Monthly Archives: aprile 2022

28 aprile 2022 Sa die de Sa Sardigna e la prima messa in lingua sarda

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Lettera aperta a mons. Antioco Piseddu.

Caro mons. Antioco,
312014c8-cb67-4c43-9b35-1899bad61928La Chiesa insegna che non ci è dato conoscere tutte le vie del Signore né conoscere, in anticipo, come lo Spirito Santo si manifesterà. Papa Francesco ci ricorda che “lo Spirito Santo è il grande sconosciuto della nostra fede” (meditazione del 13 maggio 2013) ed aggiunge che una Chiesa che non abbia la capacità di sorprendere è una Chiesa debole, malata, morente (Regina coeli dell’8 giugno 2014).
Se non possiamo conoscerli in anticipo, siamo però chiamati a ri-conoscere i segni dello Spirito anche, e soprattutto, quando si manifestano inaspettati e sconvolgono le nostre previsioni e i nostri pregiudizi. [segue]

La guerra continua

f35eab37-ce96-4494-9b70-8c28a1952d8bSessanta giorni dopo…

11eee0b8-491e-4aa4-9e1d-9171da9abc1amons. Giovanni Ricchiuti, presidente di Pax Christi Italia*

29d48787-f451-4e61-a607-79517f9ae616La guerra non nobilita l’uomo, lo fa diventare un cane rabbioso, avvelena l’anima”. All’alba di questo 25 di Aprile, giorno di San Marco Evangelista, ma anche Festa della Liberazione, lettrici e lettori carissimi di Verba Volant, mi sono tornate in mente le parole tratte dal film La sottile linea rossa (film americano del 1998) nell’amara e triste constatazione che sono trascorsi sessanta giorni dall’inizio della guerra russo-ucraina e non si vede all’orizzonte nessun’alba di pace. Anzi, al contrario, ogni giorno di più crescono la “rabbia”, per opposte ragioni, dei due contendenti e l’ ”avvelenamento” di quelle anime, e sono tantissime, che invocano il silenzio delle armi e, allo stesso tempo, la ripresa di un dialogo che riporti i cuori e le menti a più “miti” consigli. Una speranza che nelle parole di Papa Francesco, nelle manifestazioni numerose, ma inascoltate dai governi europei, contrarie all’invio di armi, nella solidarietà che si è fatta accoglienza dei profughi ucraini, non è venuta mai meno e che resterà come fiamma sempre viva perché i due popoli “si stringano la mano”. Certo, dispiace dirlo, ma su questa guerra continua ad aleggiare e predominare, da parte di politici, geopolitici, esperti militari, media, social, dibattiti televisivi, cronisti e inviati di “guerra” (fatta qualche eccezione per delle voci coraggiose ma subito silenziate o comunque emarginate) una narrazione degli eventi a senso unico, uno schierarsi dalla parte di quella logica che continua a ritenere le armi e la guerra come la soluzione di ogni conflitto. Viene da chiedersi dove siano finite, soprattutto per l’Europa, le memorie tragiche e dolorose dei due conflitti mondiali del secolo scorso, dove sia finito il Nobel per la Pace da essa ricevuto, dove sia andato a finire il coraggio di abbandonare la strada della guerra per incamminarsi su un’altra strada e prendere tra le mani una penna e firmare il trattato per la messa al bando delle armi nucleari. Una cultura per la pace (soprattutto nelle scuole e nelle università!), una scelta decisiva per la nonviolenza, un investimento economico per una maggiore equità sociale, una drastica e totale riduzione delle spese militari e conseguente riconversione “degli arsenali di guerra in granai di pane” (Sandro Pertini): scelte tutte di pace per preparare la pace. Il 14 aprile u.s., è uscito il libro scritto da papa Francesco dal titolo: “Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace”, ed è stato bello per me e per noi tutti leggere una citazione riguardante il “nostro” + don Tonino Bello, oggi venerabile, che amava ripetere: i conflitti e tutte le guerre “trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti”. Purtroppo manca il coraggio per una cultura di pace come riflessione antropologica e umana, manca alle comunità ecclesiali un itinerario di educazione e formazione alla pace e indicare tra le priorità pastorali i temi “felici” della mitezza e dell’artigianato della pace, manca alle religioni una più decisa sinfonia nell’abbandonare una volta per tutte il concetto di “guerra giusta” per indicare nella fraternità il terreno fertile per il ripudio della violenza e per una copiosa mietitura di concordia tra i popoli. “La speranza è una cosa buona, forse la migliore della cose, e le cose buone non muoiono mai” (dal film Le ali della libertà), ed è proprio vero, io ci credo, dobbiamo crederci, tutti! Una speranza rappresentata soprattutto dai ragazzi e dai giovani ai quali, soprattutto noi adulti, con cuore e mente rinnovati, abbiamo il dovere di “insegnare la pace”, di educarli a relazioni aperte all’accoglienza delle differenze e delle diversità, di continuare a dir loro che è bello considerarsi cittadini del mondo, non soltanto del proprio paese, di indicare come esempi di vita da seguire quelle donne e quegli uomini che hanno creduto e dato la vita per la nonviolenza e per la pace, di non cedere a logiche di possesso e di conquista di questa terra che è la nostra casa comune e di invitarli a scelte di vita contro la guerra, sempre! Abbiamo trascorso questi giorni di Pasqua facendo memoria della risurrezione di Cristo, vincitore della morte e datore di vita e di speranza, e augurandocela “buona” e portatrice di pace. “La pace – ha detto Papa Francesco – che Gesù ci dà a Pasqua non è la pace che segue le strategie del mondo, il quale crede di ottenerla attraverso la forza, con le conquiste e con varie forme di imposizione. Questa pace, in realtà, è solo un intervallo tra le guerre. Lo sappiamo bene. La pace del Signore segue la via della mitezza e della croce: è farsi carico degli altri”! Tutti noi di Pax Christi, di ritorno dall’assemblea di Fiesole, dove abbiamo ricordato p. Ernesto Balducci e il suo “se vuoi la pace, prepara la pace!”, siamo impegnati a continuare sulla strada segnata dal Vangelo per parole e gesti (comunicati, articoli, interviste, incontri e partecipazioni a trasmissioni televisive) finalizzati a “organizzare” la pace. Un ringraziamento particolare va ai nostri Mimma Dardano, Riccardo Michelucci e Francesco Fedeli per avere rappresentato Pax Christi nella carovana di pace STOPTHEWARNOW nei giorni 2 e 3 aprile uu. ss. a Leopoli e a quanti con la loro generosità ne hanno consentito la partecipazione.

