L’America che vorremo: liberata dal coronavirus e dai danni provocati da Trump

Ho il piacere di condividere questo articolo di un mio carissimo amico (ultraottantenne), Marino de Medici*, americano di origine italiana, col quale intrattengo un rapporto epistolare.
Giancarlo Morgante

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Cari amici, in risposta ad alcune domande ricevute se i miei articoli del blog possano essere distribuiti ad altri, vi comunico che vi autorizzo a farlo. E’ bene che gli italiani sappiano dei danni che Trump ha arrecato all’America, che tutti noi conoscevamo come una democrazia illuminata. Qui speriamo di sopravvivere al disegno di fare dell’America un paese autoritario ed insensibile alle cause umane. Con i miei sinceri auguri di superare il virus e tornare alla normalità, in America e in Italia.
Il vostro Marino
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44ccb4bb-54e1-45e1-a593-7232f26ab785LA PRESIDENZA TRUMP E LE SUE FALSE ILLUSIONI
Tra più o meno trent’anni, quando gli storici passeranno al setaccio il secolo scorso e i decenni successivi al 2000, non vi è dubbio alcuno che assegneranno a Donald Trump il primato di peggior presidente della storia americana. I suoi concorrenti in questa sciagurata classifica sono James Buchanan, quindicesimo presidente, che non seppe o volle affrontare la questione della schiavitù e impedire la secessione degli stati del Sud. L’altro è Warren Harding, il ventinovesimo presidente, la cui amministrazione fu pervasa dagli scandali, tra cui il Teapot Dome e quello legato al direttore del Veterans Bureau che vendette illegalmente le scorte mediche del governo a imprenditori privati. Ironicamente, Harding era stato eletto con una valanga di voti. La coincidenza tra lo scandalo di quel Veterans Bureau e il presente tracollo della politica assistenziale di fornitura di equipaggiamenti medicali per la lotta contro il coronavirus hanno la stessa radice, l’inettitudine del capo dell’esecutivo. [segue] 
Nessun presidente del passato avrebbe mai pronunciato in pubblico una frase simile: “Io non mi assumo responsabilità alcuna” per le gravi carenze dell’operazione sanitaria volta a proteggere gli americani dal virus, attribuendo la colpa ad una serie di “circostanze” non specificate nonché “norme, regolamenti e caratteristiche di altri tempi”. Per stupefacente che possa sembrare, il presidente degli Stati Uniti ancora una volta rovesciava la colpa sul suo predecessore, Barack Obama. Questo indecente tentativo di addossare ad Obama le responsabilità che Trump non si assume è del resto una costante di Donald Trump presidente, che sin dagli inizi del suo mandato è
apparso ossessionato dalla volontà di smantellare l’eredità politica di Obama e le sue realizzazioni, dalla legge per la sanità (Obamacare) all’accordo nucleare con l’Iran, dal patto di Parigi per il clima agli accordi commerciali con l’Europa e l’Asia. In breve, l’eredità di Donald Trump è quella di un pervicace distruttore di trattati, intese e regolamenti negli Stati Uniti e nel quadro globale, senza alcuna struttura o negoziazione sostitutiva, salvo possibilmente il caso del rimpiazzo di NAFTA (American Free Trade Agreement). Il marchio distintivo della presidenza Trump può essere riassunto in questi termini: inazione, mendacia ed un puerile “finger pointing”, come gli americani descrivono il vizio di puntare su altri un dito accusatorio. Di fatto, la sregolata leadership di Trump ha esacerbato l’incertezza e la manchevolezza decisionale in una congiuntura che di giorno in giorno si faceva critica. Quello che gli storici certamente ricostruiranno è la lunga sequenza dei penosi tentativi di Trump di assicurare gli americani che tutto era sotto controllo e che quindi non c’era ragione di abbandonarsi al panico. Mentre il dottor Falci avvertiva gli americani che “le cose peggiorerano prima di migliorare”, il presidente esprimeva il convincimento che “i giovani e le persone in buona salute non soffriranno per