in giro con la lampada di aladin…

aladin-lampada-di-aladinewsmonet ft1Alfredo Franchini su La Nuova Sardegna on line 25 gennaio 2015

Soru: «La giunta dia risposte immediate alle emergenze»
Cabina di regia per programmare le risorse in modo unitario
Fondi Ue nell’isola tra sprechi e bluff
Paci: «Ora si cambia»

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di Alfredo Franchini
CAGLIARI La storia dei Fondi europei in Sardegna è fatta di qualche successo e di grandi sprechi. Da una ventina d’anni, il dibattito è sempre lo stesso: l’impossibilità di utilizzare al meglio le risorse, il fatto di essere passati dall’Obiettivo 1 – la fascia di aiuti maggiori – alla transizione. Ma ora c’è la possibilità di cambiare e lo hanno detto ieri, i rappresentanti delle organizzazioni del mondo produttivo e dei sindacati in un convegno organizzato dal Pd. Al tavolo della presidenza, l’europarlamentare Renato Soru, il funzionario della commissione europea, Andrea Murgia, e l’assessore al Bilancio, Raffaele Paci. «L’Europa ci ha dato tanti soldi ma qualche volta abbiamo fatto finta di spenderli con progetti di facciata», spiega Soru. Il segretario del Pd butta acqua sul fuoco: «Non dobbiamo perdere tempo in polemiche sugli errori del passato, è il momento di fare di più. Pezzi importanti della Regione non funzionano? Interveniamo subito, perché non l’abbiamo ancora fatto? Sono passati otto mesi e non c’è più tempo da perdere». Nell’introdurre i lavori del convegno, era stato Andrea Murgia, neo eletto nella segreteria del Pd sardo, a compiere un’autentica requisitoria sull’andamento dei fondi europei. Per spiegare il presente, Murgia è tornato sugli errori del passato: «Il Centro regionale di programmazione dovrebbe programmare e invece rendiconta. Gli assessorati dovrebbero gestire i bandi ma non hanno le competenze per farlo. La Regione si trincera dietro la burocrazia: a ogni bando si dà un’interpretazione più restrittiva, l’unico modo per tutelare i funzionari ma a discapito di chi aveva chiesto l’intervento». Analisi condivisa da tutti, ribadita dai segretari del sindacato, (Carrus, Putzolu e Ticca), e soprattutto sostenuta dall’assessore Raffaele Paci deciso a rimediare a quella separazione della Programmazione dalla macchina regionale così come sancito da una legge del 1962 quando il presidente della Regione era Efisio Corrias e a Roma governava Amintore Fanfani. Murgia attacca: «Spendiamo fondi regionali per gestire i programmi ma che senso ha spendere un milione l’anno per studi e ricerche se da 25 anni gestiamo i Fondi europei e dovremmo essere noi a insegnare agli altri come si fa?». Paci dice stop alla continua rincorsa alla spesa dei Fondi europei: «Si cambia tutto, adesso iniziamo a spendere subito le risorse del quadro 2014-2020. Sulle criticità della precedente programmazione (2007-2013), siamo messi così: va bene sul Fondo sociale dove le erogazioni erano facili, così come per una parte del Fears (agricoltura) che riguarda i premi di produzione ma siamo bloccati sul piano di sviluppo rurale dove si richiedono bandi, procedure e scelte». In questi casi della precedente programmazione ereditata dalla giunta Cappellacci, Paci mette in dubbio la qualità degli interventi: «Rispetto alla dotazione finanziaria di 321 milioni si deve dire che dopo i primi due anni di una spesa scarsa, improvvisamente nel 2009 si spendono 249 milioni di cui 233 sono operazioni di ingegneria finanziaria perché finiscono in un Fondo di garanzia in capo alla Sfirs». La soluzione – spiega l’assessore – è la costituzione di una cabina di regia per la programmazione unitaria. «Il Centro regionale di programmazione diventerà una direzione generale alla pari di tutte le altre». Tante le cose da fare. «Lo Stato ci dice che la tassa dei rifiuti va pagata tenendo conto di ogni spesa legata a quel ciclo», afferma Renato Soru, «cosa aspettiamo a riprendere il discorso della gestione integrata dei rifiuti? Possibile che oggi conferire un chilo di rifiuti costi come un terzo di litro di latte?». Alberto Scanu, presidente di Confindustria, si rivolge a Soru: «Chiediamo che il Pd sostenga la politica industriale, così come impone anche l’Europa. Ma qual è l’idea di Sardegna?». E Maurizio De Pascale concretizza l’idea in tre punti: meno burocrazia, metano e un piano di trasporti interno: «Unire i sardi con una ferrovia che colleghi Cagliari, Sassari e Olbia». De Pascale invita la Regione a investire i soldi delle infrastrutture in un polo ferroviario. Investire nel trasporto pubblico locale è determinante anche per Soru: «Tra poco il treno Cagliari-Sassari, da 7 a 2 ore di percorrenza, farà in modo da avvicinare la Sardegna. I paesi potranno vivere bene solo se saranno collegati. I soldi ci sono spendiamoli in fretta»