Shalòm, Salàm, Pace!!!

* Da Verba Volant 25 aprile 2022
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Oggi sabato 30 aprile 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni——————–
Signora Ministra, Signor Prefetto, in Italia chi è per la pace e la non violenza è pericoloso?
30 Aprile 2022 su Democraziaoggi.
Riceviamo e pubblichiamo, condividendola, la Lettera aperta delle associazioni democratiche sulle intimidazioni della polizia ad Iglesias nel corso di un dibattito contro il virus della violenza.Vogliamo però aggiungere due parole per la ministra Lamorgese.
Gentile Ministra, ci saremmo aspettare da lei, donna, una particolare sensibilità per i nostri miti e civili principi costituzionali e per lo […]
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Che succede?

c3dem_banner_04SE IL PIANO DELLA RUSSIA E’ SMEMBRARE L’UCRAINA
29 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
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Oggi venerdì 29 aprile 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni——————–
Il parlamento e il governo italiani sanno cosa vuole Zelensky? O c’è una delega in bianco?
29 Aprile 2022
A.P. su Democraziaoggi

In questa tragica vicenda di guerra in Ucraina molte sono le emergenze anche costituzionali che ci riguardano e attengono alla tenuta del nostro quadro democratico. Ad esse dobbiamo guardare con molta attenzione, rigore e serietà, ricordando che i precedenti costituzionali dettano la via per il futuro, anche per quando il paese dovesse – Dio non […]
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Quanto è difficile essere donna, anche nell’occidente libero e democratico!
29 Aprile 2022
Rosamaria Maggio su Democraziaoggi.

Le interviste ad Astro Samantha de “Il Messaggero”, di “Io” del Corriere della Sera, mi stimolano a parlare di una mia recente lettura, il libro di Ilda Bocassini “La stanza numero 30”.
Si intrecciano infatti le storie di due grandi donne che hanno dovuto e devono ancora fare i conti con un atteggiamento sessista, maschilista […]
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Oggi

Per chi vuole assistere/partecipare all’incontro di oggi 29 aprile ore 16, il link è quello sottostante
https://us02web.zoom.us/j/85455560353…
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Sa Die 28 aprile 2022: documentazione fotografica

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- Renato d’Ascanio Ticca 1;
- Renato d’Ascanio Ticca 2;
- Marco Mameli;
- Franco Meloni.

Che succede?

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LE PANDEMIE, I CONFLITTI E LE DOMANDE SULLA VITA
28 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem

L’interrogativo di Franco Monaco: “Ma dov’è la nostra differenza di cristiani militanti a sinistra?” (Il Fatto). Come la pensa un cristiano di (centro)sinistra, Sergio Mattarella, “Nuove radici per la pace” (discorso del 27 aprile all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo – Foglio). (…) -
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IL 25 APRILE CHE CI LEGA A KIEV E LA DISCUSSA SVOLTA USA
26 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi |su C3dem
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28 aprile Sa Die de sa Sardigna

