Oggi lunedì, lunis, 30 marzo, marzu, 2015

L’ultimo saluto a Giorgio Melis. I funerali di Giorgio Melis si svolgeranno a Cagliari oggi, lunedì 30 marzo, alle 16, nella chiesa del SS Crocifisso in via Zagabria
Il ricordo
di Giovanni Maria Bellu, su SardiniaPost
aladinewsGli eventi di oggi segnalati da Aladinpensiero sul blog Aladinews agorà. PUNT ‘E BILLETTU: Il diritto del lavoro raccontato con il cinema.- I riti della Settimana Santa a Cagliari.
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———————-30 marzo 2015 su SardiniaPost—————————
Oggi l’addio di Cagliari a Giorgio Melis

I funerali di Giorgio Melis si svolgeranno a Cagliari oggi, lunedì 30 marzo, alle 16, nella chiesa del SS Crocifisso in via Zagabria.

Il ricordo di Giovanni Maria Bellu, su SardiniaPost
Non esiste il giornalismo obiettivo. Esiste il giornalismo onesto. È la sintesi (di Eugenio Scalfari) di un principio universalmente condiviso nella professione. Almeno nei luoghi dove esistono le condizioni per esercitarla. Giorgio Melis ha fatto di questo principio il cardine della sua ultracinquantennale attività. Pagandone un prezzo altissimo.

Il giornalismo onesto è quello che, mentre restituisce la verità sostanziale dei fatti, esplicita il proprio punto di vista, la propria visione del mondo. Non finge un’impossibile ‘neutralità’: rende edotti i lettori dei propri valori di riferimento e anche della sua relazione col tema di cui di volta in volta si occupa. Questo principio, per esempio, mi impone di dichiarare di aver perso con Giorgio non solo un amico, ma anche un punto di riferimento e un luogo della memoria. Non ci sarà libro, archivio, studio, ricerca che potrà darmi di certi momenti della nostra storia la sintesi (il sapore, i colori, gli odori, le emozioni) che tante volte i suoi racconti mi hanno restituito.

Giorgio Melis era uno dei più bravi giornalisti che abbia mai incontrato, in assoluto. Certo, questa professione non ha il grado di oggettività di altre. L’eccellenza di un cardiochirurgo la si misura in base alle percentuali di successo dei suoi interventi, quella di giornalista non ha sistemi di valutazione così assoluti. Eppure dei criteri esistono, e sono ben noti a chi lavora nelle redazioni: la velocità e la chiarezza della scrittura, la capacità di cogliere i nodi dei problemi, la visione, la tecnica di tenuta dei rapporti con le fonti. Ecco, se il giornalista fosse un calciatore, i requisiti appena descritti ne sarebbero le qualità atletiche. E Giorgio aveva le qualità di un fuoriclasse. Si cimentava in qualunque genere (intervista, editoriale, reportage) raggiungendo risultati eccellenti. Con una velocità di produzione che, nei momenti di miglior forma, era spaventosa.

Non si risparmiava. Che giocasse contro il Barletta o contro il Real Madrid, dava il massimo, correva a perdifiato per tutto il campo. Era come se volesse eguagliare la velocità di evoluzione della notizia, una pretesa che somiglia molto a quella di superare la velocità della luce. E, benché le conoscesse alla perfezione, non usava certi trucchi tattici. Non tirava il pallone oltre le tribune, non faceva melina. Anche se era in vantaggio continuava ad attaccare. Non centellinava le notizie, le regalava tutte al lettore. Era di una generosità che sfiorava la dissennatezza. In un ambiente politico e professionale che, all’opposto, evolveva verso la chiusura meschina, l’interesse privato, la dittatura della mediocrità.

