Monthly Archives: aprile 2022

Oggi con Fëdor Dostoevskij

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Oggi con Fëdor Dostoevskij
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Domani con Fëdor Dostoevskij

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- Fëdor Dostoevskij

Oggi martedì 26 aprile 2022

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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———————
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Cagliari. Forte corteo del 25 aprile per la Liberazione e la pace
25 Aprile 2022
Una Festa di Liberazione e di Pace
di Gianna Lai

- È già da qualche tempo/che i nostri fascisti/si fan vedere poco/e sempre più tristi./ Hanno capito bene,/se non son proprio tonti,/ che sta per arrivare/ la resa dei conti/. Forza che è giunta l’ora/ infuria la battaglia/ per conquistar la pace/ per liberar l’Italia/. Scendiamo giù dai monti/ […]
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È possibile ripudiare la guerra? Solo una bella utopia?

31164aa3-d269-4cda-afb3-2aa0142c9843GUERRA, sempre? PACE, mai?
Maria Paola Patuelli​
20 aprile 2022 Democrazia costituzionale.

Poco dopo l’inizio della guerra, mi è stato chiesto di condurre un dialogo fra voci diverse. Chiesi di aprire con una mia personale riflessione dettata dalla cultura femminista che da tempo mi sta facendo rileggere la storia del mondo da un altro punto di vista, il più radicale da me trovato. Sono passate ormai settimane, la guerra continua in forme sempre più tragiche. Riprendo in mano gli appunti stesi in quell’occasione. Il mio addolorato spaesamento continua, e aggiungo considerazioni lunari. Meglio, lunatiche.
Un punto di vista non neutro, il mio, come il maschile che si presume universale. In genere si associa il neutro alla mancanza di estremi. La guerra è l’opposto del neutro, è un estremo, è torrida. E calda lo era anche nei decenni in cui fu definita fredda. Fredda per chi, poi? Per noi casualmente nati in Europa o negli USA. Fredda non lo fu in Corea, anche per molti giovani americani che vi lasciarono la vita. Non fu fredda nel Vietnam, una guerra che coinvolse le passioni di molte e molti giovani della mia generazione. Molti furono i fronti caldi, pure in un mondo che pareva regolato da un ordine bipolare chiaro. In quel tempo non avevo chiavi di lettura femministe. E mi collocavo nella parte che mi pareva la migliore.
Il neutro universale mi fa pensare, oggi, all’estremo abissale di una cultura maschile, radicata fin dall’inizio della storia umana. Spiegherò questo maschile nel corso della riflessione.
In apertura dell’incontro a più voci, sono partita da un libro del 1974, che fu per me di grande nutrimento, La storia. Uno scandalo che dura da diecimila anni, di Elsa Morante. Quale è lo scandalo? La guerra. Non a caso, pensai allora, quando comparve la parola di Gesù, fu considerata uno scandalo ribaltante, perché bandiva la guerra, considerata al tempo di Gesù naturale come la grandine. Fu messa in croce la predicazione della pace. Predicazione presto rimossa. E molte potenze cristiane, anche di cristianesimi fra loro diversi, nel passato e nel presente, guerreggiano. E’ naturale?
Come comincia il racconto di Elsa Morante? Con un soldato ubriaco che stupra una donna. Maschio casualmente tedesco, donna casualmente italiana.
Donne estranee alla guerra, fuori dalla storia per tempi immemorabili, estraniate. Volute fuori, estranee, perché impegnate doverosamente in altri compiti sociali. Ma tracce di estraniamento critico compaiono, quasi dal sen fuggite. Nell’Iliade, Cassandra, Ecuba, Andromaca, tragicamente estranee, lontane dal coraggio dei loro maschi, meglio morire da eroi che essere sconfitti. Simone Weil scrisse L’Iliade le poème de la force, opera fondativa dell’immaginario maschile occidentale ben più dei Vangeli. Omero vince su Gesù. Normale? Guerra, fra forza violenta e maschile piacere, brividi di piacere lungo la schiena, forti emozioni. Christa Woolf, comunista e femminista, in Cassandra fa esplodere il suo urlo femminista. Fossero così pacifiche le esplosioni causate dall’invenzione della polvere da sparo, che ha segnato la nostra storia non meno dell’invenzione della stampa, due invenzioni cinesi arrivate quasi simultaneamente in Europa. E tutto cambiò seppure non con la velocità del tempo presente. Per restare in Grecia, punto di partenza della nostra civiltà, Aristofane ci prende in giro, in Lisistrata, raccontando di donne stanche di guerra che minacciano lo sciopero del sesso. Evidentemente sotto traccia qualcosa ribolliva nel sentire delle donne ateniesi e non solo.
Faccio un salto di millenni, ma in mezzo c’è stata sempre la stessa musica, guerre, donne merce di scambio, stupri. Ed eroi coraggiosi, costi quel che costi.
Virginia Woolf, in Le tre Ghinee, denuncia in modo netto, indiscutibile, il legame fra sistema patriarcale, militarismo, regimi totalitari e il nesso stretto fra potere nella sfera pubblica e nella sfera privata.
Le sue parole.
Il modo migliore di aiutarvi a prevenire una guerra non è ripetere le vostre parole e i vostri metodi, ma di trovare nuove parole e inventare nuovi metodi.
Io in quanto donna non ho patria. In quanto donna, la mia patria è il mondo intero.
