Monthly Archives: febbraio 2022

No alla guerra!

com-rwmCOMUNICATO STAMPA
Ciò che tutti sembravano ritenere assurdo questa notte è accaduto: è iniziata una nuova guerra tra paesi grandi e potenti, dotati delle armi più distruttive e appoggiati da altri paesi, anch’essi grandi e potenti. Non ultima l’Europa, non ultima l’Italia.
È la disfatta della diplomazia, dell’ONU, delle relazioni internazionali e, in definitiva, della Ragione.
Tutte le parti in causa sembrano aver messo da parte gli strumenti della razionalità.
“Alienum est a ratione” scriveva Giovanni XXIII nella Pacem in Terris, a proposito del folle uso della guerra in un mondo capace di autodistruggersi, già nel 1963.
Rinunci Putin a prendersi con la forza i territori ucraini, rinunci la NATO ad affermare sé stessa con la forza. Nessuno dei contendenti ha qualcosa da guadagnare lecitamente da un nuovo conflitto: solo i mercanti d’armi incrementano i loro affari con la guerra. (Segue)

No alla guerra! Il messaggio del Vescovo di Cagliari.

314ff842-56c0-4862-9fce-431e10db1428Messaggio dell’Arcivescovo di Cagliari per la pace in Ucraina https://www.chiesadicagliari.it/2022/02/25/messaggio-arcivescovo-pace-in-ucraina/?fbclid=IwAR2l-G6_q_Pj1Zgb9cYzWO5OixpJQ95HcGak5q8lhWCAZOIN22zVPrjuZAs

Che succede?

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UCRAINA E RUSSIA, IL PESO DELLA STORIA, IL DIRITTO A UN NUOVO FUTURO
23 Febbraio 2022 su C3dem
(Segue)

Pace in Terra! “ La guerra è il massacro di persone che non si conoscono, per conto di persone che si conoscono ma non si massacrano”.

Visto il precipitare della situazione in Ucraina il coordinamento provinciale “Prepariamo la Pace” è convocato urgentemente questo pomeriggio alle ore 18 00 presso la sede della Confederazione Sindacale Sarda in via Marche 9, Cagliari.
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Oggi giovedì 24 febbraio 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni————-
Governo e maggioranza, qualcosa sta cambiando in profondità
24 Febbraio 2022
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
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La rielezione di Mattarella alla Presidenza della Repubblica ha impedito una crisi democratica nel nostro paese, ma la situazione non è tornata quella di prima, come se nulla fosse cambiato. Mattarella non cercava il reincarico e Draghi era il candidato più forte a sostituirlo. Non ce l’ha fatta perché è prevalsa la preoccupazione che […]
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CHI CI GUADAGNA CON LA CRISI IN UCRAINA

CHI CI GUADAGNA CON LA CRISI IN UCRAINA
23 FEBBRAIO 2022 / RANIERO LA VALLE / DISIMPARARE L’ARTE DELLA GUERRA /
L’industria delle armi ha bisogno che i suoi prodotti siano testati sul terreno, altrimenti la pubblicità non funziona. Perciò ogni tanto sono necessarie vere e proprie guerre

Jake Lynch
(segue)

Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri

costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

Newsletter n. 65 del 23 febbraio 2022

DAL CONFLITTO SULLA SOVRANITÀ DEGLI STATI AL CONFLITTO SUL DIRITTO DEI POPOLI

Care amiche ed amici,
Con l’azzardo di Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Luhansk (Donbass) la crisi ucraina cambia natura e da conflitto sulla sovranità degli Stati diventa un conflitto sul diritto e la liberazione dei popoli. Se finora la disputa era sul diritto sovrano dell’Ucraina a entrare nella NATO senza doverne rispondere ad alcuna istanza superiore ad essa e sul diritto della Russia a muovere le sue truppe dentro i suoi confini per essere pronta a difendersi, la mossa di Putin introduce un elemento nuovo che mette al centro della crisi non più solo gli Stati ma i popoli; da un lato infatti è in gioco il diritto del popolo russo a non avere sulla porta di casa missili nemici capaci di raggiungere Mosca in trenta secondi, dall’altro il diritto dei popoli del Donbass a rimettere in discussione il proprio status nel contesto degli altri popoli e di un potere centrale percepito come oppressivo e intenzionato ad espropriarli della loro identità e della loro cultura, dalla lingua alle tradizioni e alla stessa Chiesa ortodossa che si vorrebbe autonoma dal patriarcato di Mosca. Ed è sui popoli che ricadono le conseguenze dell’aggravarsi della crisi non solo per le minacce di guerra ma già per le “sanzioni” annunciate da Biden con l’esplicita intenzione di provocare “dolore” nelle popolazioni che ne saranno colpite (ma non nella sua), sanzioni che saranno, come ha detto il presidente americano, quali la Russia non ha mai subito prima; esse peraltro colpiranno anche l’Europa e noi. Per questo le reazioni sono altrettanto devastanti delle azioni, e si innestano in una spirale perversa che ha preso avvio dall’internazionalizzazione del conflitto interno dell’Ucraina fino al coinvolgimento della NATO e quindi alla trasformazione del conflitto politico in conflitto militare potenzialmente mondiale.
Il mondo assiste attonito al precipitare degli eventi mentre sul territorio il doloroso esodo degli abitanti in fuga incrocia il movimento temerario delle armate.
Questo cambiamento della natura del conflitto avrebbe dovuto comportare una diversa reazione degli Stati ad esso estranei e della stessa comunità mondiale; la reazione ragionevole sarebbe quella primaria di escludere la guerra, promuovere un vero negoziato ed esigere che la volontà dei popoli coinvolti sia urgentemente e debitamente accertata con un controllo internazionale adeguato. Purtroppo le reazioni dell’Occidente sono state finora quelle tradizionali degli Stati che non fanno altro che identificare il nemico e contemplare come esito finale la guerra.
Nel prendere atto della mutata natura del conflitto bisognerebbe invece tener conto di due cose. Anzitutto non ignorare le gravissime accuse mosse dal presidente russo al potere statale dell’Ucraina responsabile di una gestione della cosa pubblica riassumibile nella denuncia agostiniana dei regni della terra quando, senza giustizia, sono solo dei grandi ladrocini. In secondo luogo bisogna uscire dalla falsa alternativa tra una resa dell’Occidente o una sua inflessibile reazione fino alla guerra. Finora la risposta, coerente alla cultura di Biden, ha solo a che fare coi soldi ed è rivolta allo strangolamento dell’economia e al blocco delle forniture di gas; ma la difesa militare “di ogni centimetro dell’Ucraina”, come è stato promesso, sarebbe, per dirla con papa Giovanni, “fuori della ragione”. Tutte le guerre intraprese dall’Occidente dopo la seconda guerra mondiale sono state del resto perdenti e sbagliate, dal Vietnam alle guerre del Golfo (infatti ce ne sono volute due), dalla guerra contro la Iugoslavia, addirittura appaltata alla NATO, all’Afghanistan; per non parlare della guerra contro i migranti combattuta alzando muri e reticolati ai confini, negando l’approdo nei porti o perfino finanziando i lager libici; ma quest’ultima guerra, a partire dal cuore dell’Europa, potrebbe essere veramente quella “finale”. Al contrario non sarebbe “una resa” quella che si facesse carico della salvezza dei popoli e costruisse un’alternativa che ne riconoscesse i diritti fondamentali.
L’affermazione del diritto all’autodeterminazione e alla liberazione dei popoli vanta in Italia una ricca tradizione, dalle iniziative di Lelio Basso al Tribunale permanente dei popoli a “Costituente Terra”. Certamente tale diritto deve essere contemperato col valore della stabilità dei confini ed essere esercitato con metodi negoziali e non violenti, e con le necessarie cautele e garanzie per evitare derive populiste e antistatali. Ma senza dubbio uscire in avanti dalla terribile crisi in atto, in alternativa agli automatismi della contrapposizione e della vendetta, sarebbe un passo importantissimo verso un mondo più equo, come quello che era stato sognato alla fine della guerra fredda, quando si era parlato di “un dividendo della pace” e di un mondo “libero dalle armi nucleari e nonviolento”. Quelle speranze sono state stracciate, benché nel frattempo il mondo sia entrato in un’epoca nuova, e non solo per il clima; ma purtroppo non se ne sono accorti i responsabili delle nazioni. È questo il tempo di riprenderle e realizzarle.
Pubblichiamo nel sito un articolo sulle industrie delle armi come le vere beneficiarie della crisi in Ucraina.
Cordiali saluti,

www.costituenteterra.it

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logo76Newsletter n. 250 del 23 febbraio 2022

