Ostinatamente contro la guerra per la Pace. Nulla di intentato

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Interrompere la spirale di guerra, virare verso la pace.
di Alfiero Grandi.

Siamo al terzo gradino dell’invio delle armi in Ucraina. L’escalation continua e il contributo degli Usa e della Nato è diretto ad armare l’Ucraina, in altre parole è una scelta per continuare la guerra, scatenata dall’invasione russa, in nome della presunta possibilità dell’Ucraina di sconfiggere la Russia. Non è una guerra di attrito, definizione che ne sminuisce lutti e distruzioni, ma una guerra vera, con vittime e distruzioni crescenti. È una infezione pericolosa che può mettere in ginocchio i combattenti diretti e scatenare una guerra allargata devastante. L’invasione russa dell’Ucraina ordinata da Putin va avanti incontrando grandi difficoltà, con un ridimensionamento territoriale degli obiettivi. L’Ucraina ha contrastato l’invasione dimostrando quanto fossero infondati i calcoli iniziali di Putin, ma stanno emergendo difficoltà, al suo interno e si aprono interrogativi sul suo futuro, sui prezzi che sta pagando.

Almeno la metà del nostro paese giudica questa situazione pericolosa, foriera di vittime e danni materiali di portata crescente per la popolazione civile e non solo. Non tutti i conti sono oggi possibili ma la ricostruzione dell’Ucraina richiederà risorse enormi e la guerra continua. I pericoli che derivano dalla continuazione della guerra riguardano anzitutto i contendenti e le popolazioni più esposte ai combattimenti, ma si delinea anche una modifica che sarà sempre più difficile rendere reversibile delle relazioni nel pianeta. La guerra si diffonde come un’infezione nel pianeta. La globalizzazione, tanto esaltata in passato, oggi è compromessa. Si delinea un pianeta a grandi chiazze territoriali che si guardano in cagnesco, come e perfino peggio durante la guerra fredda. Non a caso è partita una rincorsa agli armamenti, all’aumento delle spese militari di proporzioni sconosciute da decenni.

Tutti privilegiano il riarmo, impiegando sempre maggiori risorse e senza riguardo alle priorità economiche e sociali che vengono relegate in secondo piano e che finiscono per diventare la variabile dipendente. Così la spesa per le armi cresce a discapito di quella sociale.

Dall’acquisto crescente di armamenti sempre più distruttivi, al loro impiego, alla guerra, il passo è breve. Il riarmo è una profezia negativa di guerra che si auto avvera. Per di più l’uso delle bombe nucleari continua a restare incombente. Una presenza minacciosa e pericolosa.

Anche a questo conflitto si può fare l’abitudine più diventa lunga la sua durata, al punto da sottovalutarne le conseguenze come la possibile deflagrazione di un conflitto mondiale. Non solo i protagonisti principali (Russia e Usa) anche il governo inglese non fa mistero che il suo appoggio all’Ucraina non è solo un aiuto per la difesa dall’invasore ma punta ad un cambio di regime in Russia, ad una sua sconfitta militare, senza disdegnare la possibilità di offensive (ucraine?) nel territorio russo. O azioni di forza per il grano, iniziativa evocata con leggerezza anche in Italia. Eppure, sono passati pochi mesi da quando l’imperativo nel mondo sembrava quello di coordinare e cooperare le iniziative degli stati per affrontare la crisi climatica del pianeta finalmente al centro delle iniziative. Prima che il climate change diventi irreversibile nel nostro pianeta. Ora la guerra uccide, devasta le strutture, l’ambiente, il cibo, semina odi e paure, scava solchi profondi, difficili da colmare. Perfino la cultura (tutta) sembra non essere più patrimonio mondiale, ma viene ridotta a subordinata delle scelte politiche, al punto che scrittori, artisti appartenenti alla cultura altrui subiscono l’ostracismo.

È una spirale pericolosa fondata sulla negazione dell’altro.