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(La Nuova Sardwegna on line 27 gennaio 2015) Porcu: «I piani integrati d’area sono falliti, meglio fare interventi sugli edifici pubblici e sulle scuole»
Cna: «Fondi Ue spesi male, ora si cambi»
di Alfredo Franchini
CAGLIARI La giunta Pigliaru vuole rilanciare la spesa facendo dei Fondi europei il vero motore dello sviluppo ma gli artigiani lanciano l’allarme: «A prescindere dalle buon intenzioni di chi governa, dobbiamo evitare che si cada nei soliti errori», afferma Francesco Porcu, segretario della Cna sarda, «così come succede quando non si riesce a spendere e si inventano artifizi per far figurare una spesa che non produce effetti». Per non restare nel vago sulla valutazione della spesa, Porcu cita un caso: «L’attivazione del microcredito, un successo straordinario che però, attraverso i piccoli bandi, non ha fatto altro che produrre partite iva che aprono e chiudono». Dunque il problema per le organizzazioni datoriali è chiaro: le risorse ci sono ma servono quelle riforme anche «a costo zero», che rimettano la macchina regionale in condizione di spendere bene le risorse. Al convegno del Pd sui Fondi europei, Andrea Murgia, ha fatto una diagnosi terribile: «Il Centro di programmazione dovrebbe programmare e, invece, rendiconta; gli assessorati dovrebbero gestire i bandi ma non hanno le competenze per farlo e la Regione si trincera dietro la burocrazia dando un’interpretazione restrittiva dei bandi a tutela dei funzionari e quindi a discapito dei beneficiari dell’intervento stesso». A questo punto la domanda che tutti si devono fare è questa: come poter spendere bene e subito i soldi che arriveranno da Bruxelles, evitando il fallimento provocato negli ultimi vent’anni. «Se guardiamo dentro il documento dei Programmi integrati d’area», spiega Francesco Porcu, «siamo al ventunesimo Rapporto e il primo risale al 1988. Bene, a oggi sono stati finanziati 1.337 interventi (di cui 473 iniziative imprenditoriali, Ndr), ma lo stato di attuazione dimostra che solo il 26,8 per cento è andato avanti: 359 interventi su 1.337 sono ancora in fase progettuale preliminare». Lavori appaltati pari al 3,89 per cento, «con stime non riscontrabili facilmente», aggiunge Porcu, «non è chiaro lo stato dell’arte perché i coordinatori dei vecchi piani integrati sono cessati nell’incarico nel 2005». Ora le risorse ci sono, concentrate, una massa di 562 milioni di euro da spendere nel 2015 puntando sulla qualità. «Siamo arrivati al secondo anno con programmi non definiti ed è inevitabile che la pubblica amministrazione sia impegnata a rendicontare le risorse del settennio precedente», dice Francesco Porcu, «ma il sistema delle imprese non è nelle condizioni di poter concorrere ai progetti anche se fossero dispiegati in tempi veloci». L’assessore al Bilancio, Raffaele Paci, non ha nascosto che perché la programmazione unitaria vada a buon fine, occorre che tutti partecipino attivamente. «Siamo d’accordo ma la regia condivisa significa anche cessione di sovranità da parte del sistema delle autonomie locali», dice il segretario della Cna, «vogliamo spendere 400 milioni di euro nell’arco di due anni in maniera che producano occupazione con effetti strutturali, non piazzette e mai più opere che non siamo in grado di gestire». L’idea della Cna è quella di un grande intervento sugli edifici pubblici e sui 1.800 edifici scolastici di tutta la Sardegna.
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De Pascale: «Finanziare i trasporti locali»
Concentrare le risorse su un piano dei trasporti interni. La proposta è stata fatta dai vertici della Confindustria sarda: «Serve un progetto di reale sviluppo di tutto il territorio», ha detto Maurizio De Pascale, «il mutuo da 600 milioni a cui ricorrerà la Regione non deve essere utilizzato per interventi a pioggia ma, ad esempio, per i trasporti interni». La tesi della Confindustria è chiara: «Il vero problema dei trasporti non è nemmeno quello da e per la Sardegna ma i collegamenti interni». L’entrata in funzione del treno veloce Sassari-Cagliari è importante ma non basta: «Occorre un grande progetto per collegare tutta l’isola. Le risorse ci sono e poi c’è anche il piano Juncker a cui la Regione deve guardare per dare risposte sui trasporti».