Cara sorella Virginia, sorella non perché abbiamo lo stesso sesso, ma perché la pensiamo allo stesso modo. Le tue parole raggiungono, indietro nel tempo, il cosmopolitismo dell’ateo e materialista Democrito – a me fratello – e il radicale pacifismo del cristiano Erasmo da Rotterdam, che, prima che avesse inizio la rivoluzione luterana, scrisse Il Lamento della pace. Dove spiegò, con parole le più radicali, dopo quelle di fratello Francesco – del Duecento – che la guerra non è solo crudele. E’ inutile e stupida. Quello che sta ogni giorno dicendo Francesco, il Papa di oggi. Ascoltato da pacifisti, uomini e donne, quegli ingenui – ma dove vivono? – e da femministe. Ben diverso da Papi del passato, alcuni anche in armi, e da varie chiese, che benedivano armi amiche. Got Mit Uns. La riedizione di un Olimpo patriarcale, un Dio per ogni diverso esercito.
L’unico modo per spiegare la guerra, la vergogna umana per eccellenza, è porsi al di fuori, farsi, almeno per qualche istante, apolidi, guardare la terra dalla luna. Non è un caso, forse, se spesso le donne strane sono definite lunatiche. Virginia Woolf, lunatica, vide le divisioni all’interno dei movimenti pacifisti del suo tempo, e ne fu addolorata. Senza dimenticare che lei stessa fu vittima di guerra. Vedendo, da lontano, i bombardamenti sulla sua amata Londra, decise che al mondo non voleva più starci. E se ne andò.
Sia chiaro. Le donne non sono nate pacifiche e i maschi bellicosi. La spiegazione è nella storia, nella cultura. Disperazione e speranza. Speranza che non avremmo, se fosse faccenda di natura. Se i maschi fossero bellicosi per natura, nulla di buono vedremmo, come possibilità, davanti a noi. Le donne sono pacifiche per natura? Ci sono state regine, all’interno di una cultura patrircale pienamente accolta, che hanno esercitato il potere con guerre – anche donne capo di stato recenti – e, stando ai giorni nostri, vediamo donne che scelgono il mestiere delle armi, un esito della emancipazione che ben poco mi piace. In Irak abbiamo visto donne che partecipavano a torture per umiliare il nemico sconfitto. Arduo spiegare a un eventuale abitante della luna perché gli irakeni fossero nemici di nate e nati in Usa. Lessi, poi, che una di loro era, in quel momento, incinta. Naturale? Quando furono aperte alle donne le porte degli eserciti, non molto tempo fa, pensai che ogni porta chiusa viene prima o poi aperta. Ma cosa sperai? Che le donne dicessero, no, grazie. E invitassero i maschi a fare altrettanto.
Rientro lentamente – in quanto lunatica -, e con fatica, nel mondo comune.
Le stesse analisi di Virginia Woolf le ho trovate in un libro recente di Giorgia Serughetti Il vento conservatore. La destra populista all’attacco della democrazia, uscito prima della guerra. Giorgia Serughetti indica le stesse connessioni: Dio, Patria, Famiglia, da Trump a Putin, passando per Salvini. Una vasta geopolitica. Tutta destra populista, una internazionale di destra, una ferita per me che ho alle spalle una gioventù dove l’internazionalismo era sicuramente di sinistra. O, almeno, così sentivo. La stessa analisi di Virginia in Le Tre Ghinee. La sacra alleanza, fra Putin e Kirill, il patriarca di tutte le Russie. Trono e altare. Vecchia storia. Nostalgia dell’Impero che fu, da riprendere, costi quel che costi. Femmine al loro posto e maschi al loro superiore posto. Minoranze sessuali? Che orrore! Ma c’è una matassa ancora più difficile da districare. Trump disse che non voleva più occuparsi delle disgrazie degli altri popoli. Biden, nello spazio di un mattino si ritira dall’Afganistan. Io, lunare, pensai. Cha abbiano capito che le guerre è inutile farle? Che sia diventato più saggio di Putin, che bombarda in Siria? La democrazia liberale fa un passo in avanti? Invece, cosa scopro, in questi giorni? Che l’Ucraina, martoriata, è stata riempita da tempo di armi occidentali, tantissime, e di ogni tipo. Perché? Che la Cia opera da tempo in Ucraina. Perché? Non ricordo chi, nel passato, disse. L’Orso russo è difficile da stanare dalla sua tana. Ma quando ne è uscito, ancora più difficile è farlo rientrare. Allora chiedo ai grandi esperti di mondo e di guerre. Siete impreparati, non fate bene il vostro mestiere, o vi piace proprio il mestiere della guerra? L’orso lo avete voluto stanare? E l’orso si è fatto stanare e intrappolare? Tutti molto bravi, non c’è che dire, i professionisti del potere e della guerra. Non dico della politica. Perché qui dall’alto, sulla Luna, dove mi trovo, non vedo la politica. Chissà dove si è nascosta. Così come vedo un’Europa che si restringe sempre più, come un tessuto lavato a temperature troppo altre, brucianti.
Io, lunare, pensavo che era la cultura dei diritti umani – la parte migliore della storia europea – che l’Est post sovietico voleva, non le armi e i servizi segreti occidentali. Di nuovo ha ragione Virginia. Se si resta dentro lo stesso schema non di gioco, ma di guerra, le dinamiche sono sempre le stesse. In Occidente, in Oriente, nelle democrazie liberali, nei regimi ancora comunisti (quali?) e post comunisti. Vanno inventate nuove idee, nuove parole, nuovi metodi. Che non trovo né nei filo Putin né nei filo Zelenski. Né a Ovest, né a Est.
Sono equidistante? No, sono sulla Luna.
Femministe, donne e uomini pacifisti hanno manifestato, correndo grande pericolo, contro la guerra, a Pietroburgo, a Mosca. Giorgia Serughetti ha recentemente ricordato le attiviste russe della Feminist anti-war resistans. Generazioni, generi e culture plurali, inedite, si affacciano all’orizzonte. Qui mi ritrovo non più lunare. In un mondo che ancora non c’è.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Una festa di Liberazione e di Pace

