Che succede?

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ECONOMIA CIVILE. RECOVERY FUND. E ALTRO
26 Settembre 2020 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
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e97e6c99-b3dc-40f8-9618-1f0f6bc47131Lettera a Sua Eminenza Cardinale Angelo Becciu
di Corrado Melis
By sardegnasoprattutto/ 26 settembre 2020/ Culture/
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7f4e5c2a-daa9-405f-85cf-afa66902062alogo76Newsletter n. 204 del 26 settembre 2020
Care Amiche ed Amici,
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ECONOMIA CIVILE. RECOVERY FUND. E ALTRO
26 Settembre 2020 by Giampiero Forcesi | su C3dem.
Sergio Gatti, “Il Festival dell’economia civile, laboratorio d’idee per una vera ripresa” (Avvenire). Jacopo Storni, “Consegnata a Mattarella la Carta di Firenze dell’economia civile”. Leonardo Becchetti, “Il prima, il dopo pandemia e quei birilli da colpire” (Avvenire) e “Economia virtuosa, non solo profitti” (Sole 24 ore). Vittorio Pelligra, “Il Rapporto del ben-vivere nei territori italiani” (Avvenire). Luigino Bruni, “Sud, migliorare si può e si deve” (Avvenire). Il GOVERNO E IL RECOVERY PLAN: Giuseppe Conte, “Il mio piano per l’Italia 2023” (intervista a La Stampa). Roberto Speranza, “Il piano del governo sulla sanità punterà sulle cure domiciliari” (colloquio con Cerasa, Foglio). Lorenzo Bini Smaghi, “Recovery Fund, soldi sprecati se l’Italia non fa le riforme” (Sole 24 ore). Fabrizio Barca, “Dal Recovery Fund più potere ai giovani” (Il Fatto). Aldo Bonomi, “Gli invisibili sono maggioranza, ma nessuno li vede” (Manifesto). Fabio Tamburini, “I danni di una cultura contro l’industria” (Sole 24 ore). INOLTRE: Leonardo Becchetti, “La forza e i rischi dell’Europa visti dall’America” (Avvenire). Wolfgang Ischinger, “Populisti più deboli, ma rafforziamo la Ue contro le minacce” (intervista a Repubblica). Paola Peduzzi, “Batti Trump facendo il trumpiano o il suo contrario?” (Foglio). Marco Bentivogli, “Perché i riformisti devono abituarsi ai tempi lunghi della pianura” (Foglio). Sergio Mattarella, “Il testamento di Cossiga: serve una giustizia non calata dall’alto ma prodotta dai cittadini” (Il Dubbio).
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logo76Newsletter n. 204 del 26 settembre 2020
NON PER SEMPRE PERDUTI

Care Amiche ed Amici,

ci sembra giusto anche da questa sponda associarci alla commozione per la morte di Rossana Rossanda, sia per la sua alta lezione morale sulla dignità della politica, sia per la sua sensibilità ai valori evangelici alimentata dalla sua amicizia con autentici cristiani, da padre Benedetto Calati a Giuseppe Barbaglio. Nella commemorazione romana in piazza Santi Apostoli è stato ricordato il suo percorso politico, e ne è stato tratto motivo per parlare non solo del nostro passato, ma del futuro, di quanto ci rimane da fare tra il meglio da attuare e il peggio da scongiurare e sconfiggere. Ma soprattutto quella comunione di popolo stabilita nel suo nome, è apparsa a noi come un attestato del mistero della vita umana che, dalla più povera alla più ricca, non viene “tolta”, ma lavorata e trasformata dalla morte, perché ogni persona è un infinito che per l’appunto non conosce fine.

In ciò la stessa Rossana era contraddetta su quanto aveva affermato in morte del grande amico suo, il padre Benedetto Calati, sul “Manifesto” del 26 novembre 2000, quando aveva scritto che si era spento con lui “un monaco raro che amavamo e che ci amava e per noi, che non speriamo nell’eternità, per sempre perduto”. Anche Rossana Rossanda era una comunista “rara”, ma non è affatto perduta per sempre, e sarebbe un guaio che proprio le persone più rare fossero quelle più perdute, quando invece sono proprio quelle che ci aiutano a non perderci anche noi.

E la differenza non sta nel credere o non credere all’eternità, perché le categorie di credenti e non credenti sono due categorie polemiche, cattivo retaggio della modernità, che non furono in principio e che sarebbe gran tempo di superare; la Rossanda, con l’etichetta “non credente”, insieme a Pietro Ingrao e a Mario Tronti saliva ogni anno al monastero camaldolese di Montegiove per discutere con padre Benedetto ed altri monaci e laici di ogni confessione di “temi e dilemmi sapienziali”, come lei stessa scriveva, “che in ultima istanza non sono così distinguibili tra religione e religione, religione e laicità”: e infatti sono gli stessi; e sono tra quelli evocati, pur se in altre categorie e con altre parole, anche nell’ardore dell’agone politico.

