Monthly Archives: giugno 2019

Oggi martedì 25 giugno 2019

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———————Opinioni,Commenti e Riflessioni———————————
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Pubusa: Palabanda, una rivolta culturale permanente
25 Giugno 2019, su Democraziaoggi.
di Luciano Carta
Ieri, in una affollata e attenta Sala Conferenze Fondazione di Sardegna, Cagliari, è stato presentato il libro di ANDREA PUBUSA, “Palabanda. La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna”, Cagliari, Arkadia, 2019, già in vendita nelle migliori librerie. La presentazione è stata fatta dallo storico Luciano Carta, con letture di Clara Murtas. Numerosi gli interventi. Fra gli altri di Rita Sanna, Fernando Codonesu, Tonino Dessì, Giacomo e Franco Meloni, Omar Onnis. Le chitarre di Alessandro Calledda e Fernando Codonesu hanno poi accompagnato “Procurade’e moderare”, cantato da tutti i presenti. Una bella serata, coordinata da Gabriella Lanero, per rievocare una pagina nobile della storia sarda. Salvatore Cadeddu e i Martiri di Palabanda hanno ancora molto da dirci.
Ecco uno stralcio della presentazione di Luciano Carta.

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Salviamo il Pianeta Terra, con intelligenza

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Che ne facciamo della plastica?
di Pietro Greco, su Rocca

E allora, che ne facciamo della plastica? Ogni anno nel mondo vengono prodotti all’incirca 400 milioni di diversi polimeri collettivamente chiamati con questo nome, plastica. Oltre il 40% trova impiego in quello che gli inglesi chiamano packaging, sì insomma nel settore dell’imballaggio. Un altro buon 20% nel settore dell’edilizia. La stessa percentuale, all’incirca, nel tessile. Una buona percentuale nel settore delle automobili e, anche, dei computer.
La plastica (ma faremmo meglio a dire le plastiche) ha diverse caratteristiche che hanno assicurato un loro rapido successo. Le principali ce le ricordava Gino Bramieri già mezzo secolo fa a proposito del poli-propilene (celebre con il nome commerciale di Moplen): inconfondibile, leggera, resistente. Ma possiamo aggiungerne tranquillamente altre due: flessibile ed economica.
La plastica è stata a lungo, dopo la seconda guerra mondiale, il simbolo stesso della modernità. La materia di una nuova era. Ma, parafrasando il chimico Luciano Caglioti, possiamo dire che oggi la plastica mostra un altro volto. Anzi, due. La sua immagine si è trasformata negli ultimi lustri e da espressione di progresso si è trasformata in emblema di una materia senz’anima. È fredda e inespressiva quella persona – si dice –, sembra fatta di plastica.

il volto cattivo della plastica
Ma più di recente la plastica è diventata anche l’emblema di un inquinamento pervasivo e inaccettabile. Emblema stesso di un modello di sviluppo insostenibile.
Se il primo volto negativo della plastica, quello di materia fredda, è tutto sommato ingiusto, il secondo, quello di materiale emblema di un modello economico (e, quindi, tecnologico) insostenibile è più che giustificato. Non che la colpa sia della plastica in sé – non esistono materiali buoni o cattivi in sé, esiste un buon uso o un cattivo uso di ogni materiale.
Il guaio è che sono i numeri a disegnare il volto cattivo della plastica (dell’uso della plastica): una parte non banale della pro- duzione mondiale di questi materiali – tra l’1,6 e il 4,2%, secondo Jenna Jambeck, della University of Georgia di Athens ne- gli Stati Uniti –, finisce in mare. Significa, dunque, che ogni anno gli oceani ricevono tra 6 e 17 milioni di tonnellate di plastica. Il mare non sa come smaltirla.
Già, perché molte di queste plastiche sono di sintesi, ovvero create in laboratorio in tempi recenti (da meno di cento anni) e la natura non riesce a digerirli. Detto in maniera più rigorosa, di quei 400 milioni di tonnellate annue di plastica che produciamo, meno del 2% (meno di 10 milioni di tonnellate) sono biodegradabili. Il resto subisce una serie di processi, più fisici che chimici, che non la rimettono in circolo nella biosfera. Il principale di questi processi è la frammentazione. La plastica che finisce in mare si riduce in grossi pezzi, in pezzettini e in briciole microscopiche: le cosiddette microplastiche.
Queste plastiche (dipende dal tipo) galleggiano in superficie, flottano a mezz’altezza o si sedimentano sul fondo. Provocando conseguenze ambientali ben poco desiderabili. Entrano persino nella catena alimentare, uccidono pesci e mammiferi marini, risalgono fino allo stomaco dei loro produttori. In pratica ce le troviamo disperse anche nei nostri corpi di Homo sapiens.
Secondo un recente rapporto del Wwf, i rifiuti plastici prodotti ogni anno e dispersi nell’ambiente (non solo in mare, dun- que, ma anche in terraferma) ammontano addirittura a 100 milioni di tonnellate. Con i medesimi problemi di cui sopra e con un punto interrogativo progressivamente più grande: che ne facciamo, dunque, della plastica?
Qualcuno sostiene, semplicemente, eliminiamola, non produciamola più e l’impronta ecologica dei polimeri di sintesi sparirà. Ma il discorso è più complesso e, dunque, va meglio articolato.

