Europa, Europa…

poveraEuropa filo_spinato europesedia di VannitolaRilanciare il processo di costruzione dell’Europa politica con un piano unitario per l’accoglienza dei migranti.
di Vanni Tola

La giornata di martedì, 15 settembre, ha un significato particolare nel panorama politico europeo. Ha sancito l’inconsistenza o, se preferite, l’inesistenza dell’Europa politica, la mancanza di obiettivi politici unificanti intorno ai quali realizzare e concretizzare l’idea stessa di Unione Europea teorizzata dai padri dell’europeismo. L’Europa, molti lo denunciano da tempo, al momento è soltanto una entità economico-finanziaria creata intorno alla moneta unica euro e tenuta insieme dalle scelte della Banca Centrale Europea. Al di fuori da tale ambito l’Unione non esiste, non decolla un progetto di unione politica, di scelte condivise, di stati uniti d’Europa. In sole tre settimane si sono registrate una serie infinita di cambiamenti di fronte che, se pure aprono qualche spiraglio di ottimismo, evidenziano la inconsistenza del progetto unitario del vecchio continente. La questione del profughi, dopo essere stata confinata a problema geopolitico limitato alla sola Europa mediterranea, si è manifestato in tutta la sua portata come fenomeno straordinario e duraturo che coinvolge l’intero continente. La Germania della Merkel, con un incredibile cambiamento di rotta, ha mostrato per prima di aver colto la complessità del problema e ha risposto dichiarando e mettendo in pratica delle scelte di grande apertura in termini di accoglienza. Per conseguenza si sono intensificati gli arrivi di profughi che ormai non arrivano più e soltanto dal mare ma anche attraverso altre vie, attraversando diversi paesi dell’est europeo. E’ a questo punto che esplodono le contraddizioni finora dormienti. Una consistente parte dell’Unione dichiara esplicitamente che non intende accogliere profughi e neppure consentirne il transito verso altri paesi. Ricompaiono i confini chiusi da filo spinato e sorvegliati dall’esercito che ricordano ai meno giovani un triste passato fatto di divisioni, guerre, muri. Un’altra parte dell’Europa invece si mobilita con slancio per realizzare la migliore accoglienza possibile dei profughi. La gente in particolare, superando i ritardi dei politici, si mobilita con entusiasmo, accoglie i profughi con affetto e simpatia, offre ospitalità nelle case. Due realtà diverse e contrapposte che andrebbero raccordate. Si propone di formalizzare e applicare il criterio della cittadinanza europea superando i vecchi trattati che, nei fatti, confinavano i migranti nel paese di prima accoglienza limitandone la circolazione in Europa. Si ripropone il criterio della ripartizione dei migranti fra i diversi paesi dell’Unione sulla base di quote obbligatorie di accoglienza. E arriviamo alla giornata di ieri, agli incontri tra i paesi dell’Unione durante i quali diversi paesi dell’est Europa ripropongono con forza la loro scelta di non accogliere migranti rendendo irrealizzabile il progetto unitario di accoglienza che si andava delineando. L’Unione europea, sulla questione dei migranti mostra cosi il nanismo politico del gigante economico realizzato intorno all’euro. Ora l’intera vicenda della accoglienza è demandata alla riunione urgente dei capi di governo che si terrà la prossima settimana nel tentativo di produrre una qualche scelta umanitaria mentre l’Ungheria e altri paesi blindano i loro confini e arrestano i migranti che li violano, mentre continuano gli sbarchi, le drammatiche vicende di uomini, donne e bambini sempre più disperati e mentre paesi quali l’Austria, alcuni paesi del nord Europa e perfino la Svizzera ribadiscono volontà e disponibilità ad accogliere di più e meglio. L’Italia fa la sua parte in termini di accoglienza in tutte le regioni, comprese quelle controllate dalla Lega ma continuano le provocazioni delle forze politiche razziste e xenofobe locali alla disperata ricerca di consensi elettorali fondati su disinformazione e paure della gente. L’ultima in ordine di tempo la scelta di togliere i finanziamenti della regione Lombardia a quelle strutture alberghiere che, rispondendo all’appello del Ministero dell’Interno, dovessero concedere ospitalità ai migranti.
Commentando il fallimento della riunione europea del 15 settembre, che avrebbe dovuto definire il progetto delle quote di accoglienza dei profughi, il vice cancelliere tedesco ha dichiarato che con tale fallimento l’Unione europea si è coperta di ridicolo dando un’immagine negativa dell’Europa e generando in alcuni paesi dell’Unione leggi restrittive della libera circolazione degli individui che fanno arrossire e delle quali ci si dovrebbe vergognare. Questa la situazione a tutt’oggi, ora non resta che attendere nuovi sviluppi dal prossimo incontro straordinario dei paesi dell’Unione sperando che la logica, la ragione e l’idea di costruire un’Europa politica si concretizzino attraverso scelte politiche illuminate.
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Giulio Sapelli su Il Messaggero. Tra euro e profughi. L’agonia dell’Europa che ha perso i suoi valori

