Nel tempo terribile ricuperiamo noi stessi. Le riflessioni di Gianfranco Sabattini provocate da Simone Perotti, Alain Caillé, Ivan Illich, Serge Latouche

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La plausibilità di uno stile di “vita selvaggia” per la realizzazione dell’idea che ognuno ha di sé

Gianfranco Sabattini

Simone Perotti è uno scrittore che ha scelto di abbandonare lo stile di vita stressante della società contemporanea economicamente avanzata; laureato in letteratura contemporanea e aspirante all’insegnamento universitario, nonché dotato di competenze professionali in tema di comunicazione che gli avevano consentito l’accesso a posti di lavoro di responsabilità direzionale, a un cero punto, “folgorato” in una giornata afosa di luglio da un ingorgo sul Grande Raccordo Anulare di Roma, egli ha scelto di abbandonare la vita non priva di soddisfazioni che stava conducendo; non tanto per il tipo di lavoro svolto, quanto piuttosto per vivere l’esperienza di “altre vite”, meno angustiate dalle frustrazioni della società contemporanea.
Perotti ha voluto, con la sua scelta, “essere più libero, poter perdere tempo, non dover avere tutte quelle responsabilità” comportate dal vivere all’interno della complessità delle società moderne; in altre parole, egli ha voluto principalmente uscire dalla percezione frustrante di situazioni del tipo di quella vissuta da “prigioniero” dell’ingorgo di quel fatidico giorno di luglio.
Per ubbidire alla sua aspirazione ad una nuova vita, Perotti ha deciso di trasferirsi in Val di Vara (entroterra ligure) e di darsi alla marineria, trascorrendo quattro o cinque mesi l’anno a bordo della sua barca, spostando imbarcazioni da un posto ad un altro e dando lezioni di vela. Ma per vivere senza essere obbligato alla schiavitù del lavoro subalterno egli è costretto a svolgere altre attività integrative delle magre risorse delle quali dispone solo quando si trova in stato di necessità; evento, quest’ultimo, che si verifica assai raramente, perché Perotti dichiara di riuscire a vivere con poco, collaborando soprattutto con riviste e giornali e scrivendo romanzi e saggi, per raccontare la sua esperienza di “vita selvaggia” e per tentare di comprendere la sua nuova realtà esistenziale.
Perotti ha pubblicato nel 2009, per i tipi di Chiarelettere, il saggio “Adesso Basta”, col quale ha inteso offrire la prospettiva di una nuova scelta di vita a tutti coloro che vogliono cambiare la propria condizione esistenziale. Nonostante le precedenti 24 edizioni, la Casa Editrice Mondatori ne ha effettuato un’ulteriore pubblicazione, nella convinzione che la “vita editoriale” del saggio di Perotti non si sia ancora esaurita del tutto; ciò, in considerazione del fatto che, come l’autore afferma nell’Introduzione della nuova edizione, si registra la tendenza a una crescente polarizzazione: coesistono infatti, da un lato, una classe di persone propensa ad “infilarsi” sempre più profondamente nel processo di crescente complessità delle società moderne, accettandone le dinamiche delle quali non comprendono le cause, e dall’altro, un’altra classe crescente di persone alla ricerca di “riserve indiane in cui sussistere, costruire micromodelli di resilienza e sopravvivenza”. Apparentemente emarginata, quest’ultima classe di persone, tende a sviluppare “le risorse e le facoltà per resistere meglio al tracollo ambientale, energetico, economico, per non parlare di quello, già molto avanzato, sociale”; tutto ciò, per vivere una “vita adatta” il più possibile all’dea che tali persone hanno di sé.
Smettere di lavorare non significa, secondo Perotti, “vivere di sogni” irrealizzabili; questi, per essere conformi al desiderio di vivere una nuova vita, oltre che ambiziosi, devono anche alla nostra portata, perché siano compiutamente realizzati. Solo così essi (i sogni) possono renderci felici; se ciò non accade, “vuol dire che avevamo sbagliato sogni, oppure che abbiamo tralasciato qualcosa nel processo di avvicinamento”. Smettere di lavorare per inseguire i propri sogni è spesso oggetto di critica da parte dei giornali; questi, in genere, per biasimare la scelta, “parlano di disagio sociale, di mancanza di stimoli e valori, di tedio e noia”, che portano a compiere atti insensati.
