RIFLESSIONI sul CHE FARE in Italia, Europa, Sardegna

LOGO FIM SARDA LiseiAlla Sardegna serve che chi fa politica sia immediatamente riconoscibile per valori, ideali, progetti e programmi che abbiano la dignità di strategie.
di Gesuino Muledda
La lunga età mi soccorre nel ricordare come nei momenti di grave crisi in Sardegna si siano tentate, con le migliori intenzioni, formule politiche di organizzazione delle rappresentanze che, alla fine del percorso però hanno lasciato le formule del buon tempo passato. E a dire la verità, senza lasciare grandi rimpianti. Io credo che alla Sardegna servano organizzazioni politiche, partiti e schieramenti, riconducibili alla sostanza delle idee che ognuno vuole rappresentare e per le quali intende muovere impegno di vita e di lotta politica. Serve che chi fa politica sia, nel suo dichiarato servizio della società, immediatamente riconoscibile per valori, ideali, progetti e che nella articolazione delle rappresentanze istituzionali i rappresentanti del popolo facilmente siano individuabili per essere espressione, appunto, di un progetto di società, dei programmi che abbiano la dignità di strategie e non solo di tattiche elettorali o di gestione del contingente. Perché agli elettori e alla società in genere bisogna dare parametri certi di valutazione perché possa dare consenso ma, anche, i parametri di giudizio dell’operato per le coerenze con i valori, gli ideali, i progetti che si sono proposti nel confronto democratico. E che di ciascuno determinano la evidente, piena soggettività. Come dice Luciano Uras, questa legislatura vive la prima esperienza di una maggioranza di centro sinistra e sovranista. Entro la quale convivono eccessiva frammentazione di sigle e una qualche confusione nelle strategie, derivante più da assenza di vero e costante confronto tra le sigle che per assenza di comuni obiettivi di governo. La presenza per la prima volta nel Consiglio Regionale di forze che sono di Sardegna, aperte al mondo, perfino internazionalisti, accanto a partiti che fanno parte di organizzazioni politiche italiane ed europee, pone la questione di definire, per ciascuno e per gli affini tra loro, la necessaria strategia, le linee di convergenza, la capacità di porsi come luoghi di una politica attrattiva e inclusiva. Per la contingenza che vede questa alleanza governare la Regione Autonoma, finora, non ci sono stati gravi problemi; anche perché tempo relativamente breve è trascorso. Ma se vogliamo parlare di strategie, cioè del modello di società che ciascuno vuole realizzare, torna evidente che le storie delle militanze, le radici delle storie personali, la comunanza di esperienze di lotta politica e di vita diventano determinanti nella scelta del legame di future organizzazioni politiche e partitiche. E tra partiti lealmente alleati, nella diversità delle strategie, accomunati da condiviso programma, si determineranno confronti franchi nella concorrenza dei diversi modelli di vita e di governo che ognuno vuole, legittimamente e doverosamente, affermare. Difficile prevedere, all’oggi, un orizzonte indipendentista per il partito di maggioranza relativa. Molto più facile accettare la sfida che ciclicamente viene avanzata di una sardizzazione di quel partito. Perché ho da ritenere che chi lo propone ne abbia piena convinzione. E, se i tempi della maturazione non saranno eccessivi, sarà sicuramente uno dei luoghi del confronto in quello che altre volte abbiamo indicato come percorso costituente della politica e delle rappresentanze sociali della Sardegna. Nel frattempo, nella normalità dei rapporti politici, e nella chiarezza dei riferimenti culturali, sociali e istituzionali, oggi, comunque, resta a portata di mano la organizzazione di un rapporto federativo tra i partiti della sinistra e quelli della sovranità che per cultura, progetti e programmi si rifanno a sardismo, socialismo e azionismo. E su questo progetto va innestato, eventualmente, un rapporto con altri di storia autonomista e sovranista che accettassero, senza visioni trasformiste, senza mitizzazioni leaderistiche, con cultura di governo e aspirazioni riformistiche, le coordinate di futuro che sopra ho voluto richiamare. I tempi sono maturi. Un partito della sinistra sovranista e indipendentista può nascere. Anche questo nuovo tratto di strada sarà tracciato dai nostri passi. Solo che lo vogliamo.
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Bronzo Landini
RIFLESSIONI. C’è un Tsipras in Italia?
di Andrea Pubusa
Esiste in Italia un Tsipras possibile? Questo, dopo l’esito delle elezioni in Gracia, è il quesito o, forse meglio, l’auspicio di molti nella sinistra dispersa, ma resistente in Italia. Non è facile rispondere e, a ben vedere, cimentarsi col quesito è un esercizio forse inutile, essendo la risposta rimessa ai processi sociali più che alle discettazioni astratte. Tuttavia, molti, dopo il voto, si sono proposti come versione nostrana di Syriza, ma non sono mancati i tentativi di emulazione già prima. C’è stata una lista Tsipras per le elezioni europee, formata da ottime persone, certamente esponenti di un’intellettualità alta della sinistra e del mondo democratico. Ma basta questo per formare un partito o un movimento politico con ambizioni di governo? Pur senza svalutare la serietà dell’impegno di questo movimento e dei suoi esponenti, si può e si deve ammettere che la loro azione è preziosa, ma funge più da stimolo verso le altre ben più corpose formazioni politiche che come soggetto capace di sviluppare una autonoma azione politica. Per farla breve, le avanguardie intellettuali sono sempre state il sale della terra, indispenabili per imprimere una dinamica sociale, politica e culturale, ma, per incidere nella politica, occorre ch’esse s’innervino in una forza organizzata con forte radicamento sociale. In mancanza, restano testimonianze importanti di processi mancati o che hanno preso altre strade.