L’esclusivismo etnico e la storia che ci sorpassa
di Nicolò Migheli

By sardegnasoprattutto/ 14 settembre 2015/ Società & Politica/

“Il faut réfléchir comment l’histoire nous dépasse“. Lo scriveva un mio amico sulla sua bacheca di Fb raccontando lo sconcerto di una funzionaria greca della Commissione Europea davanti alla tragedia dei rifugiati-migranti. Centinaia di migliaia di persone che premono alle nostre frontiere. La fotografia del bambino curdo in una spiaggia turca commuove il continente e costringe frau Merkel ad aprire le frontiere tedesche ai rifugiati siriani. Qualsiasi interpretazione si voglia dare, quel gesto politico cambia l’Europa e ne mostra il limite. Eravamo rimasti alla divisione Nord Sud sull’economia, ed ora ci ritroviamo anche con quella Ovest Est sui valori.

La vecchia e nuova Europa, come ai tempi della guerra contro Saddam Hussein. Da una parte la Germania, Austria, Svezia, Francia, Italia, Spagna e Grecia e dall’altra Polonia, Cechia, Slovacchia ed Ungheria che chiudono le frontiere, dichiarano che non accoglieranno nessuno. In Polonia si manifesta nelle piazze contro l’accoglienza. L’Ungheria accusata di pratiche neonaziste per il muro al confine, i treni blindati, i campi di concentramento, l’uso dei reparti anti sommossa, i lanci di panini e bottiglie d’acqua sugli stranieri chiusi in gabbia. Un’apocalisse della nostra umanità. Quei paesi sono entrati frettolosamente nella Ue senza avere riflettuto seriamente sulla loro storia. Vittime degli espansionismi tedeschi e russi degli ultimi due secoli, ora sono diventati gelosi della loro etnicità esclusiva. Si sentono difensori di una identità omologante, incapaci di dialogare con il diverso.

L’Ungheria in più distribuisce passaporti agli ungheresi cittadini dei paesi limitrofi, nel sogno di poter rimettere in discussione i confini stabiliti alla fine della Prima Guerra Mondiale. Il Governo di Orbán si erge a difensore della civiltà cristiana immaginaria. Un’apocalisse come rivelazione della realtà che tocca noi sardi nel profondo. Occorrerebbe riflettere per l’irruzione della Storia e del mutamento in noi e nei nostri parametri di giudizio.

Occorrerebbe riflettere come i soliti cinici per calcoli di bottega politica usino questi drammi per instillare paure, mettendo contro bisogni legittimi della povertà dei locali e il dovere umano di aiutare chi fugge dalla morte. Perché anche da noi si notano segni pesanti di rifiuto della realtà. Nascono movimenti che usano la retorica identitaria per marcare confini.

Un’identità che si immagina ferma ed immutabile, il sogno di un comunitarismo cerchio caldo, per usare la brillante definizione di Göran Rosemberg. Una concezione dell’identità simile a quella dei teorici waabiti dell’Isis. Saremo salvi se non ci saranno contaminazioni, se tutti si riconosceranno come i-dentici. Perché ciò avvenga è necessario costruirsi sempre è comunque come vittime – il collettivo Wu Ming, ha scritto un articolo illuminante a proposito- di un presente che non si riesce a capire e di un passato raccontato sempre con il mito della perdita. Perché l’oggi, grazie a Tv e reti sociali, induce un tempo schiacciato sul presente, una rimozione della memoria che impedisce ogni elaborazione che sia riflessione, che sia razionalità e non semplice razionalizzazione.