IL DOLORE DEI POPOLI

Carissimi,
Con l’azzardo di Putin di riconoscere l’indipendenza delle repubbliche di Donetsk e Luhansk (Donbass) la crisi ucraina cambia natura e da conflitto sulla sovranità degli Stati diventa un conflitto sul diritto e la liberazione dei popoli. Se finora la disputa era sul diritto sovrano dell’Ucraina a entrare nella NATO senza doverne rispondere ad alcuna istanza superiore ad essa e sul diritto della Russia a muovere le sue truppe dentro i suoi confini per essere pronta a difendersi, la mossa di Putin introduce un elemento nuovo che mette al centro della crisi non più solo gli Stati ma i popoli; da un lato infatti è in gioco il diritto del popolo russo a non avere sulla porta di casa missili nemici capaci di raggiungere Mosca in trenta secondi, dall’altro il diritto dei popoli del Donbass a rimettere in discussione il proprio status nel contesto degli altri popoli e di un potere centrale percepito come oppressivo e intenzionato ad espropriarli della loro identità e della loro cultura, dalla lingua alle tradizioni e alla stessa Chiesa ortodossa che si vorrebbe autonoma dal patriarcato di Mosca. Ed è sui popoli che ricadono le conseguenze dell’aggravarsi della crisi non solo per le minacce di guerra ma già per le “sanzioni” annunciate da Biden con l’esplicita intenzione di provocare “dolore” nelle popolazioni che ne saranno colpite (ma non nella sua), sanzioni che saranno, come ha detto il presidente americano, quali la Russia non ha mai subito prima; esse peraltro colpiranno anche l’Europa e noi. Per questo le reazioni sono altrettanto devastanti delle azioni, e si innestano in una spirale perversa che ha preso avvio dall’internazionalizzazione del conflitto interno dell’Ucraina fino al coinvolgimento della NATO e quindi alla trasformazione del conflitto politico in conflitto militare potenzialmente mondiale.
Il mondo assiste attonito al precipitare degli eventi mentre sul territorio il doloroso esodo degli abitanti in fuga incrocia il movimento temerario delle armate.
Questo cambiamento della natura del conflitto avrebbe dovuto comportare una diversa reazione degli Stati ad esso estranei e della stessa comunità mondiale; la reazione ragionevole sarebbe quella primaria di escludere la guerra, promuovere un vero negoziato ed esigere che la volontà dei popoli coinvolti sia urgentemente e debitamente accertata con un controllo internazionale adeguato. Purtroppo le reazioni dell’Occidente sono state finora quelle tradizionali degli Stati che non fanno altro che identificare il nemico e contemplare come esito finale la guerra.
Nel prendere atto della mutata natura del conflitto bisognerebbe invece tener conto di due cose. Anzitutto non ignorare le gravissime accuse mosse dal presidente russo al potere statale dell’Ucraina responsabile di una gestione della cosa pubblica riassumibile nella denuncia agostiniana dei regni della terra quando, senza giustizia, sono solo dei grandi ladrocini. In secondo luogo bisogna uscire dalla falsa alternativa tra una resa dell’Occidente o una sua inflessibile reazione fino alla guerra. Finora la risposta, coerente alla cultura di Biden, ha solo a che fare coi soldi ed è rivolta allo strangolamento dell’economia e al blocco delle forniture di gas; ma la difesa militare “di ogni centimetro dell’Ucraina”, come è stato promesso, sarebbe, per dirla con papa Giovanni, “fuori della ragione”. Tutte le guerre intraprese dall’Occidente dopo la seconda guerra mondiale sono state del resto perdenti e sbagliate, dal Vietnam alle guerre del Golfo (infatti ce ne sono volute due), dalla guerra contro la Iugoslavia, addirittura appaltata alla NATO, all’Afghanistan; per non parlare della guerra contro i migranti combattuta alzando muri e reticolati ai confini, negando l’approdo nei porti o perfino finanziando i lager libici; ma quest’ultima guerra, a partire dal cuore dell’Europa, potrebbe essere veramente quella “finale”. Al contrario non sarebbe “una resa” quella che si facesse carico della salvezza dei popoli e costruisse un’alternativa che ne riconoscesse i diritti fondamentali.
L’affermazione del diritto all’autodeterminazione e alla liberazione dei popoli vanta in Italia una ricca tradizione, dalle iniziative di Lelio Basso al Tribunale permanente dei popoli a “Costituente Terra”. Certamente tale diritto deve essere contemperato col valore della stabilità dei confini ed essere esercitato con metodi negoziali e non violenti, e con le necessarie cautele e garanzie per evitare derive populiste e antistatali. Ma senza dubbio uscire in avanti dalla terribile crisi in atto, in alternativa agli automatismi della contrapposizione e della vendetta, sarebbe un passo importantissimo verso un mondo più equo, come quello che era stato sognato alla fine della guerra fredda, quando si era parlato di “un dividendo della pace” e di un mondo “libero dalle armi nucleari e nonviolento”. Quelle speranze sono state stracciate, benché nel frattempo il mondo sia entrato in un’epoca nuova, e non solo per il clima; ma purtroppo non se ne sono accorti i responsabili delle nazioni. È questo il tempo di riprenderle e realizzarle.
Pubblichiamo nel sito un appello del papa per la pace in Ucraina e una nota di Domenico Gallo sui falsi argomenti dei referendum sulla giustizia.
Cordiali saluti,

