Lettera del card. Matteo Zuppi

d3abcf6f-7040-4dc1-a9bd-a29ec6e8c28aL’Arcivescovo di Bologna Card. Matteo Zuppi, nominato recentemente Presidente della Cei, in occasione della Festa della Repubblica ha scritto una lettera rivolta a quanti lavorano nelle istituzioni, richiamando l’importanza di un servizio che si esprime in vari ambiti e settori della vita umana e che va a beneficio dell’intera comunità.

zuppi-il-manifestodi Matteo Zuppi
Lettera a chi lavora nelle istituzioni della nostra casa comune
Carissima, carissimo,
la vedo operare negli uffici, nelle aule di università o delle scuole, in quell’epoca di un tribunale o nelle stanze dove si difende la sicurezza delle persone, nelle corsie dove si cura o nel front office di uno sportello, nei laboratori o lungo le strade per renderle belle e proprie, nei ministeri o in qualche ufficio isolato dove non la nota nessuno, nei cortili delle caserme o nei bracci delle carceri. In realtà tanta parte del suo lavoro non si vede, ma questa lettera è per lei. Non ci conosciamo, ma il suo servizio è vicino alla mia vita e a quella dei miei amici, delle persone che mi sono care, di tanti, di tutti, miei e nostri compagni di viaggio e per questo ho pensato di scriverle. Istintivamente le darei del tu, ma preferisco cominciare dal Lei per il grande rispetto che nutro.
Una mistica francese di nome Madeleine Delbrêl, una donna molto religiosa e molto impegnata nel sociale, una donna pienamente evangelica, a proposito delle persone come lei diceva che sono il filo che tiene insieme il vestito: la capacità del sarto è proprio quella di non farlo vedere, ma il filo è necessario perché i pezzi di stoffa si reggano insieme. Così è il suo lavoro, prezioso per le istituzioni della nostra casa comune, e ogni pezzo è importante. Davvero. La qualità della mia vita dipende anche da lei: per questo per prima cosa la ringrazio, perché il suo lavoro, tante volte ignorato, contiene e richiede generosità e competenza. Non si capisce mai abbastanza, infatti, quanto impegno richiedono “le cose di tutti”. Purtroppo i problemi, i ritardi, le disfunzioni e anche alcune persone che non compiono il proprio dovere, finiscono per non fare apprezzare la generosità, la competenza, lo zelo che lei e tanti mettono nel loro lavoro. D’ora in avanti mi piacerebbe chiamare il suo impegno non “lavoro” ma “servizio”. E che anche lei lo pensasse così. Sì, lo so che è lavoro e a volte anche duro, sottovalutato.
Eppure proprio grazie alla passione e alle lotte di tante persone, anche di chi ci ha preceduto, oggi godiamo di molte protezioni e garanzie che costituiscono quello che chiamiamo welfare, che poi è il modo in cui la vita quotidiana diventa bella e non antipatica, troppo dura da vivere.
Non possiamo più accettare, eppure succede ancora spesso, che il luogo di lavoro, che è per la vita, diventi invece un luogo di morte. Penso a chi non è più tornato a casa e alle mogli e ai figli che hanno aspettato invano i propri cari: questo mi addolora, mi commuove e non smetto di chiedere condizioni di lavoro sicure per tutti. Vorrei un lavoro sempre meno a tempo determinato e più stabile, perché deve contenere il futuro: per sé, per la propria famiglia, per i figli, sì, per i figli. Senza figli per chi si lavora? Vorrei, poi, che il lavoro fosse lavoro buono e non solo lavoro: che i lavoratori fossero sempre messi in regola e che nessuno sia più sfruttato. Possibile che oggi c’è ancora chi non mette le persone in regola?