Si può allora far riferimento ai piccoli gruppi della sinistra? Ai residui della grande storia della sinistra italiana? A quei cespugli divenuti minuscola ombra di ciò che è stato il PCI? Il discorso è necessariamente severo. Questi movimenti si sono ridotti all’inconsistenza non per la mancanza di possibili referenti sociali, ma perché si sono chiusi in un autoreferenzialismo estremo, che hanno declinato in un’azione rissosa, tutta giocata nella ricerca di posizioni di potere: elezione al parlamento o ai consigli regionali, partecipazione senza freni al sottopotere ove possibile. Hanno così mantenuto un astratto, quasi liturgico linguaggio di sinistra, ma pratica una incontrollata azione di destra, quella che un tempo si chiamava, negli aspetti deteriori, pratica democristiana, oggi, in modo più appropriato, berlusconiana. Il legame sociale è ormai nullo. E si badi, questo intreccio non solo non è voluto, ma è temuto, perché la dinamica sociale produce sempre nuovi protagonisti e muta continuamente le cose: questi signori-compagni, invece, vogliono mantenere il loro status a tutti i costi e a vita, anche perché un loro ritorno alla vita normale li condurrebbe alla totale inconsistenza sociale e professionale. Ognuno di noi può girarsi intorno e vedere cosa sarebbero sindaci, deputati, senatori di casa nostra, provenienti da questi cespugli, fuori dalla politica.
D’altronde, costoro l’occasione l’hanno avuta per crescere, ma se la sono giocata sull’altare della loro sete di carica. Non solo dopo la scomparsa del PCI, ma quando si è formato il PD, la fuoriuscita di un folto gruppo di iscritti (Sinistra Democratica) poteva addirittura contendere al PD i consenso a sinistra, solo che subito si fosse avviato un processo di unificazione con Rifondazione e i Comunisti italiani. E’ in quel momento che bisognava creare l’alternativa al nascente PD mediante la costituzione di un riferimento forte per chi non si riconosceva nella prevedibile deriva centrista del PD. Quell’occasione fu mancata e, siccome il treno della storia non passa a frequenza rapida, ognuno nella sua referenzialità si è ridotto all’osso, spesso a vivere da acaro di un corpo altrui, SEL verso il PD, ad esempio. Il contrario di quanto ha fatto Tsipras, passando in pochi anni dal 3 al 36%. Per questo l’ennesimo cantiere lanciato a Milano domenica da Vendola non incanta più nessuno.
L’alternativa tuttavia non è impossibile a patto che si guardi ai movimenti sociali organizzati che in questi anni duri hanno tenuto il campo: la Fiom ed altri settori sindacali, Emergency, alcuni movimenti cattolici di base. Queste realtà sociali organizzate hanno espresso anche leader forti, affidabili, riconoscibili. Certamente Landini è uno di questi. E’ immediato, appassionato e certo suscita negli strati popolari e democratici una istintiva fiducia e simpatia. Ha le caratteristiche del leader, non è uomo da salotto, è uomo di lotta e di popolo, dovunque vada riempie le piazze. Si capisce che non teme il popolo, ma che lo vuole mobilitare e nobilitare. Niente è oiù lontano da lui del populismo, è sempre propositivo e, da ottimo sindacalista, non è per lo scontro fine a se stesso, indica sempre un punto di possibile accordo.
C’è poi il M5S, che la sinistra con la puzza sotto il naso non considera. Ma, se si guarda ai fatti, fa molte cose di sinistra: la rinuncia al finanziamento pubblico, l’autoriduzione delle indennità di carica, la richiesta del salario minimo garantito, la domanda di onestà, la difesa della Costituzione ed altre ancora. Certo, non è nelle corde della sinistra un partito telematico, preferiamo il contatto diretto, ci sono poi taluni eccessi e molte chiusure. Ma basta tutto questo per espungerlo da un disegno ricostruttivo di una sinistra di governo? Credo che sarebbe un errore grave, anche perché è un movimento che quasi vinceva le passate elezioni e comunque è sempre, a livello nazionale, intorno al 20% o, chissà, anche di più. Sol per questo è necessariamente un interlocutore nella ricostruzione della sinistra. Fra l’altro, sfrondato di molti frilli, che del resto, se ne stanno andando da soli affascinati dall’indennità di carica piena, c’è un gruppo di giovani, i Di Maio, i Di Battista per intenderci, di indubbio interesse e rilievo.
Insomma, se da Tsipras vogliamo trarre esempio, è qui, nel sociale, che dobbiamo pescare, come ha ben detto Rodotà l’altro giorno. La vecchia sinistra è morta, si è suicidata. Fuori, però, è cresciuta una nuova sinistra sociale, con alcune forti personalità, Landini fra tutti, su cui si può pensare a un nuovo inizio. Ci vuole però decisione. Anche questo Tsipras ci ha trasmesso. La storia necessita di levatrici.
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democraziaoggiC’è un Tsipras in Italia? Andrea Pubusa su Democraziaoggi

