Perché una Costituzione della Terra?

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Perché una Costituzione della Terra? Relazione tenuta a Roma, alla Biblioteca Vallicelliana per l’inaugurazione della Scuola “Costituente Terra” il 21 febbraio 2020.

di Luigi Ferrajoli
1 Scetticismi e realismo. Tempi brevi e spazi ristretti delle politiche nazionali –
Siamo ben consapevoli del fatto che questo nostro progetto di una Costituzione della Terra può apparire un’utopia, un progetto irrealistico e irrealizzabile. Come è possibile, in tempi come gli attuali, di crisi delle democrazie nazionali e di processi decostituenti dei costituzionalismi statali anche nei Paesi più avanzati, ipotizzare una democrazia cosmopolitica e una Costituzione globale? Come è possibile mettere insieme centinaia di popoli e di nazionalità diverse, talora tra loro in conflitto, intorno a un patto costituzionale comune? Come è possibile che un simile patto possa essere condiviso da 196 Stati sovrani e da quei nuovi sovrani irresponsabili e invisibili nei quali si sono trasformati i mercati? La nostra ipotesi, in breve, può apparire da un lato infondata sul piano teorico, dall’altro irrealistica sul piano politico.

Ebbene, la tesi sottostante alla nostra proposta ribalta questi argomenti scettici. Proprio questi argomenti – l’inesistenza di un popolo globale omogeneo e l’esistenza degli Stati sovrani – sono a nostro parere, le principali ragioni, teoriche e politiche, a sostegno della necessità e dell’urgenza di un allargamento del paradigma costituzionale a livello internazionale.

Si pone in proposito, anzitutto, una questione teorica di fondo, che riguarda la concezione della Costituzione. Contro la concezione nazionalista e identitaria della Costituzione formulata da Carl Schmitt negli anni Trenta del secolo scorso e riproposta oggi dai tanti populismi e sovranismi, la Costituzione, a nostro parere, non consiste nell’espressione dell’identità e dell’“unità del popolo come totalità politica” (Il custode della Costituzione [1931], tr.it., Giuffrè, Milano 1981, pp. 135 e 241). Essa è al contrario, un patto di convivenza pacifica tra differenti e disuguali: patto di non aggressione tra differenti e patto di mutuo soccorso tra disuguali. Per questo è tanto più legittima, necessaria ed urgente quanto maggiori sono le differenze di identità personali che ha il compito di tutelare e quanto più profonde sono le disuguaglianze materiali che è chiamata a ridurre. Una Costituzione, in breve, è legittima e democratica non perché voluta da tutti, ma perché garantisce tutti.

Ma è soprattutto sul piano del realismo politico che oggi si richiede, contro le ipotesi scettiche, l’allargamento a livello globale del paradigma della democrazia costituzionale. E’ infatti evidente che 7 miliardi e 700 milioni di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale incontrollato ed ecologicamente insostenibile non possono a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, alla crescita esponenziale delle disuguaglianze e della povertà e, insieme, dei razzismi, dei fondamentalismi e della criminalità.

Si capisce come di fronte a queste sfide globali alla ragione giuridica e politica, le politiche degli Stati nazionali siano inadeguate e impotenti. Sono sconcertanti la loro inerzia e il loro silenzio intorno alle catastrofi umanitarie, alle guerre e alle minacce di disastri ecologici dai quali, tra l’altro, fuggono le masse di migranti che le nostre inutili leggi e le nostre frontiere militarizzate non sono in grado di arrestare. Certamente questa inadeguatezza delle politiche nazionali si spiega anche con la loro subalternità all’economia generata dalla corruzione, dai conflitti di interesse, e dalle pressioni lobbistiche. Ma essa dipende soprattutto da due gravi aporie che investono la democrazia politica e sono legate entrambe al rapporto delle politiche nazionali da un lato con il tempo e dall’altro con lo spazio.

Le politiche nazionali sono vincolate ai tempi brevi, anzi brevissimi, delle competizioni elettorali, o peggio dei sondaggi, e agli spazi ristretti dei territori nazionali: tempi brevi e spazi angusti che evidentemente impediscono ai governi statali, interessati soltanto al consenso elettorale, di affrontare le sfide e i problemi globali con politiche alla loro altezza. Le più gravi minacce al futuro dell’umanità – le devastazioni ambientali, le esplosioni nucleari, le stragi di migranti, la fame, la miseria e le malattie non curate che provocano la morte ogni anno di milioni di esseri umani – sono così ignorate dalle nostre opinioni pubbliche e dai governi nazionali e non entrano nella loro agenda politica, interamente legata agli spazi ristretti disegnati dalle competizioni elettorali. A causa della pratica quotidiana dei sondaggi in vista soltanto delle scadenze elettorali, la politica sta inoltre perdendo anche le dimensioni del tempo: da un lato l’amnesia, cioè la perdita della memoria delle guerre mondiali, dei fascismi e dei “mai più” da cui sono nate le Costituzioni e le Carte del secondo dopoguerra; dall’altro la miopia e l’irresponsabilità per il futuro non immediato e per i problemi globali. Solo così si spiegano il ritorno della guerra avvenuto in questi anni e l’indifferenza spensierata per le distruzioni in atto dell’ambiente e per le prognosi infauste intorno al futuro del nostro pianeta.

La democrazia odierna conosce insomma soltanto spazi ristretti e tempi brevi. Non ricorda e anzi rimuove il passato e non si fa carico del futuro, ossia di ciò che accadrà oltre i tempi delle scadenze elettorali e al di là dei confini nazionali. E’ affetta da localismo e da presentismo. È chiaro che l’ottica miope dei tempi brevi e degli spazi ristretti non può che rimanere ancorata agli interessi immediati e nazionali, e quindi escludere ogni prospettiva progettuale capace di farsi carico dei problemi sovra-nazionali e del futuro. La democrazia entra così in conflitto con la razionalità politica, ossia con gli interessi generali di lungo periodo degli stessi Paesi democratici. E rischia perciò di crollare anche negli ordinamenti nazionali. Anche perché nell’odierno mondo globalizzato il futuro di ciascun Paese dipende sempre meno dalla politica interna e sempre più da decisioni esterne, sia di carattere politico che di carattere economico.