il virus” e che in generale la gente poteva “relax”, ossia rilassarsi, “perché stiamo facendo bene”. Il calibro della leadership di Trump veniva definito sin dal primo momento dall’incoscienza con cui il presidente suscitava false speranze mentre tutti gli esperti della sanità nazionale e quelli degli istituti di ricerca e delle strutture ospedaliere si appellavano agli americani perché stessero a casa ed evitassero contatti. La leadership di Trump produceva una mole di “fiction”, storie inventate come quella secondo cui Google stava mettendo in opera un website che avrebbe permesso di valutare eventuali sintomi per poi indirizzare i soggetti positivi a fantomatiche sedi di ‘testing’ simili alle passerelle (drive through) di banche e locali di ristorazione. Si trattava di un’altra irresponsabile esagerazione in quanto il progetto era ancora in limitata fase sperimentale. Il presidente, sbugiardato dai fatti, se la prendeva con la stampa, da lui costantemente attaccata come “nemico pubblico”. Con l’eccezione della rete Fox, popolata da sicofanti commentatori trumpisti, la stampa non aveva fatto altro che riportare le dichiarazioni del presidente secondo cui “tutto è sotto controllo”, “siamo riusciti a chiudere le fonti del virus”, “le cose andranno progressivamente meglio”, “è un miracolo, ma il pericolo scomparirà”. Con il passar dei giorni, il pericolo cominciava ad incombere sugli americani e Trump continuava a minimizzarlo. La Casa Bianca avrebbe potuto varare misure per arrestare lo sviluppo del virus, dando il via ad una massiccia produzione di “test”, ilustrando i gravi pericoli della pandemia ed esortando gli americani a prendere le dovute preoccupazioni. Nel corso di settimane, Dump non faceva altro che minimizzare il pericolo del contagio. Mentre gli esperti segnalavano l’incremento del rischio di propagazione del virus, il presidente appariva più preoccupato dalla contrazione del mercato azionario. Il 24 Gennaio mandava in giro un tweet per far sapere che ”tutto andrà per il meglio”. Sei giorni dopo, teneva un discorso nel Michigan in cui affermava, ancora una volta: “Tutto è sotto controllo. Non abbiamo problemi in questo momento nel nostro Paese. Solo cinque persone. Ma tutte stanno guarendo”. Quello stesso giorno, la World Health Organization (WHO) lanciava un appello con cui defineva il coronavirus “un’emergenza internazionale di salute pubblica”. Dinanzi al tribunale della storia, Donald Trump verrà giudicato anche per aver rifiutato l’offerta della WHO di un “test” dell’organizzazione mondiale. La mancanza di “test” faceva degli Stati Uniti la nazione più arretrata nella prevenzione del contagio, destinata a pagare cara l’impreparazione. In quei giorni ed anche adesso, quando l’epidemia miete migliaia di vittime
quotidianamente a New York, Trump non trovava di meglio che scagliarsi contro i media accusandoli di “gettare nel panico i mercati”. In aggiunta, i propagandisti della destra oltranzista pro-Trump, che agli inizi avevano denunciato la pandemia come un “democratic hoax” ossia una mistificazione dei democratici, dinanzi al fenomeno inarrestabile del contagio non trovavano niente di meglio per mascherare l’incompetenza del presidente che accusare la stampa di aver drammatizzato la pandemia per danneggiarlo. E’ indiscutibile comunque che i media americani sono stati quanto mai lenti nel riconoscere la realtà della pandemia. Questa incresciosa mancanza di introspezione, unita alla politicizzazione operata da Tramp e dai suoi adepti ideologici, producevano una situazione tale da intensificare le esistenti tensioni politiche e sociali nella nazione. In questa situazione, esplodevano le congetture più fuorvianti e le accuse di complotto strumentalizzate per fare dell’epidemia un’arma per le prossime elezioni presidenziali. I fatti dovrebbero parlar chiaro e permettere agli americani di mettere a fuoco le responsabilità che Trump non intende assumersi. Dal giorno in cui giunsero negli Stati Uniti le avvisaglie