Ad esempio, ogni fatto terroristico viene sottolineato con un “Da oggi siamo in guerra”. Il conflitto permanente come instrumentum regni. Ogni sbarco vissuto come invasione. Una forma sofisticata di controllo sociale che comincia con l’essere sottoposti continuamente a narrazioni manipolate, ad una incessante riproposizione di video e messaggi violenti che oltre a indurre assuefazione abbassano pericolosamente il confine della percezione dell’orrore, fino ad essere il rumore di fondo della nostra psiche. L’indignazione come corollario, il sentimentalismo e non il sentimento. Le passioni fredde che uccidono l’empatia. Tv e reti sociali il luogo eletto per un continuo lavaggio del cervello che si traduce in senso comune di ostilità nei confronti di chi è diverso, povero, fugge.

Un bisogno di ordine che somiglia molto al ritorno nel grembo materno. La sindrome del ritiro, la chiama così lo psicanalista Luigi Zoia. Una realtà che mi preoccupa molto come sardo; come la nostra nazione ad identità debole si lascia traviare in una deriva etnica esclusiva, che immagini l’appartenenza solo legata a sangue e terra, con il corollario della folklorizzazione incessante. Questo governo regionale, bloccando ogni intervento per la crescita del sardo come lingua normale, ha creato uno degli elementi che accentuano l’identità labile dei sardi. Le azioni di governo che non difendono la nostra terra dal Land Grabbing, sono ulteriori fatti che inducono il senso della perdita. Su quello i teorici dello scontento potranno costruire il rifiuto dell’altro indicato come causa di tutti i mali. Da quella rabbia il nostro inconscio collettivo potrà produrre il mostro.

L’Orbán in vellutino aspetta solo l’occasione giusta per manifestarsi. Occorre riflettere su come la Storia ci sorpassi. Non siamo riusciti a prevederla, ma almeno cerchiamo di fare in modo che non ci travolga e ci muti in peggio per sempre.
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lanzicchnecchi
Ben vengano i “barbari”
di Umberto Cocco

By sardegnasoprattutto / 15 settembre 2015/ Società & Politica/

Tutto accade troppo tardi, chi non lo vede? Arriva tardi la coscienza dell’Europa, o di una sua parte, davanti alle migrazioni che la penetrano. Anche l’articolo di Nicolò Migheli arriva tardi… Ma è il primo che proviene da quel mondo, è così sincero e così sinceramente autocritico, che il riferimento alle colpe altrui, il Land Grabbing, etc., sembra un inciampo nel ragionamento, forse un riflesso condizionato.

Tutte le versioni dell’indipendentismo, del sovranismo, del sardismo, sembrano così fuori tempo in queste settimane. I nazionalismi che rialzano la testa in Europa come vede bene Migheli hanno un inquietante profilo, salvo forse che in Scozia. Ma tutti sembrano ideologie obsolete, con le quali ora è pericoloso baloccarsi, alla vigilia di uno sconvolgimento delle nostre società dove il peggio può venire dal confronto-scontro di identità, le nostre e le loro.

Si vedeva da lontano che la moltiplicazione dei movimenti indipendentisti e sovranisti coincideva con la caduta della presa reale di quella prospettiva sulla società sarda. Secolarizzata, smagata, subalterna a modelli culturali e sottoculturali prodotti altrove, e che mentre distrugge ogni tratto di autonomia propria anche personale e comunitaria (le case, la lingua, il paesaggio, i beni culturali) e non produce nemmeno più beni per il proprio autoconsumo, si ubriaca di retorica, di folclore, costumi sardi a processioni dal Redentore a piazza San Pietro (gli insegnanti dal Papa), all’Expo dove molti sardi si sono vergognati di essere rappresentati così, e io con loro.

Poca e nessuna autonomia e figurarsi indipendentismo, ma il petto gonfio di aria, ogni segno identitario volgarizzato e pompato con un autocompiacimento che fa tristezza e non credo si ricordi a questi livelli di pervasività nei 50 anni passati. (Che ci fa l’assessore Morandi nelle foto sui giornali affiancato a donne in costume e maschere di carnevale fuori contesto? Che sorriso si mette in faccia, perché?

