Letture

ba0c98b2-e467-485d-bc70-e5c26705da75La vita dopo il coronavirus.

di Raffaele Deidda

Alla quarta settimana di isolamento la reclusione da pandemia diventa sempre più pesante, la frustrazione di dover stare in casa cresce, la preoccupazione per il futuro aumenta anche se continuiamo a ripeterci scaramanticamente che “andrà tutto bene”. In questo periodo forse giova fare delle letture che trasmettono messaggi positivi dai segnali che l’emergenza pandemica invia all’umanità. Letture anche semplici, poco impegnative, forse intellettualmente poco profonde ma comunque confortanti, che aiutano a sperare in un futuro meno inquietante di quanto l’isolamento ci porti ad immaginare.
Una di queste letture può essere “Un cuento sobre el coronavirus” dello scrittore spagnolo Francisco Rodríguez Criado, da cui ho liberamente tratto questo racconto. [segue]

Giovanni viveva con i genitori nella grande casa di famiglia che il nonno, imprenditore edile, aveva costruito per andarci a vivere con la sua promessa sposa. Rimasto vedovo aveva posto alla figlia Francesca, come condizione alternativa al vivere da solo, che fosse lei a trasferirsi nella casa paterna col marito e il figlio. La vita procedeva tranquilla nel paese, Giovanni e i genitori lavoravano nella vicina città e il nonno sembrava scoppiare di salute nonostante i suoi ottantaquattro anni.

A turbare la serenità di tutti arrivò il coronavirus. Inizialmente venne considerato una forma di influenza anomala, non più pericolosa di una normale influenza stagionale. Quel virus proveniente dalla Cina avrebbe causato forse qualche problema alle persone con la salute più cagionevole, ma poi sarebbe scomparso. Non era certo il caso di preoccuparsi. Col passare delle settimane, però, le notizie concitate sull’aumento dei casi di contagio e del numero dei decessi vennero a creare sconcerto e preoccupazione. I virologi e i sanitari tutti lanciavano messaggi inquietanti, raccomandavano l’igiene delle mani, la sanificazione degli ambienti, sollecitavano lo stare a casa in isolamento, con le uscite limitate solo alle esigenze essenziali. Il coronavirus non era più un’epidemia cinese, era diventato un’inquietante minaccia.

Francesca, dipendente ospedaliero, portava a casa tutti i giorni le notizie drammatiche dei tanti ricoverati con sintomi da coronavirus e delle difficoltà operative che le strutture sanitarie andavano affrontando. I media poi contribuivano a far crescere l’isteria collettiva con i servizi tutti dedicati all’emergenza coronavirus. L’Organizzazione Mondiale della Sanità parlava sempre più chiaramente di pandemia. Approfittando dell’assenza del padre Francesca disse a Giovanni: “Io non ho paura di contrarre il coronavirus. Sto bene in salute e sono ancora giovane. Nelle persone sane, nella maggior parte dei casi, il virus non da complicanze. Chi mi preoccupa invece è il nonno, dobbiamo convincerlo ad accettare l’isolamento anche se, conoscendolo, mi aspetto la sua reazione: ‘Tu non mi farai morire chiuso in casa come un vigliacco!’”

Giovanni condivideva la preoccupazione della madre. Sapeva che per il nonno la sola parola “accettare” era improponibile. Era un uomo ancora pieno di energie, curioso della vita, amante della compagnia, ma tremendamente testardo! Fra gli anziani del paese era il leader indiscusso. Gli veniva riconosciuta nobiltà d’animo e generosità ma i suoi scatti d’ira erano proverbiali. Ogni mattina, impeccabilmente vestito col suo completo scuro con gilet e camicia, si recava nel vicino parco per sfidare i suoi coetanei in interminabili partite di bocce. Litigava, scherzava, esultava, abbracciava gli amici, li prendeva bonariamente in giro. Era consolante vedere quegli uomini tanto anziani quanto attaccati alla vita e alle sue gioie più semplici e genuine. Come avrebbero fatto a convincere il patriarca che si sarebbe dovuto isolare dalla comunità che era tutta la sua vita? Quell’uomo che aveva sempre dichiarato di non avere paura di nulla, neanche della morte.

Francesca insisteva: “dobbiamo isolare il nonno, se contrae il coronavirus muore”. Il virus, infatti, stava mietendo vittime fra gli anziani, anche fra quelli più giovani del nonno. La decisione però, insisteva Francesca, “dev’essere comune, non voglio essere io la sola che impone al nonno una costrizione che lo porterà ad odiarmi. Ne sono purtroppo convinta, se contrae il virus muore”. “Forse”, commentò Giovanni. “Però impedire al nonno di uscire di casa sarà la vera condanna a morte per lui. Lasciamo sia lui stesso a decidere”.
La posizione di Giovanni fu approvata dal consiglio di famiglia e il nonno fu lasciato libero di uscire. Le restrizioni però divennero sempre più forti, i parchi vennero chiusi e le persone controllate nei loro spostamenti. Il nonno chiamò i suoi amici e presero una decisione: Avrebbero costruito nel cortile di uno di loro un campetto di bocce dove continuare a giocare, nonostante le vivaci quanto inutili proteste di Francesca. Fatalmente, il nonno e due dei suoi amici contrassero il virus. Giovanni fu assalito da un doloroso senso di colpa, aggravato dagli sguardi severi della madre quando il nonno fu ricoverato in ospedale.