Prima che sia troppo tardi occorre fermare questa rincorsa, rimettendo al centro il dialogo, il cessate il fuoco, l’assistenza a chi è colpito dalla guerra, le trattative per realizzare le condizioni per arrivare ad accordi di pace. L’imperativo ora deve essere fermare la guerra. Il papa aveva messo da tempo in guardia, inascoltato, che una guerra mondiale era ormai in corso da anni in decine di aree del pianeta, anche se strisciante, diffusa a chiazze, non sempre visibile, in prevalenza fuori dall’Europa. Ora è arrivata anche in Europa. Presi da comprensibili reazioni si è pensato che bastasse sostenere la resistenza degli invasi, fino a concentrarsi sull’invio di armi sempre meno difensive, sempre più offensive, ammesso che questa distinzione abbia sempre un senso reale.

Gli Usa hanno colto l’occasione dell’invasione russa dell’Ucraina per serrare le fila e rilanciare l’alleanza atlantica, in crisi di scopo da tempo (basta ricordare Macron) e ora rinsaldata con l’individuazione del nemico da battere. Per una sorta di eterogenesi dei fini l’invasione dell’Ucraina ha portato al risultato che due paesi scandinavi, prima non allineati, hanno chiesto di entrare nella Nato. Un pessimo risultato per una guerra iniziata invadendo l’Ucraina con lo scopo anche di evitarne l’ingresso nella Nato. È la conferma che la scellerata decisione di Putin di invadere l’Ucraina ha rilanciato guerrafondai e produttori di armi. È evidente che la guida del crescente invio di armamenti è saldamente americana, al punto che la Nato è solo una componente dello schieramento di Ramstein ed è lì che si decide quali e quante armi inviare in Ucraina. Purtroppo, finora l’attenzione è stata prevalente sulla guerra con una coazione a ripetere: più armi e più sanzioni, senza neppure una riflessione se queste azioni siano state efficaci e se non sia giunto il momento per tutti di cambiare ottica e strategia. Prima che sia troppo tardi.

È giunto il momento di chiedersi dove si vuole arrivare.

Forse si può ancora invertire la tendenza. Anche il governo italiano dopo una fase in cui parlava solo dell’invio di armi all’Ucraina oggi sembra rendersi conto che occorre impegnarsi per iniziative di pace. Draghi ha messo al centro lo sblocco del grano ucraino. La priorità deve essere impedire che il conflitto in Ucraina scivoli verso una guerra mondiale. Sull’orlo di questo abisso troppi compiono macabri passi di danza. Passare dal sostegno con le armi all’Ucraina alla cessazione dei combattimenti e ad aprire trattative di pace richiede un cambiamento netto di impostazione. In altre parole, non è aumentando l’invio di armi e insistendo su sanzioni sempre più dure che si arriverà ad una prospettiva di pace. A meno che si pensi seriamente che sia possibile arrivare alla sconfitta e all’umiliazione della Russia, mettendo nel conto anche reazioni terribili. È un grave errore che l’Unione Europea rinunci ad avere una posizione autonoma per la pace e si impegni solo per armi e sanzioni.

Aprire un terreno diverso? Chi, come?

Le grandi potenze, e non solo loro, da tempo hanno fatto di tutto per svuotare la sede ONU di ruolo e credibilità. Senza un ruolo dell’ONU i rapporti mondiali sono stati abbandonati ai rapporti di forza, che esistono ovviamente, ma che dovrebbero essere contenuti proprio dalla sede internazionale di governo dei conflitti mondiali, cioè l’ONU. Svuotarne ruolo e significato è stato un clamoroso autogol e ora ne avremmo estremo bisogno.

