Monthly Archives: dicembre 2021

Carlo Maria Martini

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Gesù aveva una strategia politica?
“Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare a Dio quello che è di Dio” (Mt 22,21). Gesù rispose così alla domanda su come debbano
Essere suddivisi i poteri. La collaborazione tra istituzioni religiose e statali,tra associazioni umanitarie, singole imprese sociali e organizzazioni statali è importante. Abbiamo bisogno di tutte le forze, fino a quando non vi saranno più affamati.
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Come influisce la fede sulla politica?
[segue]

2022

pace
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ
PAPA FRANCESCO

PER LA LV GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2022

Dialogo fra generazioni, educazione e lavoro:
strumenti per edificare una pace duratura

1. «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7).

Le parole del profeta Isaia esprimono la consolazione, il sospiro di sollievo di un popolo esiliato, sfinito dalle violenze e dai soprusi, esposto all’indegnità e alla morte. Su di esso il profeta Baruc si interrogava: «Perché ti trovi in terra nemica e sei diventato vecchio in terra straniera? Perché ti sei contaminato con i morti e sei nel numero di quelli che scendono negli inferi?» (3,10-11). Per questa gente, l’avvento del messaggero di pace significava la speranza di una rinascita dalle macerie della storia, l’inizio di un futuro luminoso.

Ancora oggi, il cammino della pace, che San Paolo VI ha chiamato col nuovo nome di sviluppo integrale, [1] rimane purtroppo lontano dalla vita reale di tanti uomini e donne e, dunque, della famiglia umana, che è ormai del tutto interconnessa. Nonostante i molteplici sforzi mirati al dialogo costruttivo tra le nazioni, si amplifica l’assordante rumore di guerre e conflitti, mentre avanzano malattie di proporzioni pandemiche, peggiorano gli effetti del cambiamento climatico e del degrado ambientale, si aggrava il dramma della fame e della sete e continua a dominare un modello economico basato sull’individualismo più che sulla condivisione solidale. Come ai tempi degli antichi profeti, anche oggi il grido dei poveri e della terra [2] non cessa di levarsi per implorare giustizia e pace.

In ogni epoca, la pace è insieme dono dall’alto e frutto di un impegno condiviso. C’è, infatti, una “architettura” della pace, dove intervengono le diverse istituzioni della società, e c’è un “artigianato” della pace che coinvolge ognuno di noi in prima persona. [3] Tutti possono collaborare a edificare un mondo più pacifico: a partire dal proprio cuore e dalle relazioni in famiglia, nella società e con l’ambiente, fino ai rapporti fra i popoli e fra gli Stati.

Vorrei qui proporre tre vie per la costruzione di una pace duratura. Anzitutto, il dialogo tra le generazioni, quale base per la realizzazione di progetti condivisi. In secondo luogo, l’educazione, come fattore di libertà, responsabilità e sviluppo. Infine, il lavoro per una piena realizzazione della dignità umana. Si tratta di tre elementi imprescindibili per «dare vita ad un patto sociale», [4] senza il quale ogni progetto di pace si rivela inconsistente.

2. Dialogare fra generazioni per edificare la pace

In un mondo ancora stretto dalla morsa della pandemia, che troppi problemi ha causato, «alcuni provano a fuggire dalla realtà rifugiandosi in mondi privati e altri la affrontano con violenza distruttiva, ma tra l’indifferenza egoista e la protesta violenta c’è un’opzione sempre possibile: il dialogo. Il dialogo tra le generazioni». [5]

Ogni dialogo sincero, pur non privo di una giusta e positiva dialettica, esige sempre una fiducia di base tra gli interlocutori. Di questa fiducia reciproca dobbiamo tornare a riappropriarci! L’attuale crisi sanitaria ha amplificato per tutti il senso della solitudine e il ripiegarsi su sé stessi. Alle solitudini degli anziani si accompagna nei giovani il senso di impotenza e la mancanza di un’idea condivisa di futuro. Tale crisi è certamente dolorosa. In essa, però, può esprimersi anche il meglio delle persone. Infatti, proprio durante la pandemia abbiamo riscontrato, in ogni parte del mondo, testimonianze generose di compassione, di condivisione, di solidarietà.

Dialogare significa ascoltarsi, confrontarsi, accordarsi e camminare insieme. Favorire tutto questo tra le generazioni vuol dire dissodare il terreno duro e sterile del conflitto e dello scarto per coltivarvi i semi di una pace duratura e condivisa.

Mentre lo sviluppo tecnologico ed economico ha spesso diviso le generazioni, le crisi contemporanee rivelano l’urgenza della loro alleanza. Da un lato, i giovani hanno bisogno dell’esperienza esistenziale, sapienziale e spirituale degli anziani; dall’altro, gli anziani necessitano del sostegno, dell’affetto, della creatività e del dinamismo dei giovani.

Le grandi sfide sociali e i processi di pacificazione non possono fare a meno del dialogo tra i custodi della memoria – gli anziani – e quelli che portano avanti la storia – i giovani –; e neanche della disponibilità di ognuno a fare spazio all’altro, a non pretendere di occupare tutta la scena perseguendo i propri interessi immediati come se non ci fossero passato e futuro. La crisi globale che stiamo vivendo ci indica nell’incontro e nel dialogo fra le generazioni la forza motrice di una politica sana, che non si accontenta di amministrare l’esistente «con rattoppi o soluzioni veloci», [6] ma che si offre come forma eminente di amore per l’altro, [7] nella ricerca di progetti condivisi e sostenibili.