un obiettivo inderogabile
Partiamo da una premessa, che diamo per scontato. Dobbiamo tendere a una dispersione zero delle plastiche nell’ambiente. E, anzi, dobbiamo iniziarlo a ripulire sistematicamente, l’ambiente, dai frammenti plastici macro, medi e micro che già vi sono diffusi in milioni di tonnellate. Questo è l’obiettivo: assolutamente inderogabile. Ma come raggiungerlo, in un contesto di più generale sostenibilità?
La domanda non ammette una risposta semplice. Facciamo un esempio. Oggi molte plastiche vengono utilizzate, come abbiamo detto, nel settore automobilistico, il che consente di avere vetture più leggere e di risparmiare fino al 20% di energia di origine fossile. Se eliminassimo la plastica e tornassimo al metallo, le auto diventerebbero più pesanti e i conseguenti consumi di energia crescerebbero. Il risultato finale per l’ambiente sarebbe negativo. Più inquinamento, invece che meno.
L’esempio suggerisce che non dobbiamo avere un approccio ideologico verso la plastica (verso i diversi tipi di plastica). Come tutta la materia e l’energia che utilizziamo, anche i polimeri, come abbiamo detto, hanno una doppia faccia. Dobbiamo valorizzare la faccia positiva della plastica e fare il contrario con quella negativa. Sapendo bene che le differenze tra l’una e l’altra non sono sempre facili da cogliere e, a volte, sono i dettagli che contano.
Ritornando al nostro esempio: sappiamo bene che una parte della plastica usata sulle automobili finisce nell’ambiente a fino uso vettura. Per evitare che succeda abbiamo tre opzioni: produrre meno automobili; produrre automobili senza plastica; riciclare la plastica quando l’automobile viene dismessa. La prima è un’opzione generale, riguarda il modello di sviluppo. Riusciremo a fare a meno delle auto private e a sostituire con altri mezzi di trasporto o con una minore domanda di trasporto? In ogni caso una risposta positiva a questa domanda, che è sia di tipo culturale che economico e sociale, è di medio o lungo periodo. La seconda opzione, come abbiamo detto, non è ecologicamente sostenibile. La terza opzione è già oggi praticabile. Possiamo e, dunque, dobbiamo riciclare i materiali plastici usati nel settore automobilistico.
Semplice, no? Niente affatto. Prendiamo a esempio le plastiche utilizzate nel tessile. Si trasforma in camicie, magliette e quant’altro. Non sono il massimo, i tessuti sintetici: né di eleganza né di comodità. Ma sono economici e leggeri. In ogni caso il problema, del tutto inatteso solo qualche anno fa, è che essi producono micro frammenti quando vengono lavati. Così che le lavanderie sono tra le grandi fonti di produzione di microplastiche.

il riciclo
È chiaro, allora, che la domanda «che fare della plastica?» è mal posta. Perché non ammette una sola risposta, ma molte. Anche quando ci riferiamo non alla materia in sé, ma al suo uso. Queste risposte le possiamo, in questa sede, solo provare a riassumere in tre grandi classi.
Non alcune plastiche, ma alcuni usi delle plastiche vanno effettivamente messi al bando. Con prudenza e capacità selettiva. Il Wwf propone di mettere al bando almeno i contenitori monouso ed avremo eliminato il 40% dei rifiuti plastici. In realtà tutta la filiera del packaging va ripensata. E non è semplice. Ma alcuni contenitori in materiale polimerico forse vanno conservati. Pensiamo alle siringhe di plastica monouso che hanno sostituito quelle di vetro riutilizzabili. In questo caso il processo «usa e getta» si è rivelato utile, perché contribuisce a tenere sotto controllo la diffusione di molte malattie infettive (Aids compreso). È il «getta», semmai, che anche in questo caso va modificato. Nulla deve essere gettato, tutto deve essere riciclato.
Questa è la prima delle grandi strategie per contenere e minimizzare l’impatto ambientale della plastica. Le tecnologie già
esistono. Altre tecniche e altri materiali plastici possono essere messi a punto investendo di più nella ricerca. Ma il riciclo è già oggi possibile. A frenarlo non è l’impossibilità, ma la cultura diffusa e una mancanza di organizzazione. Cosa impedisce, per esempio, ai produttori e agli utilizzatori di flaconi di plastica di uniformare forme e chiusure, in modo che il riciclo possa essere totale?

sostituzione con altri materiali
Certo, anche in altri settori la plastica può essere sostituita da altri materiali, tradizionali (le finestre di legno invece che in Pvc, per esempio) o innovativi. Però facendo attenzione a effettuare una corretta valutazione di impatto ambientale. In modo che la pezza non si dimostri peggiore del buco. Facciamo un esempio: siamo proprio sicuri che piatti di carta monouso siano più sostenibili di piatti di plastica monouso? Non lo sappiamo. Dipende da tanti fattori. Che vanno attentamente valutati, prima di effettuare scelte improvvide.

ripensare la nostra economia e i nostri stili di vita
Oltre al riciclo (e all’eventuale sostituzione con altri materiali più ecosostenibili), c’è un’altra strada maestra da percorrere: il risparmio. O, se volete, l’abbattimento dei consumi inutili. Una parte rilevante del packaging non ha alcuna funzione utile. Spesso ha solo una (malintesa) funzione estetica. In questo caso non è (solo) la plastica che va eliminata, è il packaging in sé.
In conclusione. Non accettiamo l’uso della plastica così com’è oggi. Modifichiamolo profondamente. Senza fare una battaglia ideologica al materiale, ma ripensando la nostra economia e i nostri stili di vita. Senza fare in modo che la demonizzazione della plastica come materiale diventi l’alibi per conservare il nostro modello economico e i nostri stili di vita fondati sui consumi individuali. Essi sì insostenibili alla radice.

