Che fare dopo il referendum? Il dibattito in ambito CoStat

ec42ddf7-4654-4be5-9bf6-27da0e32b220
Riproponiamo alcuni interventi nel dibattito sul “Che fare? dopo il referendum”, avviato nell’ambito del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), riprendendoli dai giornali online Democraziaoggi, Aladinpensiero, Giornalia.
——————————————————————-
Logo_Aladin_PensieroMa il popolo non ha sempre ragione.
Franco Meloni – Commento apparso il 24 settembre 2020 su Democraziaoggi.
Sono stato garbatamente criticato per l’accostamento irriverente dell’episodio evangelico della pronuncia popolare in favore di Barabba contro Gesù, al comportamento dell’elettorato in occasione del referendum. Lo avevo riconosciuto io stesso in premessa del mio intervento, ma non me ne pento, perché il Vangelo è esemplare nel delineare le situazioni, a volte senza bisogno di alcuna ulteriore parola. Come appunto nel caso del brano citato. La volontà del popolo, che in tale circostanza certamente non si espresse democraticamente, non può essere accettata da nessuna persona giusta e ragionevole, come invece fece Pilato. La vicenda ci serve per affermare che le decisioni popolari possono essere giudicate sbagliate e che anche quando espresse democraticamente, come nel caso del nostro referendum, possono essere criticate. Si, devono essere applicate, ma è possibile e legittimo che ci si batta perché nel tempo vengano cambiate. In questa fase non ci si può illudere. Possiamo e dobbiamo limitare le conseguenze nefaste dovute alla riduzione delle rappresentanze e degli spazi della partecipazione democratica. Come? Una nuova legge elettorale, proporzionale e senza eccessivi (o comunque ragionevoli) sbarramenti costituisce un terreno prioritario di impegno politico, che può unificare quanti condividono i valori fondanti della Carta. Concordo pertanto con Andrea Pubusa e con altri autorevoli interlocutori sulla ricerca di questa unità anche con persone e gruppi che hanno appoggiato il Sì. Questa battaglia, con disincanto e senza illusioni, dobbiamo sicuramente fare, avendo ben chiare le argomentazioni e le avvertenze di Tonino Dessì, ma sorretti nonostante tutto dal gramsciano ottimismo della volontà. Tornando alle “critiche al popolo”, su cui occorre dibattere senza infingimenti, mi piace condividere un articolo di Giacomo Paci, datato 29 giugno 2016, ricco di riflessioni, in gran parte a mio parere condivisibili e che comunque ci inducono ad approfondimenti (https://www.ilpost.it/giacomopapi/2016/06/29/volete-gesu-o-barabba/). Ancora – questa volta per spontanea e suggestiva associazione di idee legata ai vissuti giovanili – mi è caro richiamare e proporre la canzone di Dario Fo “Popolo che da sempre stai sulla breccia incazzato da diecimila anni e più…”, della quale riporto il link del video su youtube: https://www.youtube.com/watch?v=7Kmf3wVn9oc .
——————————————
Risultati del Referendum. Commento (irriverente) per (forse) impertinenti associazioni di idee.
70ce9b3f-1a0c-4f1e-af29-c9741599988b
[tratto dalla] Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo
In quel tempo Gesù comparve davanti al governatore, e il governatore lo interrogò dicendo: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Tu lo dici». E mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani lo accusavano, non rispose nulla.
Allora Pilato gli disse: «Non senti quante testimonianze portano contro di te?».
Ma non gli rispose neanche una parola, tanto che il governatore rimase assai stupito. A ogni festa, il governatore era solito rimettere in libertà per la folla un carcerato, a loro scelta. In quel momento avevano un carcerato famoso, di nome Barabba. Perciò, alla gente che si era radunata, Pilato disse: «Chi volete che io rimetta in libertà per voi: Barabba o Gesù, chiamato Cristo?». Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: «Non avere a che fare con quel giusto, perché oggi, in sogno, sono stata molto turbata per causa sua». Ma i capi dei sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a chiedere Barabba e a far morire Gesù. Allora il governatore domandò loro: «Di questi due, chi volete che io rimetta in libertà per voi?». Quelli risposero: «Barabba!». Chiese loro Pilato: «Ma allora, che farò di Gesù, chiamato Cristo?». Tutti risposero: «Sia crocifisso!». Ed egli disse: «Ma che male ha fatto?». Essi allora gridavano più forte: «Sia crocifisso!».