Se, nelle difficoltà, sapremo praticare questo dialogo intergenerazionale «potremo essere ben radicati nel presente e, da questa posizione, frequentare il passato e il futuro: frequentare il passato, per imparare dalla storia e per guarire le ferite che a volte ci condizionano; frequentare il futuro, per alimentare l’entusiasmo, far germogliare i sogni, suscitare profezie, far fiorire le speranze. In questo modo, uniti, potremo imparare gli uni dagli altri». [8] Senza le radici, come potrebbero gli alberi crescere e produrre frutti?

Basti pensare al tema della cura della nostra casa comune. L’ambiente stesso, infatti, «è un prestito che ogni generazione riceve e deve trasmettere alla generazione successiva». [9] Vanno perciò apprezzati e incoraggiati i tanti giovani che si stanno impegnando per un mondo più giusto e attento a salvaguardare il creato, affidato alla nostra custodia. Lo fanno con inquietudine e con entusiasmo, soprattutto con senso di responsabilità di fronte all’urgente cambio di rotta, [10] che ci impongono le difficoltà emerse dall’odierna crisi etica e socio-ambientale [11] .

D’altronde, l’opportunità di costruire assieme percorsi di pace non può prescindere dall’educazione e dal lavoro, luoghi e contesti privilegiati del dialogo intergenerazionale. È l’educazione a fornire la grammatica del dialogo tra le generazioni ed è nell’esperienza del lavoro che uomini e donne di generazioni diverse si ritrovano a collaborare, scambiando conoscenze, esperienze e competenze in vista del bene comune.

3. L’istruzione e l’educazione come motori della pace

Negli ultimi anni è sensibilmente diminuito, a livello mondiale, il bilancio per l’istruzione e l’educazione, considerate spese piuttosto che investimenti. Eppure, esse costituiscono i vettori primari di uno sviluppo umano integrale: rendono la persona più libera e responsabile e sono indispensabili per la difesa e la promozione della pace. In altri termini, istruzione ed educazione sono le fondamenta di una società coesa, civile, in grado di generare speranza, ricchezza e progresso.

Le spese militari, invece, sono aumentate, superando il livello registrato al termine della “guerra fredda”, e sembrano destinate a crescere in modo esorbitante. [12]

È dunque opportuno e urgente che quanti hanno responsabilità di governo elaborino politiche economiche che prevedano un’inversione del rapporto tra gli investimenti pubblici nell’educazione e i fondi destinati agli armamenti. D’altronde, il perseguimento di un reale processo di disarmo internazionale non può che arrecare grandi benefici allo sviluppo di popoli e nazioni, liberando risorse finanziarie da impiegare in maniera più appropriata per la salute, la scuola, le infrastrutture, la cura del territorio e così via.

Auspico che all’investimento sull’educazione si accompagni un più consistente impegno per promuovere la cultura della cura. [13] Essa, di fronte alle fratture della società e all’inerzia delle istituzioni, può diventare il linguaggio comune che abbatte le barriere e costruisce ponti. «Un Paese cresce quando dialogano in modo costruttivo le sue diverse ricchezze culturali: la cultura popolare, la cultura universitaria, la cultura giovanile, la cultura artistica e la cultura tecnologica, la cultura economica e la cultura della famiglia, e la cultura dei media». [14] È dunque necessario forgiare un nuovo paradigma culturale, attraverso «un patto educativo globale per e con le giovani generazioni, che impegni le famiglie, le comunità, le scuole e le università, le istituzioni, le religioni, i governanti, l’umanità intera, nel formare persone mature». [15] Un patto che promuova l’educazione all’ecologia integrale, secondo un modello culturale di pace, di sviluppo e di sostenibilità, incentrato sulla fraternità e sull’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente. [16]

Investire sull’istruzione e sull’educazione delle giovani generazioni è la strada maestra che le conduce, attraverso una specifica preparazione, a occupare con profitto un giusto posto nel mondo del lavoro. [17]

4. Promuovere e assicurare il lavoro costruisce la pace

Il lavoro è un fattore indispensabile per costruire e preservare la pace. Esso è espressione di sé e dei propri doni, ma anche impegno, fatica, collaborazione con altri, perché si lavora sempre con o per qualcuno. In questa prospettiva marcatamente sociale, il lavoro è il luogo dove impariamo a dare il nostro contributo per un mondo più vivibile e bello.

La pandemia da Covid-19 ha aggravato la situazione del mondo del lavoro, che stava già affrontando molteplici sfide. Milioni di attività economiche e produttive sono fallite; i lavoratori precari sono sempre più vulnerabili; molti di coloro che svolgono servizi essenziali sono ancor più nascosti alla coscienza pubblica e politica; l’istruzione a distanza ha in molti casi generato una regressione nell’apprendimento e nei percorsi scolastici. Inoltre, i giovani che si affacciano al mercato professionale e gli adulti caduti nella disoccupazione affrontano oggi prospettive drammatiche.

In particolare, l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga. A ciò si aggiunga che attualmente solo un terzo della popolazione mondiale in età lavorativa gode di un sistema di protezione sociale, o può usufruirne solo in forme limitate. In molti Paesi crescono la violenza e la criminalità organizzata, soffocando la libertà e la dignità delle persone, avvelenando l’economia e impedendo che si sviluppi il bene comune. La risposta a questa situazione non può che passare attraverso un ampliamento delle opportunità di lavoro dignitoso.