A nessuno della giunta regionale o comunale è venuto in mente di farsi fotografare con Francesco Cucca? Leggete la Repubblica di oggi, ne scrive Elena Cattaneo, nientemeno).

Scusate lo sfogo. E’ anche perché non si sta meglio a sinistra. E’ una democristiana tedesca la leader più coraggiosa di questa fase, dopo il Papa cattolico. Tutte le altre posizioni, le cautele, le chiacchiere di Renzi, saranno spazzate via, e le velleità alla Syriza, ahimè, pure, e speriamo non anche Corbyn.

Anche per cambiare questa esausta società sarda, le stanche società europee, ben vengano i barbari, si potrebbe dire con il poeta.
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bandieraUE
Ludwing Van Beethoven InnoGioiaBeethoven, Inno alla Gioia
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ape-innovativa Europa, Europa… Una piccola proposta di grande significato simbolico: dovunque possibile, insieme agli inni sardo e italiano, sia eseguito l’inno europeo, l’inno alla gioia!
A proposito di Inno alla Gioia, inno europeo, ricordiamo quanto detto in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università della Sardegna-Università di Sassari: (…) – Benissimo l’inno sardo “Procurade ‘e moderare” eseguito dopo quello italiano. Annotiamo che ci sarebbe stato bene anche l’Inno alla gioia di Beethoven, che, come è noto, è l’inno dell’Unione Europea, sebbene forse non ufficiale, come peraltro non è ufficiale l’inno sardo.
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tramonto notte ricercatoricagliari
Il ruolo di Cagliari per l’Europa che vogliamo
di Franco Meloni

Un tempo contestando il malgoverno della cosa pubblica in diverse realtà si diceva che anche la sola “buona amministrazione” costituisce di per se un fatto rivoluzionario. Mi è venuto in mente pensando all’esperienza amministrativa del sindaco di Cagliari Massimo Zedda e della sua Giunta. Fare una buona amministrazione per la nostra città come il sindaco ha cercato di fare ha aspetti positivi a vantaggio dei cittadini cagliaritani. E di questo occorre dare atto, come abbiamo fatto in diverse circostanze. Ma certamente non basta. L’amministrazione Zedda ha finito per rinchiudersi nell’ambito dell’ordinario, senza azzardare progetti strategici di lungo respiro dei quali la città ha invece ineludibile bisogno, pena l’acuirsi di processi di decadenza e marginalità. Ecco perché si avverte l’inadeguatezza degli attuali amministratori unita alla non credibilità che siano in grado di prospettare esiti diversi per il futuro. Cagliari non ha finora saputo esercitare quel ruolo decisivo che le compete: di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone (e dovrebbe poter disporre in misura maggiore) di risorse specifiche, che, al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate, cioè a tutti i sardi. In Sardegna abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase, come necessità, non certo, purtroppo, come visioni politiche egemoni e concrete realizzazioni e come attuale classe dirigente in grado di farsene carico. Al riguardo è richiesto soprattutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade debba essere l’Europa, non certo l’attuale Europa, che in questa fase storica sta dimostrando la sua inadeguatezza, proprio perché chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli, capace di accogliere nuove genti e con esse rigenerarsi. In questo recuperando i valori delle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione o Federazione di Stati è solo ancora un sogno, e l’integrazione politica rischia di arretrare anche rispetto agli scarsi attuali livelli.
Allora Cagliari deve conquistare sul campo il ruolo di “città capitale”, sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa, della quale può rappresentare in certa parte le politiche per il Mediterraneo (soprattutto della sua sponda sud). Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro la stessa “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
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Il labirinto dell’Europa sui migranti e dell’Italia sul Senato
Per uscire dal dedalo della riforma ci vuole il filo di Arianna ma alla fine i suoi due capi resteranno in mano a Renzi. Sui flussi migratori, si pensi a che cosa sarebbe accaduto se fossero esistiti gli Stati Uniti europei con norme federali