7da5089b-9ad3-47cc-817a-156e2049531bCagliari, 28 aprile 2022
(Il Programma)
È un calendario ricco di eventi, quello proposto dalla Regione.
Si comincia alla 9,30 alla Cattedrale di Cagliari con la Santa Messa officiata dall’arcivescovo Giuseppe Baturi. Le iniziative prenderanno il via dalle 10 del mattino a Sa Manifattura, in Viale Regina Margherita, dove proseguiranno fino alle 22. Il primo appuntamento sarà con la manifestazione di rievocazione storica de Sa Die de Sa Sardigna, anticipata dall’esecuzione solenne dell’inno “Procurade ‘e moderare Barones, sa tirannia” a cura del Coro Carrales.
A caratterizzare la mattinata nella fascia oraria che va dalle 10.00 alle 13.00 e nel pomeriggio dalle 15.00 alle 19.30 i banchi didattici sul periodo Nuragico (oggetti di vita quotidiana; monili, bronzetti; archeologia sperimentale con telaio; fattura del pane timbrato con le pintadere; mostra di abbigliamento civile e militare; armi e armature) e Giudicale (sartoria e moda con riproduzione dell’abito di Mariano IV; riproduzione di testi biblici e del celebre trattato noto come Flos Duellatorum; armi e armature; strategia militare con focus sul conflitto tra Arborea, sotto il controllo del giudice Mariano IV, e Aragona; scherma, con dimostrazioni duellistiche; arcieria con dimostrazioni di tiro con l’arco; produzione di pergamene). Un banco didattico sarà riservato anche al 1700. Spazio, quindi, anche all’allestimento e mostra del vestiario militare in utilizzo tra sardi e piemontesi, con la spiegazione dettagliata del vestito originale di fine ‘700 della Corte Sabauda in Sardegna e dei vestiti miliziani. In esposizione ci saranno anche le armi originali del periodo, sia quelle in dotazione ai sardi (cannetta sarda a pietra focaia assemblata a Tempio-Pausania; leppa de ghinzu; forche in ferro in dotazione ai meno abbienti dell’epoca) sia le armi in dotazione ai piemontesi (fucile a pietra focaia con baionetta -1790-1812; pistola di cavalleria -1770; sciabole da dragone -fine ‘700; pistolone a tromba. [segue]

Costituente Terra. Lo spettro della vittoria

logo76costituente-terra-logouna Terra
un popolo
una Costituzione
una scuola

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Costituente Terra Newsletter n. 76 del 27 aprile 2022.
Chiesadituttichiesadeipoveri.it Newsletter n. 260 del 27 aprile 2022.
LO SPETTRO DELLA VITTORIA