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

Papa Francesco: APPELLO PER LA PACE IN UCRAINA

Il dolore del Papa
APPELLO PER LA PACE IN UCRAINA
In tutto il mondo stiamo provando angoscia e preoccupazione. Dio ci vuole fratelli non nemici

Pubblichiamo l’appello per la pace formulato da papa Francesco nell’udienza generale del 23 febbraio
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Firenze. Convegno nel nome di La Pira. Segni e contraddizioni.

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Mediterraneo frontiera di Pace

Al via l’Incontro dei Vescovi del Mediterraneo
23 FEBBRAIO 2022 su sito dedicato.
“Perché non il Mediterraneo, che è il grande lago di Tiberiade della famiglia abramitica, sia davvero segno di pace soprattutto nel contesto drammatico che stiamo vivendo”. Con l’auspicio del Cardinal Gualtiero Bassetti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, inizia, oggi pomeriggio, a Firenze, l’incontro dei Vescovi e dei sindaci del Mediterraneo. Il meraviglioso contesto del Convento di Santa Maria Novella aprirà oggi le porte ai presuli provenienti dai 20 Paesi che si affacciano sul Mare Nostro e l’intervento del Presidente del Consiglio Mario Draghi, che raggiungerà il capoluogo toscano per incoraggiare il confronto e il dialogo.
“Il Mediterraneo – continua il Presidente della Cei – è veramente una grande frontiera di pace che deve riunire tutta la famiglia di Abramo. Siamo in un momento di profonda crisi, anche per quello che sta succedendo in Ucraina: dal punto di vista della provvidenza di Dio diventa ancora più necessaria questa nostra azione di pace”.
La giornata anticiperà l’arrivo dei sindaci di venerdì e l’assemblea congiunta dei vescovi e dei primi cittadini. “Quelli che si svolgeranno a Firenze – conclude il Card. Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze – sono due incontri che si uniscono nell’eredità di La Pira e che confluiranno nella giornata di sabato in un confronto comune da cui si auspica possa uscire anche una voce unanime”.

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Controcanto.
Firenze tradisce La Pira
23-02-2022 – di: Tomaso Montanari su Volerelaluna.

Domenica 27 febbraio papa Francesco tornerà a Firenze: «dove arte, fede e cittadinanza si sono sempre composte in un equilibrio dinamico tra denuncia e proposta», come disse con felicissima ispirazione durante il suo primo viaggio nella città di Dante, Savonarola, don Milani.

Ma questa volta lo accoglie un’altra Firenze, quella di un potere che per secolare abitudine dissimula il suo vero volto e prova a legittimarsi nascondendosi dietro una tradizione che non gli appartiene. Un lupo sotto pelli di agnello. L’arrivo del pontefice sarà infatti preceduto da un convegno della Conferenza episcopale italiana intitolato al “Mediterraneo frontiera di pace” (www.volerelaluna.it/territori/2022/02/23/firenze-migrazioni-passerelle-e-luoghi-comuni/): in esplicita continuità con i Convegni del Mediterraneo che Giorgio La Pira – sindaco santo e padre costituente – organizzò a Firenze dalla seconda metà degli anni Cinquanta. Quei convegni, irrisi dai protagonisti della Realpolitik, erano un segno profetico: la fede nel Dio di Abramo diventava protagonista nella tessitura di una pace che univa ebrei, cristiani, musulmani in un dialogo fondato sulla dignità della persona umana, segno potente contro la volontà di potenza e la corsa agli armamenti di un mondo che sembrava marciare verso l’apocalisse nucleare.

E oggi? Oggi c’è Marco Minniti. L’ex ministro dell’Interno chiuderà la sezione IV del convegno, quella intitolata alle «migrazioni tra le sponde del Mar Mediterraneo. Come le città possono contribuire nella definizione di nuove politiche migratorie e collaborare per un effettivo rispetto dei diritti umani fondamentali». Sembra un pezzo di Crozza (il cui meraviglioso Minniti diceva: «non possiamo lasciare il fascismo ai fascisti!»), ma è tutto vero. Minniti oggi presiede la Fondazione MedOr, «un soggetto nuovo nel suo genere, globale e collaborativo, nato per unire competenze e capacità dell’industria con il mondo accademico per lo sviluppo del partenariato geo-economico e socio-culturale». Sul sito leggiamo che «Med-Or condivide e fa propri i valori del Socio Fondatore Leonardo»: Leonardo, l’industria controllata dal Ministero per l’Economia che è tra i primi dieci produttori di armi al mondo. Basterebbe questo a chiedersi cosa c’entri Minniti con un profeta del disarmo come La Pira.