Il labirinto dell’Europa sui migranti e dell’Italia sul Senato
di Eugenio Scalfari, su La Repubblica di domenica 20 settembre 2015
I migranti e l’Europa. Lo spettacolo di alcuni Paesi membri dell’Unione europea di fronte alle ondate di decine di migliaia di persone provenienti dall’Africa subequatoriale, dalla Siria, dalla Libia, dal Kurdistan. I valori sui quali è nata l’Unione europea messi sotto i piedi dall’Ungheria, dalla Polonia, dalla Slovacchia, dalla Repubblica Ceca, dalla Croazia. Questo è accaduto e continua non solo ad accadere ma a coinvolgere la simpatia anche di altri membri dell’Unione come i Baltici. È una situazione intollerabile e come tale giudicata da tutti gli altri componenti dell’Unione a cominciare dalla Germania, dall’Italia, dalla Francia. Ma, nonostante questa inaccettabilità più volte affermata vigorosamente, non si è andati oltre, alle parole non sono seguiti i fatti, sia perché si cerca piuttosto un compromesso che uno scontro aspro e duro in una fase di difficoltà economiche notevoli e non ancora superate e sia perché l’Ue è una confederazione di Stati nazionali ognuno dei quali è padrone in casa propria salvo alcune modeste cessioni di sovranità che riguardano più l’economia che la politica.

Questa constatazione mi ha fatto pensare che cosa sarebbe accaduto se esistessero gli Stati Uniti d’Europa e come sono in grado di comportarsi gli Stati Uniti d’America quando hanno dovuto affrontare problemi consimili ai nostri di discriminazioni, xenofobie, immigrazioni. L’immigrazione è regolata da norme federali: se uno straniero è in regola con quelle norme e può varcare i cancelli di ingresso, circola liberamente in tutto il Paese.

La discriminazione fu abolita da Lincoln con la guerra di secessione: la vittoria contro i sudisti ebbe come risultato costituzionale l’eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Quanto alla xenofobia, tutte le associazioni razziste, a cominciare dal Ku Klux Klan, furono soppresse e la loro ricostituzione vietata. Provvedimenti come quelli di erigere muri e sbarrare i confini da parte di singoli Stati dell’Unione sarebbero immediatamente e concretamente vietati, la polizia locale sostituita da quella federale alla quale ove si dimostrasse necessario si affiancherebbero anche reparti dell’esercito degli Stati Uniti.

Quanto sta accadendo è la vergogna d’Europa, non solo per gli Stati xenofobi e dittatoriali, ma per tutti, che dopo settant’anni dal manifesto di Ventotene non sono ancora riusciti a dar vita ad una Federazione europea. Vergogna.

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La riforma costituzionale del Senato della Repubblica italiana è un tipico labirinto per uscire dal quale ci vuole il filo di Arianna. Il mito racconta che due personaggi tengono quel filo: Arianna e Teseo. Tutti e due si salvano e si mettono provvisoriamente al sicuro ma, arrivati all’isola di Nasso, Teseo abbandona Arianna; lei viene violentata dal dio Dioniso che poi la trasforma in una costellazione. Il filo resta per terra in quell’isola sperduta senza più nessuno che lo tenga in mano.

I lettori forse si domanderanno che cosa c’entra il mito del labirinto con la riforma del Senato. C’entra, eccome. Nel labirinto dell’articolo 2 della legge di riforma Teseo è Renzi e Arianna è Bersani. Se l’accordo che si profila tra la maggioranza renziana e la minoranza andrà a buon fine, il Pd uscirà dal labirinto ma alla fine Renzi (Teseo) abbandonerà Bersani (Arianna) che finirà in cielo, cioè fuori dalla vera partita politica. Il filo però non sarà abbandonato per terra ma i suoi due capi resteranno in mano a Renzi.

Personalmente la vedo così. Può darsi che sia un bene per il Paese, Renzi resta il capo indiscusso e unico, la minoranza è fuori gioco ma onorata e luccicante come le stelle. Il guaio è che il labirinto resta in piedi. Chi ci sta dentro? Non certo la minoranza che riposa nell’alto dei cieli. Dentro ci sta di nuovo Renzi alle prese con l’Europa e soprattutto con quelli che l’Europa la vorrebbero federata. Il nostro presidente del Consiglio no, vuole mantenere i poteri deliberanti in mano agli Stati nazionali.