Pietro Greco
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SOLO UNA PAROLA: PLASTICA. Dal film IL LAUREATO.
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Che succede?

c3dem_banner_04SCAMBIARE LA LIBERTÀ FUTURA CON L’ILLUSIONE DELLA PROTEZIONE
23 Giugno 2019 by Forcesi | su C3dem.
Sulla politica estera del governo un’amara riflessione di Romano Prodi: “La doppia giravolta che ci isola dal mondo” (Messaggero). Su Europa e riforme scrive Sergio Fabbrini: “La vera partita è sul fondo salva-stati“(Sole 24 ore). Sulla crisi italiana dei conti pubblici e il rapporto con l’Europa: Fabio Tamborini, direttore del Sole 24 ore, “Le parole, i fatti, le scelte di Salvini”; Alesina e Giavazzi sul Corriere della sera, “La falsa eccezione italiana”; Andrea Bonanni, “La sceneggiata del governo”, e Eugenio Scalfari, “Nella tempesta europea vaga la nave Italia senza rotta”, su Repubblica; Serena Simeoni sul Mattino, “Debito pubblico, se i cittadini scambiano la libertà futura con l’illusione della protezione”. Sulla manifestazione sindacale a Reggio Calabria: Piero Bevilacqua, “Primo no di massa alla secessione dei ricchi” (Manifesto), e Marco Esposito, “No all’autonomia, il grido del Sud” (Mattino). L’Avvenire interviene su temi del welfare: Massimo Calvi, “Europa senza figli è la crisi ignorata”; Leonardo Becchetti, “Patto familiare multipartisan”; e sull’immigrazione: Lucia Capuzzi, “Le periferie salvate dai migranti”. Sul paradosso italiano scrive Marco Ruffolo: “Se la formazione non produce occupazione” (Repubblica).
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“Comitato per sa Die de sa Sardigna – Comitau po sa Die de sa Sardigna”

c4ccacbb-7f0c-4739-bdba-a15bf2176c36COMITATO PER “SA DIE DE SA SARDIGNA”
Le fondazioni e associazioni: Fondazione Sardinia, Istituto Gramsci della Sardegna, Società Umanitaria, Cineteca Sarda, Fondazione Giuseppe Siotto, Imprentas,Tramas de Amistade, AladinPensiero, Confederazione Sindacale Sarda, Fondazione Alziator, Unesco Club Cagliari, Riprendiamoci la Sardegna, Osservatorio sui Beni Comuni della Sardegna, Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano- Comitato di Cagliari, Associazione Campos, Cuncordia a Launeddas, Centro Studi Genealogici, Assotziu Scida, Istituto per la storia contemporanea della Sardegna Centrale, Unione Autonoma Partigiani Sardi, Iscandula, Archivio di Stato di Cagliari, Associazione Sonus de Canna, Associazione Mazziniana di Cagliari (Sezione Salvatore Ghirra), Associazione Cesare Pintus e singole personalità

Amigos istiamao de su Comitau,
seus arribaos a unu bau de importu de s’istoria de custa cumpanzia nostra. Cun praghere si cunfrimu s’attobiu de MERCURIS, su 26 de lampadas 2019, a sas 17,30 in sa sede de sa Fondatzione Sardinia, in Praza S. Sepolcro 5.
A presse, ciao boreddu

Cagliari 24 giugno 2019

Cari Amici del Comitato,
siamo al termine del percorso della discussione e dell’approvazione dello statuto del Comitato per sa Die de sa Sardigna – Comitau po sa Die de sa Sardigna.
Proseguendo nell’impegno assunto comunemente nella riunione del 19 giugno u.s., Vi confermo la data della prossima riunione del Comitato per MERCOLEDI’ 26 giugno 2019, a partire dalle ore 17,30 presso la sede della Fondazione Sardinia, in Piazza S. Sepolcro 5, Cagliari.
All’odg.:
1) approvazione e formalizzazione dello Statuto del Comitato per sa Die de sa Sardigna;
2) Conseguenti decisioni organizzative
3) Varie.
Cordiali saluti
Salvatore Cubeddu
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I Martiri di Palabanda. Chi furono?

QUANDO I SARDI MORIVANO PER LA LIBERTA’. I martiri di Palabanda: cosa successe (il moto di libertà), chi erano (i protagonisti), come finirono (il loro destino e … il nostro!).
“I MARTIRI DI PALABANDA ALLA FINE DEL VENTENNIO RIVULUZIONARIO, 1794 – 1812”.
Nota. La vicenda storica sulla congiura di Palabanda è contenuta subito qui sotto all’interno della biografia del suo più importante esponente, Salvatore Cadeddu. Tutte le schede sono tratte dal volume di VITTORIA DEL PIANO, GIACOBINI MODERATI E REAZIONARI IN SARDEGNA, Saggio di un dizionario biografico 1793 – 1812, Edizioni Castello, Cagliari 1996.
[segue]

Oggi lunedì 24 giugno 2019

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Oggi lunedì 24 presentazione del Libro di Andrea Pubusa
Su Democraziaoggi.
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———————Opinioni, Commenti, Riflessioni, Appuntamenti———————————

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Oggi, lunedì 24 giugno alle ore 10.00 a Cagliari nella sala conferenze dell’associazione della stampa sarda, in via Barone Rossi n.29, si svolgerà la conferenza stampa organizzata dai comitati sardi per la democrazia costituzionale e dal comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria di presentazione del ricorso contro la legge elettorale sarda. Durante la conferenza stampa interverranno a spiegare le ragioni del ricorso Andrea Pubusa, Gabriella Lanero e Marco Ligas.