Secondo Perotti, il modo, forse non l’unico, per sottrarsi alla frustrazione della complessità della vita vissuta nel caos della società contemporanea, non è quello di decidere di cessare di lavorare per non fare niente ed essere vittime di tedio e noia; al contrario, si tratta del “modo migliore per vivere ed essere liberi da impedimenti stressanti e dunque avere il tempo e il modo per fare quel che ci piace”.
Smettere di lavorare per inseguire la realizzazione dei nostri sogni non significa infatti, per Perotti, rimanere inattivi per divenire vittime dell’immobilità. Per la realizzazione dei nostri sogni, occorre impiegare il tempo liberato dalla rinuncia al lavoro tradizionale e da tutto ciò che ci imprigiona, per fare quel che più amiamo; in questa direzione occorre “spingerci” il prima possibile, perché sarà “quella la via per la quale potremo godere delle nostre risorse, della nostra esistenza e, al tempo stesso, racimolare altre piccole sostanze”.
Abbandonare il lavoro tradizionale per realizzare i propri sogni non è, contrariamente a quanto molti pensano, frutto di decisioni insensate che portano l’uomo a compiere un salto nel buio; occorre però disporre di una “mappa”, cioè di un proprio progetto che specifichi il percorso da compiere, per “essere fuori dal disagio esistenziale, dalla mancanza di stimoli”. Tuttavia, avere una mappa non significa andare “dritti al tesoro”, ovvero essere convinti che la libertà positiva (libertà di) sia più importante di quella negativa (libertà da). Per intraprendere il cammino verso la libertà – afferma Perotti – bisogna avere un’idea intorno a quel che è necessario fare; occorrerà prepararsi “psicologicamente ed esistenzialmente al cambiamento, a una nuova vita”.
A tal fine, occorre risparmiare per rendersi autonomi dal lavoro tradizionale; parallelamente, occorre specializzarsi nelle proprie passioni per integrare i risparmi di cui si avrà bisogno. Qualcuno – conclude Perotti – può ritenere utopistico il progetto di una vita libera, ma una cosa è certa: realizzare il proprio sogno di affrancarsi dalle frustrazioni della vita possibile all’interno della società civile contemporanea è sicuramente più realistico di quella possibile all’interno di un mondo globale, del quale si discute presentandolo come la via in grado di condurre l’uomo verso la libertà dal bisogno.
La proposta di Perotti non è nuova; essa, ad esempio, riprende quella avanzata nell’Ottocento da Henry David Thoreau; in “Walden”, lo scrittore americano dichiara di aver deciso di andare nei boschi, desiderando vivere con semplicità e affrontare solo i fatti essenziali della vita, per verificare se gli fosse stato possibile riuscire a imparare quanto essa aveva da insegnargli. In sostanza, decidendo di andare a vivere nei boschi, Thoreau aveva contemporaneamente deciso di rinunciare a vivere quella che a lui non sembrava una vita degna di essere vissuta, a meno che non fosse stato assolutamente necessario; egli voleva vivere spartanamente, per rifiutare ciò che la vita civile, secondo i suoi ideali, non gli consentiva. Thoreau aveva sentito l’esigenza di intraprendere l’avventura della vita nei boschi per distaccarsi, almeno per un po’, dalla società in cui viveva, da lui considerata troppo dedita alla ricerca dell’utile e mai attenta alla cura delle cose realmente importanti della vita.
Dal racconto di Thoreau e dal resoconto della sua esperienza traspare il senso di benessere del quale egli ha potuto fruire vicino al lago Walden, lontano dalla frenetica e caotica quotidianità della vita nella società del suo tempo. Le motivazioni che lo hanno spinto a scegliere la vita dei boschi sembrano le stesse, o quantomeno molto simili a quelle che hanno spinto Perotti ad abbandonare il lavoro tradizionale, perché spinto a cercare la via che lo portasse a uno stile esistenziale il più possibile vicino alle sue convinzioni.
Che valenza può avere oggi il messaggio di Perotti, riecheggiante quello romantico di Thoreau? La proposta di quest’ultimo, sia pure fortemente in anticipo sui tempi, e quella successiva di Perotti sembrano rispondere all’aspirazione a vivere una vita plasmata da valori alternativi a quelli prevalenti all’interno delle società capitalistiche, come quelli teorizzati, ad esempio, da autori quali Alain Caillé, Ivan Illich e Serge Latouche.