2. La necessità e l’urgenza di un costituzionalismo oltre lo Stato. Istituzioni di governo e istituzioni di garanzia –
E’ da questa banale, elementare consapevolezza che è nata l’idea di dar vita a un movimento d’opinione diretto a promuovere un costituzionalismo sovranazionale, in grado di colmare il vuoto di diritto pubblico prodotto dall’asimmetria tra il carattere globale degli odierni poteri selvaggi e il carattere ancora prevalentemente locale della politica e del diritto.

Non si tratta di un’ipotesi utopistica. Si tratta al contrario della sola risposta razionale e realistica allo stesso dilemma che si propose quattro secoli fa a Thomas Hobbes:la generale insicurezza generata dalla libertà selvaggia dei più forti, oppure sulla base del divieto della guerra e della garanzia della vita. Un dilemma, quello odierno, ben più drammatico di quello allora concepito. Ci sono infatti due differenze profonde tra la società naturale dell’homo homini lupus ipotizzata da Hobbes e lo stato di natura nel quale si trovano tra loro i 196 Stati sovrani e i grandi poteri economici e finanziari globali, a loro volta dotati di sovranità assoluta. La prima è che l’attuale società selvaggia dei poteri globali è una società popolata non più da lupi naturali, ma da lupi artificiali – gli Stati e i mercati – sostanzialmente sottratti al controllo dei loro creatori e dotati di una forza distruttiva incomparabilmente maggiore di qualunque armamento del passato, in grado di distruggere non solo l’umanità e la società civile, ma anche la natura, ossia lo stesso stato di natura. La seconda è che, diversamente da tutte le altre catastrofi passate – le guerre mondiali, gli orrori dei totalitarismi – la catastrofe ecologica e quella nucleare sono in larga parte irreversibili, e forse non faremo a tempo a formulare nuovi “mai più”: c’è infatti il pericolo che si acquisti consapevolezza della necessità di un nuovo patto quando sarà troppo tardi.

Quel patto di convivenza pacifica, non dimentichiamo, era già stato stipulato dall’umanità all’indomani della seconda guerra mondiale e della liberazione dal nazifascismo. In quello straordinario quadriennio costituente, tra il 1945 e il 1948, seguito alla guerra mondiale, l’umanità sembrò prendere coscienza della propria fragilità. Furono perciò rifondate non solo, nei Paesi liberati dai fascismi, le democrazie nazionali sulla base dei limiti e dei vincoli imposti da Costituzioni rigide alle decisioni delle maggioranze. Fu anche rifondato, con la Carta dell’Onu e poi con le tante Carte sui diritti umani, il diritto internazionale, trasformato da sistema pattizio di relazioni tra Stati sovrani basato su trattati bi- o multi-laterali in un ordinamento giuridico entro il quale tutti gli Stati membri sono soggetti a un medesimo diritto, cioè al divieto della guerra e al rispetto e all’attuazione dei diritti umani. Disponiamo già, quindi, di un embrione di Costituzione del mondo, formato dalla Carta dell’Onu e dalle tante Carte, dichiarazioni, convenzioni e patti internazionali sui diritti umani. Sul piano normativo, insomma, il paradigma costituzionale è già stato incorporato nell’ordinamento internazionale.

Di questo ordinamento si sta tuttavia verificando, insieme alla perdita di memoria dei “mai più” alla guerra e ai totalitarismi stipulati in quella embrionale Costituzione globale, un vistoso processo decostituente. La stipulazione in tutte quelle Carte dei principi della pace, dell’uguaglianza e dei diritti fondamentali, avrebbe richiesto l’introduzione delle loro garanzie ad opera di una sfera pubblica globale: garanzie della pace tramite l’attuazione del capo VII della Carta dell’Onu e perciò il monopolio sovranazionale della forza, lo scioglimento degli eserciti nazionali e la messa al bando delle armi; garanzie dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla sussistenza, tramite un adeguato finanziamento di istituzioni globali di garanzia come la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità; garanzie dei beni comuni contro le devastazioni ambientali, tramite l’istituzione di demani sovranazionali; garanzie giurisdizionali, a cominciare dal controllo di costituzionalità e di convenzionalità, contro le violazione dei divieti e degli obblighi imposti da tali garanzie.

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C’è infatti un tratto caratteristico dei diritti fondamentali che spiega, nell’ordinamemto internazionale, la loro ineffettività. Diversamente dai diritti patrimoniali, le cui garanzie vengono ad esistenza insieme ai diritti garantiti – il debito insieme al credito, il divieto di lesione insieme al diritto reale di proprietà – le garanzie dei diritti fondamentali non nascono insieme alla loro stipulazione, ma richiedono dalla politica l’introduzione, tramite norme di attuazione, delle loro garanzie e delle relative funzioni e istituzioni di garanzia. Hanno bisogno di norme di attuazione che ne introducano, a livello globale, le garanzie primarie e le relative istituzioni, come il servizio sanitario mondiale, un’organizzazione mondiale del lavoro e dell’istruzione, un demanio planetario, un fisco globale e simili. Nessuna di queste istituzioni di garanzia, fatta eccezione per la Corte penale internazionale introdotta dal Trattato di Roma del 1998, è mai stata istituita.

Ebbene, la nostra ipotesi di Costituzione della Terra intende prendere sul serio le tante Carte dei diritti esistenti, che sono diritto vigente ancorché ineffettivo, introducendo una prima innovazione rispetto alle Costituzioni statali, alla Carta dell’Onu e alle tante Carte internazionali dei diritti umani. Diversamente da queste Carte essa dovrà prevedere e includere nel testo costituzionale non soltanto le tradizionali funzioni legislative, esecutive e giudiziarie, ma anche le funzioni e le istituzioni di garanzia primaria dei diritti e dei beni fondamentali.