I martiri di Palabanda, come i martiri cristiani: il loro sangue non sarà stato versato inutilmente

Palabanda murale
palabanda-la-rivolta-del-1812Riflessioni sul libro di Andrea Pubusa “PALABANDA, La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna”*
di Franco Meloni

Sui fatti di Palabanda, al termine di una approfondita disamina sul piano storico, su quello giuridico e su quello politico, alla luce delle informazioni a tutt’oggi disponibili, Andrea Pubusa arriva a conclusioni precise e inequivocabili:
“Palabanda non fu congiura, ma non fu neppure rivolta. Palabanda, piuttosto che rivolta o congiura, fu repressione. Un momento in cui il governo sabaudo – temendo il peggio o presagendolo – decise di porre fine agli indugi e perseguire coloro che credeva capaci di metterne in pericolo l’egemonia. Fu il colpo di coda della Corona, volto a far fuori fisicamente gli esponenti della Sarda Rivoluzione, quelli di loro ancora in vita o scampati alle precedenti repressioni. Fu un atto voluto, meditato e preordinato, che determinò la decapitazione del movimento democratico sardo”.
Dunque quasi una sentenza che se da una parte mette fine alle supposizioni di quanti intendevano ridurre i fatti a semplice congiura e a intrighi di corte, dall’altra nega agli stessi il carattere di rivolta, perché dalle carte non risulta che nella notte tra il 30 e il 31 ottobre de s’annuì doxi, a Cagliari ci fu alcuna insurrezione. “Si può capire – argomenta Pubusa – che quanti sostengono la tesi della rivolta lo facciano in polemica con chi parla di congiura per dare alla Sardegna una maggiore dignità storica”, ma l’evidenza dei fatti cancella tale interpretazione.
Ma allora si potrebbe concludere che Andrea Pubusa tenda a ridurre il tutto come insignificante per la storia della Sardegna. Neppure per idea, anzi, al contrario! Subentra qui la proiezione politica dei fatti storici sulle prospettive future. I protagonisti di quelle vicende, parliamo dei patrioti e non certo dei loro avversari, vengono da più parti definiti “martiri”, più specificamente “martiri della libertà” forse per distinguerli da un’altra tipologia di “martiri”, i “martiri della fede”; parlo precisamente dei “martiri cristiani”. Tra queste due categorie vi sono tratti comuni. Proviamo ad approfondire.
- “(Martirio nel cristianesimo) Il martirio secondo il cristianesimo è la condizione che il seguace (martire, dal greco μάρτυς, cioè «testimone») subisce per difendere la propria fede in Cristo o per difendere la vita di altri cristiani. Nella storia della chiesa primitiva i martiri cristiani venivano torturati o uccisi tramite lapidazione, crocifissione e morte sul rogo. ( …) Il periodo del cristianesimo primitivo precedente al regno di Costantino viene considerato “l’era dei martiri”.
- (Martirio laico) I martiri di Palabanda erano precisamente persone che per difendere la propria fede nella libertà subirono torture, uccisioni tramite impiccagione. Il periodo della Sarda rivoluzione (un’“era dei martiri”) precede e in certo senso prepara, la costruzione di una società democratica e comunque contribuisce fortemente a costruire un “sentimento nazionale”, che sta alla base del riconoscimento se non dell’indipendenza almeno dell’autonomia speciale della Sardegna.
E’ un’accostamento azzardato? Ritengo di no, anche perché in argomento mi sento in sintonia con Andrea Pubusa: dal suo operare nella ricostruzione della latitanza di Salvatore Cadeddu, nei luoghi ove si svolse: “(…) mi ci recai con un gruppo di democratici cagliaritani nel 2016, compiendo una sorta di pellegrinaggio laico volto a ricordare la figura del grande martire per la libertà che, da queste parti, aveva trovato rifugio (…)”; e, dalle bellissime conclusioni del suo libro, che voglio qui riportare integralmente.
“Palabanda, oggi come ieri, rappresenta un sogno di libertà, una rivolta culturale permanente, capace ancora di ispirare e dare un indirizzo. Inutile chiedersi se Angioy, Cilocco, Cadeddu e tutti gli altri fossero indipendentisti, monarchici, repubblicani o altro. Basti sapere che ognuno di loro, per quanto potè, e talora con travagli e incertezze, contribuì a costruire un sentimento nazionale che gli spagnoli avevano letteralmente distrutto e i piemontesi sanguinosamente contrastato. L’importanza dell’azione di uomini di tal fatta non risiede tanto nell’avere portato o meno a compimento l’idea rivoluzionaria, quanto aver cosparso il campo di semi di libertà destinati ad attecchire e ad attraversare l’Ottocento e il Novecento, consegnando a noi una visione dell’Isola finalmente libera”.
Si intravedono benissimo le conseguenze di tali conclusioni e il messaggio che ne scaturisce per l’impegno politico presente e futuro, per noi e per i nostri compagni di strada che speriamo sempre più numerosi.

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*A. Pubusa, PALABANDA, La rivolta del 1812. Fatti e protagonisti di un movimento che ha scosso la Sardegna. Ediz. Arkadia, maggio 2019.
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I misteri di Palabanda
Nel dare a compagni ed amici appuntamento alla presentazione, pubblichiamo le considerazioni contenute nel libro sulla misteriosa scomparsa delle carte del processo concluso con la condanna a morte dell’Avv. Salvatore Cadeddu, leader riconosciuto del Club di Palabanda.
di Andrea Pubusa, su Democraziaoggi.