Cari Amici,
se non si riesce a porre fine a questa guerra nefasta che ha già distrutto l’anima del mondo prima ancora che le istituzioni che ne assicurano la vita, è perché non è stato esorcizzato lo spettro della vittoria. È un luogo comune, ma del tutto falso, che la vittoria sia la conclusione migliore di una guerra. Si tratta di un mito antico: la vittoria è il premio della guerra; la vittoria alata si libra sul trionfo del condottiero, schiaccia l’elmo del vinto; non è concepibile se non la vittoria come uscita dalla guerra, padre e principio di tutte le cose, come è stata teorizzata da sempre, almeno a partire dal detto di Eraclito.
Perfino Gesù, che amava i nemici, ammetteva che la guerra si fa per vincerla: “quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano gli manda dei messaggeri per chiedergli pace”.
Ma in realtà non è affatto vero che, una volta precipitati nella guerra, la cosa migliore è vincerla. Se oggi celebriamo la vittoria del 25 aprile, è perché avevamo perso la guerra, ed era stata una fortuna, con i Tedeschi in casa! Chi oggi rimpiange di non aver vinto quella guerra? Nemmeno i fascisti. Altri orrori si sarebbero aggiunti agli orrori. E non avremmo avuto la Costituzione, la libertà, l’industria, il denaro, tutte le cose di cui oggi ci gloriamo.
Eppure siamo sempre là. Il segretario di Stato americano Antony Blinken e il capo del Pentagono Lloyd Austin nella loro fuggevole visita a Kiev di qualche giorno fa hanno promesso all’Ucraina di Zelensky di farle vincere la guerra, che poi vuol dire che a vincerla saranno gli Stati Uniti. La stessa cosa aveva promesso qualche giorno prima il presidente Biden in un “tweet” (che sono le nuove dichiarazioni di guerra che una volta si consegnavano agli ambasciatori) enumerando le armi e i soldi che gli Stati Uniti avrebbero fornito all’Ucraina, mentre Lloyd Austin ha aggiunto che bisogna fiaccare la Russia in modo che non possa fare più nessuna guerra. Più vittoria di questa!
Naturalmente anche Putin vuole vincere, tanto più ora quando gli hanno detto in tutti i modi che in gioco c’è non solo la sua sopravvivenza ma quella stessa della Russia; però non sa come fare, perché certo non basta, come ha chiesto al ministro della Difesa Shoigu, non far volare nemmeno una mosca sull’acciaieria Azovstal (che non sembra la metafora di una vittoria).
E vincere vuole soprattutto Zelensky, ben contento che ora le armi, come ha detto, gli arrivino “in tempo reale”, cioè subito e quante ne vuole.
Ma l’Ucraina ha già pagato un alto prezzo al mito della vittoria, questo spettro che viene dal regno dei morti, dagli Stati Uniti attraversa l’Atlantico, da Ramstein si aggira per l’Europa e minaccia il mondo dal mucchio di cadaveri su cui sale in Ucraina. Già una rovina era stata per l’Ucraina aver insistito con puntiglio a volere la NATO, nonostante ci fossero ben più di ventimila russi a premere sulla frontiera del Paese (e chissà per quale inconfessato disegno incoraggiati da Biden ad entrarvi, come sostengono Caracciolo e “Limes”). Ma la catastrofe è venuta per l’Ucraina quando ha cominciato a credere che la guerra poteva vincerla davvero con tutti gli incoraggiamenti e l’altruismo sospetto dell’Occidente, con gli aiuti di ogni genere, politici, militari, economici, sacrali, con il suo straziato popolo narrato come esercito, sia pure con lo stereotipo delle donne che accudiscono e portano in salvo i bambini mentre gli uomini restano o sono mandati indietro a combattere, e oltre cinque milioni di profughi, e le città bombardate e distrutte, e la fama di invitti su tutti i teleschermi e in molti Parlamenti del mondo, compreso il nostro.
In realtà, a questo punto della storia, dopo tutti gli errori che da una parte e dall’altra sono stati fatti, la vittoria, di chiunque essa sia, è la peggiore sciagura che possa capitare. Come dice il papa: che vittoria c’è sulle macerie? E Noam Chomski, nell’intervista a Truthout che gli chiede se siamo all’inizio di una nuova era di continuo confronto tra la Russia e l’Occidente risponde che è difficile sapere dove cadranno le ceneri, “e questa potrebbe non essere una metafora”. Infatti, secondo Chomski, “che piaccia o no, le opzioni ora si riducono o a un brutto risultato che premia piuttosto che punire Putin per l’atto di aggressione, o alla forte possibilità di una guerra terminale”. E questa, secondo Chomski, sarebbe “una condanna a morte per la specie, senza vincitori: siamo a un punto di svolta nella storia dell’umanità. Non lo si può negare. Non lo si può ignorare”.
“Senza vincitori”: perché che cosa sarebbe una vittoria per gli Stati Uniti e la NATO e l’Europa, se davvero essa dovesse consistere nell’accendere la miccia della terza guerra mondiale, mettendo fuori gioco la Russia, provocando la Cina e prospettando all’umanità intera un mondo fatto del solo Occidente?
E che cosa sarebbe una vittoria per la Russia, che andasse al di là della rivendicazione iniziale di un’interdizione della minaccia proveniente dall’Ovest, se ciò volesse dire diventare l’anatema delle nazioni, essere votata alla negazione genocida del suo esserci stesso, che si tratti del rublo, del popolo o del Lago dei cigni?
E che cosa sarebbe una vittoria per l’Ucraina se anche recuperasse la Crimea, e il Donbass, quando pur sempre rimarrebbe lì, a fare da antemurale dell’Occidente contro la Russia che, Putin o non Putin, certamente non sparirebbe e sarebbe pur sempre una grande Potenza ansiosa di rivincita, mentre l’Ucraina sarebbe ancora lì, gloria sì del mondo libero, ma sua prima vittima sul monte Moria? E l’Oscar all’attore protagonista!
In questa situazione è del tutto irresponsabile fare il tifo per la vittoria dell’uno o dell’altro, comunque questa vittoria la si voglia chiamare, difesa della Patria o dominio del mondo; ed è un’insensata complicità voler essere nel campo dei vincitori. Vera sapienza è la ricerca di un’alternativa alla vittoria per mettere fine alla guerra. Tale alternativa sta nel dialogo, nel negoziato, nel riconoscere ciascuno le ragioni dell’altro, nello “scambiarsi con l’altro”, nel sapere che la sicurezza dell’altro è la sicurezza anche propria, perché la sicurezza non consiste in uno “status”, ma in un rapporto, o è di tutti o non è di nessuno, come già aveva realizzato la saggezza dell’ONU.
Tra le macerie di questa guerra c’è l’illusione, o la speranza, che si potesse costruire un nuovo ordine mondiale, fondato non sulla potenza ma sul diritto, non sulla ragion di Stato, ma sulle ragioni dei popoli, non sulle guerre vinte, ma sulla guerra ripudiata. In ogni caso si può sempre ricominciare di nuovo. Come ha scritto in una sua poesia il politico Pietro Ingrao, “leva in alto la sconfitta”. Il vero germe della vocazione spirituale dell’Occidente, sia nella versione greca che in quella cristiana come ci ha suggerito Simone Weil, non è la gloria dei vincitori, ma è il sentimento della miseria umana, che è una condizione della giustizia e dell’amore: in Grecia, sostiene la Weil, per il trauma non rimosso del crimine della distruzione di Troia (l’Iliade!), nella tradizione cristiana perché al patimento della miseria umana neppure uno spirito divino può sottrarsi se unito alla carne (i Vangeli!), ciò che vuol dire non soggiacere al dominio della forza, il rifiuto di tutti i rapporti di dominio. Come ha ricordato papa Francesco celebrando la “resistenza e resa” della Pasqua, “con Dio si può sempre tornare a vivere”.
Pubblichiamo nel sito, oltre all’intervista a Noam Chomski, un articolo di Aldo Tortorella su Enrico Berlinguer e le origini della guerra in Ucraina.
Con i più cordiali saluti
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Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa

Strasburgo, 27/04/2022 (II mandato)

Signor Presidente dell’Assemblea Parlamentare,

Signora Segretaria Generale del Consiglio d’Europa,

Signore e Signori parlamentari,

Ambasciatrici e Ambasciatori,

Signore e Signori,

sono lieto di potermi indirizzare a questa Assemblea che esprime nel modo più largo il sentimento dei popoli d’Europa.

È per me motivo di grande soddisfazione effettuare a Strasburgo – sede di molteplici istituzioni europee – il primo viaggio all’estero da quando il Parlamento italiano e i rappresentanti delle Regioni hanno voluto conferirmi nuovamente l’incarico di Presidente della Repubblica Italiana.

