Oggi lunedì 28 settembre 2015, lunis de cabudanni

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- Da La Nuova Sardegna, lunedì 28 settembre 2015

I PROFUGHI E IL FUTURO. UN’EUROPA DEBOLE CHE PERDE OPPORTUNITA’
L’incapacità costante di trovare una risposta unitaria alle migrazioni dei nostri tempi Un continente non più protagonista
di Alessandro Aresu
CAGLIARI In genere sentiamo parlare di Standard & Poor’s per le “pagelle” degli Stati, i giudizi sul rating sovrano. Invece, l’agenzia di rating ha pubblicato di recente uno studio sull’impatto della crisi dei rifugiati in Europa. L’agenzia afferma che non ci saranno implicazioni sul giudizio verso la Germania o altri paesi dell’Unione europea per l’accoglienza dei rifugiati dalla Siria o da altri paesi del Medio Oriente e dell’Africa. La politica e i rifugiati. Ma il punto più interessante riguarda la “politica della questione dei rifugiati”. Secondo Standard & Poor’s, se gli Stati adotteranno una politica di corto respiro e porranno ostacoli a un’adeguata risposta collettiva, questo potrà influire negativamente sui rating sovrani dell’Unione europea in una futura crisi finanziaria. Quando è in gioco la capacità di decisione collettiva dell’Europa, quando è in gioco la capacità politica dell’Europa, le sue crisi non sono separabili. Nel numero di Limes di giugno, dedicato alle migrazioni, c’è una citazione meravigliosa: «Ognuno ha lasciato la sua casa per una ragione o per l’altra. Questo, però, è certo: che nessuno è rimasto nel luogo dove è nato. Incessante è il peregrinare dell’uomo. In un mondo così grande ogni giorno qualcosa cambia». Sono parole scritte circa duemila anni fa da Seneca, nato a Cordova, mentre si trovava in esilio in Corsica. I cambiamenti del mondo oggi sono così profondi da sembrarci terribili, soprattutto nell’arco di crisi che parte dal Mali, investe tutto il Sahel e il Corno d’Africa e coinvolge pienamente l’instabilità del Medio Oriente, fino all’Afpak. La guerra a pezzi. È per questo vasto territorio che Papa Francesco ha usato l’espressione “terza guerra mondiale a pezzi”. Sulle sponde del Mediterraneo e sulle rotte che giungono al Mediterraneo dall’Africa proliferano gli Stati falliti e gli Stati fragili. L’autore della profezia della “fine della storia”, Francis Fukuyama, oggi ha cambiato idea davanti alla Libia, «il cui problema fondamentale è la mancanza di uno Stato, cioè di un’autorità centrale che può esercitare un monopolio della forza legittima sul territorio, per mantenere la pace e far rispettare il diritto». Quattro milioni di rifugiati siriani sono giunti soprattutto in Turchia, Giordania, Libano. In quest’ultimo paese, i rifugiati sono oggi un quarto della popolazione complessiva, mentre una crisi politica si sovrappone alla difficoltà dello Stato di dare servizi, la “crisi dei rifuti”. La Giordania, messa duramente alla prova dalla crisi siriana, ha problemi storici in materia idrica. Il nostro primo dovere, davanti alle crisi mediterranee, è quello di conoscere questi problemi. Non possiamo permetterci l’ignoranza. Un continente vecchio. Pensiamo all’Africa, a chi arriva al Mediterraneo attraverso le rotte terrestri, spesso disperate, del continente. Il 10% delle nascite di tutto il mondo, nel 2050, avverrà in Nigeria. In quel paese, un milione e mezzo di bambini ha già lasciato la sua casa per via di Boko Haram. Qual è lo stato dei diritti umani in Eritrea e nel Gambia? E cosa fanno i trafficanti di uomini ad Agadez, in Niger? Essere europei, oggi, vuol dire saper rispondere a queste domande, più che lasciarsi andare ad emozioni o a riflessioni apocalittiche. L’Europa è una potenza in declino e non è un vero e proprio “attore” della politica internazionale per tre ragioni principali. La prima è la demografia: nel 2050 un terzo della popolazione italiana e tedesca avrà almeno 65 anni, paragonata a un quinto del Nord America. La campana suona anche per l’Europa orientale: secondo le stime, la Polonia nel 2050 avrà 32 milioni di abitanti, rispetto agli attuali 38. Ai confini europei, i cambiamenti demografici influenzano già la Turchia, paese molto problematico per le crisi mediterranee. Infatti, la popolazione dei curdi, pur privi di uno Stato, è e sarà in netto aumento rispetto al resto della Turchia. Non a caso i curdi, mentre combattono davvero il terrorismo di Daesh, hanno ottenuto una rappresentanza parlamentare e saranno un fattore importante nelle nuove elezioni di novembre. L’Europa divisa. Comunque, quando parliamo di demografia non dobbiamo dimenticare che non dobbiamo affrontare solo aspetti economici e di sostenibilità dei sistemi previdenziali, ma anche aspetti politici, sociali e culturali legati ai flussi migratori, che vanno considerati e governati. Il secondo punto di debolezza dell’Europa riguarda la diversità interna e l’incapacità di agire collettivamente. Quando la diversità è pluralismo e arricchimento, è senz’altro positiva. Quando la diversità diventa mero spirito di fazione, come insegnavano i Padri Fondatori degli Stati Uniti, è una forza deteriore, che mette in crisi l’esistenza di un’unità politica. Prima del “risveglio” di quest’estate, si è trattato il Mediterraneo come un problema italiano o greco, e nulla garantisce che questo risveglio sia definitivo. I paesi europei sono più bravi a parlare di risvegli che a svegliarsi. Se i paesi dell’Europa centro-orientale continueranno a ritenere il Mediterraneo un fattore secondario rispetto a un’impossibile nuova guerra fredda con la Russia, l’Europa potrà avere soltanto un futuro triste, caotico e frammentato. Il terzo elemento di debolezza dell’Europa è la scarsa fiducia che abbiamo in noi stessi e in quello che facciamo. Pericoli o opportunità? Nell’ultimo decennio, grazie ai finanziamenti dell’Unione europea sulla cooperazione, quasi 14 milioni di bambini hanno potuto frequentare la scuola elementare e più di 70 milioni di persone hanno avuto accesso ad acqua potabile. Invece di ragionare, spesso passiamo in modo schizofrenico dalla demonizzazione alla santificazione dei politici: pensiamo ad Angela Merkel dalla crisi dell’euro alla crisi dei migranti. Anche in Italia, vediamo il Mediterraneo quasi esclusivamente come pericolo e poco come opportunità di cooperazione culturale ed economica, soprattutto per il nostro Sud. Infine, presi dall’urgenza della paura, spesso dimentichiamo la visibilità del bene. Gli italiani da ringraziare. Dimentichiamo di fermarci un attimo per ringraziare gli italiani in prima linea: i volontari, gli operatori dei comuni e delle associazioni, la Marina Militare. Forse proprio per questo le parole semplici di Papa Francesco ci colpiscono, come la sua domanda all’ammiraglio Felicio Angrisano: «Ma lei ha mai pensato quanti bambini sono nati grazie al vostro lavoro?».

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