L’ipotesi teorica che proponiamo di assumere alla base del nostro progetto è infatti una riformulazione della classica tipologia e separazione dei poteri formulata da Montesquieu 270 anni, fa in presenza di un sistema istituzionale enormemente più semplice di quelli attuali: la distinzione, che ho più volte proposto, tra istituzioni di governo e istituzioni di garanzia. Le istituzioni di governo sono quelle investite di funzioni politiche, di scelta e di innovazione discrezionale in ordine a quella che possiamo chiamare la “sfera del decidibile”: non solo, quindi, le funzioni propriamente governative di indirizzo politico e di scelta amministrativa, ma anche le funzioni legislative. Le istituzioni di garanzia sono invece quelle investite delle funzioni vincolate all’applicazione della legge, e in particolare del principio della pace e dei diritti fondamentali, a garanzia di quella che possiamo chiamare la “sfera dell’indecidibile (che o che non)”: le funzioni giudiziarie o di garanzia secondaria, ma ancor prima le funzioni deputate alla garanzia in via primaria dei diritti sociali, come le istituzioni scolastiche, quelle sanitarie, quelle assistenziali, quelle previdenziali e simili.

Sono queste funzioni e queste istituzioni di garanzia, ben più che le funzioni e le istituzioni di governo, che a livello globale è necessario sviluppare in attuazione del paradigma costituzionale. Ciò che si richiede, ai fini della garanzia della pace, dell’ambiente e dei diritti umani, è non già l’istituzione di un’improbabile e neppure auspicabile riproduzione della forma dello Stato a livello sovranazionale – una sorta di superstato mondiale, sia pure basato sulla democratizzazione politica dell’ONU – ma piuttosto l’introduzione di tecniche, di funzioni e di istituzioni adeguate di garanzia. Le funzioni e le istituzioni di governo, infatti, essendo legittimate dalla rappresentanza politica, è bene rimangano quanto più possibile di competenza degli Stati nazionali, non avendo molto senso un governo rappresentativo planetario basato sul classico principio una testa/un voto. Al contrario, le funzioni e le istituzioni di garanzia primaria dei diritti fondamentali, e in particolare dei diritti sociali alla salute, all’istruzione e alla tutela dell’ambiente, essendo legittimate non già dal consenso della maggioranza ma dall’universalità dei diritti fondamentali, non solo possono, ma in molti casi devono essere introdotte a livello internazionale. Gran parte di tali funzioni contro-maggioritarie – in materia di ambiente, di criminalità transnazionale, di gestione dei beni comuni e di riduzione delle disuguaglianze – riguardano infatti problemi globali, come la difesa dell’ecosistema, la fame, le malattie non curate e la sicurezza, i quali richiedono risposte globali che solo istituzioni globali sono in grado di assicurare.

E’ soprattutto la mancanza di queste funzioni e di queste istituzioni globali di garanzia la vera, grande lacuna dell’odierno diritto internazionale, equivalente a una sua vistosa violazione. E sono queste funzioni e istituzioni di garanzia che occorre concepire e poi introdurre e imporre normativamente nella Costituzione della Terra, onde garantire la sopravvivenza del genere umano, minacciata per la prima volta nella storia dalle nostre stesse politiche irresponsabili.

Per questo abbiamo progettato una scuola “Costituente Terra”: il ruolo di questa scuola non è quello di insegnare, bensì quello di sollecitare la riflessione collettiva e l’immaginazione teorica in ordine alle tecniche e alle istituzioni di garanzia idonee a fronteggiare le sfide e le catastrofi globali. Se il nostro progetto avesse solo l’effetto di mettere all’ordine del giorno la riflessione teorica su queste tecniche di garanzia, avrebbe raggiunto un essenziale obiettivo.

3. L’inveramento del costituzionalismo per effetto della sua espansione a livello globale, nei confronti dei poteri privati e a tutela dei beni fondamentali. La vera utopia, il vero realismo –
C’è poi una seconda e ancor più importante innovazione, rispetto al costituzionalismo tradizionale, che verrebbe prodotta da una Costituzione della Terra. Il costituzionalismo odierno è un costituzionalismo di diritto pubblico, ancorato alla forma dello Stato nazionale e declinato come sistema di limiti e vincoli a garanzia dei diritti fondamentali. Le espressioni “Stato di diritto”, “Stato legislativo di diritto”, “Stato costituzionale di diritto” sono significative: solo lo Stato e la politica, nella tradizione liberale, sarebbero il luogo del potere e se ne giustificherebbe perciò la soggezione a regole e a controlli. La società civile e il mercato, al contrario, sarebbero il regno delle libertà, che si tratterebbe soprattutto di proteggere contro gli abusi e gli eccessi dei pubblici poteri. Quanto alle relazioni internazionali, esse sarebbero il luogo delle sovranità, sia pure debolmente vincolate al rispetto dei trattati.

La Costituzione della Terra che proponiamo di elaborare si caratterizzerà invece per un allargamento del paradigma costituzionale oltre lo Stato, in tre direzioni: a) in primo luogo in direzione di un costituzionalismo sovranazionale o di diritto internazionale, in aggiunta all’odierno costituzionalismo statale, tramite la previsione di funzioni e di istituzioni sovra-statali di garanzia all’altezza dei poteri economici e politici globali; b) in secondo luogo in direzione di un costituzionalismo di diritto privato, in aggiunta all’odierno costituzionalismo di diritto pubblico, tramite l’introduzione di un sistema adeguato di garanzie nei confronti degli attuali poteri selvaggi dei mercati; c) in terzo luogo in direzione di un costituzionalismo dei beni fondamentali, in aggiunta a quello dei diritti fondamentali, tramite la previsione di garanzie dirette a conservare e ad assicurare l’accesso di tutti al godimento di beni vitali come i beni comuni, ma anche i farmaci salva-vita e l’alimentazione di base.