Il lavoro infatti è la base su cui costruire la giustizia e la solidarietà in ogni comunità. Per questo, «non si deve cercare di sostituire sempre più il lavoro umano con il progresso tecnologico: così facendo l’umanità danneggerebbe sé stessa. Il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale». [18] Dobbiamo unire le idee e gli sforzi per creare le condizioni e inventare soluzioni, affinché ogni essere umano in età lavorativa abbia la possibilità, con il proprio lavoro, di contribuire alla vita della famiglia e della società.

È più che mai urgente promuovere in tutto il mondo condizioni lavorative decenti e dignitose, orientate al bene comune e alla salvaguardia del creato. Occorre assicurare e sostenere la libertà delle iniziative imprenditoriali e, nello stesso tempo, far crescere una rinnovata responsabilità sociale, perché il profitto non sia l’unico criterio-guida.

In questa prospettiva vanno stimolate, accolte e sostenute le iniziative che, a tutti i livelli, sollecitano le imprese al rispetto dei diritti umani fondamentali di lavoratrici e lavoratori, sensibilizzando in tal senso non solo le istituzioni, ma anche i consumatori, la società civile e le realtà imprenditoriali. Queste ultime, quanto più sono consapevoli del loro ruolo sociale, tanto più diventano luoghi in cui si esercita la dignità umana, partecipando così a loro volta alla costruzione della pace. Su questo aspetto la politica è chiamata a svolgere un ruolo attivo, promuovendo un giusto equilibrio tra libertà economica e giustizia sociale. E tutti coloro che operano in questo campo, a partire dai lavoratori e dagli imprenditori cattolici, possono trovare sicuri orientamenti nella dottrina sociale della Chiesa.

Cari fratelli e sorelle! Mentre cerchiamo di unire gli sforzi per uscire dalla pandemia, vorrei rinnovare il mio ringraziamento a quanti si sono impegnati e continuano a dedicarsi con generosità e responsabilità per garantire l’istruzione, la sicurezza e la tutela dei diritti, per fornire le cure mediche, per agevolare l’incontro tra familiari e ammalati, per garantire sostegno economico alle persone indigenti o che hanno perso il lavoro. E assicuro il mio ricordo nella preghiera per tutte le vittime e le loro famiglie.

Ai governanti e a quanti hanno responsabilità politiche e sociali, ai pastori e agli animatori delle comunità ecclesiali, come pure a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, faccio appello affinché insieme camminiamo su queste tre strade: il dialogo tra le generazioni, l’educazione e il lavoro. Con coraggio e creatività. E che siano sempre più numerosi coloro che, senza far rumore, con umiltà e tenacia, si fanno giorno per giorno artigiani di pace. E che sempre li preceda e li accompagni la benedizione del Dio della pace!

Dal Vaticano, 8 dicembre 2021

Francesco

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[1] Cfr Lett. enc. Populorum progressio (26 marzo 1967), 76ss.

[2] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 49 .

[3] Cfr Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 231.

[4] Ibid., 218.

[5] Ibid., 199.

[6] Ibid., 179.

[7] Cfr ibid., 180.

[8] Esort. ap. postsin. Christus vivit (25 marzo 2019), 199.

[9] Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 159.

[10] Cfr ibid., 163; 202.

[11] Cfr ibid., 139.

[12] Cfr Messaggio ai partecipanti al 4° Forum di Parigi sulla pace, 11-13 novembre 2021.

[13] Cfr Lett. enc. Laudato si’ (24 maggio 2015), 231; Messaggio per la LIV Giornata Mondiale della Pace. La cultura della cura come percorso di pace (8 dicembre 2020).

[14] Lett. enc. Fratelli tutti (3 ottobre 2020), 199.

[15] Videomessaggio per il Global Compact on Education. Together to Look Beyond (15 ottobre 2020).

[16] Cfr Videomessaggio per l’High Level Virtual Climate Ambition Summit (13 dicembre 2020).

[17] Cfr S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Laborem exercens (14 settembre 1981), 18.

[18] Lett. enc. Laudato sì’ (24 maggio 2015), 128.

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Editoriale di aladinpensiero dell’8 settembre 2019.

Che succede?

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31 Dicembre 2021 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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Oggi venerdì 31 dicembre 2021

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2021 annus horribilis, ma potrebbe andare anche peggio! Ci consola solo Francesco
31 Dicembre 2021
Amsicora su Democraziaoggi
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Che anno orribile il 2021! Riprende a diffondersi in modo abnorme la pandemia. Super Mario, dai magici poteri, non è riuscito neanche a limitarla come invece aveva fatto il buon Conte. Siamo a quota 130.000, 156 morti al giorno! Cresce a dismisura e fra un po’ il Migliore dovrà arrendersi. Tirato da due forze uguali […]
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Verso l’anno nuovo