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Nike di Samotracia
La divina sorpresa che viene da Atene
di Barbara Spinelli
Il Fatto Quotidiano del 27/01/2015. Nella storia francese, quel che è accaduto domenica in Grecia ha un nome: si chiama “divine surprise”. Il maggio 68 fu una divina sorpresa, e prima ancora – il termine fu coniato da Charles Maurras – l’ascesa al potere di Pétain. La storia inaspettatamente svolta, tutte le diagnosi della vigilia si disfano. Fino a ieri regnava l’ortodossia, il pensiero che non contempla devianze perché ritenuto l’unico giusto, diritto. L’incursione della sorpresa spezza l’ortodossia, apre spazi ad argomenti completamente diversi.

LA VITTORIA di Alexis Tsipras torce la storia allo stesso modo. Non è detto che l’impossibile diventi possibile, che l’Europa cambi rotta e si ricostruisca su nuove basi.

Non avendo la maggioranza assoluta, Syriza dovrà patteggiare con forze non omogenee alla propria linea. Ma da oggi ogni discorso che si fa a Bruxelles, o a Berlino, a Roma, a Parigi, sarà esaminato alla luce di quel che chiede la maggioranza dei greci: una fondamentale metamorfosi – nel governo nazionale e in Europa – delle politiche anti-crisi, dei modi di negoziare e parlarsi tra Stati membri, delle abitudini cittadine a fidarsi o non fidarsi dell’Unione. Ricominciare a sperare nell’Europa è possibile solo in un’esperienza di lotta alla degenerazione liberista, alla fuga dalla solidarietà, alla povertà generatrice di xenofobie: è quel che promette Tsipras.

I tanti che vorrebbero perpetuare le pratiche di ieri proveranno a fare come se nulla fosse. I partiti di centrodestra e centrosinistra continueranno a patteggiare fra loro – son diventati agenzie di collocamento più che partiti – ma la loro natura apparirà d’un tratto stantia; per esempio in Italia apparirà obsoleto qualunque presidente della Repubblica, se i nomi vincenti sono quelli che circolano negli ultimi giorni.