Sono tre espansioni dettate dalla logica stessa del costituzionalismo, la cui storia è la storia di un progressivo allargamento della sfera delle sue tutele: dai diritti di libertà nelle prime Dichiarazioni e nelle Costituzioni ottocentesche, al diritto di sciopero e ai diritti sociali nelle Costituzioni del secolo scorso, fino ai nuovi diritti alla pace, all’ambiente, all’informazione, all’acqua e all’alimentazione oggi rivendicati e non ancora tutti costituzionalizzati. Si è trattato di una storia sociale e politica, prima che teorica, dato che nessuno di questi diritti è mai calato dall’alto, ma tutti sono stati conquistati da movimenti rivoluzionari: le grandi rivoluzioni liberali americana e francese, poi i moti ottocenteschi in Europa per gli Statuti, poi la lotta di liberazione antifascista da cui sono nate le odierne Costituzioni rigide, infine le lotte operaie, femministe, ecologiste e pacifiste di questi ultimi decenni.

Oggi è un nuovo movimento d’opinione e di lotta politica che deve essere attivato e che già è stato attivato dalla mobilitazione di milioni di giovani in difesa della Terra. Non si tratta soltanto di un allargamento, ma anche di un inveramento del costituzionalismo. Siamo infatti convinti che esiste una contraddizione irrisolta, presente esplicitamente nella Carta dell’Onu, tra il costituzionalismo dei diritti universali e la difesa delle sovranità statali, tra il principio della pace e il mancato monopolio della forza in capo all’ONU, tra l’universalismo dei diritti fondamentali e la cittadinanza. E’ perciò un salto di qualità del costituzionalismo che oggi viene imposto dalle attuali, micidiali minacce al futuro della Terra e dell’umanità. Il paradigma costituzionale inverato dalla sua universalizzazione è infatti incompatibile sia con la cittadinanza, che è l’ultimo accidente di nascita che differenzia le persone nei diritti e dovrà essere sostituita dalla residenza quale presupposto dell’esercizio dei diritti politici, che con la sovranità, non essendo da esso ammessi poteri costituiti sovrani. “La sovranità appartiene al popolo”, affermano le Costituzioni democratiche. Ma questo vuol dire che essa altro non è che la somma di quei frammenti di sovranità che sono i diritti fondamentali di cui tutti – i milioni, anzi i miliardi di persone che formano i popoli – sono titolari.

Solo una Costituzione della Terra può insomma superare quei fattori di divisione del genere umano e di contraddizione con i principi della pace e dell’uguaglianza che sono le diverse sovranità e le diverse cittadinanze e perciò inverare l’universalismo dei diritti fondamentali. Solo grazie agli allargamenti qui ipotizzati del costituzionalismo, Stati e mercati cesseranno di essere, come ha detto Raniero La Valle, i nostri pifferai, i nostri padroni, cioè valori intrinseci e fini a se stessi come oggi vorrebbero sovranisti e liberisti, e trasformarsi in strumenti di garanzia dei diritti fondamentali di tutti e degli altri principi di giustizia costituzionalmente stabiliti.

L’attuale crisi delle nostre democrazie costituzionali è dovuta in gran parte al capovolgimento del rapporto tra politica ed economia provocato dall’asimmetria tra il carattere globale della prima e il carattere ancora soltanto statale della politica e del diritto. Oggi non sono più gli Stati che garantiscono la concorrenza tra le imprese, ma sono al contrario le grandi imprese transnazionali che mettono in concorrenza gli Stati, privilegiando quelli nei quali sono minori le garanzie del lavoro e dei diritti fondamentali, minori o inesistenti le tutele dell’ambiente e maggiori le possibilità di corrompere o comunque di condizionare i governi. Per questo, l’alternativa è oggi radicale: o si sviluppa un processo costituente di carattere sovranazionale, dapprima europeo e poi globale, cioè la costruzione di una sfera pubblica planetaria in grado di porre limiti alla sovranità selvaggia dei mercati e degli Stati più potenti a garanzia dei diritti e dei beni vitali di tutti, oppure sono in pericolo non soltanto le nostre democrazie, ma anche la pace e la vivibilità del pianeta.

Siamo quindi convinti che oggi la vera utopia, l’ipotesi più irrealistica e inverosimile sia l’idea che la realtà possa rimanere indefinitamente come è: che potremo continuare a lungo a basare le nostre ricche democrazie e i nostri spensierati tenori di vita sulla fame e la miseria del resto del mondo, sulla forza delle armi e sullo sviluppo ecologicamente insostenibile delle nostre economie. Tutto questo non può, realisticamente, durare. E’ lo stesso preambolo alla Dichiarazione del ‘48 che stabilisce un nesso di implicazione reciproca tra pace e diritti, tra sicurezza e uguaglianza. E per quanto l’attuale assenza di una sfera pubblica globale equivalga di fatto alla legge del più forte, essa non giova, nei tempi lunghi, neanche ai più forti: giacché la Terra, come dice un vecchio slogan del movimento contro l’odierna globalizzazione selvaggia, è l’unico pianeta che abbiamo.

Il vero realismo, la sola risposta razionale alle sfide globali è insomma la costruzione di una sfera pubblica globale che prenda sul serio le promesse formulate in quell’embrione di Costituzione del mondo che è formato dalle tante Carte dei diritti. La nostra iniziativa, il ruolo della nostra scuola avrà successo se solo riuscirà a mettere all’ordine del giorno della riflessione teorica e politica il tema, finora ignorato, della rifondazione garantista delle nostre democrazie: di un processo ricostituente delle democrazie nazionali e costituente della democrazia cosmopolitica. Per questo diffonderemo il nostro appello anche fuori del nostro paese e tenteremo di coinvolgere in quest’opera di riflessione collettiva avviata dalle nostre scuole l’intero mondo della cultura giuridica e politica: giuristi, economisti, teorici della politica di tutto il mondo.

