Tracce sinodali

sinodo-pcc-01TRACCE SINODALI
Il centro è fuori

di Paolo Gamberini su Rocca 23/2021.

Il 10 ottobre 2021 Papa Francesco ha aperto ufficialmente in San Pietro il Sinodo sulla Sinodalità. Le modalità del Sinodo dei vescovi sono state radicalmente cambiate. Papa Francesco ha approvato un cammino sinodale che durerà tre anni (2021-2023) e sarà articolato in tre fasi – diocesana, continentale, universale – e culminerà nell’assemblea dei vescovi nell’ottobre 2023 a Roma. Il giorno prima dell’apertura del Sinodo, sabato 9 ottobre, Papa Francesco ha voluto offrire alcuni spunti di riflessione per guidare le chiese locali lungo il cammino sinodale per procedere con cuore e mente liberi, e con un’ampia visione. Papa Francesco ha precisato che il Sinodo costituisce «una grande opportunità per una conversione pastorale in chiave missionaria e anche ecumenica». Il centro dell’attenzione sinodale è «fuori» della chiesa. [segue]  Il Papa ha fatto riferimento all’aspetto missionario ed ecumenico della chiesa: cioè a due dimensioni della chiesa in cui il soggetto non siamo «noi» ma «gli altri». Come il centro di un cerchio è definito dalla sua circonferenza, così la méta del sinodo non sta all’interno della chiesa ma nella sua periferia. La comunione «intra-ecclesiale», perciò, non è fine a se stessa ma è tutta orientata all’«extra-ecclesiale». Citando Lumen gentium n. 5 il Papa ha ricordato che questa è la dinamica della vita stessa di Dio (comunione e missione): il ritmo del battito trinitario.

il rischio di resistere allo Spirito
Il cammino sinodale non è privo di rischi. Questi rischi esprimono le resistenze all’azione dello Spirito: esprimono la tentazione di soffermarsi all’«intra-ecclesiale», all’autoreferenzialità, piuttosto che ad «uscire» dalle sacrestie. Il Papa indica tre di questi rischi: formalismo, intellettualismo e immobilismo. Pensare di voler cambiare l’immagine della chiesa senza trasformarne la sostanza, specialmente del modo con cui sono pensate e vissute le relazioni tra ministri ordinati e battezzati. Il Papa ribadisce che bisogna «trasformare certe visioni verticiste, distorte e parziali sulla Chiesa, sul ministero presbiterale, sul ruolo dei laici, sulle responsabilità ecclesiali, sui ruoli di governo».
Il cammino sinodale sarà fecondo se si lascerà interpellare dalla realtà e non tener ferme le proprie idee. Rivolgendosi ai fedeli della diocesi di Roma (18 settembre 2021) Papa Francesco ricordava che l’episodio – narrato negli Atti degli Apostoli – dell’incontro tra Pietro e il centurione pagano Cornelio è d’ispirazione per il cammino sinodale. Non si trattò solo di un incontro «formale» ma «sostanziale» tanto che determinò il volto della chiesa nascente. Cosa doveva preferire Pietro: l’osservanza ideologica del comandamento di Dio oppure incontrare la realtà dell’altro sulla via? La tentazione di restare fedeli al passato della tradizione, con i corrispettivi scrupoli del «non poter cambiare la tradizione ricevuta», era grande.

l’incontro di Pietro con Cornelio
Il percorso «sinodale» di Pietro è stato quello di «immedesimarsi» nella stessa dinamica della Parola fatta carne. «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso» (Fil 2, 5-7). Come Dio non si è accontentato di essere una mera idea preesistente ma si è voluto umanizzare, così Pietro ha seguito l’impulso dello Spirito ed è riuscito ad incarnare nella vita di Cornelio la novità evangelica. «Non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo» (At 10,28). «Dio non fa preferenza di persone» (At 10,34).
Per Pietro è stato un tale ribaltamento del suo modo di pensare che lo portò a cambiare le condizioni d’ingresso nella chiesa dei pagani. La circoncisione non fu più necessaria per far parte del popolo di Dio. Si ritenne che solo la fede in Gesù Cristo bastasse. «Lo Spirito Santo soffia in modo sempre sorprendente, per suggerire percorsi e linguaggi nuovi» (Papa Francesco, Omelia per l’apertura del Sinodo sulla Sinodalità, 10 ottobre 2021).