Seconso Alain Caillé, nel corso della propria vita l’uomo non è stato sempre motivato da considerazioni economiche, in quanto sarebbe stato plasmato all’interno di una società solidale; questa non era strutturata dal mercato, ma dalla reciprocità con cui venivano correntemente soddisfatti gli stati di bisogno. La società solidale e comunitaria obbediva alla logica del dono e del contro-dono, in base alla quale le relazioni tra gli uomini originavano dallo scambio avviato con un dono di una delle parti all’altra, la quale, contraccambiando tale dono, innescava una “catena di relazioni” sociali; con questa “catena”, l’atto del donare non si limitava a un passaggio di beni o servizi, ma coinvolgeva la totalità degli elementi valoriali che caratterizzavano il sistema sociale. E’ stata la società moderna, in quanto società prevalentemente aperta al mercato, che ha teso sempre di più a presentarsi come separata dai componenti della comunità.
Per questo motivo, Caillé rifiuta non solo i valori della società capitalistica, ma anche l’”economicismo” della cultura contemporanea. L’analisi critica della società capitalistica condotta da Caillé sottende l’idea che il destino del mondo non sia quello di diventare una grande ed unica società di mercato, ma quello di un ritorno ad un’organizzazione della società nella quale gli uomini possano esercitare ogni forma di autonomo controllo sulle dinamiche della vita individuale.
Ivan Illich approfondisce l’analisi di Caillé, convinto che quando la vita dell’uomo è resa sgradevole dalla complessità dell’organizzazione della società capitalistica, è inevitabile che si diffonda la propensione a cercare forme di vita alternative. E’ per questo che Illich è considerato da coloro che condividono la teoria di Serge Latouche, come uno dei principali ispiratori del concetto di decrescita e di fuga dall’abbondanza.
Sulla base della critica illichiana, Serge Latouche da tempo sta proponendo un modello di organizzazione sociale che dovrebbe consentire il superamento dei limiti propri dell’organizzazione della società capitalistica, attraverso l’adozione di una “politica dell’autolimitazione”, perché i desideri possano fiorire e i bisogni declinare. Con il suo modello di organizzazione sociale, Latouche tende a restituire all’uomo ciò di cui l’avvento della società industriale lo ha progressivamente privato, ovvero la sua creatività (omologata dalla standardizzazione industriale) e la sua autonomia (con la creazione continua di nuovi bisogni). L’idea sottesa nella concezione dell’uomo all’interno della società industriale è, secondo Latouche, che i soggetti siano stati ridotti a un “fascio di bisogni” da soddisfare solo tramite il consumo di beni e servizi acquistabili sul mercato.
Per coloro che condividono il pensiero di Latouche sulla società industriale, il suo giudizio critico è divenuto elemento di una rappresentazione della realtà sociale, da tener presente da parte di chi pensa di potersene riscattare, per porre in essere strategie di fuga sul tipo di quella descritta da Perotti.
A parte il discorso sulla possibile attenuazione della complessità della vita nelle società capitalisticamente avanzate, che dire delle iniziative puramente individuali, come quelle proposte da Perotti, per sottrarsi ai vincoli del vivere insieme? Se, per un verso, si possono capire i sogni (come quelli di Thoreau) di vivere una “vita selvaggia” affrancata dalle incombenze di una quotidianità ripetitiva, più difficili sono la comprensione e la giustificazione della proposta avanzata da Perotti. Ciò perché non è plausibile che, per rimediare ai disagi della complessità della vita sociale, si scelga di rinunciare all’impegno sociale per la rimozione di tali disagi.
La proposta di Perotti, di “fuggire verso la libertà” per realizzare l’idea che ognuno ha di sé, è tanto più ingiustificabile, se si pensa che la realizzazione di tale idea è resa possibile dalle opportunità che l’organizzazione della vita sociale dalla quale si cerca di evadere resta pur sempre l’approdo irrinunciabile per “racimolare” le sostanze integrative di quelle che il vivere spensieratamente può consentire di acquisire.
L’aspirazione a una vita spensierata può quindi restare solo un sogno, mentre la liberazione dalle frustrazioni che possono derivare dal vivere insieme comportano che il sogno sia realizzabile solo attraverso l’impegno di ognuno a migliorare le condizioni di vita all’interno della società alla quale si appartiene*.

* Il grassetto è stato apposto dal direttore.
- L’illustrazione in testa è tratta da una cartolina del ceramista cagliaritano Gian Paolo Olianas.

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