Dopo le elezioni di Tsipras, anche qui sono attese divine sorprese che scompiglino i giochi tra partiti e oligarchie. Non si può naturalmente escludere che Tsipras possa deludere il proprio popolo, ma il pensiero nuovo che impersona è ormai sul palcoscenico ed è questo: non puoi, senza il consenso dei cittadini che più soffrono la crisi, decretare dall’alto – e in modo così drastico – il cambiamento in peggio della loro vita, dei loro redditi, dei servizi pubblici garantiti dallo Stato sociale. Non puoi continuare a castigare i poveri, e non far pagare i ricchi. Non esiste ancora una Costituzione europea che cominci, alla maniera di quella statunitense, con le parole “Noi, popoli d’Europa…”, ma quel che s’è fatto vivo domenica è il desiderio dei popoli di pesare, infine, su politiche abusivamente fatte in loro nome.

L’establishment che guida l’Unione è in stato di stupore. Meglio sarebbe stato, per lui, che tra i vincitori ci fosse solo l’estrema destra di Alba Dorata, e che Syriza avesse fatto un’altra campagna: annunciando l’uscita dall’Euro, dall’Unione. Non è così, per sfortuna di molti: sin dal 2012, Tsipras ha detto che in quest’Europa vuol restare, che la moneta unica non sarà rinnegata, ma che l’insieme della sua architettura deve mutare, politicizzarsi, “basarsi sulla dignità e sulla giustizia sociale”. La maggioranza di Syriza – da Tsipras a eurodeputati come Dimitrios Papadimoulis o Manolis Glezos – ha scelto come propria bandiera il Manifesto federalista di Ventotene. DICONO che Syriza sfascerà l’Unione, non pagando i debiti e demolendo le finanze europee.

Non è vero. Tsipras dice che Atene onorerà i debiti, purché una grossa porzione, dilatata dall’austerità, sia ristrutturata. Che gli Stati dell’Unione dovranno ridiscutere la questione del debito come avvenne nel ’53, quando furono condonati – anche con il contributo della Grecia, dell’Italia e della Spagna – i debiti di guerra della Germania (16 miliardi di marchi). Che l’Europa dovrà impegnarsi in un massiccio piano di investimenti comuni, finanziato dalla Banca europea degli investimenti, dal Fondo europeo degli investimenti, dalla Bce: è la “modesta proposta” di Yanis Varoufakis, l’economista candidato di Syriza in queste elezioni.

Quanto al dissesto propriamente greco, Tsipras ne ha indicate le radici anni fa: i veri mali che paralizzano la crescita ellenica sono la corruzione e l’evasione fiscale. “È un fatto che la nostra cleptocrazia ha stretto un’alleanza con le élite europee per propagare menzogne, sulla Grecia, convenienti per gli eurocrati ed eccellenti per le banche fallimentari” (Tsipras al Kreisky Forum di Vienna, 20-9-2013). Questi anni di crisi hanno trasformato l’Unione in una forza conflittuale, punitiva, misantropa. Hanno svuotato le Costituzioni nazionali, la Carta europea dei diritti fondamentali, lo stesso Trattato di Lisbona. Hanno trasformato i governi debitori in scolari minorenni: ogni tanto scalciano, ma interiorizzano la propria sottomissione a disciplinatori più forti, a ideologi che pur avendo fallito perseverano nella propria arroganza.

Quel che muove Tsipras è la convinzione che la crisi non sia di singoli Stati, ma sistemica: è crisi straordinaria dell’intera eurozona, bisognosa di misure non meno straordinarie. Tsipras rimette al centro la politica, il negoziato tra adulti dell’Unione, la perduta dialettica fra opposti schieramenti, il progresso sociale. L’accordo cui mira “deve essere vantaggioso per tutti”, e resuscitare l’idea postbellica di una diga contro ogni forma di dispotismo, di riforme strutturali imposte dall’alto, di lotte e falsi equilibri tra Stati centrali e periferici, tra Nord e Sud, tra creditori incensurati e debitori colpevoli.
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Torre elefante 27 1 15
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Alexis_Tsipras_Greek_Prime_Minister_Graffiti
LA SCELTA CORAGGIOSA DEL GIOVANE ALEXIS
di Luciana Castellina, su il manifesto

Appena rice­vuto l’incarico per for­mare il nuovo governo, Tsi­pras ha fatto due cose per niente for­mali: è andato a Kesa­rianì, dove, nel 1944 200 par­ti­giani greci furono fuci­lati da fasci­sti e nazi­sti, e si è rifiu­tato — primo pre­si­dente del con­si­glio nella sto­ria del paese – di baciare la Bib­bia e ingi­noc­chiarsi davanti al capo della Chiesa Orto­dossa. Tanto per chia­rire gli equi­voci che avreb­bero potuto nascere sulla scelta com­piuta: l’accordo con Panos Kam­me­nos, lea­der di Anel, i greci indi­pen­denti fuo­ru­sciti da «Nuova Demo­cra­zia», 13 depu­tati deci­sa­mente di destra e osse­quienti alla religione.