Rendo omaggio al Consiglio d’Europa, alle sue Istituzioni, a voi che siete espressione dei Parlamenti di 46 Paesi membri, in rappresentanza di 700 milioni di cittadine e cittadini europei.

Permettetemi un ringraziamento particolare al Presidente Tiny Kox per questa opportunità che mi offre e mi consente, per le sue parole così gentili; e grazie a tutti voi per l’accoglienza.

Porgo un saluto caloroso alla Segretaria Generale Marija Pejčinović Burić, la cui guida in questa Organizzazione considero preziosa, come ho avuto modo di dirle nel nostro incontro dello scorso novembre, al Palazzo del Quirinale, e di ribadirle nell’incontro che abbiamo avuto questa mattina.

Il Consiglio d’Europa ha sempre avuto la vocazione a essere la “casa comune europea” e ha saputo svilupparla nei decenni che hanno fatto seguito alla sua istituzione, come testimonia anche la sua attuale ampia rappresentatività.

Una casa che, se è stata specchio fedele delle divisioni e delle difficoltà manifestatesi fra le diverse comunità nazionali, ha saputo essere anche, e soprattutto, espressione del coraggio di unità dell’Europa, spesso prefigurando quanto si è potuto successivamente costruire, sotto altri profili e in altri ambiti, come la Unione Europea.

Tanti i traguardi di civiltà conseguiti dal Consiglio d’Europa. Sul terreno della abolizione della pena di morte, della lotta al razzismo, della libertà di espressione, della tutela della diversità culturale, della protezione dei diritti dei bambini, dello sviluppo di politiche per la gioventù.

Inoltre, parafrasando il mugnaio di Potsdam, nel nostro Continente si può dire: “c’è un giudice a Strasburgo”, con l’attività sviluppata dalla Cedu, frutto della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma.

Il Consiglio d’Europa ha saputo, cioè, consolidare le prerogative dei cittadini, aggiungendo alla tutela dei singoli ordinamenti statali quella derivante dalla applicazione della convenzione, in casi di violazione di diritti da parte degli Stati. Perché non c’è ragion di Stato che tenga nel caso di violazioni dei diritti della persona.

Più liberi, più sicuri, più coesi. E penso alla Carta Sociale Europea contro le disuguaglianze e le povertà, lanciata in Italia, a Torino, nel 1961.

Questi sono risultati impareggiabili della costruzione tenace di una casa comune quale il Consiglio d’Europa. Progresso per centinaia di milioni di cittadine e di cittadini europei, fieri di ritrovarsi sempre più in un unico demos.

Il Consiglio d’Europa è figlio di quella spinta al multilateralismo che caratterizzò gli anni successivi al Secondo conflitto mondiale, insieme al sistema delle Nazioni Unite. Una spinta basata su una considerazione elementare: la collaborazione riduce la contrapposizione, contrasta la conflittualità, aumentando le possibilità di composizione positiva delle vertenze.

Non fu facile imboccare la strada della riconciliazione. Così come non è stato facile giungere alla condivisione di una comune eredità; avere il coraggio di passare, nel rapporto tra gli Stati, dal diritto della forza alla forza del diritto.

Costruire una pace duratura è stato un processo lento e graduale che ha saputo evitare il rischio di una terza guerra mondiale, sfiorato con la guerra di Corea e il blocco di Berlino, e ha saputo passare, in quegli anni lontani, attraverso la regolazione della condizione dell’Austria sotto clausola di neutralità e il superamento della crisi di Cuba.

Quanto la guerra ha la pretesa di essere lampo – e non le riesce – tanto la pace è frutto del paziente e inarrestabile fluire dello spirito e della pratica di collaborazione tra i popoli, della capacità di passare dallo scontro e dalla corsa agli armamenti, al dialogo, al controllo e alla riduzione bilanciata delle armi di aggressione.

E’ una costruzione laboriosa, fatta di comportamenti e di scelte coerenti e continuative, non di un atto isolato. Il frutto di una ostinata fiducia verso l’umanità e di senso di responsabilità nei suoi confronti.

Come ci ricordava Robert Schuman “la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”.

Se perseguiamo obiettivi comuni, per “vincere” non è più necessario che qualcun altro debba perdere. Vinciamo tutti insieme.

L’esempio è stato contagioso, tanto da far diventare Strasburgo la meta obbligata di quanti raggiungevano libertà e indipendenza, per rafforzarle e consolidarle. E’ stato così in diversi casi; ma, naturalmente, per stare insieme occorre rispettare le regole che ci si è dati.

Si giustifica per questa ragione la parentesi della Grecia dopo il colpo di stato militare.

Decenni dopo, i popoli centro-europei, baltici e del Caucaso poterono scegliere, a loro volta, di aderire al Consiglio d’Europa e, con questa decisione, di schierarsi per la salvaguardia dei diritti umani, la vigenza dello Stato di diritto, lo sviluppo della democrazia.

Come ha sottolineato il Presidente della Repubblica Italiana, Sandro Pertini – intervenendo dinanzi a questa Assemblea esattamente 39 anni fa, il 27 aprile del 1983 – occorre talvolta saper esercitare il “coraggio della rinuncia”, quando la separazione di un Paese membro del Consiglio d’Europa appare necessaria per non tradire l’ispirazione che ha dato vita a questa istituzione.

