In giro nella rete con la LAMPADA di ALADIN

lampada aladin micromicrosardi e ape MG_4800ELETTORANDO La classe dirigente, problema della Sardegna e non solo. Come attuare un radicale cambiamento. Gli interventi di Andrea Murgia, Aldo Berlinguer, Giorgio Asuni.
- vittorio pelligra fbVittorio Pelligra ACCOMPAGNARE I GIOVANI NEL MONDO DEL LAVORO relazione tenuta alla Settimana Sociale dei Cattolici di Torino (RELAZIONE COMPLETA)
punto interrogativo2- Ma perchè le ricerche finanziate con i soldi pubblici non sono rintracciabili in internet?
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Una vera sfida per tutti
di Vittorio Pelligra (articolo apparso su Il Portico)
La questione educativa e quella occupazionale rappresentano con tutta probabilità le due emergenze più gravi che caratterizzano in questi tempi il nostro Paese. Le due questioni sono, per tanti versi, connesse ed hanno tratti comuni. Una formazione insoddisfacente si trasformerà nel tempo in minore capitale umano da spendere sul mercato del lavoro, ma soprattutto in cittadini meno consapevoli e responsabili. Il lavoro che non c’è, in particolare per i giovani, vuole dire un futuro negato, un’identità incompleta ed un senso di inutilità tanto corrosivo quanto profondo. Ciò che più colpisce, poi, è la durata che tali emergenze stanno manifestando, e ancor più, forse, la scala temporale – parliamo di generazioni – con cui continueranno a produrre i loro effetti drammatici.

La scuola e il lavoro, temi accomunati, nella nostra “cultura”, da un generale discredito. Perché si tratta di una “cultura” che non è più capace di guardare lontano, di valorizzare l’attesa e il sacrificio, di premiare l’impegno e di apprezzare le persone per ciò che sono e non per ciò che rappresentano. Scriveva nel 1949, una grande protettrice del lavoro, Simone Weil, che “L’iniziativa e la responsabilità, il senso di essere utile e persino indispensabile, sono bisogni vitali dell’anima (…) Una completa privazione di questo si ha nell’esempio del disoccupato, anche quando è sovvenzionato, sì da consentirgli di mangiare, vestirsi e pagare l’affitto”. Il lavoro negato, nega un bisogno dell’anima. Tempo prima, il grande economista inglese Alfred Marshall, notava come “Il capitale di maggior valore è quello investito nell’essere umano”. Se non investiamo nella persona, anche l’economia avrà meno risorse per poter poi rispondere ai “bisogni vitali dell’anima”. Ma, continuava Marshall, in maniera piuttosto tutto inattesa, la parte più preziosa di quel capitale investito nell’uomo è “la cura e l’influenza della madre e della famiglia”. Questo ci porta al centro del mio argomento: come può la famiglia operare per preparare ed accompagnare i giovani nel mondo del lavoro? Quale ruolo educativo può svolgere per formare i giovani al valore della laboriosità e della responsabilità sociale?

Innanzitutto una premessa: la famiglia di nascita è, in assoluto, il fattore di maggiore importanza del processo di formazione di quelle abilità cognitive e sociali che determineranno il successo dei giovani nel mondo del lavoro. Non solo; gli studi più recenti, tra tutti quelli del premio Nobel per l’economia James Heckman, mostrano come la qualità dell’ambiente familiare negli anni precedenti all’ingresso a scuola, sia il più importante fattore causale per quanto riguarda il titolo di studio, l’occupazione, il salario atteso, ma anche la probabilità di comportamenti a rischio, gravidanze precoci e attività criminali. Questo perché l’accumulazione di capitale umano è un processo dinamico, e le abilità acquisite in una data fase influenzano sia le condizioni iniziali, che il processo di apprendimento nella fase successiva. Queste abilità sono sia cognitive, le cose che impariamo, che non-cognitive e cioè, chi siamo, il nostro carattere.

Un’ulteriore conseguenza che deriva dal ruolo quasi esclusivo della famiglia nel produrre le abilità non-cognitive, è il fatto che in questo modo essa stia a fondamento della diseguaglianza sociale che una comunità, una nazione sperimenta. Famiglie svantaggiate, economicamente, socialmente, culturalmente, mettono un’ipoteca pesantissima sul futuro dei loro figli. Le altre potranno garantire la formazione di capacità che autosostenendosi, faciliteranno la salita ai loro figli. Sottovalutare l’importanza che per i bambini hanno i primissimi anni di vita all’interno della famiglia, non fa altro, dunque, che riprodurre uno schema di polarizzazione sociale tanto ingiusto quanto ineludibile. Tanto prima si interviene nel compensare l’assenza di questa formazione nelle famiglie svantaggiate, tanto maggiori saranno le probabilità di raggiungere livelli adeguati di capitale umano; probabilità che con il passare del tempo diminuiscono sempre più velocemente. Basti pensare che all’età di dieci anni il quoziente intellettivo di un bambino si è già stabilizzato, e con buone probabilità rimarrà costante per il resto della sua vita. Lo stesso, o quasi, si può dire per le abilità non-cognitive, come la perseveranza, l’autostima, la progettualità, la risolutezza, etc. Se si vogliono recuperare svantaggi relativi a queste dimensioni, bisogna farlo prima che il bambino entri a scuola o nei due o tre anni immediatamente successivi. Si capisce allora perché la famiglia è il principale attore nella formazione di uomini e donne capaci di affrontare le sfide che il futuro, anche nel mondo del lavoro, gli riserverà. La scuola interviene quasi sempre, quando ormai è già troppo tardi. Gli interventi di recupero sono, per questo, spesso inefficaci e tremendamente costosi. Gli insegnanti del resto lavorano con ciò che le famiglie gli consegnano.

La sfida vera allora, anche per l’accompagnamento dei giovani nel mondo del lavoro, è la valorizzazione ed il supporto del ruolo formativo della famiglia, in tutte quelle abilità non-cognitive che, almeno quanto le altre competenze cognitive, rappresentano il motore della maturazione individuale e della crescita sociale. Tutte le altre politiche sono rimedi tardivi, infinitamente meno efficaci.

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