b55ad2d0-a261-4800-b05a-95d178478e79In piazza del Carmine viene tenuto il discorso finale da Antonello Murgia – Presidente porv. ANPI e del Comitato 25 aprile
Abbiamo voluto chiamare questo 25 aprile “Una Festa di Liberazione e di Pace” perché quest’anno non vogliamo solo ricordare e mantenere vivo quel percorso di democrazia nato dalla guerra partigiana e realizzato con l’avvento della Repubblica e con la sua Carta costituzionale. [segue]

Ripartenza

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Che succede?

c3dem_banner_04VINCE MACRON, MA RESTA FORTE IN EUROPA LA SFIDA DEI SOVRANISMI
25 Aprile 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
[segue]

Oggi lunedì 25 aprile 2022 È Festa d’aprile Festa della Liberazione.

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Un 25 aprile di lotta per far sorgere la pace
25 Aprile 2022
Niente meglio dell’ANPI esprime il […]
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Preg.mo Signor Questore, mi dia retta: rilegga e ami la Costituzione
25 Aprile 2022 su Democraziaoggi.
Andrea Pubusa, già prof. ordinario di Diritto amministrativo e Pubblico nell’Università di Cagliari
Preg.mo Signor Questore,
gli amici del Comitato antifascista di Cagliari mi hanno inviato per un esame la sua nota in cui vieta una pubblica riunione in Piazza Gramsci “per ragioni di ordine pubblico“. Le confesso che questo inciso mi ha fatto subito sobbalzare sulla […]
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Elezioni presidenziali francesi. Macron ha vinto! Arrestata la deriva fascista. E noi siamo contenti.

c7eee65b-a275-455d-9cfe-36f668a53486Macron continuerà a essere presidente della Francia. Ne siamo contenti. Adesso vorremmo che Macron si adoperasse subito per il cessate il fuoco in Ucraina e per l’apertura di un vero negoziato tra Russia e Ucraina per la pace con la partecipazione di tutti gli altri Stati coinvolti, in primis Usa e Cina, ma con un ruolo di primo piano dell’Unione Europea e dell’Onu. In tale auspicabile iniziativa s’impegnino l’Italia e gli altri Stati europei.

25 aprile Ora e Sempre Resistenza!

b62757ae-1555-4fb9-b56a-81089d32a884Un 25 aprile di lotta per far sorgere la pace
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.

Accanto alla gente di Ucraina, a chi resiste in quella terra aggredita, per evitare il sacrificio ancor più grande di un popolo martoriato e un incontrollato effetto domino del teatro bellico. Nelle piazze come ogni anno perché il fascismo fu violenza e guerra fin dalla sua nascita
25 Aprile Antifascismo Guerra e Pace
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Il Presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo.

Il 25 aprile è un giorno di festa. Ma mai come quest’anno è segnato da una tragedia che si sta svolgendo da due mesi a 2.500 chilometri di distanza e che potrebbe espandersi come una metastasi. Perché la guerra è una metastasi. Sai come comincia, ma non sai se, come e quando si estenderà.

È la tragedia del popolo ucraino che sta soffrendo un tempo di distruzioni, eccidi, bombardamenti a causa di un’invasione sanguinosa. Il primo pensiero non può perciò che essere rivolto a quella gente che ha visto, da un giorno all’altro, sconvolti il lavoro, la quotidianità, la sicurezza, la vita. Non si può essere indifferenti davanti a una tragedia europea che mette in discussione i fondamenti del vivere civile. La domanda che assilla tutti è come uscirne, come far sì che termini il supplizio del popolo e come evitare che la guerra dilaghi. Per questo è giusto dedicare la Giornata della Liberazione alla pace, com’è sempre stato, è e sarà nelle tradizioni dell’Anpi.