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NEL BAMBINO CHE NASCE

Carissimi,
il Natale ha portato quest’anno con sé una serie di provocazioni che aprono questioni e chiedono risposte di grande portata per tutti.
La prima provocazione è stata quella del naufragio dei migranti avvenuto la notte di Natale; se ne è accorto il giornalista Antonio Padellaro che, come usa “Il Fatto quotidiano” che chiede sempre conto ai furfanti delle loro malefatte, il 28 dicembre sul suo giornale ha chiesto conto a Dio di non aver proteso la sua mano per afferrare le manine dei bambini che affogavano nel Mediterraneo; per la risposta chiedeva a padre Spadaro, direttore della “Civiltà Cattolica”, di informarsene presso il papa Francesco. Non si era accorto però che nel messaggio natalizio il papa, ripetendo quanto aveva detto a Mytilene e in molte altre occasioni, già aveva fatto suo questo dramma invocando che non si restasse indifferenti di fronte a “immense tragedie che passano ormai sotto silenzio” quando “rischiamo di non sentire il grido di dolore e di disperazione di tanti nostri fratelli e sorelle”, a cominciare dai migranti, dai profughi e dai rifugiati i cui ”occhi ci chiedono di non girarci dall’altra parte, di non rinnegare l’umanità che ci accomuna, di fare nostre le loro storie e di non dimenticare i loro drammi”.
Ma il messaggio “urbi et orbi” del giorno di Natale si può prendere come una pietra miliare anche perché in questa occasione il papa, come nessun altro, ha fatto propri e ha chiesto di affrontare e porre fine a tutti i conflitti, le contraddizioni e le crisi in corso nel mondo intero: ed ha citato il popolo siriano, l’Iraq, i bambini dello Yemen, l’inimicizia tra israeliani e palestinesi, Betlemme, dove Gesù è nato, il Libano, il Medio Oriente, le popolazioni in fuga dalla loro patria, il popolo afgano, quello del Myanmar, colpito anche nella sua comunità cristiana e nei luoghi di culto, l’Ucraina dove si rischia che “dilaghino le metastasi di un conflitto incancrenito”, l’Etiopia, le popolazioni della regione del Sahel, i popoli dei Paesi del Nord Africa afflitti dalle divisioni, dalla disoccupazione e dalla disparità economica, i ”tanti fratelli e sorelle che soffrono per i conflitti interni in Sudan e Sud Sudan”, i popoli del continente americano perché prevalgano i valori della solidarietà, della riconciliazione e della pacifica convivenza, le vittime della violenza nei confronti delle donne, i bambini e gli adolescenti fatti oggetto di bullismo e di abusi, gli anziani, “soprattutto i più soli”, le famiglie, i malati, le popolazioni più bisognose cui far giungere i vaccini, i prigionieri di guerra, civili e militari, dei recenti conflitti, gli incarcerati per ragioni politiche, nonché le prossime generazioni perché, grazie alla nostra premura verso la casa comune, possano domani vivere in un ambiente rispettoso della vita. E tutto questo il papa non solo ha messo con la sua preghiera nella “mano di Dio” ma ha affidato alle nostre mani.
Certo se a Dio pensassimo come se dovesse fare tutto lui, la storia finirebbe e nella migliore delle ipotesi ci sarebbe solo un paradiso, “l’al di là”, ma senza l’uomo e la donna e la meravigliosa possibilità che essi hanno di fare il bene ed il male, di salvare e far crescere i bambini o di farli morire di abbandono, di miseria e di fame, di perpetrare stermini e genocidi o di dare la vita per la patria o per tutti i popoli, ciò che gli uomini possono fare in quanto sono fatti a immagine di Dio e della sua libertà, oltre ad essere una scintilla della sua ragione e della sua potenza.
Però questa concezione di un Dio tuttofare che “i post-teisti” o secondo il vecchio nome “gli atei”, definirebbero “teista”, è stata da tempo superata non solo dal cristiano riformato Bonhoeffer al prezzo del patibolo, ma dalla più accreditata teologia moderna oltre che dai Concili e dalle stesse Congregazioni vaticane; ed è un Dio ben diverso da quel modello tracotante quello nel cui nome il papa e il grande Imam musulmano ad Abu Dhabi, attribuendo alla “sapiente volontà divina” il disegno di una fratellanza universale e di un pluralismo anche religioso, hanno fatto appello a credenti e non credenti e alle loro istituzioni politiche religiose ed educative perché si facciano responsabili del bene e della pace di tutti difendendo ovunque il diritto degli oppressi e degli ultimi.
C’è da dire però che la concezione di un Dio “tappabuchi” e traboccante di onnipotenza non è nemmeno della Bibbia, dove certo ci sono molte pagine oggi inaccettabili, ma che non deve essere letta senza metodo critico, in modo fondamentalista e letterale, ciò che secondo la Commissione Teologica Internazionale sarebbe “un suicidio del pensiero”. Nello stesso libro di Giobbe Dio respinge le difese che di lui avevano fatto gli amici zelanti attingendo a piene mani dal repertorio biblico: Gregorio Magno, un grande predecessore di papa Francesco, li definisce “eretici”. Dice infatti papa Gregorio nel suo Commento morale a Giobbe che mentre “nella persona del beato Giobbe sono raffigurate le sofferenze del Signore e della Chiesa, i suoi amici simboleggiano gli eretici i quali, come spesso abbiamo detto, offendono Dio proprio mentre si sforzano di difenderlo”. Spiega infatti quel grande Padre della Chiesa, nella stessa opera, che “Giobbe significa . Egli è figura autentica del Servo sofferente, di Colui cioè che si è caricato dei nostri dolori… Egli è giustamente chiamato Servo, perché non disdegnò di assumere la condizione di schiavo. E, assumendo l’umiltà della carne, non sminuì la propria maestà, perché assumendo ciò che voleva salvare e conservando ciò che era, l’umanità non sminuì la divinità né la divinità assorbì l’umanità”; divinità che non ha dunque niente a che fare con quella mondana del Dio “teista” che la modernità oggi giustamente rifiuta.
Possiamo intanto citare come ricca di speranza la visione proposta da Tomaso Montanari che, rifacendosi anche ad Hannah Arendt, parla del Natale come della possibilità che ci è data di “attendere l’inattendibile”, perché in ogni bambino che nasce si apre la speranza che “quella vita cambi tutto”, e l’ingiustizia non abbia la vittoria definitiva”; e anche riferire l’emozione di una partoriente al pensiero che la sua bambina che nasce “avrà un fratello importante e dolce come Gesù”.
Ci sono state in questo Natale altre provocazioni stimolanti, come la vittoria del giovane Gabriel Boric, venuto a liquidare l’eredità di Pinochet in Cile, la morte del grande vescovo sudafricano Desmond Tutu e quella del filosofo francese Jean Marie Muller che ci ripropongono l’uno il lascito della fraternità e dell’integrazione razziale, l’altro la lezione gandhiana della non violenza; ma c’è anche da recepire il messaggio espresso nella conferenza stampa di Putin per un miglioramento delle relazioni internazionali a cominciare da quelle con gli Stati Uniti e il giusto monito a non estendere la NATO ai Paesi dell’Est europeo portando fin sulla soglia della Russia l’intimidazione delle sue armi nucleari; e c’è anche da prendere sul serio e dare riscontro all’inatteso invito di Putin all’Italia di farsi mediatrice di buone relazioni tra la Russia e l’Occidente, in nome di una amicizia ormai consolidata. Ed è vero?
Dunque, tutto considerato, un Natale da ricordare.
Con i più cordiali saluti,