Il suo lavoro è un servizio per il bene della comunità, composta da tante persone. Così tante che non possiamo sapere chi siano, eppure sono la mia e la nostra comunità. Sì, perché siamo una comunità, dobbiamo tornare a esserlo. So che la sua vita personale è da un’altra parte e che saggiamente distingue l’ambito privato da quello pubblico, ma è anche vero che quello che fa per tutti, con il suo lavoro, è una parte importante della sua vita, le dà soddisfazioni e preoccupazioni, la coinvolge umanamente. Questo non è sbagliato. Anzi. È più faticoso e difficile tenere distinti questi ambiti, come tanti sollecitano a fare, perché la vita è una ed è bene che sia unita. È bello aiutare la nostra casa comune specie quando, come in questi mesi, capiamo quanto è importante, decisiva ma anche fragile, colpita da pandemie, da rischi terribili nei quali come sempre i più penalizzati sono i più deboli.
Ogni lavoro è un servizio alla casa comune ed è importante. Spesso sono proprio quelli meno considerati e giudicati “umili” che servono di più. Tutti servono! Ogni lavoro deve essere fatto con umiltà per poter essere contenti, perché serva agli altri e non alla nostra affermazione personale.
Gli umili non si stancano, non diventano presuntuosi e intrattabili, non agiscono per interesse ma perché quello che svolgono è un servizio e lo fanno anche quando non conviene, ma conviene a chi lo ha chiesto. Si adoperano pure quando nessuno si ricorderà della scelta, solo perché è giusto farlo. E questo resta, aiuta, risponde, protegge.
Quando il lavoro (che resta lavoro) lo viviamo anche come impegno di servizio – nello spirito dell’art. 4 della nostra Costituzione repubblicana, che chiede a tutti di svolgere un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società – ne sappiamo comprendere l’importanza non per quello che rende o per il successo che porta, ma per il valore che ha in se stesso. Più fa bene agli altri, il lavoro, più fa bene a noi. Anche quando non si vede. Il contrario crea un clima faticoso, competizioni inutili, sensi di rivalsa. Se facciamo bene o male qualcosa, nel tempo richiesto o no, questo ha sempre delle conseguenze.
I diritti sono cose importanti. I nostri e quelli degli altri. Se è un diritto deve essere garantito sempre e non come concessione o un piacere. Non vanno create scorciatoie. Troppi pensano che per ottenere quello che è di diritto bisogna avere un “santo in paradiso” a cui raccomandarsi, magari irridendo il merito di ciascuno, i tempi, le precedenze, l’onestà insomma. Si può vincere una volta e si è sconfitti tutte le altre. Crescono così la disillusione, il malcontento, la convinzione che nessuno si occupa di me e che ognuno si deve arrangiare da solo.
Se è un diritto, è fondamentale garantirlo e questo fa sentire sicuri tutti. Ma dipende da ognuno. È davvero importante sapere di poter contare sulle istituzioni, e quindi su di lei, sulla sua competenza, sulla sua onestà, sulla sicurezza che ci sarà una risposta e che sarà la migliore. Lei sa bene quante persone sono sole e come da soli ci si sente perduti, incompresi, arrabbiati e a volte si finisce per prendersela con il primo davanti, magari il povero malcapitato che fa una domanda allo sportello.
Il nostro è il tempo in cui realizzare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il cosiddetto PNRR, e mi sembra possa essere un’occasione davvero decisiva dopo tanta sofferenza. Durante la pandemia abbiamo capito quanto le fragilità, le contraddizioni, le ingiustizie siano anche conseguenze dei rimandi, dei ritardi, delle furbizie, delle cose che bisognava fare e che non sono state fatte, degli interessi privati che hanno condizionato le scelte politiche. Le cause di tante sofferenze sono a volte così lontane che non le sappiamo più riconoscere.