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: «Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!». E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». Allora rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso
.
(…)
——————————————-
schermata-2020-09-22-alle-09-19-49 schermata-2020-09-22-alle-09-18-35
———————————————————————————-
democraziaoggi-loghettoDIBATTITO
Caro Andrea, dopo il referendum, un “che fare?” assai problematico.
di Tonino Dessì su Democraziaoggi.
Caro Andrea,
nell’articolo scritto il 21 Settembre a spoglio referendario concluso e a risultato definitivamente assestato, hai sinteticamente tracciato un indirizzo di lavoro (prima una nuova legge elettorale proporzionale, indi l’attuazione dei punti programmatici più urgenti della Costituzione) per i vari comitati locali che fanno riferimento a quello nazionale per la democrazia costituzionale, come prospettiva per ricomporre l’area democratico-progressista che si è divisa in occasione di questa consultazione.
Sinceramente apprezzando la consueta positività dell’indirizzo e sul piano dell’emozione reattiva sentendomi portato come sempre a condividerla, devo dire tuttavia che la ragione mi induce a prospettarmene tutte le difficoltà, oggettive e soggettive.
All’indomani del referendum del 2016 avevo auspicato il consolidamento del movimento costituzionale e addirittura pensato che l’immersione culturale nell’intenso dibattito sviluppatosi in quella campagna per respingere la revisione renziana potesse indurre uno fra i protagonisti decisivi, il M5S, a evolvere in “Partito della Costituzione”.
Così non è stato.
Nei quattro anni che sono poi trascorsi, proprio il M5S ha regredito su quel terreno e se da un lato il suo successo elettorale del 2018 e le circostanze che portarono alla formazione del primo Governo di questa legislatura con la Lega di Salvini hanno segnato una delle fratture più significative con l’area democratica, quella conseguente alla condivisione delle leggi xenofobe, dall’altro le circostanze che hanno portato alla formazione del secondo Governo, quello con PD, hanno condizionato lo stesso Governo nel frenare la pur annunziata (dagli accordi di maggioranza) revisione di quella legislazione, mentre ha finito per concludere il suo iter la revisione costituzionale sulla riduzione della rappresentanza, che aveva preso avvio con l’unificazione di due disegni di legge della maggioranza precedente, uno a firma Calderoli (Lega per Salvini), l’altro a firma Patuanelli (M5S).
Conclusione che in nome della ragion di governo ha visto il PD e le sinistre parlamentari satelliti confluire nell’approvazione nell’ultima e conclusiva lettura alla Camera dei Deputati, dopo che avevano votato contro in tutte le altre letture in entrambi i rami del Parlamento.
La secca formulazione della revisione è penetrata come una lama acuminata dentro lo stesso movimento costituzionale del 2016, dividendolo e inducendo una parte dei costituzionalisti, come la professoressa Carlassare e il professor Zagrebelsky, a schierarsi per il SI per palesemente prevalenti motivazioni politiche, di difesa del quadro di Governo, fino al punto di ritrattare opposte posizioni sul merito espresse nel 2016.
Il ferro aguzzo ha sfondato le maglie della difesa della Costituzione penetrandone il ventre molle, quello della rappresentanza.
È verosimile che anche nel voto diffuso la parte democratica del NO del 2016 si sia divisa, benchè più di un indizio porti a ritenere che il SI del 2020 sia un voto molto più caratterizzato a destra di quello del 2016.
Le indagini degli analisti sono propense a ritenere che un po’ più della metà degli elettori PD abbia votato, nonostante le indicazioni di partito, contro la revisione, mentre il modestissimo risultato conseguito dal M5S nelle contestuali elezioni regionali lascia intendere che anche l’apporto dei suoi elettori alla causa della revisione sia stato corrispondentemente assai modesto.
Conclusivamente, nella sua convulsione quasi premonitrice di un’agonia difficilmente reversibile, questo partito ha contribuito a dare un colpo durissimo alla Costituzione.
La quale, parliamoci chiaro, dal voto referendario non esce più uguale a prima, non solo come Costituzione formale, ma neppure come Costituzione materiale.
Una Camera e un Senato rispettivamente ridotti a 400 e a 200 componenti non saranno affatto più efficienti.