Fra i tanti misteri di Palabanda, congiura, rivolta o repressione preventiva, c’è anche quello della secretazione e poi della scomparsa degli atti del processo all’Avv. Salvatore Cadeddu, il capo del club democratico di Palabanda. Secondo alcuni la ragione della distruzione del dossier sarebbe da ricercarsi nel coinvolgimento nell’affaire di settori della Corte sabauda. Più precisamente, il Villahermosa, amico di Carlo Felice, per il tramite del club di Palabanda, si proponeva di far fuori il suo nemico Villamarina e, ovviamente, con lui e prima di lui Vittorio Emanuele, per favorire l’ascesa al trono di Carlo Felice. Ora, questa tesi si scontra con due controindicazioni, una politica e l’altra processuale. Quest’ultima si fonda sul memoriale di Antioco Pabis al deputato sassarese Francesco Sulis, che si era proposto, a metà dell’800, di scrivere una storia di Palabanda a distanza di quasi cinquant’anni dail 1812. Con questo proposito – come ci narra Francioni nel suo bel libro su quei fatti – aveva chiesto memorie scritte ad alcuni testimoni della vicenda.
Pabis era precettore nella casa di Giovanni Cadeddu, fratello di Salvatore, anche lui coinvolto nei fatti di Palabanda e condannato all’ergastolo, scontato a La Maddalena. Era una persona molto informata sui fatti, che conosceva dall’interno della famiglia dei due maggiori protagonisti della vicenda. Pabis ricorda nel memoriale di essere stato arrestato subito dopo la “scoperta” della rivolta e di essere stato rinchiuso nella Torre de S’Avanzada, dove fu ripetutamente interrogato. Gli fu suggerito anche il contenuto della deposizione: incastrare Villahermosa. Gli fu anche detto per conto di chi: il Villamarina. Ma Pabis non accolse l’invito e le promesse. Negò qualunque coinvolgimento del Villahermosa. E questi, dopo la liberazione, lo ringraziò personlamente, anche perché Pabis confermò la sua versione davanti ad una commissione, formata proprio per sgomberare ogni dubbio sulla estraneità del Villahermosa. Quindi ci fu un tentativo degli ambienti legati al Villamarina di colpire quelli del clan Villahermosa. Ma fu un tentativo estraneo ai Cadeddu e al loro club, una sorta di strumentalizzazione degli avvenimenti a posteriori. O forse anche a priori, posto che la rivolta non ci fu, e la deposizione di Pabis prova che non ci fu neanche “congiura”, ossia un’azione connessa e coordinata a intrighi di corte. Semmai, se di “congiura” si può parlare, questa fu quella ordita da Villamarina ai danni di Villahermosa. Ma questo tentativo fallì miseramente grazie alla ferma deposizione del Pabis in carcere e dopo la sua liberazione.
Sul piano politico, la tesi della congiura in conto terzi, non regge perché Carlo Felice non poteva essere il re desiderato dal club di Palabanda. Allargando lo sguardo a ciò che accadeva a quel tempo fuori dall’Isola e che poteva interessare ai Cadeddu e compagni, non c’è nulla che porti a Carlo Felice. I fatti rilevanti erano due in quel 1812: la Costituzione di Cadice e quella di Sicilia. La prima era una sorta di anticipazione dello Statuto albertino nel pezzo di Spagna non conquistato da Napoleone, l’altra una costituzione che gli inglesi imposero ai Borbone oramai ristretti in Sicilia, a causa della conquista del regno di terraferma da parte di Murat. Ora, è ben noto che Carlo Felice era graniticamente ostile a qualunque apertura costituzionale. Lo mostrò quando nel 1821, diventato re, revocò senza indugio la Costituzione che Carlo Alberto aveva promesso ai liberali piemontesi, e avviò una dura repressione con metodi arbitrari e brutali. Carlo Felice, noto nella penisola come Carlo Feroce, fu uno dei repressori più inflessibili dei democratici sardi, come Francesco Cilocco e Francesco Sanna Corda, sacerdote, nel 1802. Come potevano Cadeddu e compagni vedere in lui un’alternativa a Vittorio Emanuele. L’esito della loro azione poteva essere la liberazione dai Savoia o più semplicemente una replica, in salsa sarda, di Cadice o di Palermo. E non risulta che negli ambienti di corte nessuna delle due ali in contrasto, attorno a Villahermosa e Villamarina, si muovessero in questa prospettiva costituzionale o fossero, quantomeno, indulgenti verso di essa.
Un’altra spiegazione della scomparsa delle carte di Palabanda viene individuata nella volontà di non far conoscere chi fu il delatore della scoperta del complotto. Ma anche questa è una tesi debole. I delatori, a cose fatte, erano dei benemeriti della Corona, dei salvatori del Regno, semmai avevano motivo di menarne vanto e chiedere onori e ricompense sulle ceneri di Salvatore Cadeddu, Sorgia e Putzolu e sugli ergastoli degli altri.
E allora perché una misura così drastica, prima la incollatura dei fogli in modo da renderli illeggibili e poi la distruzione. Penso che questo sia il tassello finale di un mosaico che parte dalla montatura e dalla provocazione iniziale della Corte per concludersi con l’eliminazione dei Cadeddu e del club di Palabanda, ossia del nucleo di democratici protagonisti della “Sarda Rivoluzione” sopravvissuti alla repressione degli anni precedenti. Si sapeva dell’attività del club di Palabanda, si temeva un’azione a breve in ragione delle suggestioni che venivano da Cadice e dalla Sicilia. Non si dimentichi che anche il porto di Cagliari come quello siciliano era pattugliato, contro i francesi, dagli inglesi, ed è noto che fu l’emissario del governo inglese nell’isola, Lord William Bentinck, la cui flotta proteggeva il regno di Sicilia, che a Palermo aveva imposto una Costituzione ai Borbone. C’era poi su famini de s’annu doxi, che esasperava i ceti popolari sardi, ormai allo stremo. Dalle campagne erano giunti a Cagliari molti morti di fame del contado e la situazione sociale era esplosiva. Insomma c’erano tutti gli ingredienti per una rivolta, compresi coloro che si proponevano di farla, il gruppo che si riuniva da Salvatore Cadeddu a Palabanda. Un’azione repressiva preventiva avrebbe salvato la corona da rivolte e concessioni, facendo fuori i capi dell’area democratica. Questo fu Palabanda. Né congiura né rivolta. Al più ancora e solo attività preparatoria della rivolta. Ora, è evidente che tutto questo nel processo sarà emerso, quantomeno dalle dichiarazioni dell’Avv. Cadeddu, che a quel punto, anche per salvare la pelle, non aveva altra strada se non negare che la rivolta fosse inziata e fosse stata sventata. E certo una condanna a morte per il solo proposito di una rivolta era possibile, ma non facilmente gestibile, dato che Salvatore Cadeddu era molto popolare e amato dai cagliaritani. Dunque, la versione della congiura o rivolta sventata sul nascere era l’unica versione conveniente e utile alla corona e al Villamarina. E non si può dire che il risultato non sia stato raggiunto. Con l’annientamento di Palabanda viene messa una pietra tombale o quasi sui protagonisti sopravvissuti alla sarda rivoluzione, che non si erano arresi e ancora mostravano di volerci riprovare. Per farli fuori non c’era bisogno di una rivolta. Bisognava colpirli prima, proprio per evitarla. E così fu. Ma le carte processuaali non dovevano svelare questa brutale verità. Meglio farle sparire.