L’obiettivo hitleriano che condusse alla Seconda guerra mondiale era quello di fare della Germania la potenza prevalente con un ruolo dominante su altri popoli e altri Paesi.

Fu un disegno che coinvolse regimi di numerose altre nazioni – il Regno d’Italia fra queste – e che fu battuto dalla coscienza civile internazionale.

Ma il registro della storia ci ricorda come stabilità e pace non siano garantite una volta per sempre: ce lo testimoniano drammatiche e tristi vicende nei Balcani, nel Caucaso, nel Mar Nero.

La pace non si impone automaticamente, da sola, ma è frutto della volontà degli uomini.

Viviamo oggi, nuovamente, l’incubo – inatteso perché imprevedibile – della guerra nel nostro Continente.

Si pratica e si vorrebbe imporre l’arretramento della storia all’epoca delle politiche di potenza, della sopraffazione degli uni sugli altri, della contrapposizione di un popolo – mascherato, talvolta, sotto l’espressione “interesse nazionale” – contro un altro.

Imperialismo e neo-colonialismo non hanno più diritto di esistere nel terzo millennio, quali che siano le sembianze dietro le quali si camuffano.

Non è più il tempo di una visione tardo-ottocentesca, e poi stalinista, che immagina una gerarchia tra le nazioni a vantaggio di quella militarmente più forte. Non è più il tempo di Paesi che pretendano di dominarne altri.

L’opzione è stata effettuata da tempo con il passaggio delle relazioni internazionali dalla estraneità agli aspetti giuridici alla civiltà del diritto.

Di fronte a un’Europa sconvolta dalla guerra nessun equivoco, nessuna incertezza è possibile.

La Federazione Russa, con l’atroce invasione dell’Ucraina, ha scelto di collocarsi fuori dalle regole a cui aveva liberamente aderito, contribuendo ad applicarle.

La deliberazione di questa Assemblea parlamentare – del Consiglio d’Europa – di prendere atto della rottura intervenuta è coerente con i valori alla base dello Statuto dell’organizzazione, che indica la strada di una unione più stretta delle aspirazioni comuni dei popoli europei.

La responsabilità della inevitabile sanzione adottata ricade interamente sul Governo della Federazione Russa. Desidero aggiungere: non sul popolo russo, la cui cultura fa parte del patrimonio europeo e che si cerca colpevolmente di tenere all’oscuro di quanto realmente avviene in Ucraina.

Non si può arretrare dalla trincea della difesa dei diritti umani e dei popoli.

Si tratta di principi che hanno saputo incarnarsi nella storia della seconda metà del ‘900 e, a maggior ragione, devono sapersi consolidare oggi.

La ferma e attiva solidarietà nei confronti del popolo ucraino e l’appello al Governo della Federazione Russa perché sappia fermarsi, ritirare le proprie truppe, contribuire alla ricostruzione di una terra che ha devastato, è conseguenza di queste semplici considerazioni.

Alla comunità internazionale tocca un compito: ottenere il cessate il fuoco e ripartire con la costruzione di un quadro internazionale rispettoso e condiviso che conduca alla pace.

Un grande intellettuale, Paul Valery – passato attraverso le due guerre mondiali – richiamava i concittadini europei a prendere coscienza di vivere in un mondo “finito”. “Non c’è più terra libera” – scriveva – nessun lembo del globo è più da scoprire.

Se nessuno è più estraneo a nessuno, si interrogava il Presidente Pertini, non è giunto il tempo che gli uomini apprendano a essere in pace con se stessi?

Potremmo oggi aggiungere: in un mondo sempre più interconnesso, nel quale sono sostanzialmente venute meno le distanze, in cui ciascuna persona può comunicare, e sovente comunica, in tempo reale, con interlocutori in ogni parte del mondo, non c’è posto, è anacronistico parlare di sfere di influenza territoriali.

Il contesto internazionale presenta contraddizioni, a partire dalla stessa Federazione Russa, responsabile della violazione di tutte le principali carte definite nell’ambito degli organismi multilaterali, e che si trova paradossalmente a invocare l’intervento dell’Organizzazione Mondiale del Commercio contro le sanzioni imposte dalla comunità internazionale.

Mentre il conflitto ha ulteriormente indebolito il sistema internazionale di regole condivise – e il mondo, come conseguenza, è divenuto assai più insicuro – la via di uscita appare, senza tema di smentita, soltanto quella della cooperazione e del ricorso alle istituzioni multilaterali.

Sembrano giungere a questa conclusione anche quei Paesi che, pur avendo rifiutato sin qui di riconoscere la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, ne invocano, invece, oggi, l’intervento, affinché vengano istruiti processi a carico dei responsabili di crimini, innegabili e orribili, contro l’umanità, quali quelli di cui si è resa colpevole la Federazione Russa in Ucraina, riconoscendo in tal modo il ruolo necessario di quella Corte.

Se la voce delle Nazioni Unite è apparsa chiara nella denuncia e nella condanna ma, purtroppo, inefficace sul terreno, questo significa che la loro azione va rafforzata, non indebolita.