la prassi di Gesù
Non è il precetto che (s)piega la realtà, ma è la realtà che interpreta il comandamento. Questa è stata la «via» sinodale della prassi di Gesù. Anche il Nazareno ha preferito l’uomo alla norma divina, ogni qualvolta era in questione la vita dell’altro. «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato!» (Mc 2,27). Così commenta in proposito il Papa: «Il cristianesimo dev’essere sempre umano, umanizzante, riconciliare differenze e distanze trasformandole in familiarità, in prossimità. Uno dei mali della Chiesa, anzi una perversione, è questo clericalismo che stacca il prete, il Vescovo dalla gente. Il Vescovo e il prete staccato dalla gente è un funzionario, non è un pastore» (Papa Francesco, Discorso ai fedeli della diocesi di Roma, 18 settembre 2021). L’immobilismo è il terzo rischio sul cammino sinodale. «Siccome ‘si è sempre fatto così’ è meglio non cambiare. [...] Il rischio è che alla fine si adottino soluzioni vecchie per problemi nuovi: un rattoppo di stoffa grezza, che alla fine crea uno strappo peggiore (cfr Mt 9,16)» (Papa Francesco, Riflessioni all’inizio del percorso sinodale, 9 ottobre 2021). L’immobilismo è l’inevitabile conseguenza di ogni autoreferenzialità ecclesiale. Già nella sua esortazione apostolica Evangelii gaudium (n. 251), Papa Francesco ricordava che «il mantenersi fermi nelle proprie convinzioni più profonde deve coniugarsi con la capacità di essere aperti a comprendere quelle dell’altro».

tenere insieme radicamento e apertura
Questa dialettica tra radicamento e apertura è caratteristica essenziale di ogni cammino sinodale. Al n. 27 sempre dell’Esortazione apostolica, Papa Francesco definisce la riforma della chiesa una conversione pastorale, in cui le strutture della chiesa diventano sempre più missionarie. Citando Giovanni Paolo II, il Papa ricorda che «ogni rinnovamento nella chiesa deve avere la missione come suo scopo per non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale».
Alla luce di queste importanti riflessioni di Papa Francesco, vorrei indicare alcune aree in cui il cammino sinodale è chiamato a lasciar cadere formalismo, intellettualismo e immobilismo istituzionale, per saper ritrovare così la libertà missionaria di Pietro.

ripensare la fede
Richiamerei innanzitutto la questione della trasmissione della fede. Stiamo assistendo ad uno scollamento inarrestabile tra i vari piani della comunicazione della fede cristiana: il piano liturgico-devozionale del popolo di Dio; il piano catechetico-tradizionale degli educatori; il piano formativo intellettuale dei leaders (laici, candidati al ministero e preti); infine, il piano accademico di ricerca (professori e ricercatori). Questi piani sono attualmente divisi e senza contatto tra loro. Abbiamo bisogno di un linguaggio della fede che sia in grado di dialogare con la modernità (e post-modernità), capace di ridire la fede con nuove categorie, immagini e paradigmi. È necessario, quindi, entrare in dialogo con il linguaggio e con le immagini della Bibbia e della tradizione, ma in modo nuovo e attuale. Non si tratta di fare un’opera di maquillage del Catechismo o del Credo, ma ripensare la fede tenendo presente l’attuale contesto italiano in cui le nuove generazioni sono sempre più indifferenti alla religione e un numero considerevole di cattolici adulti sono ormai delusi di una chiesa immobile e formalista.

la formazione: dal modello monastico a quello missionario
La seconda area su cui il cammino sinodale deve prestare attenzione è quello della formazione dei futuri presbiteri e dei laici impegnati nelle parrocchie. In particolare, ai candidati per il ministero ordinato deve essere offerta una formazione che respiri dal di dentro (e non dal di fuori come spettatori) quella realtà ecclesiale e sociale, in cui dovranno in futuro esercitare il servizio di presidenza della comunità e della mensa eucaristica. Passare dal modello «monastico» di formazione a quello «missionario». Rimettere l’umanità (con tutto il suo vissuto) del candidato al centro della formazione: piuttosto che imporre un modello dall’alto (di prete o di chiesa). Nei luoghi di formazione (Seminario e Facoltà), i formatori dovrebbero continuamente discernere ciò che lo Spirito dice non solo alle chiese locali, ma ad ogni candidato, in vista della missione. Nel suo discorso alla Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale a Napoli (21 giugno 2019), Papa Francesco ci teneva a sottolineare che i candidati al sacerdozio e i preti in corsi di specializzazione «rischiano di essere inghiottiti nella condizione del privilegio di chi si colloca prudentemente fuori dal mondo e non condivide nulla di rischioso con la maggioranza dell’umanità». Una formazione di laboratorio, «pura e distillata, distillata come l’acqua», non sa di niente ed è incapace di ascolto e di dialogo. In tal senso è urgente rivedere la teologia della pastorale vocazionale ma per far questo bisogna abbandonare il «mito» della vocazione e riscoprire che è il servizio e non il potere la condizione per discernere la volontà di Dio.