Oggi domenica 23 giugno 2019

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La tolleranza di Turati ed il presunto radicalismo rivoluzionario di Gramsci
23 Giugno 2019
Gianfranco Sabattini su Democraziaoggi.
Da tempo, frugando tra i miei libri, mi veniva sempre tra le mani “Gramsci e Turati. Le due sinistre”; scritto alcuni anni addietro da Alessandro Orsini, docente di Sociologia politica nell’Università di Roma “Tor Vergata” e nell’Università LUISS “Guido Carli”. Originariamente, dopo averlo letto con l’intento di recensirlo, l’avevo messo da parte, perché […]
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Domani, lunedì 24 giugno alle ore 10.00 a Cagliari nella sala conferenze dell’associazione della stampa sarda, in via Barone Rossi n.29, si svolgerà la conferenza stampa organizzata dai comitati sardi per la democrazia costituzionale e dal comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria di presentazione del ricorso contro la legge elettorale sarda. Durante la conferenza stampa interverranno a spiegare le ragioni del ricorso Andrea Pubusa, Gabriella Lanero e Marco Ligas.

Che succede?

c3dem_banner_04europa_bandiera_europeaLA BASE DEI PARTITI POPULISTI
21 Giugno 2019 by Forcesi | su C3dem.
Maurizio Ferrera spiega quale è “La base dei partiti populisti” (Corriere della sera). Giuseppe Lupo indica il terreno da arare per rigenerare l’Unione europea: “Quell’idea di Europa che ancora unisce” (Sole 24 ore). Guido Crainz chiede che si studi a scuola la storia europea: “Europa, questa sconosciuta” (Repubblica). Alain Touraine prova a dire di cosa deve nutrirsi “Il pensiero dell’Europa” (Repubblica). David Carretta fa il punto delle trattative nell’Unione: “Europe first” (Foglio). Pier Virgilio Dastoli scrive una lettera all’Avvenire: “Né nazionalisti né immobilisti. E’ tempo di cambiare l’Unione”. Stefano Folli fa il punto politico: “Con l’Europa più dialogo che provocazioni” (Repubblica). Stefano Lepri, “La lezione che viene dalla Grecia” (La Stampa). Sulla lettera italiana alla Ue scrive Carlo Cottarelli: “Dietro le parole niente” (La Stampa). Sabino Cassese scrive contro le semplificazioni sulla democrazia: “Piano con la democrazia” (Foglio). In Italia siamo sempre più anziani; ne scrive Dario Di Vico sul Corriere: “Un paese e due società”. Giuseppe Berta: “Le crisi industriali nel paese senza guida” (Mattino). Per Tommaso Nannicini “Il Pd di Zingaretti è una melassa” (Foglio). Su Salvini negli Usa: Alessandro Campi, “Le conseguenze della strambata filoamericana” (Messaggero); Ezio Mauro, “Un Paese senza Occidente” (Repubblica).

Palabanda. La rivolta del 1812 e la sua attualità.

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Lunedì 24 presentazione del Libro di Andrea Pubusa
22 Giugno 2019
Su Democraziaoggi.
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Oggi sabato 22 giugno 2019

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64491811_10156344335161918_2116091869472489472_nFrancesca Ghirra, metti da parte i conteggi, liberati delle bande e torna fra la gente
22 Giugno 2019
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Francesca Ghirra, dopo la proclamazione di Paolo Truzzu Sindaco di Cagliari, torna coi piedi per terra. Ringrazia i suoi elettori e s’impegna a lavorare per la città. Bene. Perchè il riconteggio era una trovata, peraltro poco originale, di parlar d’altro, anziché della sconfitta e del che fare. E per ripartire occorre misurarsi senza sconti […]
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Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 154 del 21 giugno 2019

IL VOLTO

Care Amiche ed Amici, [segue]

Oggi venerdì 21 giugno 2019

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Tra impotenza e ricostruzione di una egemonia: la sinistra intellettuale oggi [di Carlo Formenti]
By sardegnasoprattutto / 20 giugno 2019/ Società & Politica
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Palabanda. La rivolta del 1812 e la sua attualità

palabanda-la-rivolta-del-1812Palabanda. La rivolta del 1812. Lunedì alle ore 18 nella Sala Conferenza della Fondazione di Sardegna, via S. Salvatore d’Horta n. 2, il CoStat, la Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco e Arkadia presentano il libro di Andrea Pubusa.
Introduce lo storico Luciano Carta. Letture Clara Murtas
Ecco una recensione di Fernando Codonesu, ripresa da Democraziaoggi.
Palabanda. La rivolta del 1812 e la sua attualità.
di Fernando Codonesu
Il libro di Andrea Pubusa, appena pubblicato da Arkadia editore e già presente in libreria, permette di conoscere meglio i fatti di Palabanda del 1812, l’anno fatidico ricordato a tutte le latitudini della Sardegna come “su famini de s’annu doxi” e, allo stesso tempo, tratteggia con grande efficacia un ritratto dei protagonisti di quegli accadimenti descrivendone, nel contempo, lo sfondo storico in cui si sono verificati.
I fatti, gli accadimenti, i personaggi, il clima politico e storico del tempo, sono questi gli elementi del campo di indagine in cui si misura Andrea Pubusa, oggi nella veste di scrittore, e non certo nella veste di storico come precisa più volte nel corso del libro, che mira alla sostanza delle cose.
Ora, cosa dice il saggio e perché è importante.
[segue l’articolo integrale]