Ma chi non ricorda le scelte e le responsabilità del Minniti ministro? Costruttore di poderosi “muri” contro i migranti, distruttore dei loro diritti, artefice del Memorandum d’intesa con la Libia (https://volerelaluna.it/migrazioni/2022/02/15/revocare-il-memorandum-italia-libia/) grazie al quale rinchiudiamo in mostruose carceri e condanniamo a torture indicibili chi prova a varcare quel “Mediterraneo frontiera di pace” celebrato dal convegno fiorentino. I muri costruiti da Minniti non erano materiali, ma non per questo erano meno efficaci: quando, nel 2017, fu varato il decreto Minniti-Orlando, a dirlo fu il presidente dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione Lorenzo Trucco: «Ci sono tanti modi per fare i muri: con il calcestruzzo o con le norme. È come dire: intanto rendo tutto molto difficile, con pochi controlli giurisdizionali, tolgo un secondo grado di giudizio, eccetera. Non c’è nulla che va a rafforzare la tutela dei diritti su persone assolutamente deboli. Perché dare loro strumenti minori rispetto agli altri? Qui è in atto una separazione tra persone: i migranti non avranno gli stessi diritti degli altri e tutto ciò è codificato». Davvero una legge secondo il pensiero di Giorgio La Pira!

Il decreto di Minniti aprì una strada terribile: «nel luglio 2017 – ha scritto il costituzionalista Francesco Pallante – Minniti ha iniziato a ostacolare le attività di salvataggio condotte dalle ONG, imponendo loro la firma di un codice di condotta assai restrittivo. Oltre a indurre alcune organizzazioni a ritirare le proprie imbarcazioni, l’iniziativa di Minniti ha dato avvio a una polemica rapidamente degenerata nella criminalizzazione delle stesse iniziative umanitarie, bollate di complicità con le organizzazioni criminali che trafficano in esseri umani». Su quella strada si sarebbe presto incamminato Matteo Salvini: «C’è una continuità in termini di progetto politico, nel senso che i decreti Minniti Orlando hanno aperto la strada alla recrudescenza di Salvini. Perché nel momento in cui si è iniziato a derogare alle garanzie fondamentali delle persone, in questo caso i richiedenti asilo, automaticamente, colui che è venuto dopo, cioè Salvini, non poteva che proseguire su quella strada» (così Antonello Ciervo, avvocato dell’ASGI).

Per non ritenere opportuno che proprio la Firenze città di pace si affidi a Minniti, sarebbe bastato anche un altro passaggio terribile di quel decreto del 2017, un passaggio che – scrisse Roberto Saviano – «ha toni razzisti e classisti. Per descriverlo in breve: i sindaci, per ripulire i centri storici delle città, avranno il potere di allontanare chiunque venga considerato “indecoroso”, non occorrerà che sia indagato o che abbia commesso un reato. Il sindaco potrà così chiedere che venga applicato a queste persone un “mini Daspo urbano”». Un decreto contro i poveri, in nome del decoro e della bellezza: e qua davvero La Pira si rivolta nella sua tomba nella chiesa fiorentina di San Marco.

Del resto, a fare gli onori del padrone di casa sarà Dario Nardella, che di fronte a un appello firmato da comunità e personalità del mondo cattolico fiorentino, ha caparbiamente rivendicato la scelta di Minniti, la cui politica migratoria ha definito «un esempio per l’Europa». Se il suo predecessore La Pira nel 1953 requisì le case sfitte per garantire «il diritto fondamentale del cittadino all’assistenza e alla sicurezza individuale e familiare», Nardella dichiara invece di voler agire contro le «occupazioni abusive, soprattutto se molto impattanti, che colpiscono la proprietà privata o l’interesse pubblico. […] È su questo principio di legalità che dobbiamo ricostruire un senso di comunità. […] Uno degli errori della sinistra è stato quello di essere troppo ambigua sui temi della legalità e della sicurezza». Il vocabolario è impressionante. Per La Pira, come per la Costituzione, il fine è la persona umana: e la proprietà privata è un mezzo per costruire un’utilità sociale che promuovesse e sviluppasse la dignità di ogni uomo. La sicurezza era quella sociale, l’ordine pubblico si manteneva facendo giustizia. Per il sindaco di oggi tutto è ribaltato, tutto è al contrario: la tutela della proprietà privata è il fine ultimo, la sicurezza è garantita dalla polizia, l’ordine pubblico dalla sicurezza. Da cristiano e da fiorentino vorrei dire al papa: la Firenze di La Pira non è mai stata così tradita e umiliata.
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TOMASO MONTANARI
Tomaso Montanari insegna Storia dell’arte moderna all’Università per stranieri di Siena. Prende parte al discorso pubblico sulla democrazia e i beni comuni e, nell’estate 2017, ha promosso, con Anna Falcone l’esperienza di Alleanza popolare (o del “Brancaccio”, dal nome del teatro in cui si è svolta l’assemblea costitutiva). Collabora con numerosi quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi libri Privati del patrimonio (Einaudi, 2015), La libertà di Bernini. La sovranità dell’artista e le regole del potere (Einaudi, 2016), Cassandra muta. Intellettuali e potere nell’Italia senza verità (Edizioni Gruppo Abele, 2017) e Contro le mostre (con Vincenzo Trione, Einaudi, 2017)