Questa nostra scuola, anzi le nostre scuole – giacché speriamo che altre si aggiungeranno a quella che organizzeremo qui a Roma – dovranno riflettere su tutte le varie questioni e le varie emergenze che mettono in pericolo l’umanità e in ordine alle quali dovranno individuare le tecniche di garanzia più pertinenti. Qui ne indicherò tre, che richiedono tutte un’espansione del paradigma costituzionale a livello globale: a) le catastrofi ecologiche; b) le guerre nucleari e la produzione e moltiplicazione delle armi; c) la fame e le malattie non curate. Ma sono molte altre le questioni e le emergenze su cui dovremo riflettere: lo sfruttamento del lavoro, la questione migranti, le minacce alla democrazia – e non solo gli innegabili benefici – oggi rappresentate dalle tecnologie informatiche. Tutte queste questioni sono tra loro connesse: i cambiamenti climatici, le guerre e la povertà crescente, da cui fuggono centinaia di migliaia di migranti, è il frutto dell’anarco-capitalismo selvaggio e predatorio, a sua volta sorretto dalle politiche liberiste e dalla disgregazione da esse promossa delle soggettività collettive, tramite la precarizzazione dei rapporti di lavoro, a beneficio dei populismi e delle loro campagne identitarie e razziste contro i migranti.

4. A) L’emergenza ambientale, le possibili catastrofi ecologiche e le garanzie della Terra –
La prima emergenza, che richiede un costituzionalismo allargato in tutte e tre le direzioni sopra indicate – quale costituzionalismo di diritto privato, quale costituzionalismo dei beni comuni e quale costituzionalismo di livello globale – è l’emergenza ambientale. La nostra generazione ha recato danni irreversibili e crescenti al nostro ambiente naturale. Abbiamo massacrato intere specie animali, avvelenato il mare, inquinato l’aria e l’acqua, deforestato e desertificato milioni di ettari di terra. L’attuale sviluppo sregolato del capitalismo, insostenibile sul piano ecologico, sta avvolgendo come una metastasi il nostro pianeta mettendone a rischio, in tempi non lunghissimi, la stessa abitabilità. Nell’ultimo mezzo secolo, mentre la popolazione mondiale si è più che triplicata, il processo di alterazione e distruzione della natura – le cementificazioni, lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, il riscaldamento globale, gli inquinamenti dell’aria e dei mari, la riduzione della biodiversità, le esplosioni nucleari – si è sviluppato in maniera esponenziale. Contemporaneamente si stanno estinguendo le risorse energetiche non rinnovabili – il petrolio, il carbone e i gas naturali – accumulate in milioni di anni e dissipate in pochi decenni. Lo sviluppo insostenibile sta insomma dilapidando i beni comuni naturali come se noi fossimo le ultime generazioni che vivono sulla Terra.

Di qui la necessità di dar vita a una fase nuova del costituzionalismo che riconosca e garantisca, accanto ai diritti fondamentali, anche quelli che possiamo chiamare beni fondamentali perché vitali – come l’acqua, l’aria, i ghiacciai, il patrimonio forestale – sottraendoli al mercato e alla disponibilità della politica e stipulandone lo status inderogabile di beni costituzionali e perciò indisponibili, onde conservarli e renderli accessibili a tutti.

Assistiamo invece al processo opposto: alle privatizzazioni e alla mercificazione di questi beni. Il caso esemplare è quello di quel bene vitale che è l’acqua potabile, sottoposta a una duplice aggressione: dapprima la sua trasformazione, ad opera delle pratiche predatorie del capitalismo selvaggio – deforestazioni, sperperi, inquinamenti delle sorgenti e delle faglie acquifere – in un bene scarso e non più accessibile a tutti, al punto che circa un miliardo di persone non possono accedervi; poi, proprio per questo, la sua paradossale privatizzazione e trasformazione in merce, nel momento in cui se ne richiederebbe, per la sua scarsità, la garanzia come bene fondamentali di tutti.

Ma non solo l’acqua, ma tutti i beni comuni – l’atmosfera, i mari e i grandi fiumi, le grandi foreste, la biodiversità – sono oggi minacciati dallo sviluppo industriale insostenibile. Parafrasando il preambolo della Carta dell’Onu, una Costituzione della Terra volta a garantire i beni fondamentali del pianeta in aggiunta ai diritti fondamentali, delle persone, potrebbe aprirsi con queste parole: “Noi popoli delle Nazioni Unite, decisi a salvare le generazioni future dal flagello dello sviluppo ecologicamente insostenibile che nel corso di una generazione ha provocato indicibili devastazioni al nostro ambiente naturale, conveniamo” le seguenti, urgenti misure a garanzia dei seguenti beni fondamentali dell’umanità.

La riflessione teorica promossa dalla nostra scuola dovrà identificare questi beni e queste misure: l’istituzione di autorità mondiali di garanzia dell’ambiente, deputate alla sorveglianza sull’intangibilità dei beni fondamentali, all’imposizione di limiti e controlli in ordine all’emissione di gas serra, alla deliberazione di sequestri e sanzioni nei confronti di quanti violano le regole e le garanzie poste a tutela di tali beni vitali. La più importante di queste garanzie è una vecchia figura, nota fin dal diritto romano: quella del demanio, cioè della sottrazione al mercato dei beni comuni attraverso la loro qualificazione come beni demaniali. Con due correttivi. In primo luogo la costituzionalizzazione del loro status di beni demaniali. Oggi i beni demaniali sono definiti dalla legge: in Italia dal Codice civile, che qualifica come tali una lunga serie di cose (le spiagge, i porti, i fiumi, i torrenti, i laghi, le strade statali e simili). Ma la legge può disporne, come è avvenuto in Italia, la privatizzazione e la trasformazione in beni patrimoniali che solo la loro costituzionalizzazione può impedire. In secondo luogo è necessaria l’istituzione di più tipi di demanio: oltre agli odierni demani comunali, regionali e statali, anche, i demani sovra-statali, europei o anche globali, onde porli al riparo dalle aggressioni provenienti dall’industria e dal mercato globale. Di un futuro demanio planetario dovrebbero far parte l’acqua potabile, i ghiacciai, i mari, i litorali marini e la foresta amazzonica, vittima da anni di incendi criminali.