Basti pensare alla riduzione della capacità di analisi dello spettro di problemi di un Paese complesso inevitabilmente derivante dalla riduzione del numero complessivo e della provenienza territoriale dei componenti delle due Assemblee e delle Commissioni parlamentari e nella prospettiva dall’accorpamento e dalla riduzione delle medesime Commissioni.
Saranno sicuramente, il Parlamento e le Commissioni parlamentari, organi meno rappresentativi: il taglio del trenta per cento solleva oggettivamente la soglia di accesso delle formazioni politiche al Parlamento e prevedere, anche in una legge elettorale proporzionale, un ulteriore sbarramento, incrementerebbe la conseguenza fino a far prevedere che la rappresentanza parlamentare del Paese sarà in mano a forze politiche espressioni di una minoranza di elettori.
Per quanto sia vero che in una precedente fase della storia repubblicana (quella della rigogliosa crescita delle forme istituzionali, anche regionali e locali, delle forme organizzate della politica come i partiti di massa e delle forme organizzate dei movimenti sociali, anche sindacali e civili, che innervarono la partecipazione di massa alla politica) una parte della sinistra prospettò fiduciosamente tanto una riduzione del numero dei parlamentari, quanto addirittura il superamento del bicameralismo a favore di un’unica Assemblea Nazionale eletta col sistema elettorale integralmente proporzionale, è pur vero che nella regressione istituzionale, sociale, culturale e soprattutto politica in corso da almeno trent’anni quelle proposte hanno perso di attualità.
Ma è anche opportuno ricordare che quelle proposte erano accompagnate da un bilanciamento intrinseco, ossia dalla proposta di un irrigidimento ulteriore delle procedure di revisione, mediante l’eliminazione dall’articolo 138 della Carta della possibilità di un’approvazione a maggioranza, ancorchè assoluta.
Questo non è stato previsto nella riforma approvata e se pure sarebbe certamente il primo obiettivo da indicare, nulla induce a prevedere che alcuna forza politica intenda assumerne l’iniziativa, men che meno che una maggioranza parlamentare qualificata ai sensi dell’articolo 138 vigente si coaguli per approvare una tale proposta.
Anzi, suonano abbastanza inquietanti gli annunci di apertura di una “nuova stagione di riforme”.
La Costituzione perciò è diventata assai più fragile proprio per il fatto che già oggi si è sperimentata una modalità politica per modificarla agevolmente e che sarà possibile nel prossimo Parlamento modificarla da parte di maggioranze le quali, ancorchè qualificate, saranno pur sempre formate nell’ambito di forze politiche espressioni nel loro complesso di una minoranza del corpo elettorale.
Già domani, peraltro, cosa potremmo fare, se venisse approvata la proposta di legge costituzionale firmata dai parlamentari di LeU e il cui esame è stato già incardinato nella competente Commissione Affari costituzionali del Senato, volta al superamento della elezione dei senatori su base regionale?
Certo, si tratta di un’ulteriore revisione dall’approvazione non scontata, benchè rientri negli accordi di maggioranza.
Dipenderà dall’evoluzione della vicenda residuale dell’ex sinistra radicale italiana, la quale da qui alla fine della legislatura potrebbe invece conclusivamente confluire nel PD, complice la possibile concomitante non ottemperanza agli accordi del M5S, che alla luce dell’esito delle elezioni regionali preferirebbe magari non trovarsi altre forze “minori” concorrenti.
Se invece passasse ci avvieremmo alla definitiva cancellazione dai rami “alti” dell’ordinamento di un riferimento alla rappresentanza su base circoscrizionale regionale, preludio alla creazione di collegi pluriregionali, analoghi a quelli per l’elezione del Parlamento Europeo, non solo per la Camera, ma anche per il Senato.
L’effetto su una Regione come quella sarda, che già vedrà ridotta la sua rappresentanza nel Parlamento italiano di oltre il 36 per cento, è intuitivo, visto che l’esperienza della collocazione in un collegio europeo “Isole” con la Sicilia, la facciamo da tempo.
In questa prospettiva direi che anche una possibile evoluzione del bicameralismo paritario in un bicameralismo specializzato di tipo federale (che, detto per inciso, è stata la linea ufficiale, in Sardegna, dell’ultimo PCI nel 1989, del PDS sardo e financo dei DS-Sinistra federalista sarda, fino al suo scioglimento nel PD) è destinata a sfumare definitivamente.
