Coronavirus: contagi, impatto sull’economia… Cosa succederà?

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CORONAVIRUS
l’abbrivio dell’economia

di Andrea Gaiardoni su Rocca

L’economia barcolla sotto i colpi del panico da Coronavirus, un’emergenza che non riguarda ovviamente soltanto l’Italia, ma che ci vede particolarmente esposti da più lati: per numero di contagi (siamo stati definiti «il focolaio d’Europa»), per ipersensibilità sull’argomento di noi italiani (innata o indotta da chi per giorni ha soffiato intenzionalmente sul fuoco della paura), per vocazione di alcuni segmenti cardine (turismo, commercio, agricoltura, export) del nostro sistema. Il contagio dei numeri è ormai pieno e conclamato. L’ha certificato l’Ocse, che nel suo ultimo rapporto scrive: «Il Coronavirus rappresenta un rischio senza precedenti per l’economia mondiale». Laurence Boone, capo economista dell’organismo internazionale, ha spiegato in un’intervista al
Corriere della Sera: «La situazione cambia ogni giorno. Se resta come è oggi, la nostra ipotesi è che lo choc economico riguardi soprattutto la Cina nel primo trimestre dell’anno. Ma c’è grande incertezza: è anche possibile che la diffusione del virus sia prolungata e più ampia, al punto che anche altri Paesi abbiano lo stesso impatto, soprattutto Stati Uniti, Giappone ed Europa». E a proposito del nostro paese: «L’Italia aveva già una bassa crescita. Nel nostro scenario di base prevediamo che cresca zero nel 2020».
L’Ocse propone non una soluzione, ma una strategia. «I governi devono agire rapidamente e con forza per superare il Coronavirus e il suo impatto economico». L’invito, esplicito, è agire insieme, senza isolarsi. «I governi devono garantire misure di sanità pubblica efficaci per prevenire il contagio, oltre ad attuare politiche ben mirate a sostegno dei lavoratori, per proteggere i redditi dei gruppi sociali e delle imprese più vulnerabili. Se vogliamo sostenere la fiducia fra le persone, aiuterebbe molto coordinare a livello europeo la risposta sanitaria: non si avrebbero più tante misure di sicurezza o divieti di viaggio in paesi diversi. Una risposta collettiva sarebbe importante».
Invece, come quasi sempre accade, ognun per sé. E così il «focolaio d’Europa» si trova a fare i conti con divieti di sbarco, respingimenti agli aeroporti e quarantene obbligatorie. Finalmente, dopo gli abituali tentennamenti, anche l’Unione Europea ha battuto un colpo (uno soltanto, quasi obbligato), con la presidente von der Leyen che ha annunciato una task force per affrontare l’emergenza Coronavirus (i paesi europei dove s’è diffuso finora il contagio sono 18, e il numero può soltanto aumentare). Tra i componenti anche il commissario italiano, Paolo Gentiloni, che nel suo intervento ha rassicurato che i 3,6 miliardi di flessibilità richiesti dal governo italiano per affrontare l’epidemia di Covid 19 sono «proporzionati all’emergenza».