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 58 del 29 dicembre 2021

PROVOCAZIONI NATALIZIE
[segue]

Oggi giovedì 30 dicembre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———
Specialità sarda: battersi per un nuovo Statuto o lasciar perdere?
30 Dicembre 2021
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
(…) Che fare? Tornare – come si diceva – a Lussu, a Gramsci e sù sù, a Giommaria, ad un’ipotesi federalista da calibrare col mutato quadro nazionale ed europeo o, alla luce dell’esperienza dell’autonomia, questa è un’idea insensata? Sennonché la follia non sta nel pensare che, per cambiare, occorre risalire al pensiero dell’Alternos di fine ‘700, quanto nell’osservare la situazione attuale. Riguardo ai partiti siamo tornati ad una situazione simile a quella precedente all’ingresso dei sardi, come popolo, nella storia. Oggi non ci sono più i soggetti del cambiamento, i partiti strutturati, cosicché – si ripete – esiste una storia, meglio una cronaca, della Sardegna come cronaca di chi sull’isola comanda, ma non una storia del popolo sardo. Questo, dopo una breve apparizione, è di nuovo scomparso e non si vedono indizi per una rapida riemersione. A quando il rientro nella storia? Solo allora si potrà riprendere credibilmente il discorso istituzionale e, chissa!, anche sul federalismo. Ora è meglio lasciare il testo della Carta com’è, è saggio fare come Lussu in Assemblea costituente: votò lo Statuto sardo per paura del peggio. Si accontentò di avere un gatto, anziché il leone cui aspirava. Per noi il pericolo è più grande: perdere anche il gatto e tenerci un pugno di mosche.
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Tonino Dessì, nel suo bel post di ieri, riassume le reazioni alla decisione della Consulta sulla legge regionale che, derogando alle norme di tutela di ambiti ambientali particolarmente delicati, sembra insidiare in particolare le zone umide adiacenti ai centri abitati e segnatamente alla conurbazione cagliaritana. Da un lato […]

Con il nonno e l’agnellino all’alba di un nuovo anno

4dd1f1f0-8dd4-4236-a124-eb302f063b6e62d905fa-8e8e-4506-8904-a2d8dca8b0351951 Notte di San Silvestro
di Gianni Pisanu
La conoscenza fra mio nonno e “tiu Pedrigheddu” risaliva agli anni terribili della grande guerra. Erano tornati vivi e dopo quasi quarant’anni non si erano persi di vista. ​Tiu Pedrigheddu era un pastore di Thiesi ed aveva l’ovile a Baddemanna, a monte della cantoniera di Pianu. Non era sposato e aveva con sé due nipoti che lo aiutavano nella cura del gregge, era proprietario oltre che del grosso gregge anche delle terre dove teneva stabilmente l’ovile e questo gli consentiva di evitare la transumanza. Insomma tiu Pedrigheddu era uno che stava bene. Era un ometto minuto sempre vestito di nero, con la camicia bianca, le scarpe a polacchina, e un berretto di quel materiale nero lucido uguale a quello dei capelli dei monsignori, ma forse quello era l’abbigliamento dei giorni di festa o per le occasioni. Una volta al mese veniva a fare visita a mio nonno, o quanto meno, se era diretto a Sassari, scendeva dalla corriera e nel salutare dava appuntamento per il pomeriggio quando, al ritorno poteva fare una sosta di un paio d’ore prima di prendere l’ultima corriera con destinazione Ozieri che passava per la cantoniera. [segue]

CHE SUCCEDE?

