque siano fatti) che umiliano e precarizzano il lavoro con condizioni al di sotto della decenza e del minimo considerati gli standard dei paesi in cui vengono realizzati. Questo vuol dire difendere l’uomo e la dignità del lavoro ovunque. Con benefici per lavoratori di ogni paese e imprese di ogni paese che scelgono la sostenibilità sociale ed ambientale. Ed è la concretizzazione della giusta considerazione del piano Calenda-Bentivogli sull’importanza decisiva della sostenibilità sociale ed ambientale del commercio internazionale.
La SocialConsumptionTax è una grande occasione. L’occasione di una risposta di civiltà alla risposta sbagliata di Trump ad un problema giusto, quello della sostenibilità sociale ed ambientale del commercio che è il nocciolo di tutte le questioni. Vari partiti e movimenti sostengono che l’UE debba rispondere alla sfida della Brexit con investimenti e finanziamento del pilastro sociale usando risorse proprie e senza chiedere aumento delle contribuzioni agli stati membri. Una SocialConsumptionTax europea può realizzare l’obiettivo dando un segnale politico decisivo che può invertire la logica e la rotta nelle regole del commercio internazionale.

la vita tra le amiche pietre

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lampada aladin micromicroGli editoriali di Aladinews. 88683376659788868337667-2-300x449 È nata con la “Rerum novarum”
LA DOTTRINA SOCIALE NON PIÙ COME IDEOLOGIA Nella riforma teologica promossa da papa Francesco la “dottrina sociale” si avvia a trasformarsi da ideologia della riconquista cristiana della società a critica degli esistenti assetti sociali sulla base dei valori evangelici. L’incoraggiamento ai movimenti popolari di Daniele Menozzi, chiesadituttichiesadeipoveri
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Oggi domenica 28 gennaio 2018

lampada aladin micromicrodemocraziaoggisardegnaeuropa-bomeluzo3-300x211Sardegna-bomeluzo22sedia-van-goghGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2
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democraziaoggiCaro Michele, coraggio! Suvvia! Vieni con noi.
28 Gennaio 2018

Amsicora su Democraziaoggi.
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amici-bici-caInteressante rilevazione degli Amici della bicicletta di Cagliari sui tempi di percorrenza dei diversi mezzi di trasporto a confronto, in percorsi urbani di Cagliari. L’indagine su web:
L’associazione Amici della Bicicletta Cagliari ha organizzato, Mercoledì 20 dicembre 2017 un test di confronto fra mezzi di locomozione nell’area urbana di Cagliari, dalle ore 08.00, cioé in uno degli orari di massimo traffico e in strade cittadine molto frequentate.
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Jubilate!

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