PACE. LA GUERRA E’ UNA FOLLIA!

58873e26-ad6f-4ba0-9cf2-f823f3f4c6f5 Nella provvidenziale Giornata di preghiera per la pace in Ucraina indetta il 26 gennaio 2022 da Papa Francesco, Flavio Lotti (Tavola della pace) e Marco Mascia (Centro Diritti Umani “Antonio Papisca” – Università di Padova) hanno lanciato un appello contro la guerra in Europa e invitano tutti e tutte a sottoscriverlo e ad appendere la BANDIERA DELLA PACE ALLA FINESTRA!
UCRAINA. [segue]

Crisi internazionale

b00b917b-2111-43dc-a638-5c1b623d7ea0Parole d’ordine: Grande potenza e Terra russa
22-02-2022 – di: Adriano Roccucci
Su Lines, ripreso su Volerevolare.

«Sì, anche noi abbiamo pagine problematiche della nostra storia, come le ha ogni Stato. Ne abbiamo meno di altri, e meno terribili. Certo abbiamo capitoli drammatici della nostra storia, pensate agli eventi del 1937. Ma anche altri paesi hanno conosciuto pagine oscure e terribili. (…) Gli avvenimenti del passato debbono essere descritti in modo tale da suscitare l’orgoglio per la nostra storia». Sono parole pronunciate da Vladimir Vladimirovič Putin alla Conferenza nazionale degli insegnanti di storia nel 2007. L’esigenza di rivedere il rapporto con il passato in funzione del progetto di rilancio della Russia, portato avanti da Putin fin dal suo primo mandato presidenziale, ha caratterizzato questi primi due decenni del XXI secolo. Non si tratta di un unicum russo. Pur in modi diversi e con intensità differente, i sistemi politici e le società propongono una rilettura del passato che sia a sostegno di visioni e progetti politici.

Nel 2000 l’approvazione di una legge sui simboli statali aveva ufficializzato l’uso dell’aquila bicipite dell’impero russo nello stemma della Federazione Russa, il recupero del tricolore zarista come bandiera ufficiale, l’adozione delle divise dell’esercito imperiale, il ripristino come inno nazionale di quello sovietico, sebbene con il testo parzialmente modificato. La simbolica ufficiale è uno dei linguaggi con i quali gli Stati definiscono il loro rapporto con il passato e la storia. Emergeva fin da questi atti l’obiettivo di rivendicare una continuità di lungo periodo della storia russa, senza fratture irrimediabili: avevano spazio sia l’eredità imperiale sia l’esperienza sovietica.

Un rapporto con il passato volto a restituire il senso della continuità storica non era mancato nemmeno nel periodo sovietico, quando il regime, almeno dal punto di vista ideologico e politico, rivendicava una totale rottura con quanto lo aveva preceduto. Eppure, nella scelta di Lenin di spostare la capitale a Mosca e di insediare il governo al Cremlino, nel luogo matrice del potere russo, come non rintracciare i fili di un’operazione simbolica volta a comunicare un senso di continuità storica, pur nel contesto del radicale cambiamento rivoluzionario? L’idea che la «patria sovietica» fosse l’erede della «grande nazione russa» si affacciò fin dagli anni Trenta nella riflessione di Stalin, particolarmente attento al rilievo politico della narrazione e delle interpretazioni storiche, per poi emergere con maggiore evidenza negli anni della seconda guerra mondiale. Nel 1934 il vožd’ in un intervento al Politbjuro si espresse con notevole chiarezza: «Il popolo russo in passato ha messo insieme altri popoli. Anche adesso ha intrapreso una raccolta dello stesso genere.

