Start up? Bene a 360 gradi, cioè non solo legate all’innovazione tecnologica!

Bomeluzo alla carica!

di Aladin

Abbiamo salutato con favore il recente provvedimento governativo per promuovere la costituzione e agevolare il funzionamento delle start up innovative (sia pure con tutte le cautele del caso, in attesa di leggere la normativa definitiva, e anticipando nel merito alcune perplessità *). Pensiamo però che lo Stato, le Regioni e gli Enti locali (Province, Comuni, ma anche Camere di Commercio) debbano dare una grossa mano a tutte le start up, a trecentosessanta gradi, cioè di qualsiasi materia esse si occupino. Si tratta infatti di favorire la giovane impresa, che, a certe condizioni, può davvero contribuire a creare consistente nuova occupazione. Non si comincia certo da zero. Conosciamo molte iniziative di sostegno alla giovane impresa intraprese dal pubblico, parliamo soprattutto di quelle che si avvalgono dei finanziamenti europei. In Sardegna citiamo Promuovidea e Impresa donna, ma anche le agevolazione con i programmi di microcredito. Ve ne sono altre, spesso gestite dagli Enti locali, dalle Università, dalle Camere di Commercio, etc. Si tratta di agire con maggiore convinzione e determinazione, iniziando a mettere l’esistente a sistema e a creare appositi tavoli di concertazione con tutti gli interessati a partire dai beneficiari, cioè dai giovani rappresentati dal loro associazionismo tradizionale e nuovo. Possiamo dire con una frase un po’ inflazionata e spesso usata fraudolentemente ma ora invece pertinente: ce lo chiede l’Europa!

al riguardo si legga l’intervento del prof. Fabiano Schivardi pubblicato oggi da Linkiesta, tratto da lavoce.info

Intanto ci piace riportare  sull’argomento un articolo diffuso recentemente da Linkiesta, che ci fa conoscere un’esperienza di formazione manageriale per favorire la nascita e rafforzamento delle start up. Sia chiaro non proponiamo la formula, seppure essa sia del tutto legittima e riproponibile, ma sottolineiamo l’esigenza. L’esigenza è quella che i nostri giovani aspiranti e neo imprenditori abbiano capacità di tipo gestionale, che facciano trasformare buone idee in business e impresa. Anche qui: i documenti europei sono pieni di inviti agli Stati e alle altre Istituzioni perchè si impegnino a favorire la cultura d’impresa e la managerialità. Queste indicazioni, applicative di precise politiche comunitarie, sono declinate rispetto a diverse situazioni. Per esempio l’Unione Europea chiede che le Università cerchino di contribuire alla diffusione della cultura d’impresa e di trasferire conoscenze e capacità manageriali ai nostri dottorandi in ricerca, proprio perchè gli sbocchi del dottorato devono poter essere anche al di fuori dei percorsi accademici e quindi – perchè no! – nella nuova impresa, in questo caso sì, soprattutto nell’impresa innovativa rappresentata dalle start up innovative e dagli spin off in particolare. Finchè molti ambienti accademici (di governo accademico) considereranno queste impostazioni con sufficienza, liquidandole addirittura come sciocchezze, non ci sarà speranza di un ruolo dell’università per lo sviluppo delle imprese. Non sarà sempre così. Consideriamo queste posizioni sbagliate e perfino eversive e quindi crediamo che prima o poi, speriamo prima, saranno marginalizzate, se non altro da giovani che assumeranno posizioni di potere accademico, riequilibrando l’attuale assurda situazione. Insomma, per farla breve: l’innovazione passerà!

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Londra, la parola magica è start up: va bene il reality e per il master

Sei mesi di teoria, sei di pratica: un anno per capire come sostenere, economicamente, la vostra startup. Avete avuto un’idea brillante (o stravagante) ma non sapere come farla funzionare dal punto di vista commerciale? In Inghilterra ora c’è un corso, avviato da un imprenditore americano, proprio per insegnarvelo.

LINKIESTA 5 ottobre 2012 – 13:25

C’è Françoise, il cui sito internet offre corsi online per aspiranti barman. C’è Gregory, che vuole commercializzare alcune salse ispirate all’età di Shakespeare. C’è Emilio, che ha brevettato il suo muffin vegano. E c’è Jessica, che disegna e vende cartoline d’auguri contro il razzismo. É colorita ed eterogenea la “fauna” che assiepa i banchi della School for Creative Startups, a Londra. Giovani con carriole piene di mattoni (leggi: idee) vengono qui da tutto il mondo, in cerca della malta che cementifichi le instabili fondamenta dei loro progetti.

La scuola dura un anno, periodo durante il quale insegnanti specializzati dovrebbero insegnare – il condizionale è d’obbligo – come far funzionare una start-up dal punto di vista più importante: quello economico. Le porte sono aperte a tutti. Si può iscrivere chi ha in testa soltanto un’idea, ma anche chi ha già sviluppato la propria compagnia. “Il programma vi permetterà di rendere il vostro business funzionante e sostenibile”, si legge sul sito. Come? Attraverso lezioni e workshop, ovviamente, ma anche attraverso la supervisione costante di un team dedicato di imprenditori ed esperti del settore.

Dopo un primo periodo dedicato alla teoria, c’è un secondo “semestre” improntato alla messa in pratica. Questa seconda fetta di scuola prevede anche la realizzazione concreta del business e la sua sponsorizzazione attraverso eventi dedicati, come lo Startup Showcase (una giornata in cui ognuno può presentare al pubblico il proprio progetto) e l’incontro con i Titans of Industry, una serie di oltre cento professionisti in grado di valutare l’idea in questione e di dare consigli utili allo startupper in erba. Il fondatore della scuola è Doug Richard, imprenditore americano celebre nel Regno Unito per aver condotto sulla BBC il programma Dragon’s Den, una sorta di reality show dedicato ai giovani imprenditori.

Nei primi due anni di vita, la School for Creative Startups ha accompagnato la crescita di 160 diverse start-up, ottanta ogni dodici mesi. Se vi sembrano troppe, pensate che le richieste che pervengono ogni anno alla segreteria sono circa il doppio. I costi? A seconda della fascia di reddito, arrivano fino ad un massimo di 3700 euro. Ma il novanta per cento degli iscritti paga il minimo, circa 750 dollari. Attenzione, però: non si tratta di una scuola a tempo pieno, ma di un master per lavoratori. I giorni di lezione totali, infatti, sono soltanto dieci all’anno, escluse ovviamente le giornate “pratiche” di lavoro.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/londra-una-scuola-insegna-agli-startupper-come-fare-una-startup#ixzz28X9EYBNm

One Response to Start up? Bene a 360 gradi, cioè non solo legate all’innovazione tecnologica!

  1. [...] Novità per le start-up in Italia: è il momento dell’informazione [...]

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