Mirella Alloisio, componente del CLN Liguria, partigiana, ha affermato al congresso nazionale dell’Anpi, che “la nostra lotta è stata prima di tutto una lotta per la pace”. Dedicare il 25 aprile alla prospettiva della pace vuol dire farne il giorno della speranza, il giorno della più grande unità contro l’invasione sanguinosa, una guerra alle porte, il rumore delle armi. Non ci sarà pace senza un negoziato, una trattativa. Non ci sarà pace senza una scintilla che rischiari il buio di una notte che è piombata sull’Ucraina e sull’Europa in modo improvviso e imprevisto. Sia chiaro: c’è un aggredito e un aggressore e c’è il diritto morale e giuridico dell’aggredito di difendersi attraverso una lotta di resistenza. Tutto ciò è essenziale. Ma oggi non è più sufficiente davanti alla continua escalation, alla nuova offensiva militare delle armate di Putin, alle parole di fuoco che intercorrono fra i capi di Stato, al riarmo generalizzato che riguarda i Paesi dell’Unione Europea e le grandi potenze.

Ogni guerra è stata peggiore della precedente perché ogni guerra ha visto un armamento sempre più sofisticato dal punto di vista tecnologico. Da più di 70 anni la guerra ha cambiato natura perché prevede la possibilità dell’uso dell’armamento nucleare. Allo scempio di Hiroshima e Nagasaki è seguito il tempo dell’equilibrio del terrore dove il reciproco timore di un attacco atomico ha comportato un altrettanto reciproca dissuasione dall’uso dell’arma letale. Ma quel tempo, il tempo della guerra fredda, non c’è più; invece dell’auspicato nuovo mondo plurale e policentrico si è imposto un disordine mondiale dove ha prevalso la volontà di potenza, aprendo la fase di un terrore senza equilibrio.

Troppe volte in queste drammatiche settimane si è accennato all’atomica, sia pur come ultima difesa, rompendo un tabù che durava dal dopoguerra. Né dimentichiamo che il nostro Paese, per posizione geografica, per numero di basi militari (Nato e americane), per l’armamento atomico, è una potenza militare e perciò, nella stessa misura, vulnerabile. La pace oggi non è quindi una predicazione astratta da anime belle che non si fanno carico delle dure repliche della realtà, ma un obiettivo urgente ed essenziale per evitare un ancor più grande sacrificio del popolo ucraino e una incontrollata esplosione del teatro di guerra con un effetto domino.

In questo scenario il 25 aprile ci ricorda immediatamente, come un grande sospiro di sollievo, la fine del conflitto che insanguinò il nostro Paese e la liberazione dalle armate naziste e dal fascismo. Il fascismo fu guerra per la sua nascita, la sua vita, la sua morte.

Nacque dalla “inutile strage” del Primo conflitto mondiale e da quell’impasto mortale di nazionalismo, irredentismo, mito della violenza che ne seguì. Visse con la missione della guerra: in Africa, in Spagna, in Francia, nei Paesi orientali. Morì nella sua più grande apologia di violenza, la repubblica di Salò.

E fu la violenza che tenne assieme il suo convulso filo cronologico, dagli squadristi del 1919 alle brigate nere saloine. Una violenza che si costituì come stato d’eccezione permanente per cui l’altro italiano era sempre visto come il nemico interno e perciò perseguitato e, se necessario, ucciso come nel caso di Giacomo Matteotti, dei fratelli Rosselli e di tanti altri antifascisti. La Resistenza fu il contrasto armato, pacifico, civile e sociale a tutto ciò e salvò l’Italia da una sconfitta che ebbe ben più gravi conseguenze nella Germania smembrata e nel Giappone annichilito dalle atomiche. E i resistenti, donne e uomini, nel loro andare in direzione ostinata e contraria, gettarono i semi di quell’impianto valoriale che si incardinò pochi anni dopo nella Costituzione della Repubblica: democrazia, libertà, eguaglianza, solidarietà, lavoro, pace.

Qui ed ora queste parole assumono un significato rinnovato, di pregnante attualità su cui è possibile e necessario costruire la più larga unità delle forze democratiche: pensiamo alle diseguaglianze che hanno raggiunto in questi ultimi anni i picchi più alti dall’ultimo dopoguerra; pensiamo al lavoro in un Paese in cui nel 2022 si contano 5 milioni e mezzo di poveri; pensiamo alla solidarietà, dopo una tragedia di due anni – la pandemia – che ha travolto la vita di più di 160mila cittadini; pensiamo alla democrazia, insidiata da un declino non ineluttabile ma segnato da una crescente sfiducia nelle istituzioni, come si vede dall’altissimo numero di astensioni elettorali; pensiamo alla pace che è oggi la più drammatica emergenza. Su tutto ciò ci si può e ci si deve unire contrastando la pericolosissima deriva della demonizzazione, dell’individuazione dell’altro come il nemico interno, della militarizzazione del dibattito pubblico.

Vogliamo che sia un grande 25 Aprile di unità, di lotta contro la guerra, di impegno per l’attuazione della Costituzione. Vogliamo che sia il giorno in cui portare nelle piazze tutta la nostra intelligenza, tutto il nostro cuore, tutta la nostra passione civile perché si affretti a sorgere una nuova alba.

Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi.
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)

Trad. it. di Aurelia Martelli
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Domani 25 aprile: Ora e sempre Resistenza!

c9657a47-868f-481e-8887-9f249fc4ad33La Confederazione Sindacale Sarda -CSS, Assotziu Consumadoris Sardigna, Liberi Agricoltori e Pastori Sardi, Ambulantando, vi invitano a partecipare alla manifestazione-corteo del 25 Aprile sotto lo striscione “Prepariamo la Pace “con le bandiere della pace e della CSS e di tutti i movimenti democratici. Appuntamento Lunedì 25 aprile 2022 ore 9.30 in Piazza Garibaldi a Cagliari. Partecipiamo numerosi! .

Oggi e sempre in marcia per la Pace!

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Oggi domenica 24 aprile 2022 – Marcia straordinaria per la Pace PerugiAssisi

f63326b1-2285-43fa-8a37-0347491098b4GLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413filippo-figari-sardegna-industre-2aladin-logonge-cover-1lampadadialadmicromicro13democraziaoggi-loghettogf-02
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——————-Opinioni, Commenti e Riflessioni———————
Carbonia. Per capire i 72 giorni. Contro i morti in miniera e i licenziamenti, 4.000 in quattro mesi, si consolida nel Sulcis la “non collaborazione”, secondo il modello nazionale. I salari del 1948
24 Aprile 2022
Gianna Lai su Democraziaoggi.

Oggi domenica nuovo appuntamento settimanale con la storia di Carbonia, dal 1° settembre 2019.
Poveri da sempre i minatori, addirittura immiserite le famiglie dopo i nuovi provvedimenti SMCS, a riconoscere la loro dignità di lavoratori le sezioni di partito e le leghe e il sindacato e il soccorso di una solidarietà estesa all’intera […]
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Il GR, per nascondere una bugia, ne dice due
24 Aprile 2022
A.P. su Democraziaoggi.
Il giornale radio stamane titola “marcia indietro di Pagliarulo” e racconta la prima balla: il presidente dell’ANPI non aveva condannato l’invasione russa e non riconosceva il diritto alla resistenza dell’Ucraina. Falso! Fin dal primo documento l’Anpi ha condannato l’aggressione russa ed ha riconosciuto (come non poteva?) il diritto alla legittima difesa degli ucrainia. Poi, siccome […]
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Carlo Smuraglia, esempio di libertà, fermezza e correttezza
24 Aprile 2022
A.P. su Democraziaoggi.

L’Unione di ieri ha pubblicato una bella intervista al Presidente onorario dell’Anpi Carlo Smuraglia. Col solito garbo e con insuperabile chiarezza ha illustrato in vista della Festa della Liberazione il significato della Resistenza, mettendo in luce il suo significato di lotta armata per la liberazione del nostro paese e dell’Europa dal nazifascismo. Un movimento di […]
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Che succede?

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MATTARELLA: PACE NON SIGNIFICA ARRENDERSI DI FRONTE ALLA PREPOTENZA
23 Aprile 2022 su C3dem
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Fermatevi! La guerra è una follia.

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In cammino per la pace. La Marcia di Capitini e la Marcia di oggi
di Daniele Taurino
Azione nonviolenta. Apr 21, 2022

Nella macchina della propaganda bellica è finito pure Aldo Capitini – insieme a Gandhi, Langer e altri ­– tirato in ballo e utilizzato come schermo morale da chi non si vuole assumere la responsabilità delle sue scelte nette per l’invio di armi all’Ucraina e per l’aumento delle spese militari; ma Capitini non può essere un paravento nemmeno per un certo “pacifismo da divano” che si limita a scrivere e lanciare appelli, senza contribuire realmente alla costruzione di politiche attive della nonviolenza. La conseguenza pratica della nonviolenza politica, da Gandhi a Capitini, infatti è l’azione diretta antimilitarista, cioè il rifiuto di collaborare a tutto ciò che tiene in piedi gli eserciti e che prepara le guerre. La nonviolenza dunque è soprattutto prevenzione della guerra, ma anche quando sono solo le armi a prendersi la scena, qualcosa si può fare.

In «Il Mattino del Popolo», del 13 marzo 1948 a questo proposito Capitini scriveva: «In quanti modi si può ostacolare l’invasore senza uccidere nessuno! Ma bisogna imparare, bisogna avere pronti certi mezzi. Una noncollaborazione attivissima di moltitudini non è una terza via oltre la guerra e il cedere? […] L’Italia deve dare l’esempio a sé, all’Europa e agli altri del mondo, insensualiti dal possesso delle armi, di modi diversi nell’affermare la civiltà».

E questi modi (il metodo della nonviolenza) ce li indica lo stesso Capitini:

Rifiuto di prestare il servizio militare (obiezione di coscienza) o di essere considerati membri dell’esercito (restituzione del congedo militare);
Rifiuto di pagare la percentuale delle tasse che vanno al bilancio militare (obiezione fiscale);
Rifiuto di lavorare per ricerche scientifiche destinate all’esercito;
Rifiuto dell’educazione militarista e della propaganda bellica sui giovani;
Rifiuto di trasportare materiale bellico, rifiuto dell’industria bellica
Sono tutte azioni all’immediata portata delle singole persone e sostenibili dall’opinione pubblica. Non vederne la possibilità di attuazione, è già una precisa scelta politica.