Va peraltro notato che intanto i processi di disaffezione e di astensione per sfiducia e per difetto dell’offerta politica proprio in Sardegna hanno finito per connotare sia le elezioni senatoriali di Sassari sia il referendum.
Se a livello nazionale il risultato referendario è infatti più che legittimato da un’affluenza largamente superiore al cinquanta per cento degli aventi diritto, in Sardegna l’affluenza si è rivelata considerevolmente più bassa, l’elezione a Sassari, pur in un contesto di “sciopero del voto” non troppo differente da quello che caratterizzò le suppletive cagliaritane per la Camera del 2019, ha segnato un successo della destra e nel contempo confermato la presumibile connotazione a destra anche del voto referendario locale e poco consola che la percentuale regionale dei NO sia stata lievemente superiore a quella di molte altre Regioni.
Insomma, non ho motivo per essere particolarmente ottimista, per la prospettiva e la riflessione sul “che fare?” mi pare urgente, ma problematica e non agevolmente risolvibile con la ripresa di un attivismo volontaristico.
Saluti cordiali.
Tonino Dessì
————————————————-
fd5ff3b8-c3bf-4bb2-baf3-3838c692d25a
43bdd431-50f2-45c4-aa32-5ba5f8d9d465
————————————————
democraziaoggiCaro Tonino, hai ragione, il voto referendario evidenzia guasti ben più gravi del semplice taglio dei parlamentari
24 Settembre 2020
Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Caro Tonino,
la tua lettera aperta di ieri mi costringe a fare un’ammissione. Nel mio commento a caldo dopo il risultato referendario mi sono rifugiato nel tradizionale “abbiamo perso una battaglia, continuiamo la lotta per vincere la guerra“. E’ questo un modo per invitare l’area democratica di matrice “Resistenziale” a continuare nell’impegno. Fa così anche la Nespolo a nome dell’ANPI, col suo comunicato che esprime una posizione perfino più prudente, invitando a battersi per limitare i guasti di questa revisione.
Il fatto è – hai ragione tu – che bisogna fare i conti con le forze in campo sia per battersi per l’attuazione della Costituzione sia per scongiurare gli effetti negativi della riduzione dei parlamentari. E le forze diventano più esili. Vorrei sbagliare, ma il voto referendario rivela che un ampio schieramento di forze ha ormai abbandonato il campo dei valori resistenziali. Ritiene che essi siano un fardello, un peso nello sviluppo e nella modernizzazione del Paese. A pensarci bene, ciò che viene mandata al macero è la rigidità della Costituzione, che non è solo un fatto formale, di procedure aggravate, ma è anzitutto patrottismo costituzionale, fedeltà attiva ad un insieme di valori e di principi, che la Carta enuncia e che sono riassumibili in quel “fondata sul lavoro” che compare all’inizio della Costituzione a connotarne l’ispirazione, “lavoro” che viene posto a pietra fondante dell’ordinamento insieme al principio di uguaglianza.
Al PD, che già aveva fatto il salto con Renzi, ma già prima votando il pareggio di bilancio e le leggi contro i diritti dei lavoratori a partire dal l’abrogazione del paradigmatico art. 18, ora si aggiunge il M5S, che, con la sua difesa strenua della Carta contro l’attacco renziano, ci aveva illuso di costituire un nuovo argine allo stravolgimento delle fondamenta della nostra repubblica.
Una sinistra disfatta e un nuovo Movimento pentastellato legato alla piccineria del risparmio dei costi della democrazia non lasciano ben sperare in una fase attuativa dei principi della Carta. Anzi giustificano la paura che lo stravolgimento continui.
Caro Tonino, hai perfettamente ragione lo spirito volontaristico e volenteroso, senza un’analisi impietosa delle forze in campo è puramente consolatorio, ma improduttivo. Eppure dalla volontà di non mollare di quel 30% che ha detto NO, bisogna partire, sapendo che per una lunga fase più che in attacco dovremo giocare in difesa. Come nelle tenzoni sportive, quando gli avversari sono più forti, bisogna cercare di limitare i danni, riorganizzando le forze e i programmi per una ripresa.
Caro Tonino, so che sto tornando alla impostazione di cui tu realisticamente hai evidenziato l’ingenuità e la debolezza, ma questo volontarismo ci salva dallo sconforto e dalla passività e se è riempito di contenuti e di azione politica può ottenere risultati. Comunque per noi non vedo altra strada.