c3dem_banner_04CASTAGNETTI, BINDI E LA SINISTRA. I PARTITI E IL NOSTRO FUTURO
29 Dicembre 2021 by Giampiero Forcesi | SU C3DEM
[segue]

35ma Marcia della pace “Educazione, lavoro, dialogo tra 35ma Marcia della pace “Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura”

03d4f191-3960-4ca8-94e7-ee6b12d6b633Carissimi
La 35ma Marcia della pace “Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura” si svolgerà on line mercoledì 29 dicembre 2021, alle ore 15. [segue]

Oggi mercoledì 29 dicembre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———
Fra autonomia e tutela paesaggistica, luci e ombre dopo la sentenza della Corte costituzionale del 23 dicembre
29 Dicembre 2021
Tonino Dessì su Democraziaoggi.

Sono piuttosto sconcertato dalle valutazioni che leggo sulla stampa in relazione alla sentenza dello scorso 23 dicembre con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 1 della legge regionale sarda 13 luglio 2020 n. 21.
Gli uffici regionali che hanno predisposto la nota pubblicata dall’Assessore dell’urbanistica Quirico Sanna e […]
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America America

biden-mediciLO SPETTRO DELLE LEGISLATURE SULL’ELEZIONE PRESIDENZIALE
di Marino de Medici
La strategia di Donald Trump per la rielezione nel 2024 non
è un segreto ma é chiara e lampante. Ha pure un nome:
“legislatura indipendente degli stati”. In altre parole: le
legislature degli stati possono ottenere il controllo “plenario”, ossia esclusivo, delle norme valide per la scelta degli “elettori
presidenziali”. In pratica, ogni legislatura avrebbe a sua
disposizione una base legale per annullare il risultato
dell’elezione e potrebbe procedere a nominare gli “elettori”
che preferisce. E’ uno spettro che grava sul sistema
elettorale americano nel senso che una legislatura statale
avrebbe il potere di imporre le sue norme elettorali in una
sconvolgente interpretazione dell’Articolo II della Costituzione. [segue]

La 35a marcia sarda della Pace va online

03d4f191-3960-4ca8-94e7-ee6b12d6b633Carissimi
La 35ma Marcia della pace “Educazione, lavoro, dialogo tra le generazioni: strumenti per edificare una pace duratura” si svolgerà on line mercoledì 29 dicembre 2021, alle ore 15. In seguito all’approvazione dell’ultimo decreto legge del Governo contenente le nuove norme per arginare il contagio da Covid-19 nelle festività, il Comitato promotore, insieme alla Delegazione regionale Caritas Sardegna, alla Caritas diocesana di Ales-Terralba, alla Caritas diocesana di Cagliari, al CSV Sardegna Solidale e al Comune di Sanluri, ha stabilito infatti l’annullamento dell’iniziativa in presenza a Sanluri, e lo svolgimento di quest’ultima in modalità online. [segue]

Che succede?

c3dem_banner_04LE BUONE RAGIONI PER PORTARE DRAGHI AL QUIRINALE

27 Dicembre 2021 su C3dem.
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Oggi martedì 28 dicembre 2021

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———
Tre ricordi e un impegno. In memoria di Bell Hooks, Jean-Marie Muller, Desmond Tutu, per la liberazione di Leonard Peltier
28 Dicembre 2021
Beppe Sini su Democraziaoggi
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Il “Centro di ricerca per la pace, i diritti umani e la difesa della biosfera” di Viterbo ci invia queste note che volentieri pubblichiamo.
Nel giro di pochi giorni sono scomparse tre persone la cui azione, le cui opere, la cui testimonianza, molto hanno contato per noi.
Il 15 dicembre è morta la pensatrice e militante […]
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Oltre

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Uscire dalla pandemia: 10 spunti per guardare avanti
27/12/2021 – Gianni Tognoni* Su Volerelaluna.
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In un mondo globale con un’autocoscienza di onnipotenza e di crescita programmabile secondo modelli lineari di un neo-colonialismo economico e culturale, l’irruzione di una pandemia infettiva, con sapore antico, si è tradotta in un’esperienza di impotenza-ignoranza rispetto a qualcosa che si temeva da sempre ma a cui non si voleva credere: un attacco terroristico alle Torri Gemelle della scienza e dell’economia. Era quasi implicito il rischio di una risposta, più o meno ritardata, nei termini già sperimentati di una guerra travestita da affidamento alla sicurezza, con rimedi di chiusura che mimavano in chiave moderna quelli delle pesti medievali. I punti che seguono provano a rileggere la storia di questi due anni a partire dal settore specifico più immediato e visibile della pandemia ‒ la salute-sanità ‒ ma avendo come obiettivo quello di guardare a un futuro che, come in tutte le guerre, è annunciato in termini densi di preoccupazioni, ma soprattutto di promesse di cambiamenti in vista di un mondo “altro”. Chiamare le cose per nome è un passo indispensabile per sapere quali sono, se ci sono, i vincitori di questa guerra (le vittime sono certe, non nei numeri, ma nella tragicità non conclusa…) che, per definizione, diventano i decisori del futuro.

1.

