Meno siamo, meglio stiamo

ceto politico CQMeno siamo, meglio stiamo.
ape-innovativa2di Franco Meloni
Utilizziamo il titolo della simpatica trasmissione televisiva di Renzo Arbore, per applicarlo all’attuale situazione della partecipazione del popolo alle scadenze elettorali e, in generale, alla vita e alle scelte della politica, con questo significato: Meno siamo si riferisce al popolo, agli elettori; Meglio stiamo, invece, alla classe politica, agli eletti. Parliamo dell’Italia, e anche della Sardegna. Rispetto alle elezioni, ormai di tutte le tipologie, di carattere politico o amministrativo, risulta che nonostante la progressiva diminuzione della partecipazione al voto, e alle rituali “lacrime di coccodrillo” degli appartenenti al ceto politico, nulla si faccia per invertire la tendenza. Anche perchè la disaffezione al voto è dovuta ad alcune cause concorrenti, qui ci riferiamo alle due principali, guardacaso ambedue riconducibili alle responsabilità della classe politica: 1) il concreto comportamento dei politici; 2) i sistemi elettorali.
1) Il concreto comportamento di moltissimi rappresentanti eletti nelle diverse istituzioni, sempre più massicciamente coinvolti in scandali di malversazioni e ruberie, o anche peggio (mafia, camorra..), senza che questo autorizzi un giudizio di condanna generalizzato, anche se gli onesti rischiano di costituire encomiabili eccezioni. Nel senso che un “tasso di criminalità” e, se vogliamo, anche un “tasso di ignoranza-incompetenza”, spesso coincidenti, c’è sempre stato nel mondo politico, ma, in misura minoritaria, “controllabile”, tale insomma da non connotare negativamente tutta la classe politica. Oggi tali tassi sono cresciuti in misura insopportabile per un funzionamento virtuoso del sistema politico.
2) La selezione delle classi politiche attraverso sistemi elettorali che in generale non premiano l’onestà, il merito e la competenza.
Su questi argomenti ci siamo soffermati in altre occasioni, in particolare con l’intervento che qui riprendiamo, che, mantenendo la propria validità è stato integrato solo con riferimento al fenomeno del renzismo post berlusconiano, alla novità dell’italicum e all’esito delle elezioni sarde.
(…) in generale il giudizio sulla qualità dell’attuale classe politica non è positivo e non da ora. Assistiamo infatti da almeno un trentennio a un suo progressivo scadimento; fenomeno che possiamo datare, con una certa approssimazione, dalla fine degli anni 80, in coincidenza e correlazione con la crisi delle ideologie e dei partiti che ad esse si ispiravano. I partiti fino a quel tempo produttori di programmi e dotati di personale politico qualificato in grado di attuarli, ma anche capaci di catturare una certa parte delle idee formatesi al loro esterno, sono andati progressivamente perdendo queste capacità, riducendosi sempre più a “macchine elettorali”, con personale politico nominato dalle segreterie centrali (la legge porcellum costituisce al riguardo un esempio eclatante, e non diversamente la legge italicum) e in prevalenza sulla base di lealtà verso i capi dei quali garantire la permanenza al potere. Il berlusconismo costituisce una chiara esemplificazione di quanto affermato, anche se non esaurisce il fenomeno nella sua totalità, e il renzismo ne costituisce coerente prolungamento. Nel richiamato passato invece la selezione della classe politica avveniva, nella generalità dei casi, in modo rigoroso, con metodi abbastanza comuni a tutti i partiti quantunque portatori di diverse ideologie e rappresentanti di diversi interessi. Limitando l’esempio ai grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana selezionava i propri rappresentanti attraverso l’Azione Cattolica, le Acli, la cooperazione e il sindacalismo cattolico, così come il Partito Comunista e  il Partito Socialista selezionavano fondamentalmente attraverso i sindacati, l’associazionismo e la cooperazione di sinistra. Un ruolo importante nella formazione dei dirigenti e rappresentanti nelle istituzioni lo avevano poi le scuole di partito. In generale il cursus honorum, cioè la carriera del politico, veniva costruita nel passaggio dalle istituzioni minori a quelle di maggior livello: dal ricoprire le cariche di consigliere o assessore comunale o provinciale a quelle di consigliere o assessore regionale, fino agli incarichi parlamentari e di governo. Chi arrivava alle alte sfere era dunque ben rodato; poteva certo capitare qualche smagliatura, cioè che passasse una ridotta percentuale di inidonei al ruolo ricoperto. Oggi le proporzioni si sono decisamente rovesciate. Tutto questo lo paghiamo – e molto caro – rispetto alla qualità della gestione pubblica, costituendo la concausa della decadenza del paese. La descrizione fatta è schematica e non dà conto di consistenti eccezioni, ma corrisponde sostanzialmente alla situazione attuale. A questo punto se non vogliamo cadere nel baratro dobbiamo necessariamente invertire la rotta. E come? Innanzitutto modificando le leggi elettorali, come il vituperato porcellum, e non adottandone di simili, come l’italicum, aprendole alla partecipazione e consentendo un’effettiva scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentanti. A mio parere occorre riconsiderare positivamente i sistemi proporzionali, che consentono una maggiore rappresentanza dei cittadini e, tutto sommato,  un più alto tasso di governabilità. Al riguardo la recente legge elettorale sarda è un pessimo esempio, in quanto restringe le opportunità democratiche, come dimostrato dall’esito elettorale.
Poi occorre ripristinare la democrazia nei partiti, modificandone la forma attuale, sperimentando inedite configurazioni, che solo i giovani possono assicurare, nella misura in cui sia consentito loro di avere ruoli dirigenti negli stessi partiti, auspicando alleanze generazionali ed equilibri di genere. Quest’ultima circostanza comporta un percorso più lungo e difficile, che tuttavia è possibile praticare da subito. Una parte consistente del rinnovamento passa attraverso l’adozione di adeguati meccanismi di scelta dei rappresentanti nelle istituzioni. Al riguardo ciò che maggiormente può garantire la qualità della classe politica è la possibilità effettiva di esercitare sulla stessa il controllo popolare, in attuazione di principi di trasparenza e partecipazione e con l’utilizzo degli strumenti della democrazia digitale, opportunamente facilitati e generalizzati (…).
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Che fare ancora sul versante della società civile?

Non abbiamo certo ricette. Ma crediamo che occorra impegnarci molto, come abbiamo sempre fatto nella nostra storia politica, sul versante della democrazia partecipativa o deliberativa, che, in certa misura costituisce un antidoto alle tendenze di restrizione degli spazi di partecipazione democratica e alle impostazioni bonapartiste, delle quali ha parlato in un recente editoriale Francesco Casula. In questo quadro plaudiamo all’iniziativa di proposta di una legge regionale sulla partecipazione dei cittadini alle politiche regionali. Una legge non risolve, ma può aiutare.
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