Del resto non è il solo: quasi tutti i capi di governi nazionali non vogliono essere declassati. A volere l’Europa federata sono rimasti in pochi: uomini di pensiero, vecchi ma anche molti giovani che detestano frontiere e localizzazioni; Draghi con la sua Banca centrale; molti presidenti delle Camere europee, a cominciare dalla nostra Laura Boldrini; forse Angela Merkel, consapevole che anche la Germania in una società sempre più globale finirebbe col trasformarsi da nave d’alto mare in un barcone sballottato dai flutti.

Tutto è dunque appeso al filo di Arianna perché se è vero che l’Italia è un labirinto, molto più labirintica è l’Europa. Un capo del filo per uscire dal labirinto europeo è in mano alla Germania, l’altro capo dovrebbe essere il popolo europeo a tenerlo, il quale però non dimostra alcun interesse a questa vicenda. Ci vorrebbero all’opera partiti europeisti e questo avrebbe dovuto essere il compito anche del Partito democratico italiano.

Questo scenario è affascinante ma anche assai fantomatico. Storicamente somiglia al Risorgimento italiano: chi avrebbe mai pensato nel 1848, che il Piemonte di Cavour da un lato e Giuseppe Garibaldi dall’altro avrebbero fondato lo Stato unitario italiano? Nessuno l’avrebbe pensato in un Paese diviso in sette o otto staterelli, con un popolo fatto di plebi contadine e d’una borghesia appena nascente e interessata più a progetti economici che sociali e politici? Invece accadde, in tredici anni. Chissà che il miracolo non avvenga anche nell’Europa di domani. Tredici anni sono un lampo anche se sarebbe meglio farlo prima.

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Ancora qualche parola sulla diatriba riguardante la riforma del Senato. L’archivio storico della Camera dei deputati è molto solerte nello studio dei documenti in sue mani e non rifiuta, se richiesta, di darne notizia al richiedente. Personalmente avevo un vago ricordo di un documento che rimonta ai tempi del governo Dini. Il nostro giornale ne aveva dato notizia a quell’epoca. Comunque adesso ho potuto rileggerlo e merita che i nostri lettori ne conoscano la parte essenziale. Si tratta di una proposta di legge il cui contenuto è rappresentato da queste parole: “La democrazia maggioritaria deve dispiegarsi appieno per quanto riguarda le scelte di governo, ma deve trovare un limite invalicabile nel rispetto dei principi costituzionali, delle regole democratiche, dei diritti e delle libertà dei cittadini: principi, regole, diritti che non sono e non possono essere rimessi alle discrezionali decisioni della maggioranza ‘pro tempore’”. La proposta fu firmata da una settantina di parlamentari, tra i quali Napolitano, Mattarella, Leopoldo Elia, Piero Fassino, Walter Veltroni e Rosy Bindi. La data è del 28 febbraio 1995.

Questa proposta non fu trasformata in legge e dopo alcuni mesi Dini si dimise, ma il suo valore resta. E se fosse ripresentata oggi? Chi la firmerebbe? E la riforma del Senato che non si limita a puntare sull’elezione indiretta dei componenti ma ne riduce il numero rendendolo insignificante nei “plenum” dove la Camera conta su 630 rappresentanti e ne riduce soprattutto le attribuzioni legislative ben oltre la questione della fiducia al governo riservata alla sola Camera? Reggerebbe questa riforma di fronte ad una legge come quella proposta nel 1995?

Quanto alla legge elettorale che prevede il premio alla lista che avrà il quaranta per cento dei voti espressi, è la prima volta che questo accade; fu solo la legge (fascista) di Acerbo del 1923 ad accordare il premio di maggioranza ad un partito ben lontano dall’avere ottenuto la maggioranza assoluta. Non è anche questa – anzi soprattutto questa – una stortura istituzionale su un sistema monocamerale con gran parte dei suoi componenti nominati dal governo?

Siamo in presenza d’una politica che sta smantellando il potere legislativo a favore d’un esecutivo dove il gruppo di comando si compone
di non più d’una decina di persone. Non è una oligarchia ma un cerchio magico di infausta berlusconiana e bossiana memoria.

Arianna sta tra le stelle e le nuvole del cielo, forse era meglio che non si fosse messa in viaggio e tenesse ancora un capo di quel filo.

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