Così Incolti e così Infelici

Fatti non foste...
di Nicolò Migheli

Vi era un tempo in cui l’operaio e il pastore si sacrificavano per avere un figlio dottore. Era un investimento per il futuro. Un’epoca dove le istituzioni pubbliche investivano in istruzione e cultura. Si era consci che per la crescita sociale ed economica di una comunità istruzione e cultura erano strategici. In Sardegna avvenne nel dopoguerra, vincere l’analfabetismo di massa era uno degli obiettivi principali. Non a caso ricordiamo quel periodo come uno dei più dinamici, pieno di tensioni democratiche e civili.

Un’isola che abbandonava i posti di bassa classifica dell’istruzione per diventare un luogo che cercava il proprio riscatto. Quell’abbozzo di società industriale era caratterizzato dalla presenza delle agenzie di senso. Partiti, sindacati, Chiesa, famiglia e scuola non si limitavano ad indicare una palingenesi ed un futuro possibile, l’accento che veniva dato era quello di sconfiggere l’ignoranza, considerata una delle prime cause della povertà.

Poi qualcosa si è rotto. Sono scomparsi i corpi intermedi, la Chiesa fatica sempre di più in un contesto secolarizzato, la scuola non garantisce più la mobilità sociale. Quella finestra di opportunità si è chiusa, di conseguenza anche il titolo di studio ha perso di importanza. Quasi che la società contemporanea non abbia più bisogno di persone colte. Competenze sufficienti per accedere al web, per il resto nulla.

Un processo aiutato se non favorito, dalle politiche pubbliche sull’istruzione. Negli ultimi quindici anni i tagli progressivi hanno ridotto gli investimenti, lasciando la scuola alla buona volontà e motivazione degli insegnanti, i veri eroi di questo tempo. Cresce l’abbandono scolastico, i dati Invalsi sulle performance dei nostri studenti sono impietosi. Quanto questi risultati siano dovuti al fatto che i nostri ragazzi sentano la scuola lontana, dove la Sardegna è solo un inciso e non se ne studi né la storia né la lingua? Quanto questo influisca nella formazione dell’autostima?

L’Università non va meglio. Le controriforme stanno finendo con il rafforzare le sedi del nord d’Italia a discapito del sud e delle isole. L’economicismo che domina queste operazioni sembra nascondere un progetto neo oligarchico. Chi avrà i mezzi potrà frequentare le università più prestigiose, possibilmente quelle internazionali, gli altri faranno quel che potranno, se vorranno.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha richiamato l’Italia perché il numero delle vaccinazioni obbligatorie dei bambini sta scendendo sotto il livello di guardia. Uno dei primi effetti del taglio all’istruzione si potrebbe dire. Genitori vittime di della disinformazione dominante nel web? O solo mancanti di cultura scientifica? Qualsiasi sia la risposta significa abbandonarsi all’irrazionale. Di morbillo si muore.

Giulio Tremonti, un economista, ebbe a dire che con la cultura non si mangia, benché i dati internazionali dimostrino che ogni euro investito in cultura ne generi altri cinque nell’indotto. Produrre individui incolti ha il suo peso sociale. Significa progettare una società priva di senso civico, popolata da persone impossibilitate a capire un testo, dipendenti dagli altri.

Individui insicuri, incapaci di capire il proprio tempo, generatori di una società infelice

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L’articolo di Nicolò Migheli è stato anche pubblicato su L’Unione Sarda del 6 febbraio 2015 e su Sardegnasoprattutto/ 6 febbraio 2015/ Culture
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