Non è chiaro perché il governo italiano abbia sottoposto in solitudine al segretario generale dell’Onu una proposta per la pace. L’iniziativa in sé è interessante per il fatto di esserci, anche se nel merito è discutibile. Per avere forza la proposta doveva essere costruita insieme ad altri, ad esempio in sede europea, almeno con alcuni suoi membri autorevoli, e destinata all’assemblea dell’Onu, con la richiesta di convocarla in modo permanente fino alla soluzione della crisi, come proposto proprio in Italia. Alla pace si può arrivare se le rappresentanze mondiali, in sede ONU, si impegnano per questa soluzione. I paesi che hanno fin qui hanno preso iniziative di mediazione hanno reso evidente che occorre qualcosa di più, anzitutto un ripensamento delle posizioni delle potenze mondiali, a partire dalla Russia e dagli Usa, puntando a coinvolgere la Cina, concentrando le iniziative dell’UE nella direzione prioritaria della pace.

È giusto provare a sbloccare l’invio del grano ucraino nei paesi che rischiano di pagare un prezzo pesante, ma è inevitabile che avvenga attraverso un’intesa con i belligeranti e che vengano in evidenza altri aspetti come le sanzioni. Si è dato per scontato qualcosa che non lo è. Non può essere l’Ucraina a decidere il futuro delle relazioni mondiali, con il pericolo di arrivare a una guerra mondiale, insistendo per troncare le relazioni economiche con la Russia.

Se si vuole la pace occorre essere disponibili a trattare.

Continuare a puntare tutto sul sostegno armato rischia di fare un pessimo servizio all’Ucraina. Continuare a puntare tutto sulle armi rischia di portare i paesi della Nato sempre più sull’orlo di un conflitto mondiale e di provocare gravi danni economici e sociali a tutti. Per questo occorre che tutti gli attori si assumano la responsabilità di dire con chiarezza che è giunto il momento di puntare tutte le carte sulla cessazione dei combattimenti e sulla pace e questo compito non può essere delegato a nessuno. La pace deve deciderla l’Ucraina: è un modo sbagliato di porre il problema. Tutti dobbiamo aiutare l’Ucraina ad arrivare alla pace, senza però farne l’alibi per giustificare l’assenza di iniziative del resto del mondo, per continuare la guerra. Ognuno si assuma la responsabilità di fermare il gioco al massacro (anzitutto a danno degli ucraini) e lo faccia in modo trasparente nella sede ONU, la cui assemblea generale è la sede migliore per affrontare la questione ucraina. Da qualche parte occorre iniziare per risalire la china, perché nessuno ha interesse alla distruzione dei contendenti e questo va fatto ora, prima che i rapporti di forza sul terreno possano suggerire uno stato di fatto. In sostanza solo una iniziativa di pace ora può evitare un futuro separato, di fatto, come è avvenuto a Cipro.

Come è stato detto autorevolmente abbiamo bisogno di una conferenza sulla sicurezza e la pace come quella di Helsinki del 1975 non di una separazione dettata dalle armi. Questo andrebbe ricordato quando Erdogan si erge a mediatore, poi ricatta i paesi scandinavi che vogliono entrare nella Nato sui curdi. È uno squilibrio preoccupante che le rappresentanze politiche non diano voce alle opinioni dell’elettorato del nostro paese, che non vuole la guerra.

Per questo è più che mai necessario che l’ampia opinione pubblica che è per la pace faccia sentire con maggiore forza la sua opinione, che si autorappresenti. L’impegno attivo è cresciuto ma non basta ancora, anzitutto deve essere profondamente unitario e deve essere in grado di arrivare a cambiare profondamente l’ottica di azione del nostro governo, a modificare l’impostazione dell’Unione europea che rischia di essere una delle vittime di questa guerra, mentre dovrebbe essere protagonista di una soluzione di pace.
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Pubblicato da Jobsnews.it il 31 maggio 2022
By redazione |Maggio 31st, 2022

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appello
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La fine di una guerra senza fine
di Sandro Antoniazzi su C3dem

Un nuovo intervento, sulla guerra in Ucraina, mosso, come dice l’autore, da “sano realismo”, espressione autorevole di una delle anime, tra le molte e diverse, in cui si articola il mondo cattolico e democratico di fronte al tragico conflitto innescato dall’aggressione russa

Nella guerra in Ucraina ci troviamo di fronte a una situazione dove si continua a combattere, mentre sono pressoché ferme le prospettive di confronto politico.