che senso ha pregare per le vocazioni ed escludere le donne?
Ciò significa che il cammino sinodale deve affrontare la questione del ministero nella chiesa, sia discutendo del celibato volontario per i preti che della questione del diaconato permanente per le donne. Se il cammino sinodale intende cambiare la sostanza delle relazioni tra ministri ordinati e battezzati, non può non prestare attenzione ai doni spirituali degli uomini e delle donne, senza tenerli esclusi dal ministero ordinato, invocando norme canoniche. Non ha per noi alcun senso continuare a pregare lo Spirito per avere vocazioni e al contempo escludere tutte le donne da questi uffici.

ecumenismo ed ospitalità eucaristica
Un’altra area a cui il cammino sinodale deve volgere la sua attenzione è l’ecumenismo. La partecipazione all’eucaristia e alla cena del Signore deve essere affidata alla responsabilità dei cristiani battezzati, come ricordava Papa Francesco nella sua visita alla chiesa luterana di Roma (15 novembre 2015). «Condividere la Cena del
Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme. E la Cena? Ci sono domande alle quali soltanto se uno è sincero con se stesso si deve rispondere. La vita è più grande delle spiegazioni e interpretazioni». In questo senso le chiese locali devono essere lasciate libere a discernere i passi concreti per realizzare già fin d’ora l’ospitalità eucaristica, tenendo presente l’urgenza di certi contesti, anche senza aver raggiunto a livello universale un accordo in materia. Infine, il Sinodo deve affrontare la questione della programmazione pastorale. Alla luce della mancanza di ministri ordinati in varie regioni del mondo e lo spopolamento di molte parrocchie, in Europa e anche in Italia, diventa necessario ripensare la struttura della parrocchia, non più a livello territoriale ma a livello di «rete», cioè di unità pastorali locali e progettuali.

tutta la Chiesa è laicale
Per far questo è necessario un maggiore coinvolgimento del sacerdozio comune dei battezzati: non solo nella gestione dei beni e nell’amministrazione della Chiesa, ma anche nella responsabilità delle unità pastorali. Dove c’è una comunità radunata, lì c’è la sua guida. In tal modo il ministro ordinato riscoprirebbe la centralità della sua vocazione di annunciatore della Parola e di padre spirituale per coloro che sono guida delle comunità locali.
Che sia il vescovo (con la sua funzione di episcopé), il presbitero (con la sua funzione di delegato del vescovo) o il diacono/ diaconesse (guida locale), tutti possono esercitare l’unica presidenza che esprime l’essere a guida/servizio della comunità con funzioni differenti. Tutta la chiesa è laicale. Il vero soggetto della chiesa è il Popolo di Dio (laòs) e alla Sua chiesa lo Spirito dona carismi e ministeri: tra cui quello di presidenza della comunità e di celebrare l’eucarestia (cfr Ghislain Lafont, Un cattolicesimo diverso, EDB, Bologna 2019).
Il cammino sinodale intende disincagliare la chiesa in Italia e altrove dalla sua «zona di comfort» e indirizzarla verso nuovi orizzonti di libertà e umanità. Quella sinodale è una chiesa non più preoccupata di se stessa, ma del Signore di cui è segno e riferimento. Papa Francesco ricordava nelle sue riflessioni per l’inizio del percorso sinodale (9 ottobre 2021) quanto diceva il teologo domenicano Yves Congar: «Non bisogna fare un’altra chiesa, bisogna fare una Chiesa diversa». Una «chiesa diversa», aperta alla novità che Dio le vuole suggerire. Ecclesia semper reformanda.
Paolo Gamberini

ROCCA 1 DICEMBRE 2021

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Nel Sinodo ripensare il nostro modo di intendere il Vangelo e di viverlo. Intervista a Giuseppe Savagnone su C3dem.

20 Novembre 2021
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