La guerra resa banale

1180e253-3d7c-413e-9389-5e9853e86e0aIl grande gioco della guerra e il numero dei morti
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17-02-2023 – Su Volerelaluna
di Domenico Gallo

L’accoglienza trionfale di Zelensky, venuto a Bruxelles la settimana scorsa a chiedere armi per portare avanti la guerra, cioè il massacro (incluso quello del proprio popolo), è un segnale inequivocabile della banalizzazione della guerra. Le classi dirigenti dei paesi europei si accalorano a discutere di carri armati, cacciabombardieri, missili e sistemi di artiglieria, come se la guerra fosse un gioco. Per questo la guerra da remoto che la Santa Alleanza occidentale sta conducendo contro la Russia per mezzo del martoriato popolo ucraino, appare sempre di più come un war game. Si schierano cannoni, carri armati, veicoli blindati, treni di munizioni e si controllano dall’alto gli avanzamenti o arretramenti del fronte. Si valuta quanto siano performanti i razzi per i sistemi di lancio Himars a guida Gps, quanto sia esteso il raggio d’azione dei nuovi missili Glsdb che Washington si appresta a fornire a Kiev, quanto sia superiore la tecnologia delle armi occidentali rispetto a quelle russe, per la maggior parte risalenti ai tempi dell’ex Unione sovietica.

L’informazione televisiva, con i suoi nugoli di inviati sul campo, ci fornisce la motivazione per partecipare al war game e per alzare la posta. Ogni giorno ci riferisce delle bombe cadute su questa o quella città, su questo o quel condominio, e ci recita la litania quotidiana dei morti civili, mostrandoci anche qualche volto addolorato, quanto basta per mantenere viva l’immagine disumana del nemico. Le riviste specializzate ci forniscono l’elenco dettagliato dei sistemi d’arma spiegati, delle munizioni consumate, dei costi sostenuti e di quelli programmati. Da lontano osserviamo il war game e vi partecipiamo facendo il tifo e incoraggiando gli attori internazionali ad andare avanti e sviluppare nuove strategie di forza. Del resto nell’opinione pubblica occidentale è stato scalzato quel tabù della guerra, che si era radicato nella coscienza collettiva dei popoli alla fine della seconda guerra mondiale.

Il primo war game a cui abbiamo partecipato è stato indubbiamente la guerra contro la Jugoslavia condotta dalla NATO nel 1999. La prima volta di una guerra senza morti (nostri). Dalla televisione si vedevano solo le piroette dei jet che incrociavano nel cielo dei Balcani e i bagliori delle esplosioni nella notte. Non si sentiva il puzzo della carne bruciata, le urla dei feriti, l’odore del sangue, la disperazione delle madri. Quando la televisione serba ha cercato di farci vedere qualcosa degli effetti prodotti dai bombardamenti, la NATO l’ha immediatamente tacitata, la notte del 16 aprile, con un bombardamento chirurgico che ha causato “solo” 16 morti. Quindi abbiamo potuto guardare a quel conflitto, senza inquietudine, come se si trattasse di un video-gioco. Adesso che siamo passati a un gioco molto più pesante, la guerra viene accettata perché giocata da remoto, noi non ne siamo direttamente implicati, non mandiamo i nostri figli al fronte, non li vediamo tornare indietro nelle bare. Per questo possiamo lanciare proclami intransigenti sulla guerra giusta, o meglio sulla pace giusta, che può essere conseguita solo al prezzo della “vittoria” sul nemico. Tuttavia, nonostante il gran battage mediatico, la realtà della guerra viene nascosta e censurata da entrambe le parti. Come ha scritto Domenico Quirico (la Stampa, 4 febbraio): «La guerra avanza nel suo processo di disumanizzazione, riduce l’uomo a cosa, nel furore, comodo, di combattere una guerra a distanza […]. In Occidente stiamo perdendo il contatto con il genere umano».

Nessuna fonte indica il numero dei soldati uccisi, e quando azzardano delle cifre mentono spudoratamente. Secondo Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, dall’inizio del conflitto armato, Kiev avrebbe registrato tra le 10.000 e le 13.000 vittime tra le forze armate, ma la Presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, il 1° dicembre aveva dichiarato che le perdite ucraine ammontavano a 100.000 soldati uccisi. Nello stesso periodo il Capo di Stato Maggiore del Pentagono, gen. Mark Milley aveva dichiarato che le perdite dei russi ammontavano a circa 100.000 uomini. Duecentomila giovani, russi e ucraini spazzati via, cancellati per sempre i loro sogni e la loro vita.

È questo un costo umano che nessuno vuole vedere, non costituisce oggetto di dibattito pubblico. Scrive sempre Domenico Quirico: «Le cifre degli obitori e dei cimiteri sono l’unico dato che restituisce il senso vero della guerra». Queste cifre ci vengono rigorosamente nascoste, nessuno ci mostra il caos degli ospedali militari riempiti di feriti e di morenti, né i cimiteri dove questi giovani vengono sepolti. Sappiamo soltanto che la macchina militare sta procedendo massicciamente al reclutamento. Kiev si aspetta che Mosca mobiliti 300-500.000 persone per gettarle sul campo di battaglia, mentre l’Ucraina ha avviato un’operazione di reclutamento forzato che punta ad arruolare 200.000 nuove unità da inviare al fronte. È fin troppo facile prevedere che le previste offensive e controffensive di primavera produrranno una nuova montagna di morti.