stop ai licenziamenti
Difficile dire oggi se basteranno (probabilmente no). Perché è impossibile al momento stabilire con certezza quando l’emergenza finirà (e questa incertezza, che impedisce di programmare, è una catastrofe per l’economia). Tanto che il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha ipotizzato una perdita di «qualche decimale di Pil»: i 3,6 miliardi corrispondono allo 0,2% del Pil, ma c’è chi ipotizza il doppio, lo 0,4%, pari a 7 miliardi. Confcommercio stima una perdita tra i 5 e i 7 miliardi di euro nel caso in cui la crisi si prolunghi fino a maggio. E c’è chi invece preferisce affidarsi a una più ampia forbice, come l’istituto Ref Ricerche, che stima il costo dell’impatto del virus in Italia tra i 9 e i 27 miliardi di euro. «Il danno d’immagine provocato al nostro Paese dal coronavirus è pesante», rileva il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia, Paolo Zabeo. «Molti settori produttivi sono già allo stremo: per questo chiediamo al governo di approvare subito un intervento di medio-lungo termine che preveda il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e l’estensione degli stessi ai settori che oggi ne sono sprovvisti. Ma devono essere rafforzate le misure di accesso al credito delle Pmi. E la Pubblica Amministrazione paghi tutti i debiti che ha contratto con i propri fornitori». Richieste simili sono arrivate dall’incontro che i sindacati hanno avuto il 4 marzo scorso con il premier Conte. «Il governo ci ha garantito gli ammortizzatori sociali per tutti», ha anticipato la leader Cisl, Annamaria Furlan. Maurizio Landini, Cgil, ha chiesto garanzie per i lavoratori: «In questa fase non deve esserci nessun licenziamento. Abbiamo chiesto che gli sgravi contributivi e fiscali vadano alle imprese che s’impegneranno a non licenziare personale».
Lo spettro, difficilmente evitabile, è quello della recessione: dando per scontato il calo del Pil nel primo trimestre del 2020, si tratterebbe della seconda contrazione consecutiva, poiché anche l’anno scorso si era chiuso con un meno 0,3%. Due cali consecutivi equivalgono, per gli economisti, a una «recessione tecnica». È la quarta volta che accade in Italia dal 2009.
E qui si pone una delle questioni cardine: per attenuare la caduta, le misure sanitarie che oggi bloccano l’economia devono essere rimosse o attenuate? Come sempre, dipende da quale angolazione si osserva il problema: se dal lato, per così dire, medico, se da quello economico oppure prendendo il punto di vista della popolazione, che mal sopporta prolungati stati di reclusione. «I divieti sono giusti, altrimenti si rischierebbe il collasso del sistema sanitario», sostiene la virologa Ilaria Capua.
«Meglio non fare congetture, la situazione è molto fluida e non facciamo proiezioni sull’epidemia», commenta Laurence Boone, dell’Ocse. «Possiamo solo stimare l’impatto di vari scenari. Se i focolai oggi nel Nord non si sviluppano con molta più forza, si può immaginare che la situazione non peggiori. Più difficile è valutare come reagiranno le persone».

virus senza frontiere: angoscia, non paura
Già, perché di questo si parla, non soltanto di numeri, di percentuali, di decimali. Di persone con le loro paure. O per meglio dire, come spiega il filosofo Umberto Galimberti: «Il termine ‘paura’ è improprio. Si ha paura di qualcosa di definito, di un pericolo concreto, come un incendio che ci induce a fuggire. Il coronavirus non è un oggetto determinato. Non sappiamo da dove viene, non sappiamo chi potrebbe attaccarcelo. Quando il pericolo è indeterminato, non esiste la paura, ma l’angoscia. È quindi indispensabile determinare l’oggetto di cui si ha paura. È l’operazione che inizialmente, furbescamente, hanno fatto gran parte degli Stati esteri, europei compresi. Hanno ‘determinato’ che il coronavirus veniva dall’Italia. Quindi hanno cominciato ad avere paura degli italiani, che potessimo trasmettere loro il virus, bloccando i voli, sconsigliando visite nel nostro paese. Uno stratagemma che si è rivelato di breve respiro».
Perché i virus non conoscono frontiere. Ma questa folata di angoscia ha prodotto (e sta ancora producendo) danni colossali non soltanto all’economia come entità astratta, ma alle singole aziende, grandi o piccole che siano. Agli imprenditori, che non riescono più a far fronte alle spese, alle scadenze. Alle persone, che di conseguenza perdono il lavoro. Tessere di un unico domino che cadono una a una. Perciò la richiesta di sostegno al governo italiano e, in seconda battuta, all’Europa. Per evitare cadute irreparabili. Per offrire a chi è caduto la possibilità di rialzarsi.

la stima del danno in Italia: 31 milioni di turisti in meno
Qualche dato può aiutare a comprendere l’entità del danno che la psicosi mondiale sul coronavirus ha provocato finora. Confturismo stima un’affluenza di 31 milioni di turisti in meno, in Italia, nei prossimi tre mesi (vale a dire dall’1 marzo al 31 maggio). Un calo quantificabile in un danno economico di 7,4 miliardi di euro per il solo comparto del turismo. Gli alberghi sono subissati dalle disdette. A Milano e a Roma gli hotel lamentano un crollo degli arrivi del 90%. A Venezia gli alberghi sul Canal Grande (tranne Gritti e Danieli) offrono camere a prezzi scontati del 50%, con offerte che precipitano a 60 euro per notte. Pioggia di cancellazioni un po’ ovunque anche per gli agriturismi. Disdette al 50% per Pasqua in Sardegna. La Riviera Romagnola teme cali tra l’80 e il 90% nel fatturato previsto per la stagione estiva. «Purtroppo stiamo pagando le conseguenze di una comunicazione mediatica molto più letale del virus, che ci dipinge come degli untori e così temuti e tenuti lontano», sostiene il presidente di Confturismo-Confcommercio, Luca Patanè. «Dobbiamo eliminare l’isteria dal sistema di comunicazione ricostruendo da subito un messaggio rassicurante e veritiero dello stato delle cose in Italia». Ma ora c’è un’emergenza da affrontare. «Al governo chiediamo di prendere provvedimenti forti per immettere liquidità nel sistema dando un po’ di ossigeno alle imprese del settore, ma è necessario anche intervenire a livello governativo per far terminare i blocchi all’ingresso degli italiani nei paesi esteri e i blocchi ai flussi turistici degli stranieri verso l’Italia».
Per Assoturismo Confesercenti «Neanche l’11 settembre aveva inciso così pesantemente». E non si tratta solo di turismo, ma anche della sopravvivenza degli artigiani, il piccolo e medio commercio, con la gente chiusa in casa, il crollo degli incassi, i mutui, gli affitti, le bollette da pagare. Perfino l’assistenza ai bisognosi è in difficoltà. I servizi Caritas funzionano (ad esempio le mense), ma con ingressi contingentati. Nei dormitori del Veneto sono vietati gli assembramenti, perché altrimenti servirebbe un presidio sanitario. Sospese anche le celebrazioni pubbliche nelle chiese, compresi funerali, battesimi e prime comunioni. «Decisioni gravi e dolorose, ma necessarie per la salute e il bene comune. Le difficoltà di oggi diventino occasione di crescita per tutti», hanno spiegato i vescovi del Triveneto.

