Referendum. Campagna per il NO

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Referendum: un po’ di ripasso e qualche conto.
di Tonino Dessì.

Questo è il testo originario degli articoli 56 e 57 della Costituzione promulgata nel 1948.
“Art. 56.
La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.
Art. 57.
Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore.”.

L’Assemblea Costituente svolse sul tema della rappresentanza parlamentare una discussione specifica, nella quale prevalse, sia sulla base di considerazioni empiriche ed esperienziali, sia sulla base del raffronto comparativo con ordinamenti di altre democrazie contemporanee, il criterio volto ad assicurare a una determinata quota di elettori i propri rappresentanti.

Il testo attuale, che fissa in seicentotrenta i deputati e in trecentoquindici i senatori (più i cinque a vita di nomina presidenziale previsti dall’articolo 60), deriva da una modifica costituzionale apportata al testo originario nel 1963 (l. cost. 9 febbraio 1963, n. 2). Una successiva modifica è stata introdotta con la revisione del 2001 (l. cost. 23 gennaio 2001, n. 1), che ha riservato alla circoscrizione Estero l’elezione di sei senatori.

La legge costituzionale del 1963 intervenne a boom demografico in pieno svolgimento, per bloccare una crescita continuativa della rappresentanza che appariva in prospettiva controproducente, sia in quanto, potendo dar luogo a un numero di parlamentari pletorico, avrebbe indebolito il Parlamento, anzitutto rispetto al Governo, sia in quanto la variabilità del numero dei seggi in occasione di ogni tornata avrebbe reso meno governabile la vita interna dei partiti e più indeterminate le reciproche relazioni, i rapporti di forza, le stesse maggioranze parlamentari.
Bloccare il numero ai livelli ormai raggiunti costituiva un fattore di stabilizzazione del sistema.

Restava tuttavia un numero di rappresentanti conforme all’esigenza di rispecchiare in Parlamento tanto il pluralismo politico quanto la complessità sociale e persino territoriale della realtà italiana.
Non deve sfuggire che più alto è il numero di elettori necessario per eleggere un parlamentare, più si allarga la distanza del parlamentare stesso dai propri elettori e più bassa è la varietà delle istanze, anche territoriali, che potrà personalmente e direttamente interpretare.
Il Parlamento non è infatti una semplice macchina per la produzione di norme, ma è il principale strumento per la rappresentazione, la conoscenza, la messa a confronto, la ragionevole mediazione nelle rispettive soluzioni, dei problemi del Paese: la rappresentanza elettiva in democrazia a questo serve.

Oggi in Italia ci sono 1 deputato ogni 96.006 abitanti e 1 senatore ogni 188.424 abitanti.
Se venisse confermata la legge costituzionale oggetto di referendum (che riduce da seicentotrenta a quattrocento i deputati e da trecentoquindici a duecento i senatori), si arriverebbe a 1 deputato per ogni 151.210 abitanti e a 1 senatore per ogni 302.420 abitanti, con una drastica riduzione della rappresentanza popolare e quindi con un divario enormemente accresciuto nel rapporto tra elettori ed eletti.

Tutto ciò a fronte dell’unico obiettivo che sarebbe conseguito: una riduzione della spesa pari a 57 milioni di euro annui, cioè allo 0,007 per cento dell’intera spesa pubblica, risultato che potrebbe essere ottenuto alternativamente, se li si ritiene un costo da abbattere, con una riduzione degli emolumenti, oppure riconsiderando alcune altre decisioni di spesa. Un caccia F35 dei novanta che l’Italia ha deciso di acquistare per l’ammodernamento dell’Aeronautica militare costa attualmente fra i 90 e i 106 milioni di euro, per dire.

Ecco: questa è in sintesi la partita in gioco col referendum.
I favorevoli alla revisione costituzionale oligarchica non hanno un solo ragionevole argomento da spendere.
I NO sono il più ragionevole strumento per difendere una soglia decente di democrazia e per mantenere aperte differenti possibilità di un suo miglioramento anche qualitativo.
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Da un’idea di Tonino Dessì
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Un appello di costituzionalisti per il no al taglio dei parlamentari
[Andrea Fabozzi*]

C’è un appello di un’ottantina di costituzionalisti del No (ma altre firme si stanno ancora raccogliendo) pronto a fare il suo ingresso – nei prossimi giorni – nella campagna referendaria sul taglio dei parlamentari. In prevalenza le firme sono di professori giovani, associati e ricercatori, ma non mancano docenti autorevoli e di esperienza.