«Sabati sostenibili». I giovani possono cambiare le abitudini di spesa delle famiglie

20181127_1_65098320E se il sabato si trasformasse per tutti nel giorno del ‘voto con il portafoglio’ a favore della sostenibilità ambientale e sociale?
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I giovani possono cambiare le abitudini di spesa delle famiglie

Leonardo Becchetti* ed Enrico Giovannini**
mercoledì 19 giugno 2019 su Avvenire

E se i giovani dei Fridays for Future, che si sono mobilitati in tutto il mondo per chiedere agli adulti e alle istituzioni di ‘non rubargli il futuro’ e di costruire un domani sostenibile per il pianeta, coinvolgessero le proprie famiglie in Saturdays for Future, dedicati a cambiare le abitudini di spesa? Se, cioè, il sabato, il giorno successivo alla mobilitazione, quando oltre la metà delle persone fa abitualmente la spesa settimanale, si trasformasse per tutti nel giorno del ‘voto con il portafoglio’ a favore della sostenibilità ambientale e sociale?
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Noi crediamo che un impegno ‘generativo’ di questo tipo lancerebbe un fortissimo segnale al mondo economico e finanziario. Per questo, la nostra proposta è di cominciare i Saturdays For Future a settembre (il 21 o il 28, a seconda della data prescelta per il prossimo sciopero globale degli studenti per il clima), il che consentirebbe di preparare adeguatamente la giornata dedicata ‘al consumo e alla produzione responsabile’ di cui parla l’Obiettivo 12 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, il quale precede l’Obiettivo 13 dedicato alla lotta al cambiamento climatico.

I Saturdays for Future potrebbero aiutare i mercati e le imprese ad accelerare la transizione verso la sostenibilità, rendendo l’impegno per l’ambiente e il rispetto dei diritti dei lavoratori e delle comunità in cui esse operano economicamente conveniente. Un evento del genere segnerebbe la nascita di un nuovo potere dal basso e di un nuovo modo di fare economia. Che spingerebbe i media a non parlare solo della variazione degli indici finanziari, ma anche dell’azione mirata da parte di consumatori responsabili. Abbiamo dei meccanismi mentali, quasi automatici, che ci portano a pensare che tutto quello che accade nel sistema economico passi sopra le nostre teste senza che noi possiamo influire minimamente.

E crediamo che il cambiamento politico ed economico sia realizzato solo dal concorso della mano invisibile del mercato con quella visibile di un deus ex machina, un sovrano illuminato e benevolente (speriamo sempre che lo sia) che da solo e dall’alto cambia le cose. Per questo gran parte della nostra ‘attività sociale’ sta nella ricerca passiva di un leader che ci cavi le castagne dal fuoco. L’economia non funziona così e il progresso umano, sociale ed economico è qualcosa di molto più complesso. Se un meccanico può fare tutto da solo per riparare un’automobile e un buon medico per essere efficace ha invece bisogno del concorso del paziente, il bene politico ed economico è ancora più difficile da raggiungere perché le buone ricette non bastano, ma c’è bisogno del concorso degli stili di vita dei cittadini.

Gli obiettivi dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite ci parlano di un mondo ‘a quattro mani’. Impossibile raggiungere gli obiettivi su povertà, fame, ambiente, salute senza il concorso della ‘terza mano’ della cittadinanza attiva e della ‘quarta mano’ delle imprese responsabili che imparano a creare valore economico in modo sostenibile. Innescare il ‘cambiamento a quattro mani’ ha bisogno di una miccia accesa dal basso. Il mercato è fatto di domanda e offerta e noi cittadini/consumatori siamo la domanda. Senza le nostre scelte di consumo e risparmio l’economia si ferma. Se ne diventassimo tutti consapevoli e da domani imparassimo a ‘votare col portafoglio’ il mondo cambierebbe.

Gli ostacoli che si frappongono a questo sogno sono quattro: consapevolezza, informazione sulla sostenibilità dei prodotti, coordinamento delle scelte individuali e differenze di prezzo. Proprio per questo un Saturdays for Future sarebbe fondamentale e rappresenterebbe un gigantesco cash mob in grado di far crescere consapevolezza e informazione, con un’enorme esercitazione di coordinamento delle scelte.

Nessuno è così ingenuo da pensare che la terza e la quarta mano possano agire da sole. Ma sappiamo anche che la seconda mano della politica si muove sulla scia del consenso degli elettori. Se vogliamo che la seconda mano collabori e vari una serie di iniziative di policy già messe a fuoco dagli esperti (ecotasse sociali e ambientali, introduzione di indicatori di sostenibilità nei meccanismi di remunerazione dei manager e molto altro) un Friday for Future seguito da un Saturday for Future potrebbe dare una forte spinta al cambiamento, anche delle regole politiche, nella direzione di uno sviluppo sostenibile sul piano economico, sociale e ambientale.
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*Docente di Economia all’università di Tor Vergata, cofondatore della Scuola di economia civile
e direttore del Festival dell’economia civile

**Portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis) e già ministro e presidente dell’Istat
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- L’articolo e l’immagine in testa sono tratte dal sito web di Avvenire online.
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Referendum sull’acqua, otto anni fa
Emilio Molinari
sbilanciamoci
Sbilanciamoci, 21 Giugno 2019 | Sezione: Alter
Sono passati otto anni da quando 27 milioni di italiani, un popolo, si pronunciarono per l’acqua pubblica e ora il Parlamento sta per cancellare in sordina la legge di iniziativa popolare.