Parole

La proposta di una lettura della storia russa finalizzata a rintracciare i fili di continuità insiste su alcuni elementi. Ne enucleiamo due, ma l’analisi potrebbe essere ulteriormente ampliata e approfondita. Entrambi rinviano alla trama imperiale della storia russa, che, sebbene in forme «aggiornate», continua a caratterizzare il percorso dello Stato e della società in Russia.

Il primo elemento è connesso al profilo della Russia come «grande potenza». È questo uno statuto cui le classi dirigenti russe, nella fase attuale così come in età imperiale e nel periodo sovietico, non sembrano poter rinunciare. Il riconoscimento della Russia come grande potenza rappresenta, infatti, un fattore decisivo di legittimazione del potere. Non è a questo riguardo casuale che le parole con le quali inizia l’inno della Federazione Russa siano le seguenti: «Russia, la nostra sacra potenza». Una lettura della storia russa volta a far emergere come nelle diverse epoche lo Stato russo abbia svolto nell’arena internazionale un ruolo rispondente allo statuto di grande potenza non può che essere funzionale alla riaffermazione di un profilo analogo nel presente. Il mito polisemico della Grande guerra patriottica, vale a dire la seconda guerra mondiale, svolge in questo senso la funzione di mito di unificazione e di legittimazione dell’ambizione della Russia a svolgere un ruolo mondiale.

Il secondo elemento attiene a un’altra dimensione, anch’essa di grande rilevanza geopolitica: quella del rapporto con lo spazio russo. Si tratta di un aspetto fondamentale della storia della Russia e del pensiero dei russi su di essa. Uno dei mitologemi più antichi della storia degli slavi orientali, le cui origini risalgono alla Rus’ di Kiev tra X e XI secolo è quello della «terra russa». Esso è stato un potente fattore per l’affermazione dello Stato moscovita, tra XIII e XV secolo, e ha continuato a esercitare la sua influenza fino ai nostri giorni. La terra russa però non è un dato acquisito, un fattore «naturale», come avviene spesso nelle mitologie dei vari nazionalismi. La «terra russa» è il prodotto di un processo storico, quello della «raccolta delle terre russe» (sobiranie zemel’ russkikh).

Un territorio è parte della «terra russa» non per suoi caratteri naturali o per ubicazione geografica, neppure perché abitato da una popolazione etnicamente connotata, ma perché nel processo storico di formazione dello Stato russo, avvenuto attraverso un moto plurisecolare di espansione, quel territorio è stato conquistato dai russi. L’espansione dello spazio russo prevalentemente non ha condotto alla formazione di colonie, ma a un allargamento del territorio metropolitano, cioè della «terra russa». In questo senso il rapporto tra lo spazio e la storia è costitutivo della «terra russa». E la lettura della storia è quindi fondamentale per la tenuta dello «spazio russo», e, al bisogno, per il suo recupero, come è avvenuto nel caso della Crimea.

Nel 2004, all’indomani della seconda elezione di Putin alla presidenza della Federazione Russa, una legge ha abolito la festa nazionale del 7 novembre, ricorrenza sovietica coincidente con la data della rivoluzione d’Ottobre, trasformata da El’cin in giorno della concordia e della riconciliazione. La stessa legge ha stabilito la data della nuova festa nazionale, il giorno dell’unità del popolo, il 4 novembre, per celebrare gli eventi che a Mosca nel 1612 posero fine all’occupazione polacca e a quella fase di anarchia iniziata con l’esaurimento della dinastia dei Rjurikidi nel 1598, denominata età dei torbidi (smutnoe vremja). Nel 1613, con l’elezione di Mikhail Romanov a zar, avrebbero avuto inizio la vicenda di una nuova dinastia e una stagione storica caratterizzata da una sostanziale stabilità del potere.

Tra 2004 e 2005, il riferimento allo smutnoe vremja diveniva un topos nella narrazione e nell’interpretazione, che si venivano affermando come tendenza dominante nel dibattito culturale e politico russo, di quanto era avvenuto in Russia negli anni Novanta, dopo la fine dell’Unione Sovietica. Gli anni Novanta erano presentati come una nuova età dei torbidi, una stagione di catastrofe nazionale che aveva messo in pericolo la stessa esistenza della Federazione Russa. Per continuare l’analogia storica, la presidenza di Putin aveva segnato l’uscita dai nuovi torbidi e l’inizio di una fase di consolidamento dello Stato.