In una situazione politico-editoriale ordinaria, anche non particolarmente aperta, Giorgio Melis sarebbe diventato direttore di uno dei due quotidiani sardi e avrebbe concluso così la sua carriera, per poi passare al ruolo di editorialista. In una situazione chiusa, sotto controllo, ma regolata dalle prassi ordinarie del galateo professionale e del riconoscimento del merito, avrebbe avuto quanto meno una “zona franca”, una tribuna, dove liberamente scrivere i suoi commenti. Esattamente come, in una squadra di calcio, un campione che per qualche ragione viene considerato poco compatibile con le idee del presidente, viene dato in prestito a un’altra squadra di rango. E, appese le scarpette al chiodo, gli si offre un posto di prestigio. Perché quell’esperienza va salvaguardata. È un aspetto del patrimonio societario. Ha un valore autonomo, indipendente dalle simpatie del presidente di turno. Come è successo a Gigi Riva. Per coincidenza, Giorgio Melis nel novembre scorso dedicò il suo ultimo editoriale proprio ai settant’anni di Rombo di Tuono.

In effetti si possono trovare molte analogie tra un campione di giornalismo e un campione di calcio. La più importante, e decisiva, è che entrambi per dare il meglio hanno bisogno di una società e di una squadra. E hanno anche bisogno di tifosi/lettori consapevoli e appassionati. Se manca anche uno solo di questi elementi, il campione incontra enormi difficoltà. Rischia di perdersi. Nell’ultima fase della sua carriera, Giorgio Melis si trovò senza una società alle spalle. E dunque senza una squadra. Dovette creare da sé, con le proprie forze, l’una e l’altra. Ha per questo messo a repentaglio il proprio patrimonio personale, cioè la sua casa, che a un certo punto rischiò di perdere per una causa intentata contro di lui da Renato Farina, l’agente Betulla, peraltro, pochi mesi fa, reintegrato nell’ordine dei giornalisti dal quale era stato radiato.

Nell’ultimo anno, mentre combatteva con la malattia, ci ha inviato commenti durissimi. Precisando ogni volta che non si sarebbe offeso per qualche intervento finalizzato a evitare querele, ovviamente senza intaccarne la sostanza. Ma intanto lui li scriveva così. Era come se gridasse. Proprio come quando si è costretti a parlare senza microfono a un pubblico debole di udito. Parlava, in effetti, a una società civile per larga parte narcotizzata da un sistema dell’informazione non solo piegato a interessi privati – qual è strutturalmente il sistema editoriale non solo isolano – ma ormai quasi del tutto privo degli anticorpi professionali idonei a fare da argine a quegli interessi. Avvezzo, anzi, ad assecondarli anche nei capricci, a partire dalla prassi, questa sì tutta isolana, di colpire il dissenso semplicemente togliendogli la voce, oscurandolo, impedendo al lettore di conoscerne non solo gli argomenti, ma la stessa esistenza.

Giorgio, mentre era il principale riferimento sardo di alcune tra le migliori firme del giornalismo nazionale, veniva ostracizzato in Sardegna, come purtroppo ha confermato ieri la lentezza quasi imbarazzata con cui i principali organi di informazione hanno dato la notizia della sua scomparsa. Ma continuava a calciare formidabili rigori nel cortile di casa e in certi campi di periferia, senza mai perdere la passione e il sorriso. Riusciva persino a scherzare del dilettantismo privo di classe, delle grossolane alterazioni della verità sostanziale dei fatti attuate in modo sistematico, di una classe politica che ha fatto della perdita della memoria la condizione della propria sopravvivenza. Per poi concludere che c’erano altre cose nella vita. Oggi la lotta contro la malattia. Ieri, anche nei momenti più difficili, la gioia delle giornate nella casa di Castiadas, l’entusiasmo, come se fosse uno scoop, con cui raccontava la crescita di un germoglio o un limone raccolto dall’albero o il fermarsi lungo il litorale del Poetto a mangiare i ricci col pane e il vino bianco o fare un tuffo nel mare in primavera. O l’amore per la sua compagna di tutta la vita e per i suoi figli. O la tenerezza per la nipotina che gli dedicava poesie struggenti. E lo sgomento divertito per il suo essere diventato nonno, lui che si sentiva ancora ragazzo, scapestrato, “teppista” come diceva col sorriso complice dell’uomo onesto.

Giovanni Maria Bellu

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