L’uomo però era di scorza dura. Stette oltre un mese combattendo fra la vita e la morte sottoposto alla terapia intensiva, poi tornò a casa e gioì nel constatare che l’emergenza coronavirus era nel frattempo passata e la gente aveva ripreso a vivere normalmente, seppur con molte precauzioni e alcune limitazioni. Indebolito nel fisico ma ancora incredibilmente lucido e ciarliero, era entrato nel ruolo del sopravvissuto e non risparmiava a nessuno il racconto della sua degenza in ospedale, rendendola ancora più drammatica di quanto fosse stata. Lui, comunque, aveva vinto!

Giovanni, ancora in preda ai sensi di colpa che non riusciva ad allontanare, si rese disponibile ad accompagnare il nonno ogni volta che il vecchio manifestava più che il desiderio la volontà insindacabile di uscire. Era troppo malfermo sulle gambe e una caduta avrebbe avuto pesanti conseguenze su di lui. Un giorno gli disse. “Nonno, la mamma aveva ragione, ti saresti potuto evitare il virus se fossi rimasto a casa”. L’uomo rispose sorridendo e mettendo un braccio sulla spalla del nipote: “Tua madre avrebbe voluto uccidermi vivo!”

Camminando nel parco raggiunsero il campetto di bocce dove si trovavano gli amici ma l’uomo non volle fermarsi: “Oggi non ho voglia di vedere quei ragazzacci, ho altro da fare. Accompagnami fino allo stagno, devo vedere la mia ragazza”. Giovanni pensò che il nonno stesse perdendo anche la lucidità mentale, oltre le energie fisiche. Raggiunsero una zona solitaria e tranquilla, riparata da splendidi alberi, silenziosi testimoni degli incontri di giovani innamorati.

“La vedi? E’ lei!” esclamò il nonno indicando col bastone un’anziana donna che nel vederli arrivare si alzò dalla panchina con un movimento lento ma elegante. “Pensavi fossi impazzito, vero?”, disse il vecchio al nipote. “Beh, in realtà sono davvero pazzo. Pazzo di lei. È una donna meravigliosa, si chiama Francesca, come tua madre. Spero che la tua povera nonna possa perdonarmi. La vita dura così poco.”

Giovanni osservò l’anziana donna. C’era luce nel suo sguardo, come quella che faceva brillare gli occhi del nonno. Era forse più giovane di lui, appariva timida e conservava una bellezza antica, fatta di grazia e di dignità. I due sembravano due bambini che s’incontrano nei giorni di vacanza per correre insieme nel parco. Provò una tenera invidia di quei due giovani ultraottantenni che si erano incontrati nel loro particolare giardino d’amore sfidando le leggi della natura. “Puoi tornare a casa ora”, disse il nonno mentre si avvicinava lentamente alla sua Francesca che lo aspettava in piedi, sorridendo al suo vecchio ragazzo.

A casa Giovanni continuava a riflettere su quanto accaduto. Il nonno aveva superato quello che sarebbe stato senza dubbio uno dei suoi ultimi esami mentre lui, con tutta la vita davanti a se, non si sentiva ancora pronto a fare delle scelte. Incapace com’era di lasciare il nido di famiglia, di manifestare a Claudia, la ragazza con cui usciva, i suoi sentimenti, di lasciare un lavoro che non lo gratificava. Incapace di riconoscere i suoi limiti e i suoi egoismi. Si disse che nulla poteva e doveva tornare ad essere come prima della tempesta coronavirus. Che anche dentro di lui poteva esserci tempesta di sentimenti e di idee capaci di cambiare tutto ciò che è codificato e stabilito. Capaci di fare capire, finalmente, i valori veri della vita.

One Response to Letture

  1. Bruna Colarossi scrive:

    Un racconto molto toccante, capace di donare un po’ di ottimismo e speranza. Stiamo perdendo migliaia dei nostri anziani e ne sentiremo una mancanza inconsolabile. Tuttavia ci lasciano un insegnamento fondamentale: il coraggio e la determinazione ma anche la capacità di leggerezza, la fantasia e la passione del vivere, che il nonno dimostra in questo racconto e che sono anche il viatico per vivere a lungo e per un sereno e soddisfatto fine vita.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>