Va aggiunto che una politica razionale diretta alla tutela dei beni ecologici richiede oggi una lotta contro il tempo. C’è infatti una terribile novità rispetto a tutte le catastrofi del passato. Sempre, dalle altre catastrofi, anche le più terribili – dalle guerre mondiali ai genocidi – la ragione giuridica e politica ha tratto lezioni, formulando contro il loro ripetersi nuovi patti costituzionali, nuovi “mai più”. Diversamente da tutte le altre catastrofi passate della storia umana, la catastrofe ecologica è in larga parte irrimediabile, e forse non faremo a tempo a trarne le dovute lezioni. Per la prima volta nella storia c’è il pericolo che si acquisti la consapevolezza della necessità di cambiare strada e di stipulare un nuovo patto quando ormai sarà troppo tardi. Ma possiamo anche dire che per la prima volta nella storia l’emergenza ambientale può offrire, forse più di qualunque altra, l’occasione per costringere la popolazione del pianeta a mettere da parte i tanti conflitti e interessi meschini e per unificarla intorno a una battaglia comune, contro una minaccia comune, per una causa comune.

5. B) L’emergenza nucleare. Le guerre e la produzione e la vendita delle armi. Le garanzie della pace –
La seconda emergenza, che parimenti richiede l’espansione del costituzionalismo a livello globale è costituita dalle guerre e dalle minacce alla pace generate dalla produzione e detenzione di armi sempre più micidiali. Dopo la caduta del muro di Berlino, nuove guerre di aggressione, pur previste come crimini dallo Statuto della Corte penale internazionale approvato a Roma il 17.7.1998, sono state scatenate dall’Occidente: in Iraq nel 1991, nella ex Jugoslavia nel 1999, in Afghanistan nel 2001, di nuovo in l’Iraq nel 2003, contro la Libia nel 2011.

Oggi le guerre sono assai più micidiali e spaventose di quelle del passato, se non altro per l’incomparabile potenziale distruttivo degli attuali armamenti e per il loro carattere asimmetrico, quali guerre dal cielo le cui vittime sono sempre più tra le sole popolazioni civili dei Paesi aggrediti. Per loro natura sono anti-costituzionali. Equivalgono infatti alla rottura di quel patto di convivenza pacifica che fu stipulato con la Carta dell’ONU e rispetto al quale si configurano come eversione violenta.

Ebbene, la prima garanzia elementare contro l’incubo della guerra – ma anche contro il terrorismo e la grande criminalità –, a tutela dei diritti alla pace a alla vita, dovrebbe consistere nella rigida messa al bando di tutte le armi come beni illeciti e perciò il divieto senza deroga alcuna, quali crimini, della loro detenzione e, ancor prima, del loro commercio e della loro produzione.

Innanzitutto la messa al bando degli armamenti nucleari, che pesano come una permanente minaccia sul futuro dell’intera umanità. Oggi, nel mondo, ci sono 14.525 testate nucleari, in possesso di nove paesi: 6.850 in Russia, 6.450 negli Stati Uniti, 300 in Francia, 280 in Cina, 215 nel Regno Unito, 150 in Pakistan, 140 in India, 80 in Israele e 60 nella Corea del Nord. E’ stato solo per un miracolo che taluna di queste testate nucleari non sia ancora caduta nelle mani di una banda terroristica o che, in qualcuno degli Stati che ne sono in possesso, il potere non sia stato conquistato da un pazzo. Ma il miracolo può cessare. Il 2 agosto 2019 un presidente americano irresponsabile, a dispetto del Trattato sul disarmo votato due anni prima da 122 Paesi, cioè dai due terzi dei membri dell’ONU, ha ritirato ufficialmente gli Stati Uniti dal Trattato del 1987 sulla non proliferazione degli armamenti atomici, così riaprendo la corsa generale al riarmo nucleare

Ma una Costituzione della Terra dovrebbe mettere al bando tutte le armi, anche quelle non da guerra. Ogni anno, nel mondo, muoiono milioni di persone a causa della diffusione delle armi: nel solo 2017 si sono consumati 464.000 omicidi, per la maggior parte con armi da fuoco, e sono morte centinaia di migliaia di persone nelle tante guerre, quasi tutte civili, che infestano il pianeta; senza contare i numeri altissimi dei suicidi e degli infortuni causati dall’uso di armi.

Ebbene, questo assurdo massacro è in gran parte dovuto alla facilità di acquisto e all’enorme diffusione delle armi. Basti pensare alla differenza abissale tra il numero degli omicidi all’anno in Paesi nei quali il possesso di armi da fuoco è generalizzato e tutti si armano per paura e quello nei quali quasi nessuno va in giro armato: sempre nel 2017, 63.000 in Brasile, 29.168 in Messico, 17.284 negli Stati Uniti e 357, di cui 123 femminicidi, in Italia, dove quasi nessuno è in possesso di armi e dove la percezione dell’insicurezza e la paura, incomparabilmente maggiori che in passato quando il numero degli omicidi era enormemente maggiore, sonouna costruzione politica e mediatica che si spiega solo con il fatto che quasi tutti i fatti di violenza vengono raccontati in televisione, generando la sensazione che viviamo nella giungla.

Una campagna contro le armi dovrebbe perciò muovere dal riconoscimento di un fatto elementare: la diffusione delle armi e il terribile pericolo che ne consegue per la pace e la sicurezza sono il segno che non si è compiuto, neppure all’interno degli Stati nazionali– non, certamente, in quelli nei quali chiunque può acquistare un’arma micidiale, e meno che mai nella comunità internazionale – il disarmo dei consociati e il monopolio pubblico della forza teorizzati da Thomas Hobbes, quasi quattro secoli fa, come le condizioni del superamento dello stato di natura e del passaggio allo stato civile. In breve, la produzione, il commercio e la detenzione delle armi – di armi incomparabilmente più distruttive che quattro secoli fa – sono il segno di una non compiuta civilizzazione delle nostre società e il principale fattore dello sviluppo della criminalità, dei terrorismi e delle guerre.