Dal punto di vista della “scienza medica” la pandemia di per sé era uno dei campi di ignoranza-impotenza che si incrociano nel rapporto tra salute e rischi di malattia-morte. Allo stesso modo in cui un tempo il tumore era vissuto come un male incurabile e la sofferenza psichica come disordine da contenere-punire (magari con psicofarmaci più o meno sintomatici e isolamenti: la demenza riproduce ora il problema per il popolo degli anziani). Poi l’AIDS era stata una prova generale, finché la ricerca non ha prodotto un’area nuova di intervento-controllo cronico (in collaborazione con interventi sociali e culturali importanti, anche se non perfetti, per quanto riguarda i diritti delle persone).

2.

La novità determinante della pandemia era la rapidità e il non sapere quasi nulla del nemico: dipinto come una variante dell’influenza, con il suo peso di “morti in eccesso”, soprattutto per popolazioni in condizioni precarie e diversificate di fragilità. “Per fortuna” (non lo si diceva così, ma lo si constatava, non solo in Italia) il picco di visibilità e di gravità era nella popolazione anziana, non produttiva, già in qualche modo “destinata” e nelle periferie delle tante diseguaglianze.

3.

Come in tutte le guerre, con destini incerti e senza vincitori in vista, l’unico segnale di vita e di speranza di futuro si traduce nella segnalazione degli eroismi che vanno al di là delle attese e che – si garantisce e promette solennemente – avranno riconoscimenti culturali, politici ed economici che saranno la risposta democratica e di civiltà della “comunità internazionale”. La calamità – si riconosce da tutte le parti, e spesso perfino con toni dispiaciuti – ha messo in evidenza il come, il quanto e le responsabilità di sistemi sociopolitici che dappertutto (e strutturalmente in Italia) erano in un più o meno esplicito stato di smantellamento (o, più banalmente, di “assenza” nel mondo dei paesi altri, previsti come tali nei modelli di sviluppo neocoloniali).

4.

Il riconoscere che si è tutti nella stessa barca in un mare in tempesta diventa un mantra condiviso, con il proliferare di dichiarazioni internazionali di solidarietà che sembrano trasformare la globalizzazione in un laboratorio in cui sperimentare nuove forme di convivenza: la salute-sanità è il settore dove si dovrà e potrà maggiormente condividere il diritto universale di nuovi “rimedi”, non appena questi saranno prodotti da una ricerca dove la competizione sarà sostituita da una conoscenza senza barriere e confini. Sottaciuta e negata è la constatazione che nulla lascia prevedere cambiamenti a livello di un’economia paralizzata nelle sue catene di distribuzione di beni, trasporti, produzioni che non si mette in discussione nei suoi dogmi. Solo la voce di Francesco, in una piazza San Pietro buia, silenziosa, nella pioggia trova i toni per esprimere il bisogno di una “conversione” di sguardo e di comportamenti. La pandemia sanitaria rivela drammaticamente di essere una sindemia: prodotto del sommarsi-esprimersi di pandemie – sociali, economiche, ambientali, politiche – per le quali nessuna ricerca di “vaccini” sembra prevista.

5.

L’annuncio, simbolicamente e concretamente fatto a livello non sanitario ma finanziario da un attore “privato” (una delle industrie farmaceutiche più rappresentative del mercato duro e puro, la Pfizer), di aver trovato un vaccino cambia di colpo lo scenario: la scienza ha fatto il miracolo. Tutto è rimesso in gioco. Non c’è più bisogno di conversioni culturali e tanto meno economiche. Se la pandemia sanitaria ha un rimedio (e gli annunci di altri vaccini si moltiplicano, nei modi più diversi, e meno controllati), tutto il resto non conta più: la guerra ha il suo vincitore, che detta le regole del gioco. Che sono le stesse del “prima”: senza se e senza ma. L’umanità che si era trovata a essere migrante rispetto alle sue certezze e aveva promesso di fare della salute un bene comune, può essere destinata al destino dei migranti (quelli veri, che hanno continuato a morire come e più di sempre): non-umani, dipendenti dalla sicurezza delle leggi del mercato, titolari di diritti solo se cittadini dei paesi e dei sistemi sanitari che possono pagare, perché anche i costi assolutamente sproporzionati, e senza sconti, non si toccano.

6.

La storia dei vaccini – che continua immutata producendo vittime senza nome e senza numero: vero, programmato, impunito “genocidio per diseguaglianza” – è troppo nota e documentata in tutti i suoi dettagli per aver bisogno di essere raccontata. Testimonia meglio di ogni altro indicatore che il “dopo” della pandemia è la copia fedele del “prima”. La salute (cioè il diritto alla vita e alla dignità) è ritornata ad essere indicatore della in-civiltà del mondo globale. I produttori, privati, nella piena connivenza degli Stati, sono gli unici protagonisti: direttamente, imponendo al pubblico spese che violano impunemente perfino le regole minime del mercato, e ancor di più per ridare il vero green pass (senza obbligo o possibilità di vaccini) a tutti gli attori, mediatori, strumenti, paradigmi di una società della diseguaglianza.

7.