almeno un mese senza baci e abbracci
Dunque cosa fare? Cosa dovrebbe fare il governo? Usare «saggezza e buon senso» (che, ricorda Galimberti, «non è altro che la capacità di muoversi all’interno di situazioni pericolose, calibrando e valutando qual è il minor male rispetto alla situazione che si affronta»)? Oppure sarebbe necessario «un uomo forte», come chiedono in modo più o meno chiassoso le destre e il sempre più ricollocato Renzi, che mentre esclude crisi di governo suggerisce «serve uno che comandi e che dia messaggi chiari»? Oppure, come suggerisce il segretario del Pd, Zingaretti: «Niente panico, dobbiamo soltanto modificare un po’ i nostri stili di vita»? Il comitato scientifico sul coronavirus voluto dal governo è stato chiaro: per almeno un mese (dunque fino ai primi di aprile) niente baci, abbracci, carezze o qualsiasi gesto di cordialità che preveda il contatto tra persone, come le strette di mano. E gli anziani over 75, la categoria più colpita dal coronavirus, sono invitati a non uscire da casa. Intanto il ministero della salute ha emanato una circolare che prevede un incremento del 50% dei posti letto in terapia intensiva e del 100% nelle unità di pneumologia e malattie infettive. Prevista anche la «rimodulazione locale delle attività ospedaliere», poiché è ritenuto «necessario ridistribuire il personale sanitario per l’assistenza, con un percorso formativo rapido per infermieri e medici». Restano da capire i tempi e i modi dell’evoluzione dell’emergenza. Per tornare al gergo economico: capire se il coronavirus provocherà un rallentamento del Pil globale «a forma di V» (caduta brusca della crescita seguita da una ripresa rapida) o se piuttosto sarà «a forma di U» (vale a dire una fase calante più lunga, con una sorta di stagnazione nel basso, per poi assistere a una graduale ripresa). Gli economisti, al momento, propendono per la prima ipotesi. Anche se, ipotizzando una fine (speriamo prossima) dell’emergenza, l’ulteriore difficoltà sarà trovare il freno per arrestare prima possibile la caduta. Come in barca: spegnere il motore non vuol dire fermarsi. Ci sarà l’abbrivio da governare.
Andrea Gaiardoni

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SOCIETÀ
italiani untori

di Ritanna Armeni su Rocca.