La prima Marcia della Pace Perugia-Assisi del 1961 ha partorito il Movimento Nonviolento, l’una e l’altro voluti da Aldo Capitini. La Marcia come presentazione del programma, il Movimento come strumento attuativo. Marcia e Movimento, insieme, per la nonviolenza organizzata. La nonviolenza, quella di Capitini, continua a “produrre onde che vanno lontano”: una di queste onde ha generato la Rete italiana Pace e disarmo, di cui il Movimento Nonviolento è parte fondativa e integrante, che in questi anni ha segnato una piena maturazione del movimento pacifista italiano.

La Marcia per la pace che si conclude ad Assisi (la città del santo della nonviolenza) risponde ad un’esigenza diffusa di sentirsi parte di una mobilitazione più ampia contro la guerra. Una Marcia è utile quando diventa uno strumento finalizzato a sostenere le campagne disarmiste e pacifiste che i movimenti stanno portando avanti da anni.

E a chi ci chiede “dove sono i pacifisti? Cosa fate per aiutare l’Ucraina?” occorrerebbe chiedere invece dov’erano loro mentre noi dal 2014 condannavamo l’invasione Russa di parti dell’Ucraina e scrivevamo su Azione nonviolenta (come già avevamo fatto per la Siria e per tutte le guerre recenti) che “in Europa, la guerra, la sua preparazione e la sua minaccia non sono solo memoria, ma ancora realtà. Poco più di un secolo fa l’Europa ‘scivolava’ nella prima guerra mondiale: anche allora le caste al potere non volevano una grande guerra in Europa, ma neppure volevano rinunciare alla guerra, agli armamenti e alla politica delle minacce come mezzo della politica internazionale. Queste stesse ragioni potrebbero portarci nuovamente a ‘scivolare’ dentro un’altra guerra, perché l’accumulazione attuale di armi in Europa non ha precedenti”. Non si tratta di profetismo, ma della capacità di leggere criticamente la realtà con gli strumenti della nonviolenza capitiniana: le spese militari non servono per accumulare inutili armi nei depositi, ma per realizzare la politica di potenza fondata sulla continua preparazione della guerra. E mentre si è continuato a investire per la guerra, nessuna risorsa è stata destinata per preparare un efficace corpo civile europeo di pace, competente ad intervenire nei conflitti prima che degenerino in guerra e durante di essi con interposizioni, mediazioni, protezione dei civili e azioni di sabotaggio.

Anche durante il periodo tragico della guerra la lezione di Capitini – lui visse la seconda mondiale da antifascista e nonviolento – ci invita a tenere aperti i collegamenti tra i resistenti alla guerra sul piano internazionale, con una specifica attenzione agli attori in guerra: ora quindi è fondamentale dialogare e sostenere gli obiettori e i disertori russi e ucraini. È quello che stiamo facendo con la nostra campagna di “obiezione alla guerra”, coordinata dal Movimento Nonviolento.