—————————————————–
giornalia-logoReferendum (e Elezioni): in Italia e in Sardegna rivelano un deficit di democrazia
di Franco Meloni su Giornalia.
Abbiamo sott’occhio i risultati del Referendum:
[segue]
schermata-2020-09-22-alle-09-19-49 in Italia il SI ha stravinto con quasi il 70% dei consensi, lasciando al NO il resto. Meglio per il NO – che abbiamo sostenuto – in Sardegna, schermata-2020-09-22-alle-09-18-35 dove il Si totalizza il 67%, lasciando al No il 33%. Un positivo differenziale di circa 3 punti tra il dato italiano e quello sardo che in certa misura ci annettiamo (forse presuntuosamente) per il nostro impegno militante a sostegno del NO. Per come si era partiti, il risultato sembrava scontato: con tutte le forze politiche schierate per il SI, nonostante qualche dissenso, e, soprattutto, stante il quesito referendario che incitava gli elettori a dare una bastonata ai politici, a prescindere, anzi, contro ogni ragionamento sul fatto che la classe politica non avrebbe mai e poi mai consentito un suo ridimensionamento in termini di potere. Ciò che avrebbe perduto in numerosità avrebbe ricuperato in potere effettivo con il rafforzamento delle oligarchie di partito. Non ripeto le argomentazioni per il NO che sopravanzavano, come sopravanzano, quelle per il SI, quand’anche sostenute da eminenti giuristi come Zagrebelsky, Onida, Carlassare, ed altri. I risultati danno conto che non ci poteva aspettare alcun miracolo e dunque da questi occorre ripartire, anche riconoscendo che il 30%, pari a oltre 7 milioni e 400mila voti è comunque un numero enorme anche quando confrontato con i 17 milioni dei SI. Uguali considerazioni facciamo per i numeri sardi. Vedremo ora cosa succederà: riforma elettorale in senso proporzionale e dintorni. Non staremo certo a guardare.
Sempre molto preoccupante il dato di affluenza: in Italia pari al 53,84% e, in Sardegna, più basso ancora, pari infatti al 35,71%. Certo occorre considerare che in Italia la contemporaneità di importanti elezioni amministrative in sette regioni Regioni e molti Comuni (Election day) hanno fatto da traino per incrementare il dato di affluenza, comunque basso.
In Italia
affl01
In Sardegna
aff2-saed
Se la DEMOCRAZIA è PARTECIPAZIONE non possiamo che constatare come in Sardegna e nel resto d’Italia si verifichi un pericoloso DEFICIT di DEMOCRAZIA. Non possiamo solo prenderne atto: dobbiamo impegnarci in direzione ostinata e contraria, come e di più rispetto a quanto già facciamo individualmente e organizzati.

Ribadisco solo alcune semplici conclusioni: 1) resto convinto che tagliare il numero dei parlamentari sia sbagliato e fondamentalmente antidemocratico, per tutte le argomentazioni più volte avanzate; 2) non possiamo accettare lo status quo; urge una reimpostazione delle forme della rappresentanza politica a partire dalla democratizzazione dei partiti e, come detto, dalla riforma dei sistemi elettorali in chiave proporzionale. È un discorso complesso ma va continuato. E nel nostro piccolo, anche attraverso le News che animiamo, continueremo a farlo, impegnati, secondo le nostre inossidabili convinzioni, per la democrazia, che si esprime con la partecipazione popolare nelle istituzioni e nel territorio.
Ad altri lasciamo considerazioni più vaste anche rispetto ai risultati delle elezioni regionali, comunali e politiche suppletive.
————
* I dati (definitivi) sono tratti dal sito web del Ministero dell’Interno.
———————————–
Nell’illustrazione in testa: Ecce Homo, particolare del quadro di Antonio Ciseri. Di seguito il quadro intero.
Ecce Homo by Antonio Ciseri c. 1880

2 Responses to Che fare dopo il referendum? Il dibattito in ambito CoStat

  1. […] —————————————— Il dibattito in ambito CoStat e dintorni —————————————— […]

  2. […] avviato nell’ambito del Comitato d’iniziativa costituzionale e statutaria (CoStat), riprendendoli dai giornali online Democraziaoggi, Aladinpensiero, Giornalia. […]

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>