della pandemia in Cina, per la precisione il 3 Gennaio, dovevano trascorrere settanta giorni prima che il presidente riconoscesse che il covid-19 era un “virus letale”. Ed ancora, dovevano passare ventuno giorni a Febbraio prima che l’amministrazione Trump ammettesse che il “test” abbondantemente propagandato da Trump si era dimostrato difettoso. Di fatto, la nazione che in teoria era la più preparata a far fronte ad una pandemia, grazie ai suoi esperti ed alle enormi risorse scientifiche ed economiche, veniva sopraffatta dal virus soffrendo proporzionalmente più morti di altri Paesi colpiti dal covid-19. La disfunzione amministrativa è probabilmente la causa maggiore della crisi, una constatazione tanto più sorprendente in un Paese che da sempre è all’avanguardia scientifica. Quando un ente universalmente riconosciuto per le sue competenze, come i Centers for Disease and Prevention, fallisce nella sua missione di assicurare lo “screening” ovvero la schermatura degli americani, non resta che addebitare il diffondersi del flagello alla mancata mobilitazione. Donald Trump si è ripetutamente vantato di essere un “war president”, un presidente di guerra, contando sul fatto che in tempo di conflitti e di tragedie nazionali, come quella del 9 Novembre,
si produce il fenomeno “rally around the flag”, lo stringersi dei cittadini attorno alla bandiera. Ma un presidente di guerra da l’esempio, incita i cittadini a fare sacrifici, ad osservare le regole, ad associarsi in uno spirito di comunità. Quando gli esperti raccomandano di usare le mascherine, il capo dello stato, Donald Trump, dichiara di non avere alcuna intenzione di mettersela. Ma poi esalta se stesso, con miserabile ostentazione, vantando di essere il personaggio più in vista su Facebook. Quello di Trump è un assillante sforzo per puntellare una presidenza che vacilla perché inabile al suo primario compito di esercitare leadership in disperati frangenti per la nazione. Il pilastro di Trump per la rielezione era una florida economia in espansione, con piena occupazione ed un mercato azionario in costante ascesa. Il coronavirus ha distrutto quell’illusione, che Trump ha tentato di mantenere in vita con false speranze come quella di riempire le chiese a Pasqua. Ovviamente, il virus non è colpa di Trump ma la risposta tardiva e inefficiente all’epidemia peserà come un macigno sull’ingannevole condotta del presidente. Ne’ basteranno le migliaia di milioni di dollari che il Congresso ha profuse per salvare l’economia. Le possibilità che il presidente possa vantarsi di aver decantare di aver debellato il virus e rilanciato l’economia appaiono irrealistiche. Donald Trump è sempre stato un abile “salesman”, l’equivalente di un “venditore di fumo” nelle presenti drammatiche corcostanze. Quel che deciderà le elezioni di Novembre è che Donald Trump, il “presidente di guerra”, ha perso la guerra. A conti fatti, rimarrà in compagnia di James Buchanan e Warren Harding.
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*Marino de Medici è romano, giornalista professionista da una vita. E’ stato Corrispondente da Washington dell’Agenzia ANSA e Corrispondente dagli Stati Uniti per il quotidiano Il Tempo. Ha intervistato Presidenti, Segretari di Stato e della Difesa americani, Presidenti di vari Paesi in America Latina e Asia. La sua produzione giornalistica ha spaziato dalla guerra nel Vietnam, ai colpi di stato nel Cile e in Argentina, a quaranta anni di avvenimenti negli Stati Uniti e nel mondo. Ha anche insegnato giornalismo e comunicazioni in Italia e negli Stati Uniti. Non ha ancora finito di viaggiare e di scrivere dei luoghi che visita. Finora è stato in 110 Paesi e conta di visitarne altri.

One Response to L’America che vorremo: liberata dal coronavirus e dai danni provocati da Trump

  1. […] battaglia delle mascherine . di Marino de Medici. L’America è spaccata a metà su una molteplicità di fronti che riconducono alla battaglia […]

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