Daniele Taurino – Direttivo nazionale Movimento Nonviolento
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93dace1e-cb27-423a-bb6a-fcbe2cc00f4b7c66066f-206f-41a9-b416-3964704d4c3bI nonviolenti di Ucraina, Russia e Italia:
I nostri tre popoli sono contro la guerra perché la conoscono. Siamo fratelli e sorelle.
Una dichiarazione congiunta
La guerra è il più grande crimine contro l’umanità.
Non esiste guerra giusta. Ogni guerra è sacrilega.
Per questo siamo obiettori di coscienza, rifiutiamo le armi e gli eserciti che sono gli strumenti che rendono possibili le guerre.
Il conflitto tra Russia e Ucraina può e deve essere risolto con mezzi pacifici, salvando così molte vite. Sappiamo che l’invasione russa in corso in Ucraina viola il diritto internazionale e che l’Ucraina ha il diritto di difendersi dall’aggressione armata, ma non possiamo accettare alcuna giustificazione della guerra, perché siamo persuasi che l’azione nonviolenta sia la migliore forma di autodifesa. Non possiamo accettare le narrazioni russe e ucraine che ritraggono questi due popoli come nemici esistenziali che devono essere fermati con la forza militare. Le vittime di questo conflitto, civili di diverse nazionalità, muoiono e soffrono a causa delle azioni militari di tutti i combattenti. Ecco perché le armi e le voci dell’odio devono essere messe a tacere per cedere il passo alla verità e alla riconciliazione.
Facciamo parte dell’Internazionale dei Resistenti alla Guerra (W.R.I.) e dell’Ufficio Europeo per l’Obiezione di Coscienza (EBCO), e lavoriamo insieme in un unico grande movimento per la pace. Ci rivolgiamo ai nostri governi (ucraino, russo, italiano) affinché attivino subito ogni strada diplomatica possibile per un tavolo delle trattative per il cessate il fuoco. I nostri popoli sono contro la guerra. I nostri popoli hanno già subito l’immenso dramma della seconda guerra mondiale, hanno conosciuto i totalitarismi, e vogliono un futuro di pace per le nuove generazioni.
Siamo per il disarmo, siamo contro le spese militari; vogliamo che i nostri governanti usino i soldi del popolo per combattere la povertà e per il benessere di tutti, non per nuove armi.
Un inutile sforzo bellico non dovrebbe distrarci dalla risoluzione di urgenti problemi socioeconomici ed ecologici. Non possiamo permettere ai politici di gonfiare la loro popolarità e alle industrie militari di trarre profitto dall’infinito spargimento di sangue.
Conosciamo l’efficacia della nonviolenza come stile di vita e forza più potente dell’ingiustizia, della violenza e della guerra. Stiamo lavorando sia per la resistenza nonviolenta alla guerra che per le trasformazioni sociali, sviluppando una cultura di pace che riporterà i soldati ad essere civili e distruggerà tutte le armi. Crediamo nella libertà, nella democrazia, nei diritti umani e lavoriamo affinché i nostri paesi si rispettino a vicenda.
La coscienza individuale è una tutela contro la propaganda di guerra e può salvaguardare dal coinvolgimento dei civili nella guerra. Faremo tutto il possibile per proteggere il diritto umano all’obiezione di coscienza al servizio militare nei nostri paesi.
Ci sentiamo come fratelli e sorelle, e siamo solidali con coloro che oggi soffrono a causa di questa guerra e di ogni altra guerra nel mondo.
Yurii Sheliazhenko
Ukrainian Pacifist Movement
Elena Popova
Russian Conscientious Objectors Movement
Mao Valpiana
Movimento Nonviolento italiano
Kiev, Sankt Peterburg, Verona, 14 aprile 2022
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Manifesto Russell-Einstein
Nel 1955 il filosofo-matematico Bertrand Russell e lo scienziato Albert Einstein si fanno promotori di una importante dichiarazione in favore del disarmo nucleare e della scelta pacifista per l’umanità, sottoscritta da scienziati e intellettuali di prestigio.
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Nella tragica situazione che l’umanità si trova ad affrontare, riteniamo che gli scienziati debbano riunirsi per valutare i pericoli sorti come conseguenza dello sviluppo delle armi di distruzione di massa e per discutere una risoluzione nello spirito del documento che segue.
Non parliamo, in questa occasione, come appartenenti a questa o a quella nazione, continente o credo, bensì come esseri umani, membri del genere umano, la cui stessa sopravvivenza è ora in pericolo. Il mondo è pieno di conflitti, e su tutti i conflitti domina la titanica lotta tra comunismo
e anticomunismo. Chiunque sia dotato di una coscienza politica avrà maturato una posizione a riguardo. Tuttavia noi vi chiediamo, se vi riesce, di mettere da parte le vostre opinioni e di ragionare semplicemente in quanto membri di una specie biologica la cui evoluzione è stata sorprendente e la cui scomparsa nessuno di noi può desiderare.
Tenteremo di non utilizzare parole che facciano appello soltanto a una categoria di persone e non ad altre. Gli uomini sono tutti in pericolo, e solo se tale pericolo viene compreso vi è speranza che, tutti insieme, lo si possa scongiurare.
Dobbiamo imparare a pensare in modo nuovo. Dobbiamo imparare a domandarci non già quali misure adottare affinché il gruppo che preferiamo possa conseguire una vittoria militare, poiché tali misure ormai non sono più contemplabili; la domanda che dobbiamo porci è: “Quali misure occorre adottare per impedire un conflitto armato il cui esito sarebbe catastrofico per tutti?”
La gente comune, così come molti uomini al potere, ancora non ha ben compreso quali potrebbero essere le conseguenze di una guerra combattuta con armi nucleari. Si ragiona ancora in termini di città distrutte. Si sa, per esempio, che le nuove bombe sono più potenti delle precedenti e che se una bomba atomica è riuscita a distruggere Hiroshima, una bomba all’idrogeno potrebbe distruggere grandi città come Londra, New York e Mosca.