Sono passati otto anni e sembra un secolo per gente che ha perso la memoria. Eppure otto anni fa, il 12/13 di giugno, 27 milioni di italiani si pronunciavano per l’acqua pubblica.

Un popolo si recò alle urne, un popolo vero, non sospinto dai partiti che remavano tutti contro, non sollecitati dai talk show, quasi tutti altrettanto contro, solo popolo e comitati e autorganizzazione dal basso.

Otto anni non sono il “decennale” ma forse vale la pena lo stesso di celebrare questo anniversario, dal momento che il parlamento sta cancellando in sordina la nostra legge di iniziativa popolare.

Nel frattempo l’UNICEF e L’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che: 1 persona su 3 nel mondo non ha accesso ad acqua sicura da bere. Circa 2,2 miliardi di persone nel mondo non hanno servizi di acqua potabile gestiti in sicurezza, 4,2 miliardi non hanno bagni gestiti in sicurezza e 3 miliardi non hanno servizi di base per lavarsi le mani.

Si muore per questo, si scappa dal proprio paese per questo.

Forse m’illudo, ma è possibile promuovere una iniziativa pubblica, grande, con tutti coloro che hanno continuato a lavorare per l’acqua diritto Umano e bene Comune. Con gli intellettuali e gli artisti che generosamente ci diedero una mano. Con i ragazzi che chiedono di fermare il riscaldamento della terra, con il movimento ecofemminista delle donne, con chi mette in piazza con il Gay Pride centinaia di migliaia di persone, con chi si batte per i diritti degli emigranti, con i sindacati e i pensionati, con chi si riconosce nella Laudato SI’ di Papa Francesco. Con chi ha fede, con chi non ce l’ha e con chi per un verso o per l’altro vuole restare umano.

Perché non si può restare indifferenti di fronte a un simile scempio della vita e della democrazia.

Quelli dell’acqua hanno anticipato i grandi temi odierni dell’esaurirsi delle risorse idriche, del clima e delle emigrazioni ambientali. E detto da tempo: Salvare l’acqua è Salvare il Pianeta è Salvare la democrazia.

Salvare il ciclo dell’acqua che dà la vita, salvarlo dagli inquinamenti, dagli abusi del consumismo, dalle predazioni, dalle mani criminali delle multinazionali, dal degrado della politica e dall’indifferenza che genera mostri.

Senza retorica, credo che con il 12 Giugno del 2011 abbiamo fatto storia, cultura, linguaggio.

Abbiamo parlato a tutti, eliminato divisioni e creato ponti tra tante diversità.

Bisogna celebrarlo oggi, quel referendum, anche se ne resta poco, visti i risultati, ma se non altro per ricordarlo a chi l’acqua l’ha messa tra le sue 5 stelle e oggi governa ed è quindi doppiamente tenuto al rispetto della volontà popolare.

Celebrarlo, per dire a chi fa incrudelire il popolo per governare, che il popolo italiano sull’acqua “senza padroni e senza profitti”, si è già pronunciato unito: di destra, di sinistra, sovranista, europeista, uomo o donna e leghisti compresi. Solo popolo, solo umano.

Celebrarlo, per dire non solo ai dirigenti, ma al popolo del PD, che non serve scaricare in continuazione, dopo averli osannati, i propri segretari senza mai scaricare le devastanti politiche perseguite.

Interrogatevi una buona volta su quanto male avete fatto alla democrazia e a voi stessi, perseguendo la svendita di tutto ciò che è pubblico e boicottando il voto referendario. Cancellandolo avete perso una grande occasione per fermare la vostra deriva. Non avete capito che ciò che si manifestava con quel referendum così trasversale, così autonomo, era l’ultimo sussulto di umanità, di solidarietà, di comunità, che il nostro popolo esprimeva, prima di sprofondare nel livore, nell’egoismo, nel: prima gli italiani, prima casa mia, prima io.

Dite ai vostri dirigenti, pentiti di aver abbandonato le classi sociali meno abbienti, se non pensano debbano pentirsi per ciò che hanno determinato le privatizzazioni… e la devastazione dello stato sociale.

Smarcatevi da Salvini, sostenete la legge d’iniziativa popolare sull’acqua pubblica. Ripartite dalle città, dall’acqua, dal suo essere bene comune pubblico, dalla sua sicurezza che è la salute. Fatevi promotori dell’unica grande opera di civiltà e di cultura del diritto umano: quella di riparare la rete idrica italiana che perde il 60% dell’acqua, proprio dove è gestita privatamente, creando con questo nuovi posti di lavoro.

Le nubi di destra sovrastano il Paese? E’ vero e m’inquietano.

Ma aver distrutto nella gente ogni idea collettiva, ogni idea di cosa pubblica e svenduto ai privati beni e servizi fondamentali per vivere insieme, non c’entra forse con ciò che di nero si addensa all’orizzonte?

Ripensare dopo otto anni al referendum sull’acqua, vuol dire ripensare alla politica, quella vera, ripensare al popolo a quello della Costituzione.

Io non conto nulla, solo penso che finché mi regge il fiato ho il diritto di indignarmi per tanti errori e tanta indifferenza.