Certamente il disarmo generalizzato e il monopolio pubblico della forza possono oggi apparire un’utopia e richiederebbero comunque tempi lunghissimi. Ma è essenziale che la questione sia dalla nostra Costituzione della Terra posta all’ordine del giorno, affinché la messa al bando delle armi nella vita sociale divenga l’obiettivo politico distintivo e unificante di qualunque forza democratica e di qualunque mobilitazione e battaglia progressista.

Infine, una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre un’ultima garanzia della pace che varrebbe realmente a fare dell’ordinamento internazionale un vero ordinamento giuridico. Questa garanzia dovrebbe consistere nell’attuazione del monopolio giuridico della forza in capo all’ONU, già prefigurato dal capo VII della Carta delle Nazioni Unite. Si realizzerebbe così il progressivo superamento degli eserciti nazionali, già auspicato da Immanuel Kant più di due secoli fa. Solo così si realizzerebbe – contro l’illusoria e insensata volontà di potenza degli Stati, collusa con gli interessi delle industrie di armi che delle spese miliari sono i soli beneficiari – l’effettivo passaggio della comunità internazionale dallo stato di natura allo stato civile.

6. C) Un apartheid mondiale. I morti per fame e per malattie non curate. Per un garantismo sociale globale –
La terza emergenza che la Costituzione della Terra dovrà affrontare, è costituita dalla crescita nel mondo delle disuguaglianze, della povertà, della fame e delle malattie non curate. I dati statistici sono terribili. Sono 821 milioni, le persone che nel 2017 hanno sofferto la fame e la sete, e oltre 2 miliardi 770 milioni, in prevalenza donne, sono analfabeti e oltre 2 miliardi quelle che non hanno accesso ai 460 farmaci essenziali o salva-vita che fin dal 1977 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha stabilito che siano accessibili a tutti. Le conseguenze di questi flagelli sono spaventose: più di 8 milioni di persone – 24.000 al giorno – in gran parte bambini, muoiono ogni anno per mancanza dell’acqua e dell’alimentazione di base. Altrettante persone muoiono per la non disponibilità dei farmaci salva-vita, vittime del mercato oltre che delle malattie, dato che taluni di questi farmaci sono brevettati, o peggio non prodotti per difetto di domanda nei paesi ricchi, riguardando malattie infettive – infezioni respiratorie, tubercolosi, Aids, malaria e simili – in questi paesi debellate e scomparse.

Queste tragedie non sono catastrofi naturali. Sono il risultato della mancata attuazione delle garanzie che avrebbero dovuto essere introdotte in attuazione delle tante Carte internazionali dei diritti umani. Tutti i diritti stabiliti dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali stipulato a New York il 16 dicembre 1966 – il diritto alla salute, il diritto all’istruzione, i diritti alla sussistenza – sono rimasti sulla carta, ineffettivi e violati, come provano le decine di milioni di morti ogni anno per fame, per mancanza di acqua e per malattie non curate.

Siamo dunque in presenza di una gigantesca, criminale omissione di soccorso, che si aggiunge alle politiche criminali che hanno creato le condizioni di indigenza nelle quali vivono e muoiono, a causa delle politiche di rapina e sfruttamento promosse dal capitalismo sregolato, milioni di persone. Se prendiamo il diritto e i diritti sul serio, dobbiamo riconoscere che questi crimini sono dovuti a una colpevole carenza di garanzie e delle relative funzioni e istituzioni di garanzia. E’ una carenza insensata, se si pensa ai terribili effetti dell’apartheid mondiale che ne consegue: i crescenti flussi migratori, l’odio crescente per l’Occidente, il discredito dei suoi valori politici, lo sviluppo della violenza, del crimine organizzato, delle guerre civili, dei razzismi, dei fondamentalismi e dei terrorismi. Ma ancor più evidente è l’insensatezza di queste inadempienze se si considera la facilità con cui questa assenza di garanzie e la povertà estrema di masse sterminate potrebbero essere superate con vantaggio di tutti, inclusi i Paesi ricchi. Non costerebbe molto, infatti, impedire queste stragi. La maggior parte dei farmaci salva‐vita, come i vaccini contro la poliomelite, il morbillo e la difterite, che provocano ogni anno più di un milione di morti, non costano quasi nulla. Più in generale, la spesa necessaria a soddisfare i minimi vitali sarebbe bassissima.“La povertà nel mondo”, ha scritto Thomas Pogge, “è molto più grande, ma anche molto più piccola di quanto pensiamo… La sua eliminazione non richiederebbe più dell’1,13% del PIL mondiale, 500 miliardi di dollari l’anno, meno del bilancio annuale della difesa dei soli Stati Uniti (Povertà mondiale e diritti umani. Responsabilità e riforme cosmopolite [2008], tr. it. di D. Botti, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 304).

Basterebbe dunque una modesta redistribuzione della ricchezza a livello globale per levare dalla miseria metà della popolazione mondiale e per porre termine, nell’interesse di tutti, a queste catastrofi umanitarie e, insieme, per promuovere lo sviluppo economico dei Paesi poveri, con conseguente beneficio – la pace, la stabilità politica, la riduzione e la sdrammatizzazione delle migrazioni, una crescita economica equilibrata – anche per i Paesi ricchi.

Contro questa emergenza umanitaria, sono molte le istituzioni di garanzia internazionali che una Costituzione della Terra dovrebbe introdurre o rifondare. Andrebbero anzitutto riformate le attuali istituzioni internazionali di governo dell’economia – la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio – funzionalizzandole allo scopo, opposto a quello da esse fino ad oggi perseguito, dello sviluppo economico dei Paesi poveri. Andrebbero organizzate, di fronte ai giganteschi problemi sociali della fame e della miseria, istituzioni deputate alla soddisfazione dei diritti sociali previsti dai Patti del 1966. Talune di queste istituzioni, come la FAO e l’Organizzazione mondiale della sanità, esistono da tempo, e si tratterebbe di dotarle dei mezzi e dei poteri necessari alle funzioni di erogazione delle prestazioni alimentari e sanitarie. stabilendo per esempio, come prevede la Costituzione brasiliana del 1988, quote annuali del prodotto interno mondiale da destinarsi al loro finanziamento. Altre istituzioni – in tema di garanzia dell’ambiente, dell’istruzione, dell’abitazione e di altri diritti vitali – dovrebbero invece essere istituite.