È fuor di dubbio che in una guerra con bombe all’idrogeno verrebbero distrutte grandi città. Ma questa non sarebbe che una delle tante catastrofi che ci troveremmo a fronteggiare, e nemmeno
la peggiore. Se le popolazioni di Londra, New York e Mosca venissero sterminate, nel giro di alcuni secoli il mondo potrebbe comunque riuscire a riprendersi dal colpo. Tuttavia ora sappiamo, soprat- tutto dopo l’esperimento di Bikini, che le bombe atomiche possono portare gradatamente alla distruzione di zone molto più vaste di quanto si fosse creduto.
Fonti autorevoli hanno dichiarato che oggi è possibile costruire una bomba 2500 volte più potente di quella che distrusse Hiroshima. Se fatta esplodere a terra o in mare, tale bomba disperde nell’atmosfera particelle radioattive che poi ridiscendono gradualmente sulla superficie sotto forma di pioggia o pulviscolo letale. È stato questo pulviscolo a contaminare i pescatori giapponesi e il loro pescato.
Nessuno sa con esattezza quanto si possono diffondere le particelle radioattive, ma tutti gli esperti sono concordi nell’affermare che una guerra con bombe all’idrogeno avrebbe un’alta probabilità di portare alla distruzione della razza umana. Si teme che l’impiego di molte bombe all’idrogeno possa portare alla morte universale – morte che sarebbe immediata solo per una minoranza, mentre alla maggior parte degli uomini toccherebbe una lenta agonia dovuta a malattie e disfacimento.
In più occasioni eminenti uomini di scienza ed esperti di strategia militare hanno lanciato l’allarme. Nessuno di loro afferma che il peggio avverrà per certo. Ciò che dicono è che il peggio può accadere e che nessuno può escluderlo. Non ci risulta, per ora, che le opinioni degli esperti in questo campo dipendano in alcuna misura dal loro orientamento politico e dai loro preconcetti. Dipendono, a quanto emerso dalle nostre ricerche, dalla misura delle loro competenze. E abbiamo riscontrato che i più esperti sono anche i più pessimisti.
Questo dunque è il problema che vi poniamo, un problema grave, terrificante, da cui non si può sfuggire: metteremo fine al genere umano, o l’umanità saprà rinunciare alla guerra? È una scelta con la quale la gente non vuole confrontarsi, poiché abolire la guerra è oltremodo difficile.
Abolire la guerra richiede sgradite limitazioni alla sovranità nazionale. Ma forse ciò che maggior- mente ci impedisce di comprendere pienamente la situazione è che la parola “umanità” suona vaga e astratta. Gli individui faticano a immaginare che a essere in pericolo sono loro stessi, i loro figli e nipoti e non solo una generica umanità. Faticano a comprendere che per essi stessi e per i loro cari esiste il pericolo immediato di una mortale agonia. E così credono che le guerre potranno continuare a esserci, a patto che vengano vietate le armi moderne.
Ma non è che un’illusione. Gli accordi conclusi in tempo di pace di non utilizzare bombe all’idrogeno non verrebbero più considerati vincolanti in tempo di guerra. Con lo scoppio di un conflitto armato entrambe le parti si metterebbero a fabbricare bombe all’idrogeno, poiché se una parte costruisse bombe e l’altra no, la parte che ha fabbricato le bombe risulterebbe inevitabilmente vittoriosa. Tuttavia, anche se un accordo alla rinuncia all’armamento nucleare nel quadro di una generale riduzione degli armamenti non costituirebbe la soluzione definitiva del problema, avrebbe nondimeno una sua utilità. In primo luogo, ogni accordo tra Oriente e Occidente è comunque positivo poiché contribuisce a diminuire la tensione internazionale. In secondo luogo, l’abolizione delle armi termonucleari, nel momento in cui ciascuna parte fosse convinta della buona fede dell’altra, diminuirebbe il timore di un attacco improvviso come quello di Pearl Harbour, timore che al momento genera in entrambe le parti uno stato di agitazione. Dunque un tale accordo andrebbe accolto con sollievo, quanto meno come un primo passo.
La maggior parte di noi non è neutrale, ma in quanto esseri umani dobbiamo tenere ben presente che affinché i contrasti tra Oriente e Occidente si risolvano in modo da dare una qualche soddisfa- zione a tutte le parti in causa, comunisti e anticomunisti, asiatici, europei e americani, bianchi e neri, tali contrasti non devono essere risolti mediante una guerra. È questo che vorremmo far capire, tanto all’Oriente quanto all’Occidente.
Ci attende, se lo vogliamo, un futuro di continuo progresso in termini di felicità, conoscenza e saggezza. Vogliamo invece scegliere la morte solo perché non siamo capaci di dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, in quanto esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità, e dimenticate il resto. Se ci riuscirete, si aprirà la strada verso un nuovo Paradiso; altrimenti, vi troverete davanti al rischio di un’estinzione totale.
Invitiamo questo congresso, e per suo tramite gli scienziati di tutto il mondo e la gente comune, a sottoscrivere la seguente mozione:
In considerazione del fatto che in una futura guerra mondiale verrebbero certamente impiegate armi nucleari e che tali armi sono una minaccia alla sopravvivenza del genere umano, ci appelliamo con forza a tutti i governi del mondo affinché prendano atto e riconoscano pubblicamente che i loro obbiettivi non possono essere perseguiti mediante una guerra mondiale e di conseguenza li invitiamo a trovare mezzi pacifici per la risoluzione di tutte le loro controversie.
Albert Einstein Bertrand Russell
Max Born
(Premio Nobel per la fisica)
Percy W. Bridgman
(Premio Nobel per la fisica)
Leopold Infeld
(Professore di fisica teorica)
Frédéric Joliot-Curie
(Premio Nobel per la chimica)
Herman J. Muller
(Premio Nobel per la fisiologia e medicina)
Linus Pauling
(Premio Nobel per la chimica)
Cecil F. Powell
(Premio Nobel per la fisica)
Józef Rotblat (Professore di fisica)
Hideki Yukawa
(Premio Nobel per la fisica)
Trad. it. di Aurelia Martelli