Come nella Prima guerra mondiale, centinaia di migliaia di vite verranno sacrificate per spostare un confine un po’ più avanti o più indietro. Siamo condannati a rivivere gli orrori di Verdun o di Stalingrado, come se non avessimo imparato nulla dalla storia. Ha senso tutto questo? Dobbiamo concludere che è sempre attuale la lezione di Quasimodo, espressa nella lirica Uomo del mio tempo? «Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo. Eri nella carlinga, / con le ali maligne, le meridiane di morte, / alle ruote di tortura. Ti ho visto: eri tu, / con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio».
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Le armi nucleari e l’Italia: che fare?
16 Febbraio 2023 by Fabio | su C3dem
Le armi nucleari e l’Italia. Che fare?
Un incontro con il card. Matteo Zuppi
Bologna, sabato 18 febbraio 2023 ore 15-17, Sala Santa Clelia, via Altabella 6
Ogni giorno in più della guerra senza fine in Ucraina apre anche allo scenario di una apocalisse nucleare come ci avverte il Comitato per la Scienza e la Sicurezza del Bulletin of the Atomic Scientists. Nella notte del 31 dicembre 2022 la marcia della pace promossa dalla Chiesa italiana ha rilanciato ancora una volta l’appello che abbiamo promosso, fin dal maggio 2021, come realtà del mondo cattolico italiano e dei movimenti ecumenici e nonviolenti a base spirituale, per chiedere al nostro Paese di ratificare il “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”.
Non è più rimandabile un serio dialogo e un confronto pubblico, e in sede parlamentare, sulla proposta lanciata dalla campagna “Italia ripensaci” e promossa dai rappresentanti in Italia della coalizione Ican, Nobel per la pace 2017, anche in considerazione del fatto che stanno per essere stoccate a Ghedi e a Aviano le nuove bombe atomiche B61-12.
Per continuare nella riflessione e nell’azione volta a contrastare la logica della guerra e delle armi, sabato 18 febbraio 2023 si ritroveranno a Bologna i rappresentati delle organizzazioni cattoliche e dei movimenti ecumenici e nonviolenti su base spirituale che hanno firmato l’appello per chiedere l’adesione dell’Italia al Trattato di proibizione delle armi nucleari.
All’incontro sarà presente il cardinale di Bologna, Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, per condividere un momento di discernimento sul drammatico momento che stiamo vivendo e su come continuare con coraggio a operare per la pace in un tempo di guerra.
L’appello è firmato dai Presidenti e dai Responsabili nazionali di: Acli, Azione Cattolica Italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi, Fraternità di Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, Gruppo Abele, Libera, AGESCI (Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani), FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana), MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), Argomenti 2000, Rondine-Cittadella della Pace, MCL (Movimento Cristiano Lavoratori), Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Città dell’Uomo, Associazione Teologica Italiana, Coordinamento delle Teologhe Italiane, FOCSIV (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario), Centro Internazionale Hélder Câmara, CSI (Centro Sportivo Italiano), La Rosa Bianca, MASCI (Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani), MIR (Movimento Internazionale della Riconciliazione), Fondazione Giorgio La Pira, Fondazione Ernesto Balducci, Centro Internazionale Studenti Giorgio La Pira, Fondazione Don Primo Mazzolari, Fondazione Don Lorenzo Milani, Comitato per una Civiltà dell’Amore, Rete Viandanti, Noi Siamo Chiesa, Beati i Costruttori di Pace, Associazione Francescani nel Mondo aps, Comunità Cristiane di Base, Confcooperative, C3dem, MEC (Movimento Ecclesiale Carmelitano), AIDU (Associazione Italiana Docenti Universitari Cattolici), Arca di Lanza Del Vasto, Fondazione Magis, UCIIM (Unione Cattolica Italiana Insegnanti Medi), IPRI-CCP (Istituto Italiano Ricerca per la Pace-Corpi Civili di Pace), AIMC (Associazione Italiana Maestri Cattolici), Ordine Secolare Francescano OFS, FESMI (Federazione Stampa Missionaria Italiana).
- Leggi l’appello integrale
- Scarica il volantino

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Dibattito
Cattolici e Politica
Elezioni. De Rita: il voto dei cattolici e la disaffezione alla politica

Su Avvenire 15 febbraio 2023.
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«Anche fra i cattolici si è affermata l’idea che chi lascia l’impegno sociale per andare a fare politica va a fare un’altra cosa, che poco li riguarda». Giuseppe De Rita dà la sua lettura sul tema del momento, la disaffezione alle urne, un fenomeno che tocca pesantemente anche il mondo cattolico, solitamente connotato da un alto senso di civismo e partecipazione. « I cattolici – spiega il fondatore del Censis – sono capaci di grande aggregazione sul versante della coesione sociale, ma la politica è un’altra cosa, è ricerca del consenso, ha un suo linguaggio, richiede tempo e volontà di sporcarsi le mani. Chi pensa da un giorno all’altro di poter tradurre in termini di consenso le aggregazioni costruite intorno alla coesione sociale rischia di restare solo, di non ritrovarsi al fianco nemmeno i suoi amici».