E a proposito dei “non credenti” la Rossanda, citando padre Calati, scriveva che questa definizione non poteva a lui “importare di meno giacché Dio, era scritto, aveva amato il mondo, non solo i fedeli”. E se del cristiano è “in più la fede”, essa è “meno essenziale dell’amore” che invece è di tutti: e questo non lo ha scritto solo la Rossanda sul “Manifesto”, sta scritto in ambedue i Testamenti e in tutte le Scritture.

Dunque la differenza, per la quale nessuno è “per sempre perduto” non sta nel credere o non credere nell’eternità , ma nel credere o non credere, nel praticare o non praticare l’amore; per questo Rossana Rossanda non è perduta, e nemmeno i comunisti come lei: perché si può essere rivoluzionari una settimana, si può essere rivoluzionari dieci anni, e anche si può essere rivoluzionari per venti anni “per professione”, ma non si può essere rivoluzionari tutta la vita se non per amore.

Perciò lei non è perduta per sempre, e “per favore”, direbbe papa Francesco, non ci perdiamo neanche noi.

Sul sito Chiesadituttichiesadeipoveri pubblichiamo un estratto della catechesi di papa Francesco del 23 settembre, su come guarire il mondo (insieme o non funziona), un articolo di Domenico Gallo sulla “lotta per il diritto”, in difesa della Corte penale internazionale, e un documento di “Noi siamo Chiesa” nel 150° anniversario del XX settembre (un dono della Provvidenza).
Con i più cordiali saluti

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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One Response to Che succede?

  1. Aladin scrive:

    Tonino Dessì su fb 29 settembre 2020.
    Mah, sentì un po’.
    Credo di aver letto quasi tutto, in questi giorni, a destra e a manca, in materia di analisi sulla decisione di Bergoglio.
    Anche sulle decisioni relative alla materia della gestione delle finanze della Chiesa, che stanno inesorabilmente susseguendosi al siluramento del Cardinal Becciu.
    Guardo alla Chiesa come una delle tuttora principali istituzioni politiche, distinguendone semmai fra la sua oggettiva struttura italiana e la sua non meno oggettiva, ma prospettica (già da Woitila) dimensione globale.
    Forse la differenza fra Bergoglio e Woitila (sarei portato a pensare già fra Ratzinger, almeno come intuizione, e Woitila) sta nell’abbandono di un confine carolingio, prevalentemente eurocentrico o al massimo euroasiatico.
    Il Bergoglio che rifiuta un incontro con Pompeo, ambasciatore di Trump e che tira diritto contro ogni veto USA in materia di relazioni fra Chiesa e Cina, mi sembra un Pontefice consapevole che ormai il destino della Chiesa cattolica non si giochi in Occidente, ma addirittura in partibus plus infedelium di quanto si possa percepire.
    Per liquidare Becciu sarebbe forse bastata una valutazione di incompetenza, cioè di incapacità a gestire operazioni con consapevolezze non rudimentali in materia di finanza internazionale.
    Ma se anche fosse, invece, una motivazione di tradimento politico (Becciu la porpora cardinalizia la deve a Bergoglio), o più radicalmente uno stroncamento ab imis fundamentis di velleità della Curia romana di sovvertire lo spostamento dell’asse ecclesiastico per un ritorno alla conservazione ambigua, più ancora che tradizionalista, di poteri inattuali e anacronistici, beh, ci sarebbe poco da ridire, salvo schierarsi.
    Bergoglio prosegue dopo Giovanni Paolo I (ma anche a quello scriteriato, a parte il germe di risanare lo IOR, chi glielo faceva fare a esporsi in stravaganze teologiche tipo “Dio è madre” in una istituzione di misogini e peggio di pedofili?) e dopo Ratzinger, che per quanto teologo ortodosso (“Lo scandalo da predicare è la resurrezione di Cristo, non qualsiasi teologia sociale”), appena fiutata l’aria più che materialista della Curia, giocò pesantemente con le dimissioni: “E ora voglio vedere come ne uscite”.
    E non a caso, bloccati fra i veti incrociati i pochi porporati italiani “profetici”, ma troppo “di sinistra” in termini italiani e impresentabili i porporati, italiani e non, apertamente reazionari, a un gesuita argentino si è arrivati.
    Il quale gioca con orgoglio la propria partita, salvo non lo ammazzino, ma anche questa è una scommessa che fa parte del gioco (e di una discreta dotazione di attributi).
    Ma figurati cosa caspita me ne possa importare di un cardinale democristiano pattadese.
    E ho detto tutto quel che avrei da dire.

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