È tempo di smettere di fare della pandemia virale il paravento informativo, emotivo, operativo con cui si garantisce clandestinità, o al massimo tempi e spazi contingentati, agli scenari strutturali promessi (e finanziati) del PNRR. La guerra in Afghanistan (e altrove: condotta con l’accordo “dovuto” dei paesi NATO) non è stata un “dopo” di maggiore democrazia: anzi. E non c’era bisogno di 20 anni per fare un bilancio. Covid-19, con tutte le sue varianti, è solo “una” delle aree critiche della sanità e della società. Il suo spazio mediatico non è solo un pessimo servizio informativo. È un’irresponsabile manipolazione culturale, oltre che una cortina fumogena per una politica che si dichiara sempre e solo preoccupata di dati sanitari la cui comunicazione, anche quando vuol “colpire”, continua a essere patetica e insieme arrogante: uno spettacolo di finti dibattiti, che documentano drammaticamente, da un lato, l’inesistenza di una collettività scientifica che si prenda la responsabilità (indipendente e critica) di produrre informazioni essenziali e orientate seriamente e non a far propaganda ai singoli, dall’altro, la disponibilità trasversale (di parti politiche e competenze: economiche, giuridiche, filosofiche, più o meno mescolate) a imporre un disegno, di governo oltre che di cultura, teso a non portare in primo piano, in modo conflittuale e sistematico, quegli aspetti del “prima” che stanno dimostrando il loro rafforzamento ed esigerebbero un cambiamento.

8.

Il nucleo di quello che l’eroismo sanitario aveva fatto sognare fosse un “dopo” della società era, e rimane, quello: ri-conoscere lo statuto di beni-diritti inviolabili, e perciò di attenzione prioritaria della politica, della economia, del dibattito pubblico quei “bisogni inevasi di uguaglianza e dignità” che sono (anche costituzionalmente) oggetto obbligatorio di ricerca. È ora che per la sanità si vedano chiaramente i piani: la Lombardia ha già detto che, nel “prima”, tutto era così positivo da dover essere confermato per il dopo; il privato, che nessuno si sogna di indicare come problema, deve essere il protagonista del futuro, lasciando al pubblico i carichi assistenziali non attraenti per il mercato; come saranno le Regioni nella loro diversità? dove e come creare continuità tra sanità, ambiente, lavoro, non-autonomia di vita? Non ha senso – meglio, è irresponsabile – continuare in dibattiti sui vaccini, fingendo di fare informazione sanitaria o addirittura “scientifica”, e non avere tempo e risorse per una trasparenza informativa sul presente-dopo della scuola, nella infinita diversità dei contesti sociali e geografici, del personale, dei contenuti.

9.

Gli anni della pandemia sono stati scuola massificata di disinformazione sul ruolo della scienza nella società. L’attenzione obbligata agli aspetti medici (tradotti nell’ossessività acritica dei bollettini, degli algoritmi e di dibattiti più o meno arbitrari) è stata un altro pericoloso paravento di cui disfarsi: la preoccupazione per l’affidabilità delle decisioni prese sulla pandemia ha favorito la illusione-percezione che le decisioni economico-finanziarie, infinitamente più pesanti in termini di conseguenze sulla vita delle persone e della collettività, passino allo stesso vaglio di “scientificità”. Non si spiega altrimenti – se non con ignoranza colpevole o malafede – la scomparsa dalla pianificazione-valutazione di aree “critiche” (molto più della sanità e dei vaccini) come quelle dell’ecologia, dell’energia, dei territori e come il ruolo di confronti pubblici, locali e generali, sui rapporti benefici/rischi, costi/efficacia, ampliamenti/restrizioni delle libertà personali e via elencando. Gli obblighi di trasparenza, l’impatto della politica sulla vita, il futuro delle società eccetera devono trovare almeno altrettanto spazio nei settori non sanitari: con più robustezza di confronti-conflitti, con più preoccupazione per il rispetto dei diritti fondamentali delle persone e nella definizione dei beni-comuni. Ciò che rilancia la critica e l’appello alle categorie-competenze, come quelle del diritto e dell’economia, a non accettare-subire, con il silenzio o la reticenza, il ruolo di paraventi rispetto a un futuro che non può più essere pensato come lineare.

10.

Come per la gran parte dei problemi “pandemici”, la pandemia virale è un prodotto “sistemico”. Con il vantaggio di avere, per cercare soluzioni, tanti vaccini. E addirittura una promessa di farmaci. Vantaggio che richiede una continuità di ricerca medica (come per altre aree mediche: l’ambito tumorale è un esempio). Ma ci sono patologie ancora più gravi, cui si cambia il nome per non associarvi subito anche il rimedio, che non chiede ricerca, ma civiltà: come la fame, che la medicina traveste come “malnutrizione severa”. I vaccini per le altre pandemie che si sono menzionate sono noti: culturalmente “registrati”, parte della storia che si vive. Si chiamano diritti: umani, dei popoli, costituzionali. Non si possono comprare nel “libero mercato”. Stanno sempre più diventando un’emergenza, per la quale non si discute nemmeno (come alla vigilia di Covid-19) di preparedness o preparazione. Il primo laboratorio obbligato è a portata di lotta-ricerca: il PNRR, in tutti i suoi pilastri (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2021/12/07/dove-ci-porta-il-piano/). Incominciando magari dalla sanità come indicatore-verifica di praticabilità concreta: anche perché se la si discute (includendo la salute, e magari perfino la cura) la sanità fa incrociare senz’altro tutte le pandemie per le quali si attende un dopo.
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*Gianni Tognoni, medico, è esperto di epidemiologia clinica e comunitaria. E’ stato direttore del Consorzio Negri Sud. Attualmente opera nel Dipartimento di Anestesia-Rianimazione e Emergenza-Urgenza , Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano. E’ presidente del Comitato Etico, Università Bicocca, Milano.