Infine, una Costituzione della Terra dovrebbe prevedere, a sostegno di queste istituzioni di garanzia, l’introduzione di un fisco globale di carattere progressivo. E’ questa una proposta avanzata da Thomas Piketty e da Anthony Atkinson. Essa avrebbe, tra l’altro, il vantaggio di dar vita a una sorta di catasto dei capitali e così di assicurare la trasparenza e di impedire l’evasione fiscale.

Il finanziamento delle istituzioni di garanzia dovrebbe poi provenire, oltre che da questa imposta globale, dalla cosiddetta Tobin Tax sulle transazioni finanziarie, della quale si parla da decenni e che avrebbe anche l’effetto di ridurre le transazioni puramente speculative sui mercati valutari e, inoltre, dalla tassazione dell’uso e dell’abuso di beni comuni dell’umanità, come le linee aeree o le orbite satellitari o le bande dell’etere.

7. L’alternativa possibile: costituzionalizzare la globalizzazione, globalizzare il garantismo costituzionale. Ottimismo metodologico – Una Costituzione della Terra –
la costituzionalizzazione della globalizzazione o, che è lo stesso, la globalizzazione del costituzionalismo – sono insomma possibili. Naturalmente i potenti interessi che ad esso si oppongono non consentono facili ottimismi. Ma occorre distinguere tra improbabilità politica e impossibilità teorica; tra le ragioni politiche che rendono improbabile la prospettiva di un costituzionalismo globale e le ragioni teoriche che ad essa si opporrebbero. Una cosa, infatti, è dire che questa prospettiva è improbabile, a causa dei potenti interessi che ad essa si oppongono. Altra cosa è dire che essa è sul piano teorico impossibile.

Di solito le due cose vengono confuse. Uno dei compiti della nostra Scuola per una Costituzione della Terra dovrà invece consistere nel mostrare che l’improbabilità politica della prospettiva di una Costituzione della Terra fornita di adeguate garanzie non equivale affatto alla sua impossibilità teorica, e che perciò non dobbiamo confondere, se non vogliamo occultare le responsabilità della politica, tra conservazione e realismo, squalificando come “irrealistico” o “utopistico” ciò che semplicemente contrasta con gli interessi e con la volontà dei più forti. Un simile atteggiamento equivarrebbe a un’abdicazione della ragione. E varrebbe, di fatto, a confortare come inevitabile, e perciò a legittimare e ad assecondare, i processi decostituenti in atto.

Non è affatto vero, infatti, che a quanto accade, come troppo spesso si ripete, non ci sono alternative. Le alternative ci sono e si realizzerebbero se solo ci fosse la volontà politica di attuarle e a tale volontà non si opponessero potenti interessi privati. I problemi non sono affatto di carattere teorico o tecnico ma, purtroppo, solo di carattere politico: legati all’indisponibilità dei poteri più forti – le superpotenze militari, le grandi imprese multinazionali e i mercati finanziari – a sottostare al diritto e ai diritti. Ma si tratta di un’indisponibilità miope, che non tiene conto del fatto che nell’odierno mondo globalizzato la costruzione di una sfera pubblica internazionale garante della pace e dei diritti rappresenta oggi, non diversamente dalla formazione degli stati nazionali alle origini del capitalismo, la sola alternativa razionale a un futuro di guerre e di violenze in grado di travolgere gli interessi di tutti.

C’è poi un altro compito che vogliamo affidare alla nostra Scuola: mostrare come le emergenze planetarie e la possibilità di affrontarle e di risolverle hanno anche generato una grande, positiva novità: Per la prima volta nella storia esiste un interesse pubblico e generale assai più ampio e vitale di tutti i diversi interessi pubblici del passato: l’interesse di tutti alla sopravvivenza dell’umanità e all’abitabilità del pianeta, assicurato dalle garanzie dei beni comuni e dei diritti fondamentali di tutti quali limiti a tutti i poteri, sia politici che economici. Esiste inoltre un’interdipendenza crescente tra tutti i popoli della terra, idonea a generare una solidarietà senza precedenti tra tutti gli esseri umani e a rifondare la politica come politica interna del mondo

Questa consapevolezza della globalità dei problemi e delle loro possibili soluzioni grazie all’espansione a livello globale del paradigma garantista e costituzionale, consente dunque una nota di ottimismo: all’attuale deriva esiste un’alternativa possibile pur se ostacolata da interessi e pregiudizi, tanto potenti quanto miopi. Una scuola “Costituente Terra” dovrà anzitutto mostrare la necessità di non confondere i problemi teorici con i problemi politici e di evitare la fallacia realista consistente nella naturalizzazione e perciò nella legittimazione di ciò che di fatto accade. Dovrà inoltre contrastare il pessimismo disfattista e paralizzante destinato a convertirsi nella rassegnata accettazione dell’esistente. Senza la “speranza di tempi migliori”, scrisse Kant, “un serio desiderio di fare qualcosa di utile per il bene generale non avrebbe mai eccitato il cuore umano”. Giacché la speranza del progresso forma il presupposto sia dell’impegno morale che di quello politico.

Luigi Ferrajoli
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- Su aladinpensiero online editoriale l’intervento di Raniero La Valle.

One Response to Perché una Costituzione della Terra?

  1. […] ai tempi del coronavirus. —————————– [Luigi Ferrajoli] Senza la “speranza di tempi migliori”, scrisse Kant, “un serio desiderio di fare qualcosa […]

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