Equi­voci infatti nell’immediato ce ne sono stati. Quando la noti­zia della deci­sione ha comin­ciato a dif­fon­dersi ero ancora ad Atene e ho così potuto con­di­vi­dere con qual­che com­pa­gno di Siryza le rea­zioni all’accaduto. Inu­tile negare: sor­presa, imba­razzo, anche incom­pren­sione. Peg­gio quando ho incro­ciato gli ita­liani della Bri­gata Kali­mera che si erano attar­dati a rien­trare in patria dopo la festosa not­tata di dome­nica. Dio mio, il patto del Nazareno?

Io credo che il nostro com­pa­gno Ale­xis abbia fatto la cosa giu­sta. E da quel che mi dicono al tele­fono gli stessi che lunedì mat­tina mani­fe­sta­vano le loro per­ples­sità mi sem­bra che, nel suo insieme, il par­tito, pas­sato il primo momento, abbia capito il senso della scelta com­piuta da Tsipras-primo mini­stro. Che peral­tro non tra­di­sce il man­dato del comi­tato cen­trale di Siryza, l’ultimo prima del voto: nes­sun com­pro­messo con chi ha fir­mato l’odioso Memo­ran­dum della Troika. Gli unici a non averlo fatto – se si esclu­dono i fasci­sti di Alba dorata – sono pro­prio quelli di Anel. Anche il Kke, natu­ral­mente, che con i suoi ben 15 depu­tati avrebbe potuto costi­tuire la più ovvia delle alleanze. Ma sapete tutti che gli ultimi filo­so­vie­tici (chissà di quale Urss), sin dall’inizio hanno detto che non avreb­bero mai col­la­bo­rato con un governo di Siryza per­ché pro-europea. Salvo, subito dopo la sua cla­mo­rosa vit­to­ria, aprire uno spi­ra­glio ad un voto posi­tivo su sin­goli prov­ve­di­menti che «il popolo» (cioè il Kke) giu­di­cherà buoni. Troppo poco per for­mare il governo, che aveva biso­gno, subito, di almeno altri due depu­tati, non male in prospettiva.

Lasciamo da parte l’equazione più assurda ( quella Tsi­pras = Renzi), pur evo­cata da qual­che scon­si­de­rato twit­ter, e per due buone ragioni: Siryza ha fatto una cam­pa­gna elet­to­rale in cui la sua iden­tità di sini­stra è stata sem­pre riaf­fer­mata con grande forza e , coe­ren­te­mente, il suo pro­gramma è tutto mirato a dare rap­pre­sen­tanza agli inte­ressi dei più poveri (il con­tra­rio del job act, come è stato scritto). Inol­tre il com­pro­messo con Anel è lim­pido e «di scopo»: chia­ra­mente limi­tato alla duris­sima con­trat­ta­zione con la troika.

Si tratta di una scelta molto dura, corag­gio­sis­sima e anche rischiosa come tutto ciò che si fa per corag­gio. Sarebbe stata più facile una pru­dente alleanza con i cen­tri­sti, che avreb­bero però con­di­zio­nato il governo pesan­te­mente, spin­gen­dolo ad una logo­rante media­zione, e poi a un par­ziale cedi­mento. Era quello che auspi­cava Bru­xel­les. Tsi­pras ha deciso invece di andare al brac­cio di ferro. Per­chè quello che Siryza chiede non è un aggiu­sta­mento un po’ meno rigo­roso, ma un muta­mento sostan­ziale della linea di poli­tica eco­no­mica dell’Unione Euro­pea. Per que­sto non si è limi­tata a chie­dere una dila­zione nel paga­mento del pro­prio debito ma una Con­fe­renza straor­di­na­ria che affronti il pro­blema della crisi, non solo della Gre­cia, in tutta la sua com­ples­sità. Vale a dire l’occasione per affron­tare non solo le maga­gne gre­che, ma anche quelle degli altri paesi, per varare regole nuove e diverse da quelle sta­bi­lite nel 2012 dal trat­tato sui bilanci. A comin­ciare da una uni­fi­ca­zione della poli­tica fiscale, per porre fine alla pra­tica del dum­ping alle­gra­mente usata dai più forti, e di un più intel­li­gente rap­porto fra livello del defi­cit e livello degli investimenti.