Significa che iniziative, come quella promossa dal Liechtenstein e da altri 15 Paesi, per evitare la paralisi del Consiglio di Sicurezza dell’Onu vanno prese in seria considerazione.

La guerra è un mostro vorace, mai sazio. La tentazione di moltiplicare i conflitti è sullo sfondo dell’avventura bellicista intrapresa da Mosca.

La devastazione apportata alle regole della comunità internazionale potrebbe propagare i suoi effetti se non si riuscisse a fermare subito questa deriva. Dobbiamo saper scongiurare il pericolo dell’accrescersi di avventure belliche di cui, l’esperienza insegna, sarebbe poi difficile contenere i confini.

Dobbiamo saper opporre a tutto questo la decisa volontà della pace.

Diversamente ne saremo travolti.

Per un attimo, esercitiamoci – prendendole a prestito dal linguaggio della cosiddetta “guerra fredda” – a compitare insieme parole che credevamo cadute ormai in disuso, per vedere se possono aiutarci a riprendere un cammino, per faticoso che sia.

Distensione: per interrompere le ostilità.

Ripudio della guerra: per tornare allo statu quo ante.

Coesistenza pacifica, tra i popoli e tra gli Stati.

Democrazia – come ci insegna il prezioso lavoro della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa – come condizione per il rispetto della dignità di ciascuno.

Infine, Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali.

Prospettare una sede internazionale che rinnovi radici alla pace, che restituisca dignità a un quadro di sicurezza e di cooperazione, sull’esempio di quella Conferenza di Helsinki che portò, nel 1975, a un Atto finale foriero di sviluppi positivi. E di cui fu figlia la Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa.

Si tratta di affermare con forza il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza, su diritti affievoliti per alcuni popoli e Paesi e, invece, proclamare, nello spirito di Helsinki, la parità di diritti, la uguaglianza per i popoli e per le persone.

Secondo una nuova architettura delle relazioni internazionali, in Europa e nel mondo, condivisa, coinvolgente, senza posizioni pregiudizialmente privilegiate.

La sicurezza, la pace – è la grande lezione emersa dal secondo dopoguerra – non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kiiv -. Tanto più se questo avviene tra diseguali, tra Stati grandi e Stati più piccoli.

Garantire la sicurezza e la pace è responsabilità dell’intera comunità internazionale. Questa, tutta intera, può e deve essere la garante di una nuova pace.

Avviandomi alla conclusione, vorrei sottolineare come la possibilità di rivolgermi a voi di persona – potendo così dare manifestazione del bisogno basilare di comunicazione diretta – è sicuramente un vantaggio.

Abbiamo vissuto una lunga fase di difficoltà a causa della pandemia, con momenti drammatici. Il virus non è ancora debellato, ma abbiamo imparato a combatterlo, ad attenuarne gli effetti.

Desidero, in questa sede, rendere omaggio a tutti coloro che, a costo di rischi personali, talvolta con il sacrificio della vita, hanno contribuito a conseguire i risultati di cui oggi possiamo giovarci.

Penso in primo luogo al personale medico e sanitario, cui va tutta la nostra riconoscenza, ai ricercatori e agli scienziati, ma anche ai molti operatori, volontari, professionisti che a vario titolo ci hanno aiutato a superare questa prova.

Una volta di più abbiamo avuto conferma di quanto valga la cooperazione internazionale. La comunità scientifica internazionale ha operato al di sopra dei confini, scambiando dati, conoscenze risultati di esperienze, avanzamenti di ricerca.

Non poteva esservi richiamo più convincente; e si sperava che questo esempio di collaborazione contro un nemico comune dell’umanità fosse recepito dai governi degli Stati, sospingendo verso la ricerca del dialogo, della condivisione, della cooperazione.

Tutto questo non fa dimenticare che, se oggi possiamo sperare che il peggio sia ormai alle nostre spalle, è grazie al civismo dei nostri concittadini, al senso di responsabilità che hanno manifestato, alla loro collaborazione nelle misure per attenuare la diffusione del virus e nel garantire il successo delle campagne vaccinali. Senza il loro contributo non sarebbe stato possibile sconfiggere, oltre al Covid-19, il virus pernicioso della disinformazione e della sfiducia nella scienza.

Le nostre istituzioni hanno dimostrato capacità di saper reagire rapidamente, le nostre società hanno evidenziato una resilienza rassicurante.

Vorrei manifestare apprezzamento per il contributo, fornito dal Consiglio d’Europa agli Stati membri, affinché la risposta alla pandemia si svolgesse entro ambiti rispettosi dei diritti e delle libertà fondamentali; ponendo sempre al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità.

È un aspetto da non dare mai per scontato, un successo europeo del quale possiamo andare giustamente fieri.

Signore e Signori,

la Repubblica Italiana ha convintamente contribuito alla nascita di questa Organizzazione, alla sua crescita e alla sua piena affermazione, quale punto di riferimento imprescindibile nel sistema multilaterale in difesa dei valori di libertà e di affermazione dei principi dello Stato di diritto.

E’ una funzione che continua a manifestarsi preziosa, alla quale tutti gli organi del Consiglio d’Europa, e gli Stati membri, sono chiamati a concorrere.