Creare consenso intorno alla propria visione del mondo non è un problema che si pongono anche i cattolici?

Il merito dei cattolici è quello di costruire coesione sociale nella vita concreta, capacità di ricucire, di lottare contro povertà ed emarginazione. Ma normalmente non lo si considera parte di un progetto politico. Chi, per dire, fa il catechista a San Roberto Bellarmino magari non si pone il problema. Il problema del consenso se lo pone chi ha fatto o sceglie di fare politica, ma per la maggior parte non è un tema di particolare interesse. Sono rimasto colpito dalla folla che c’era a San Giovanni per i 55 anni di Sant’Egidio. Mi sono ricordato della folla che c’era, sempre a San Giovanni, per i funerali di monsignor Di Liegro. Ecco, Di Liegro era uno che sapeva far politica: per difendere il suo impegno per i poveri aveva la capacità di affrontare il Pci e anche la Dc e di vincere le sue battaglie.

Ma i leader politici che vanno per la maggiore si considerano interlocutori credibili dei valori e delle istanze cattoliche.

Chi si dimostra in grado di intercettare il consenso merita sempre rispetto e considerazione in democrazia. Ma questo è un tema diverso. La questione sui cui ci stavamo interrogando è il rapporto fra impegno sociale e impegno politico, e proprio questi leader che si dimostrano più in grado di ottenere consensi insegnano che fare politica è un’altra cosa, ha una sua tecnicalità, non ci si può illudere che fare aggregazione con i migranti o con le mense per i poveri possa diventare automaticamente fattore di consenso politico. Per fare politica bisogna sapersi inserire nelle rivalità, più che nella coesione, nel mercato sdrucciolevole delle opinioni.

Vince chi cavalca meglio le opinioni prevalenti?

Non è vero nemmeno questo. Pensare di fare consenso cavalcando una opinione, una rivalità, è una illusione che dura tre giorni, è un po’ l’errore che ha commesso Renzi da “rottamatore”. I partiti personali non reggono. Serve una struttura, una organizzazione, un gruppo di lavoro con delle teste pensanti in ogni settore, un radicamento nel territorio. Non a caso a questo voto hanno retto le organizzazioni politiche che, con tutti i limiti, conservano una loro presenza ed organizzazione: Fratelli d’Italia, Lega e Pd.

Per i cattolici tornare a fare politica è un dovere civico?

Non dico questo. Io ho fatto per una vita coesione sociale e non mi sognerei mai di fare politica. Proprio perché so che fare consenso è una cosa diversa. Chi vive serenamente questo suo impegno può ritenersi soddisfatto. Ma chi si fa venire la voglia di fare politica, deve sapere che i consensi si fanno in altro modo, sporcandosi le mani, confrontandosi anche con il mondo “pop”, con la Movida, con Sanremo.

Come ha visto la scelta di Mattarella di partecipare alla kermesse canora?

Istintivamente non l’avevo compresa, ma alla luce del ragionamento che facevo prima l’ho trovata alla fine coerente e anche condivisibile. Chi vuole fare politica deve misurarsi con i problemi del consenso, anche se, come cattolico, ha una storia di impegno tutta contrassegnata dalla coesione sociale. Chi fa politica deve occuparsi di tutto quel che fa opinione, sui giornali, sui social.

Che cosa consiglierebbe a chi oggi, da cattolico, voglia fare la nobile scelta di impegnarsi in politica?

Di prendersi del tempo e di non agire da solo. Serve un gruppo di lavoro e non ci si può illudere di ottenere risultati subito. Non va bene la tendenza dei vari Conte, Moratti, Calenda, a presentarsi da un giorno all’altro e dire: «Eccomi, sono qua!». Non si fa così. La Dc non è nata improvvisamente con il voto del 18 aprile 1948. Nel giugno del 1943 Adriano Ossicini incontra Giuseppe Spataro e gli dice di prepararsi, che bisognerà dar vita a un partito, e gli propone di incontrare Alcide De Gasperi. I tempi sono maturati dopo, ma quel progetto politico ha avuto successo perché c’è stata una squadra a prepararlo, che ha saputo attendere, mentre troppo spesso si vede in giro solo impazienza e ambizione personale.

Ma questo progetto dovrebbe puntare a mettersi in proprio o dovrebbe far uso degli attuali contenitori politici?

Mi incuriosisce l’idea di un nuovo contenitore promosso da cattolici. Lo auspicherei, ma confesso che ci credo poco. Chiunque vuole impegnarsi, in ogni caso, deve capire che è un processo lungo. Non si vince senza fatica e non si vince alle prossime elezioni.
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