Il nuovo esecutivo non tradisce il mandato del comitato centrale della Sinistra Radicale greca che è: «Nessun compromesso con chi ha firmato l’odioso Memorandum della Troika»

È ben para­dos­sale che la troika, e con lei tutti i c.d. ben­pen­santi euro­pei­sti, stia facendo due cose asso­lu­ta­mente con­trad­dit­to­rie: accu­sare la Gre­cia di aver sper­pe­rato danaro e per­fino di aver fal­si­fi­cato i pro­pri bilanci e insieme auspi­care che restino al comando pro­prio gli stessi col­pe­voli di que­sta ban­ca­rotta frau­do­lenta. Non potrebbe esserci prova migliore che quanto inte­ressa Bru­xel­les non è la sorte dell’Europa, ma la sal­va­guar­dia degli inte­ressi che difen­dono, gli stessi che serve Sama­ras e i governi che oggi det­tano legge nell’Unione. I quali sono respon­sa­bili di gran parte del debito accu­mu­lato da Atene: la tra­ge­dia di Ace­bes, dove un F16 greco è pre­ci­pi­tato pro­du­cendo un disa­stro, è dram­ma­ti­ca­mente lì a ricor­dar­celo nel giorno in cui Ale­xis diventa primo mini­stro. Chi mai ha insi­stito per­ché que­gli aerei venis­sero acqui­stati? La logica è sem­pre la stessa, da quando il pro­blema del debito, negli anni ’80, è esploso in Africa e Ame­rica latina: i governi occi­den­tali hanno agito come i «puscher» con la droga, aprendo le loro borse al cre­dito per­ché paesi che ave­vano ben altre prio­rità acqui­stas­sero merci e ser­vizi super­flui, impe­gnan­dosi il patri­mo­nio pub­blico. Ho detto che la scelta di non annac­quare il con­fronto con Bru­xel­les è molto corag­giosa, per­chè c’è da atten­dersi una rispo­sta duris­sima. Le prove per Tsi­pras e l’intera sini­stra greca saranno dif­fi­ci­lis­sime e la nostra soli­da­rietà — se saprà essere det­tata dalla testa oltre che dal cuore — essen­ziale. Ben sapendo tutti che per vin­cere non basterà respin­gere il dik­tat della troika, ma avviare un modello di pro­du­zione, di con­sumo, di orga­niz­za­zione della società diverso da quello attuale: una mag­giore liqui­dità se si con­ti­nue­ranno a fare le stesse cose — super­mar­ket, spe­cu­la­zione edi­li­zia, spreco — non ser­virà a molto. Per que­sto non basta invo­care poli­ti­che key­ne­siane di inter­vento pub­blico, occorre anche indi­care quale e per quale tipo di svi­luppo. A que­sto pro­getto Anel non ser­virà, ma c’è tempo per creare, nella società oltre che in par­la­mento, un con­senso sui pro­getti di più lungo periodo. È un tema che dovrà essere al cen­tro della rifles­sione di tutta «L’altra Europa», per­ché non riguarda solo la Gre­cia, ma tutti noi. Ne abbiamo abba­stanza per i pros­simi anni.

Intanto, forza com­pa­gni di Siryza, per ora si è almeno sve­lata la stu­pi­dità di Bru­xel­les che si com­porta come Buri­dano (o Mel­chi­se­decco, non ricordo) col suo asino: «Che pec­cato — aveva escla­mato — pro­prio ora che gli avevo inse­gnato a non man­giare, è morto».

P.S. Il mini­stero della difesa in mano ad Anel? Vista la tra­di­zione greca, crearsi qual­che punto d’appoggio con­tro even­tuali avven­ture dei mili­tari, non è un brutta idea.

da il manifesto del 28 gennaio 2015
- See more at: http://fondazionepintor.net/grecia/castellina/scelta_coraggiosa/#sthash.FYt9WRGq.dpuf
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- Serve prospettiva

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