Alcuni avevano sostenuto nel 2016 la riforma costituzionale Renzi-Boschi, in qualche caso anche firmando appelli di segno opposto, dunque per il sì. Come Pasquale Costanzo, emerito a Genova, Antonio Ruggeri, emerito a Messina, Marco Plutino, associato a Cassino. Tra le firme anche quella di Massimo Villone, emerito a Napoli e oggi presidente del Comitato nazionale per il No, ruolo che aveva già ricoperto contro la riforma del 2016. Tra le firme in calce al nuovo appello, nato in partenza per rispondere a un asserito «silenzio dei costituzionalisti» (sul manifesto lo ha già fatto l’11 agosto Gaetano Azzariti) quelle di Carlo Amirante, Roberto Borrello, Omar Chessa, Angela Di Gregorio, Michele Della Morte, Silvio Gambino, Enrico Grosso, Laura Lorello, Alberto Lucarelli, Alessandro Morelli, Laura Ronchetti, Laura Trucco, Luigi Ventura. Non ci sono, a parte Villone, le firme che nel 2015 lanciarono, proprio sul manifesto, la campagna per il no al referendum Renzi (Carlassare, Azzariti, Ferrara e ovviamente Rodotà che è venuto a mancare nel 2017).

L’appello mette in testa alle sue critiche gli aspetti economici tanto propagandati dai 5 Stelle – e invece «l’entità dei tagli è irrisoria», «gli strumenti democratici basilari non possono essere sacrificati o depotenziati in base a mere esigenze di risparmio» – e si concentra sulle questioni funzionali – «la riforma riduce in misura sproporzionata e irragionevole la rappresentanza di interi territori», «finirebbe con l’aggravare anziché ridurre i problemi del bicameralismo perfetto» -, ma non trascura che «la riforma appare ispirata da una logica “punitiva” nei confronti dei parlamentari, confondendo la qualità dei rappresentanti con il ruolo stesso dell’istituzione rappresentativa».

Intanto ieri L’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha giudicato «ancora insufficiente» lo spazio complessivamente dedicato dall’informazione al referendum. Di conseguenza ha emanato un «ordine» a tutti i fornitori di media audiovisivi, affinché assicurino «un’informazione completa che illustri il merito del quesito referendario e garantisca il bilanciamento delle posizioni favorevoli e contrarie. E ciò sia nei notiziari sia nei programmi di approfondimento». Il consiglio dell’Agcom ha approvato il provvedimento con il voto contrario del consigliere Morcellini e con una settima di anticipo rispetto alla disponibilità dei dati sul periodo 16-22 agosto – e «pur apprezzando il leggero aumento del tempo dedicato al referendum costituzionale» – proprio per l’importanza che nei prossimi giorni sia assicurata la giusta informazione.

Ieri il capo politico reggente dei 5 Stelle Vito Crimi ha voluto fare il suo appello al sì, iniziandolo con l’argomento che il taglio dei parlamentari «È un’occasione straordinaria per ridurre i costi della politica e per rendere più efficiente il nostro parlamento». Malgrado tutte le smentite e i calcoli corretti che sono stati nel frattempo pubblicati, Crimi ha riproposto il conteggio dei risparmi fatto dai 5 Stelle un anno fa, secondo il quale «il taglio ci consentirà di risparmiare 100 milioni di euro l’anno fino ad 1 miliardo in 10 anni, e di poterli restituire ai cittadini investendo in nuovi servizi e attività essenziali». La cifra vera si avvicina alla metà e rappresenta comunque lo 0,007% della spesa pubblica annuale.

Ma soprattutto Crimi ha detto che «il referendum è quel meraviglioso momento di partecipazione, democrazia diretta e libera scelta che può dare ancora più valore e pregio a questo importante cambiamento». Peccato che a gennaio il Movimento abbia attaccato duramente i senatori che si sono fatti promotori del referendum costituzionale. Definendo la loro iniziativa non «un meraviglioso momento di partecipazione» ma «un’ignobile questione di poltrone». Intanto Andrea Colletti non è più l’unico deputato 5S ad essersi espresso apertamente per il no. Anche Elisa Siragusa, eletta all’estero, ha fatto lo stesso.

[*da il manifesto del 21 agosto 2020]

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