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Insularità e demografia
Spopolamento e biodiversità nell’isola delle contraddizioni
di Sandro Roggio
La densità di oggi: 68 ab/kmq. Vaste aeree dove si può camminare a lungo senza incontrare nessuno. Ne deriva senso d’inferiorità e rassegnazione
Siamo pochi e su un’isola. Vittime di un cumulo di inefficienze spesso conseguenza della scarsità di popolazione. Soprattutto per l’assenza di una strategia per volgerla a vantaggio questa circostanza vissuta come maledizione. Si sente ancora l’eco delle lagnanze del governo sabaudo che trovava in Sardegna 300mila sudditi. Quindi il tentativo di trasferirci coloni, nei litorali sguarniti e in funzione dell’uso militare. Con molti insuccessi. La popolazione crescerà giovandosi della realizzazione di qualche infrastruttura civile, come la strada tra i due Capi, grande opera su misura (eppure inutile secondo i denigratori delle carrozze, perché “i sardi vanno a cavallo”). Si conteranno 750mila abitanti a metà ’800, pochi in una terra dove la prevalenza di vuoti era ostacolo all’ incivilimento. “Nessuna meraviglia che i banditi sieno in fiore in un paese tanto spopolato “- scriveva il barone di Maltzan nel 1869. Dal raddoppio della popolazione, in un secolo, la densità di oggi: 68 ab/kmq, il tonfo in vaste aree dove si può camminare a lungo senza incontrare nessuno. Da cui il senso d’ inferiorità e rassegnazione per un carattere che non ha impedito la floridezza di altre regioni europee. Mi chiedo se non possa esserci qualche punto di forza in questo stato, pensando al patrimonio di biodiversità. All ‘eccellenza ecologica di grandi spazi, sottovalutata mentre la bassa densità si è ritorta contro il territorio. Lontano dagli occhi e dal cuore molte devastazioni sono passate inosservate, perché le distanze provocano disaffezione. La spoliazione delle foreste è avvenuta senza testimoni e oppositori, con l’eccezione di La Marmora, autore di un libro-denuncia per il regalo di 100mila querce a uno speculatore forestiero. Nei luoghi poco frequentati é stato facile introdurre servitù o fonti di inquinamento irrimediabili. La irrisoria utilizzazione agricola ha di recente favorito speculazioni di energia da esportazione. Le cose vanno così in assenza di una visione. E non deve sorprendere che la “ragion di Stato” si imponga nel disorientamento, che per lo stoccaggio di scorie radioattive si possano preferire i recessi marginali di un affioramento in mezzo al mare. Non mancheranno le occasioni per vedere i brutti disegni dello Stato per l’isola, e le reazioni dei sardi, l’idea che hanno di sé. Ci vorrebbe più determinazione nel confronto (dopo “Sblocca-Italia” un altro provvedimento è pronto per umiliare l’Autonomia ). Ma la debolezza dei numeri è pure nella esigua rappresentanza parlamentare. Per cui rischiano di sembrare irrilevanti le ragioni contro usi sconvenienti che non hanno impedito la progressiva riduzione di servizi pubblici e privati. Mi limito a considerare le politiche dei trasporti da/per l’isola, sempre più dipendenti dalle linee low cost rese precarie da flussi turistici limitati nel tempo; e i movimenti interni consentiti dall’auto privata, col difetto di un sistema insediativo irraggiungibile con mezzi pubblici. Lo svantaggio geografico e demografico è stato riconosciuto dalla risoluzione del Parlamento europeo del 2003 sulle politiche di coesione. Con speciale riguardo al profilo territoriale, nello sfondo del Trattato di Amsterdam (1997) preoccupato di ridurre le condizioni di sfavore delle isole (art 158). La Sardegna -sfavorita due volte! – ha frainteso il senso di quei documenti e invece di immaginare un progetto per la propria taglia ha balbettato, tra richieste di sussidi e incongrue proposte di zona franca. La sensazione è che occorra prendere bene la mira. Puntando più in alto, come gli arcieri prudenti di Machiavelli, e senza escludere di rovesciare l’ottica, per riconsiderare il nesso insularità-densità da cui ricavare spunti originali per assegnare alla Sardegna un ruolo nel Mediterraneo postmoderno. Nel frattempo, mentre si guarda alla coesione nella scala continentale, sarebbe bene non disfare ciò che resta di quella interna. La solitudine dei piccoli comuni riguarda l’intera comunità sarda, fa regredire i rapporti sociali come vediamo in questi giorni. Dovrebbe pensarci chi deve decidere sul mantenimento o la soppressione di un servizio, come il collegamento ferroviario Nulvi- Sassari, di cui ho letto con disappunto su queste pagine.

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