E’ quanto abbiamo puntato a ribadire responsabilmente in occasione di questa ottava presidenza italiana del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa.

La generazione dei fondatori ha saputo edificare, su cumuli di macerie materiali, morali e giuridiche, questa comunità multilaterale, guardando al futuro. Confidiamo di avere custodito fedelmente questo patrimonio; di averlo difeso come un bene prezioso.

Ma se il compito non è esaurito, tocca proprio a noi corrispondere alle sfide di oggi, sviluppandone e attuandone i principi.

Auguri di buon lavoro – quindi – a tutti noi e grazie dell’attenzione.

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Oggi giovedì 28 aprile 2022

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L’Italia non può aderire al patto di Ramstein: non possiamo inviare armi offensive, l’art. 11 non lo consente
28 Aprile 2022
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A Ramstein, non a caso una base Nato, gli USA hanno riunito non solo i membri della Nato, ma anche “i volenterosi” contro la Russia. Son venuti da ogni parte del mondo ed hanno assunto una decisione storica: sconfiggere la Russia e ridurla alla merce’ delle potenze occidentali. Questa è la mission emersa da Ramstein, […]
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Sa die. Prima della cacciata dei piemontesi ci fu quella dei francesi
28 Aprile 2022
Andrea Pubusa su Democraziaoggi
In quale clima maturò lo “scommiato” dei Piemontesi il 28 aprile 1794? Ecco l’antefatto nelle prime proteste antifeudali e nel respingimento dei francesi. Tratto dal libro di A. Pubusa “Giommaria Angioy e la nazione mancata” , Ed. Arkadia.
Quando le navi al comando dell’ammiraglio Truguet si affacciarono nel Golfo di Cagliari la condizione dell’Isola […]
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ANPI-Scienze Politiche: due incontri su potere, libertà e informazione
28 Aprile 2022
Potere, libertà e informazione
- Giovedì 28 aprile 0re 9,30 – aula 7 viale S. Ignazio 76
Gianni Fresu, Univ. Cagliari
Cecilia Novelli
Angelo D’Orsi Univ. Torino
- Venerdì 29 aprile ore 16 aulaAecari , viale S. Ignazio 86
Angelo D’Orsi – Univ. Torino
Roberto Ibba – Univ. Cagliari
Gianlorenzo Zichi – Univ. Cagliari
Daniele Marongiu – Univ. Cagliari.

LO SPETTRO DELLA VITTORIA

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Newsletter n. 260 del 27 aprile 2022
(Segue)

Giovedì 28 Aprile Sa Die de sa Sardigna

7da5089b-9ad3-47cc-817a-156e2049531bCagliari, aprile 2022 - Tornano in presenza con una serie di appuntamenti che spaziano dalle rievocazioni storiche alle celebrazioni religiose e istituzionali passando per i dibattiti e le iniziative culturali, i festeggiamenti per Sa die de sa Sardigna, giornata di orgoglio del popolo sardo istituita nel 1993 per ricordare la sommossa dei Vespri sardi. “Ogni 28 aprile rievochiamo la Storia con orgoglio per tenere viva la memoria del grande e glorioso popolo sardo”, ha detto il Presidente della Regione Christian Solinas. “Sa Die, giornata della libertà e del riscatto che dopo due anni di pandemia possiamo finalmente tornare a festeggiare tutti insieme, sia l’occasione per ripartire e condividere un momento di riflessione su passato e di stimolo per il futuro affinché la Sardegna torni a essere la terra dei sardi e nessuno di essi debba più essere costretto per alcun motivo a lasciarla”. (Segue il Programma)

Quest’uomo, António Guterres, segretario generale delle Nazioni unite, ci rappresenta!

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Siamo interessati a trovare i modi per creare le condizioni di un cessate il fuoco in Ucraina il prima possibile, dobbiamo fare tutto ciò che è ed48e750-d914-42b4-8fab-c31ace6556b6possibile” per questo obiettivo. Lo ha detto il

segretario generale dell’Onu António Guterres

incontrando il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov a Mosca. “Stiamo assistendo a una situazione difficile in Ucraina, abbiamo interpretazioni diverse di ciò che sta accadendo ma questo non limita la possibilità di avere un dialogo serio“, ha precisato [ansa e tgcom24hnews].
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António Guterres

Oggi mercoledì 27 aprile 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni——————–
25 aprile. Un forte vento pacifista ha avvolto l’Italia contro le pulsioni di guerra
27 Aprile 2022
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Un forte vento di pace ha attraversato l’Italia il giorno della Liberazione e il 24 nella marcia Perugia-Assisi e nelle altre iniziative dei francescani. L’isteria bellicista ha dovuto tacere e nessun esito hanno avuto i tentativi di ostacolare o inquinare la mobilitazione per la pace, ad opera di chi con l’invio di armi e […]
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L’iniziativa dell’Onu per la pace non deve fallire
27 Aprile 2022
Alfiero Grandi su Democraziaoggi
È evidente il tentativo, in parte riuscito, di creare una sorta di pensiero unico: o con Putin o contro. Una semplificazione binaria che prelude alla coppia amico/nemico. In realtà la situazione ha una complessità non riducibile a questa coppia di opposti, sia nelle ragioni che hanno portato alla guerra che nell’individuare le soluzioni possibili. […]
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