Sembrano però perdere di peso le affermazioni di una parte dello schieramento occidentale secondo le quali è possibile “vincere” la guerra che, in alcune dichiarazioni di Zelensky, si spingono a volte sino a immaginare una riconquista di tutti i territori, Crimea compresa.

Sempre di più si sentono, invece, voci di esponenti politici europei che cercano di far presente l’esigenza di una trattativa con la Russia: ne fanno testo tanto il discorso di Draghi a Washington quanto le iniziative di Macron e di Scholz.

Del resto, è difficile pensare di continuare una guerra senza fine, come se fosse una guerra di logoramento reciproco.

Anche se non si volesse tener conto delle vittime umane quotidiane (quelle complessive, e non due morti qua e tre morti di là), la situazione sul teatro di guerra sembra chiara: la Russia ha rinunciato all’invasione dell’intera Ucraina, ma sembra ormai vicina alla conquista del Donbass.

Quando la Russia avrà completato l’occupazione del Donbass – con le relative conseguenze: introduzione del rublo, lingua russa, anagrafe russa, domani scuole russe – sarà difficile pensare di farla tornare indietro.

Quali sono in questa situazione le prospettive che si presentano?

Il fronte occidentale, sinora tutto sommato unito, sta approssimandosi sempre di più a un punto di stallo.

L’ultimo pacchetto di sanzioni fa fatica ad essere approvato, il che rende molto aleatoria la possibilità di ulteriori decisioni in questo senso.

Gli analisti intanto mettono in risalto il costo che ha per l’Europa l’adozione delle sanzioni, con il rischio crescente di una reazione negativa a livello delle popolazioni.

Inoltre, se le sanzioni hanno indubbiamente danneggiato la Russia, la rivalutazione dei prezzi energetici e la maggiore libertà propria di un sistema autocratico (ciò che ha prodotto il rafforzamento del rublo) le hanno consentito di non essere messa nell’angolo: decisioni estreme – niente più né gas né petrolio dalla Russia – sono razionalmente fuori dalla nostra portata.

Anche sul piano degli armamenti, da una parte iniziano a manifestarsi delle difficoltà (in Italia il terzo invio ha sollevato problemi, che rendono poco plausibile un eventuale quarto), ma soprattutto sembra che non basti il rifornimento di armi all’esercito ucraino per metterlo alla pari delle forze russe.

Non rimane dunque che lavorare perla pace, sapendo che questo significa per l’Ucraina la rinuncia ad alcuni territori, la Crimea e il Donbass, la prima già in mano ai russi da tempo, il secondo terra di permanente conflitto.

L’Ucraina in compenso vedrebbe riconosciuta la sua indipendenza come nazione e conserverebbe la zona Sud, con Odessa, essenziale per la sua attività di esportazione; il proseguimento della guerra potrebbe significare perdere anche l’area meridionale con lo sbocco sul mare e questo sarebbe una perdita irreparabile per l’Ucraina.

Se poi si dovesse parlare dei danni a livello mondiale, che questa guerra e il suo prolungamento determinano, l’elenco sarebbe lungo; e forse quello che sta facendo pensare i governi occidentali è una possibile rivolta dei paesi africani e arabi colpiti pesantemente dalla mancanza del grano.

Un po’ di toni meno bellicosi e di affermazioni trionfalistiche (come se la decisione di Finlandia e Svezia di rinunciare alla neutralità e chiedere l’ingresso nella NATO fosse un passo avanti e non un passo indietro) e un po’ più di sano realismo, forse, sarebbero un orientamento migliore da tenere nei rapporti internazionali.

Sandro Antoniazzi
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