Quello che vorrei dirle è che abbiamo un grande motivo per dare oggi tutti il massimo, ed è per questo che ho pensato di scriverle! Vorrei che anche nessuno di noi perdesse questa opportunità. Sappiamo che c’è bisogno di istituzioni che funzionino bene, anzi meglio, ed è per questo che dobbiamo cercare la qualità. A questo proposito Dietrich Bonhoeffer, un credente che si poneva domande profonde sul valore di ogni persona e dello stare insieme, morto martire per mano dei nazisti, uno di quelli che ci hanno lasciato in eredità l’Europa, ha scritto che bisogna passare “dalla fretta alla calma e al silenzio, dalla dispersione al raccoglimento, dalla sensazione alla riflessione, dal virtuosismo all’arte, dallo snobismo alla modestia, dall’esagerazione alla misura”. Potremmo aggiungere: dal dilettantismo alla competenza, da una felicità individualistica al sacrificio per stare bene tutti, dall’apparenza alla sostanza, dal successo rapido e a tutti i costi alla costruzione paziente di quello che dura, dal fare le cose per il consenso, per il potere, per la considerazione e il ruolo sociale, a farle solo perché sono giuste, insieme e non da soli, anche se lì per lì sembra convenire meno. Ho visto grandi energie che si sono perse cercando a tutti i costi il proprio tornaconto, e il grande spreco di ogni giorno per burocrazie senza volto, perché non è mai responsabilità di qualcuno.
Gli uomini e le donne che hanno scritto la Costituzione avevano davvero sofferto molto, toccato con mano quanto l’umanità può restare sfigurata dalla violenza, ma avevano visto anche come uomini e donne sanno resistere e persino agire da eroi quando è necessario per aiutare qualcuno che soffre. Hanno perciò voluto lasciarci, nella Costituzione, un progetto per costruire e mantenere una società più umana e umanizzante, per riuscire a evitare le sofferenze da loro vissute. E tutto comincia dal sapere fare unità. Mi sento chiamato a questo come cristiano, credo si possa realizzare prima di tutto con l’aiuto di Cristo, e ritengo che tutti, senza distinzioni, possiamo impegnarci a fare unità seguendo il progetto indicato dalla Costituzione.
Ogni generazione è chiamata a riappropriarsi dei valori e delle virtù costituzionali. Per questo dobbiamo tutti ritrovare il senso dei limiti. È un concetto che nella Costituzione, proprio perché preoccupata di rendere concreti i diritti, ricorre ben diciassette volte, a cominciare ad esempio dall’art. 1, dove lo si ricorda a ciascun cittadino, come membro del popolo sovrano, ma anche nell’art. 42 quando, nel riconoscere e garantire la nostra proprietà privata, si preoccupa di aggiungere che possono servire limiti per assicurarne la funzione sociale. E poi in molte altre occasioni in cui si affermano diritti indicando, però, dei limiti per il rispetto dei doveri verso gli altri e la società. Perché solo così i diritti di ciascuno possono divenire reali e concreti.
Al centro della Costituzione c’è la persona, cioè, sempre, un “noi”. Non c’è l’individuo. E’ una concezione evangelica che è stata fatta propria da tutti i padri costituenti, di ogni credo e sensibilità politica.
Non dimentichiamo che siamo chiamati a portare insieme i pesi della vita, tanto che l’art. 2 ci ricorda che la solidarietà è addirittura un dovere inderogabile. Dobbiamo riuscire a valorizzare l’impegno, che non è reale senza la necessaria continuità e serietà (nello spirito dell’art. 4). La Costituzione si preoccupa non solo di garantire le nostre “libertà da” possibili abusi degli altri e dei potenti e la “libertà di” agire per fare tutto ciò che ci sembra giusto, ma si sforza di indicare il senso di tutto ciò, sottolineando la bellezza di usare delle “libertà per” uno scopo sociale. Si tratta di costruire un mondo di relazioni personali. Per questo la Costituzione evidenzia – già nell’art. 2, ma poi in molti altri – che è nei gruppi sociali (la famiglia, le associazioni di tutti i generi e tipi, le comunità religiose, i sindacati, le organizzazioni politiche democraticamente organizzate, il lavoro, i corpi intermedi) che si sviluppa la nostra personalità, e non invece con una vita sterilmente individualistica ed egocentrica.