Insomma, il bisogno e allo stesso tempo la opportunità di una lettura della storia russa, finalizzata alla elaborazione di una visione del passato «condivisa» o veicolata in modo sistematico e diffuso, si imposero come una sfida decisiva per la realizzazione del progetto politico della Russia di Putin e per la formazione di una visione geopolitica che le assegnasse un ruolo adeguato nel mondo. La pista da seguire fu in qualche modo indicata dalla decisione presa nel 2007 nella definizione di linee guida per il manuale per le scuole superiori. Nei testi scaturiti da questo lavoro con la finalità di offrire indicazioni metodologiche agli insegnanti, sebbene non venga proposta una versione monolitica della storia, è indicato chiaramente l’obiettivo di rendere gli alunni consapevoli della continuità della storia millenaria della Russia, il cui inizio è individuato nel 988, l’anno del battesimo della Rus’, cioè della conversione al cristianesimo del gran principe di Kiev Vladimir. Nel quadro di questa continuità va mostrata «la relazione organica fra la storia russa e quella mondiale, specificando il ruolo della civiltà russa nell’ambito del processo storico mondiale».

La visione della storia proposta non nega l’esistenza di periodi bui, come ad esempio quelli delle repressioni bolsceviche negli anni di Lenin e Stalin. Ma al centro è l’azione dello Stato e delle élite, che nei diversi passaggi sono riusciti a consolidare la società e lo Stato e a salvaguardare con successo il profilo internazionale di grande potenza che spetta alla Russia. Si pone a questo livello il controverso rapporto con la figura di Stalin, di cui non si negano i crimini, ma si propone di fatto una distinzione tra il costruttore dello Stato, leader vittorioso della seconda guerra mondiale, e il persecutore del suo popolo.

Attraverso i diversi canali e linguaggi con i quali si intende proporre una lettura orientata della storia della Russia passa un’operazione di grande impatto politico e culturale. Il rapporto con il passato e l’elaborazione di miti storiografici sono infatti elementi costitutivi dei progetti politici e delle visioni geopolitiche. Così è anche per la Russia di questi primi due decenni del XXI secolo. Impresa complessa. Il cui esito non è predeterminato.

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Pubblicato in: “È LA STORIA, BELLEZZA!” – n°8 – 2020 e ripubblicato in “Limes” febbraio 2022
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Oggi 23 febbraio mercoledì 2022

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Ucraina: fare una federazione neutrale come la Svizzera?
23 Febbraio 2022
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
Putin, col suo lungo monologo televisivo sembra aver voluto scrivere la storia dell’Est Europa e dell’Ucraina. E lo ha fatto col piglio e i con i toni del capo di una potenza imperiale, tant’è che poi ha firmato un documento nel quale riconosce le due repubbliche separatiste del Donbass, quella di Donetsk […]
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Venti di guerra

[Dalla Conunita’ di Sant’Egidio] Il mondo è ancora con gli occhi puntati sulle manovre militari alla frontiera tra Russia e Ucraina, mentre timidi segnali di ripresa del dialogo diplomatico degli ultimi giorni lasciano spazio a qualche speranza. A Roma si è vista giovedì, dopo molti anni, la prima grande manifestazione per la pace convocata dalla Comunità di Sant’Egidio. Tanto si muove insomma sulla questione Ucraina.

Ma c’è un aspetto di questa crisi di cui ci si dimentica: nel Donbass, la vasta regione dell’Ucraina contesa tra separatisti filo russi e ucraini, il conflitto, cosiddetto a bassa intensità, ha già causato dal 2014 oltre 14.000 vittime. Una vera e propria crisi umanitaria ai confini dell’Europa, nella disattenzione della politica e delle opinioni pubbliche.

Oggi martedì 22 febbraio 2022 – 22 02 22

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Caso Conte e Fondazione Open: nessuno può sottrarsi al giudice naturale “precostituito per legge”
22 Febbraio 2022
Tonino Dessì su Democraziaoggi
È vero che la recente ordinanza del Tribunale di Napoli sulla controversia relativa all’approvazione e all’applicazione del nuovo Statuto del M5S (ordinanza che probabilmente sarà oggetto di ricorso) ha suscitato una discussione abbastanza impropria in relazione alla disciplina dell’organizzazione interna dei partiti.
Tuttavia l’improprietà più eclatante a me pare abbia caratterizzato […]
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Appello all’Europa

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20-02-2022 – di: Chiara Cruciati
Su Volerelaluna

Europa. È partita il 20 Febbraio la raccolta di un milione di firme per chiedere alla Commissione un quadro normativo sul commercio con i territori occupati. Dagli insediamenti israeliani a quelli marocchini: l’Ice promossa da oltre cento organizzazioni è diretta a tutti i casi di colonizzazione nel mondo [ segue]?