La lotta degli operai della centrale elettrica di Fiume Santo contro la multinazionale E.On

di Vanni Tola
Si intensifica la lotta degli operai della centrale elettrica di Fiume Santo con la proclamazione di uno sciopero che, nei giorni 22 e 23 Luglio, interesserà i diversi gruppi produttivi dell’impianto con probabili difficoltà nella fornitura di energia elettrica dell’intera Sardegna. Una vertenza lunga e complessa, innescata qualche mese fa con l’annuncio della E.On di un consistente taglio occupazionale da realizzare nel 2013 e nel 2014. In realtà la perdita di 120 posti di lavoro è soltanto la punta dell’iceberg di una storia molto più complessa e articolata. Nel 2008, dopo una complessa trattativa, la multinazionale E.On acquisisce dall’Endesa il controllo della centrale di Fiume Santo confermando alla regione Sardegna e al Governo di volere mantenere gli impegni assunti da Endesa e, principalmente, l’impegno a costruire un nuovo gruppo a carbone da 410 Megawatt per un investimento di 500 milioni di euro, in sostituzione dei due gruppi a olio esistenti, i gruppi 1 e 2, molto inquinanti e che devono essere chiusi, per motivi ambientali, entro la fine del 2013. La centrale termoelettrica di Fiume Santo, di complessivi 1040 MW, è la più grande della Sardegna e svolge un ruolo fondamentale per il sistema elettrico dell’isola. Dal sito stesso della centrale parte il cavo elettrico SAPEI da 1000 MW che è stato realizzato recentemente da Terna con un investimento di circa 700milioni di euro per collegare la Sardegna con la penisola italiana con una prospettiva di crescente esportazione di energia elettrica che sarebbe supportata, principalmente, dalla realizzazione del quinto gruppo a carbone da 410 Megawatt. Un matrimonio per interesse che produce subito i primi contrasti. Da subito E.On manifesta riserve sull’opportunità di mantenere fino in fondo gli impegni assunti ma trova comprensione e accondiscendenza da parte della Regione Sardegna che, in seguito alla richiesta della multinazionale, accetta di modificare in misura sostanziale i contenuti economici dell’accordo sottoscritto nel 2007, ritenuto troppo oneroso dalla multinazionale tedesca. Non finisce qui, nel 2010 la Regione, con l’intesa degli enti locali interessati, stipula con E.On un nuovo accordo che, oltre a affermare l’interesse per la realizzazione del nuovo gruppo a carbone, favorisce le nuove iniziative della multinazionale nel campo della produzione di energia dal fotovoltaico nelle aree circostanti la centrale generosamente incentivate con denaro pubblico dal Conto Energia. Un mare di pannelli fotovoltaici ricopre centinaia di ettari lungo la strada che da Porto Torres conduce a Stintino. Nonostante ciò nel 2010 la multinazionale tedesca continua a manifestare la volontà di non volere mantenere gli impegni assunti abbandonando le attività di ingegneria per la realizzazione del quinto gruppo a carbone e non realizzando le previste attività di bonifica delle aree interessate alla realizzazione del nuovo impianto. La produzione elettrica continua quindi con deroghe delle autorità locali che consentono l’utilizzo dei gruppi 1 e 2 da 160 Megawatt ciascuno, alimentati a olio combustibile, molto inquinanti e fuori norma e con i gruppi 3 e 4 da 320 Megawatt ciascuno, alimentati a carbone che, ormai vecchi di 20 anni, cominciano a manifestare segni di cedimento. E arriviamo alla cronaca di questi ultimi mesi quando la multinazionale tedesca, per meglio garantire i propri azionisti, vara un drastico piano di riduzione dei costi del personale (in Sardegna 120 unità), taglia gli investimenti nei paesi europei per destinarli ad altri lidi quali Brasile e Turchia inseguendo il basso costo del personale e non pare neppure determinata a completare l’investimento di 100 Megawatt del fotovoltaico. Non per crisi del settore o mancanza di profitti ma soltanto con la prospettiva di profitti ancora maggiori. Nel 2012 E.On realizza, infatti, un utile netto di 280 milioni di euro al quale la centrale di Fiume Santo ha concorso con un guadagno di 78 milioni di euro. L’obiettivo di abbandonare la centrale di Porto Torres avviene quindi in un momento economicamente positivo. Con una tonnellata di carbone (che costa intorno ai 75 dollari) si producono 2,5 Megawatt di energia con un guadagno di 225 euro a Megawatt venduto. Quando poi, per richieste straordinarie di fornitura di energia, la Rete nazionale (Terna) chiede altri megawatt da vendere nel libero mercato, il guadagno diventa di 400 euro a Megawatt. Un esempio eclatante d’intervento industriale “corsaro” finalizzato esclusivamente al massimo profitto e del tutto slegato da qualunque logica di razionale programmazione di politiche per la crescita e sviluppo del territorio che mette in luce, ancora una volta, la totale incapacità di una classe politica che non riesce minimamente a governare i processi industriali e produttivi in atto che sono conseguentemente ”delegati” ai soli imprenditori corsari e predatori. Un’ultima connotazione riguarda poi la tutela della salute e dell’ambiente. Porto Torres è una delle aree maggiormente inquinate del paese, circolano da qualche tempo dati attendibilissimi che lo dimostrano. La mobilitazione per le bonifiche dei siti industriali, per uno sviluppo sostenibile cresce e si manifesta costantemente, principalmente con riferimento al progetto chimica verde. Nonostante ciò però, due gruppi della centrale di Fiume Santo, dichiarati fuorilegge, continuano a bruciare olio combustibile nell’atmosfera, altri due gruppi della stessa centrale funzionano alimentate a carbone con immaginabili effetti ambientali. E la proposta principale nelle strategie sindacali e nelle scelte delle amministrazioni locali sembra essere quella della realizzazione di un altro gruppo produttivo della centrale alimentato ancora col carbone. E’ evidente quindi che la contraddizione tra l’esigenza di sviluppo dell’occupazione e difesa della salute, lungi dall’essere risolta, continua a proporsi in tutta la sua drammaticità.

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