Il bene comune deve essere il nostro orizzonte. Lo ricorda anche la Dottrina sociale della Chiesa. Dobbiamo rendere migliore il mondo con il progresso materiale e spirituale della società (art. 4, ma anche, per esempio, art. 41 dove si parla di indirizzare la libertà di impresa a fini sociali). Penso che tutti dobbiamo fare il meglio che possiamo con responsabilità. È proprio vero: non ci si può salvare da soli! Gli uomini e le donne hanno aspetti di incredibile grandezza perché, tra l’altro, riescono a organizzarsi tutti insieme e affrontare le difficoltà della vita più efficacemente.
Ecco, è per tutto questo che vorrei che le nostre istituzioni funzionassero bene e fossero sempre di più connesse all’Europa, pensandosi per il mondo intero. Siamo tutti legati. Non serve pensare qualcosa a breve termine, dobbiamo guardare il futuro per uscire davvero dalle pandemie imparando la lezione, scegliendo di essere migliori, non uguali, perché significherebbe essere peggiori. Non ci serve solo un bonus, ma ci occorre il bonum, il bene per tutti! Abbiamo sempre pensato che le risorse non ci sarebbero mancate e così abbiamo sciupato tanto, pensiamo a come facciamo con l’acqua… Purtroppo, ci accorgiamo dell’importanza delle cose e delle conseguenze dei nostri atteggiamenti solo quando queste vengono a mancare. Oggi più che mai urge essere davvero seri perché dobbiamo lasciare qualcosa a chi verrà dopo, soprattutto l’esempio, la speranza, il gusto di fare bene il proprio lavoro e di farlo per il bene di tutti.
Le nostre istituzioni ora si trovano ad affrontare, in poco tempo, tanti progetti. Ma quella che chiamiamo istituzione è fatta di persone ed è proprio lei, e quanti si impegnano in mille modi per rendere umana e bella la nostra casa comune.
Concludo col dirle che scrivo a lei ma scrivo in fondo a me stesso e a tutti noi cittadini, piccoli e grandi, e soprattutto a chi ha responsabilità perché abbiamo bisogno di tutti. La guerra attuale ci ha ricordato che la pace non è mai scontata e che bisogna lavorare tanto perché la nostra casa accolga tutti, insegni a stare insieme tra diversi, lotti contro ogni ingiustizia, difenda i diritti di ciascuno e non metta mai in discussione la persona. Anche per questo non dobbiamo avere paura di accogliere, di dare fiducia, la possibilità di mettersi alla prova, di ascoltare con l’orecchio del cuore. Aggiustiamo quello che non funziona. Ogni persona è preziosa se è amata e difesa, come ogni persona è insignificante quando questo sguardo manca. È necessario che tutti coloro che lavorano nelle e per le istituzioni ritrovino un vero spirito di servizio e nel contempo che tutti i cittadini sappiano ritrovare e ricostruire la loro fiducia verso le istituzioni.
Mi piace pensare che in un momento così importante tutti ce la mettiamo davvero tutta, senza distinzione. Don Primo Mazzolari, che amava Dio e le persone, la Chiesa e la città concreta degli uomini e delle donne, scrisse: “Ci impegniamo noi e non gli altri … né chi sta in alto, né chi sta in basso, senza pretendere che gli altri si impegnino … senza giudicare chi non si impegna … il mondo si muove se noi ci muoviamo, si muta se noi mutiamo, si fa nuovo se qualcuno si fa nuova creatura … la primavera comincia con il primo fiore, la notte con la prima stella, il fiume con la prima goccia d’acqua, l’amore col primo impegno …”. Rinnoviamo allora il patto sancito dalla nostra Costituzione, compartecipiamo a questo impegno accanto a tutti gli altri, e per me che sono cristiano aggiungo un motivo in più: chi cerca il cielo incontra la terra, chi fa le cose per Dio le fa per tutti e senza interessi. Il mio auspicio è che siamo tutti compagni di viaggio in questa bellissima strada che è la vita, e che le pandemie, le vicende tristi della nostra storia contemporanea, possano diventare motivo per realizzare quello che ognuno in realtà cerca: un mondo unito dove siamo Fratelli tutti.
Grazie di tutto

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