Qualche settimana fa un gruppo d’italiani che stava andando in vacanza alle Mauritius, è stato respinto e, per alcune ore, secondo il racconto degli interessanti, i turisti sono stati trattati come un pacco, sballottati di qua e di là, finché non sono stati rispediti in Italia.
Non erano poveri e neri, non venivano da un campo libico da un lontano territorio africano né da zone di guerra; non erano migranti economici o rifugiati politici; non avevano viaggiato su una barca in mezzo al mare in tempesta respinti da tutti i porti del Mediterraneo e rimpallati fra Malta la Spagna e l’Italia. Erano turisti con i soldi che arrivavano in aereo e probabilmente sarebbero stati alloggiati in un albergo lussuoso.
Pure si sono sentiti umiliati, respinti, odiati. Sono stati trattati come esseri pericolosi, come untori, solo perché venivano dall’Italia e l’Italia si era scoperta contagiata dal coronavirus.
L’epidemia arrivata dalla Cina ha cambiato e cambierà molte cose nel nostro disastrato paese. Ingenti danni all’economia, probabile recessione, posti di lavoro in meno. Aspettiamoci il peggio.
C’è da augurarsi che, almeno, sia insegnamento e lezione per il futuro. Gruppi sempre più consistenti d’italiani stanno vivendo la discriminazione, lo stigma, il respingimento. La loro vita quotidiana, finora placida, contraddistinta dal benessere, dalla tranquillità si è trasformata. La sensazione di far parte del mondo dei forti che ha sconfitto fragilità e debolezze si sta estinguendo sotto gli attacchi del virus. Oggi sentono sulla pelle quel che tanti immigrati hanno vissuto in questi anni: la paura di essere emarginati, di essere considerati pericolosi e dannosi, di essere respinti. Stanno comprendendo che cosa significa essere ritenuti colpevoli di un male di cui non si ha nessuna colpa.
Sì, perché questo è avvenuto. Il mondo ci ritiene responsabili di un contagio planetario persino di più di quanto siano stati ritenuti i cinesi.
Per una terribile legge del contrappasso, gli stessi italiani che hanno respinto le navi cariche di migranti perché ritenuti portatori di delinquenza e malattie sono considerati gli esportatori del terribile corona virus. Ci sono le prove, dicono i giornali stranieri e le elencano. I primi casi di coronavirus in Messico e in Israele sono stati portati da italiani. Il primo malato in Nigeria è uomo che tornava da Milano. Così in Danimarca e in Romania.
Si allunga, di conseguenza sempre di più la lista dei paesi che non ci vogliono. Gli Stati Uniti di Trump che hanno proibito i voli da e per Milano, mentre Russia Turchia e India sconsigliano di arrivare nel nostro paese, impongono quarantene, chiedono l’autoisolamento. Sui danni economici di questa situazione molto si è detto e molto si dirà nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. In molti pagheranno il prezzo di un’epidemia che si sta rivelando più pericolosa del previsto. Si scoprirà – si sta già scoprendo – con quanta leggerezza abbiamo consentito che medici e infermieri, disoccupati in Italia abbiano cercato lavoro in altri paesi. Oggi sarebbero necessari nel loro paese. Che cosa significhi non avere più i docili lavoratori rumeni che provvedevano all’agricoltura del nord e che oggi hanno paura e tornano nel loro paese. Vedremo che cosa succederà dei frutteti e dei campi di pomodoro quando gli immigrati dei paesi poveri del Mediterraneo che provvedevano alle raccolte stagionali ci eviteranno.
Chi ha creato muri e barriere nel passato o chi non ha fatto abbastanza per impedirlo pensando di trovarsi dalla parte giusta, ricca e sicura del mondo potrà rendersi conto – lo speriamo – che cosa significhi l’insicurezza, l’emarginazione, il disprezzo, lo stigma, il sospetto per chi è diverso. Se i diversi diventiamo noi, se siamo noi i bloccati alle frontiere, nei porti e negli aeroporti, se ci troviamo dall’altra parte del muro che abbiamo voluto costruire la prospettiva cambia, noi dovremo cambiare.
E forse – chissà – può avvenire il miracolo. Coloro che hanno ritenuto la solidarietà solo inutile buonismo, coloro che erano sicuri di potercela fare da soli, coloro che avevano dalla loro benessere e salute, che si ritenevano civili e pensavano che la loro civiltà dovesse essere difesa dai barbari forse cominceranno a riflettere.
A pensare, per esempio che quello che avviene nel resto del mondo dalla Cina all’Africa ci riguarda sempre e direttamente. A capire che la logica dell’esclusione può coinvolgere tutti non solo i più deboli, ma quelli che si ritengono forti, che nessuno oggi nel mondo può ritenersi sicuro. Il pianeta è interconnesso non solo dalle tecnologie, dai traffici, dalle mercanzie, ma dalle abitudini, dalla cultura. La salute, anche la salute di ciascuno è dipendente da quella di tutti. Il destino dei paesi ricchi si presenta indubbiamente più facile, ma i rivolgimenti – climatici e sanitari – sono all’ordine del giorno e possono coinvolgere tutti, rovesciare le sorti anche di chi pensa di essere al sicuro.
Chissà. Il coronavirus potrebbe insegnarci che la solidarietà non è solo un buon sentimento, ma è un sentimento necessario, che la cura degli altri non è solo beneficienza ma modo di vivere, che essere buoni non è debolezza, ma forza e consapevolezza, che costruire in un mondo senza muri non è utopia ma realismo. Chissà.
Ritanna Armeni
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rocca-06-2020

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