ROMPERE gli SCHEMI e AZZARDARE PER la SARDEGNA

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola

Necessaria una differente lettura dei fenomeni migratori. Quando un problema può diventare una soluzione.

Notizie “strane e curiose” talvolta si mescolano alle notizie che tutti si aspettano di trovare nei giornali e che solitamente scorrono sotto i nostri occhi pressoché inosservate. Una di queste racconta che il 21% dei lavoratori con cittadinanza non italiana, nati prima del 1949, abbiano versato contributi all’Inps per 3 miliardi di euro senza ricevere alcun trattamento pensionistico avendo abbandonato il paese prima di aver maturato i requisiti minimi per percepire la pensione. Lo ha affermato recentemente il presidente dell’INPS Tito Boeri in occasione della presentazione del rapporto Worldwide INPS. Proiettando il dato del 21% di individui stranieri che non percepiscono la pensione sulle generazioni di nati tra il 1949 e il 1981 si calcola una disponibilità finanziaria presso l’INPS, un vero tesoretto che raggiunge i 12 miliardi di euro. Un montante contributivo che non darà luogo a pensioni. Pensiamoci tutte le volte che qualcuno parla dei 35 euro al giorno che i migranti riceverebbero dallo stato italiano sottraendoli ai “nostri “ soldi. L’apporto dei migranti, principalmente di quella parte che entra in rapporto con il nostro sistema produttivo (lavoratori regolari, lavoratori in nero, operatori nel sociale e nell’assistenza agli anziani), non rappresenta soltanto un costo per la società, non è soltanto una fonte di problemi. Talvolta fenomeni sociali di tale portata, quali i movimenti migratori in atto, possono concorrere direttamente o indirettamente allo sviluppo sociale della collettività. Possono diventare la soluzione o una parte della soluzione di alcuni problemi del nostro ordinamento sociale in relazione a fenomeni epocali in atto quali il crollo delle nascite, l’invecchiamento della popolazione, lo spopolamento dei paesi e delle città in vaste aree del nostro territorio, la necessità di sostituire figure professionali che rischiano la scomparsa o il drastico ridimensionamento quantitativo. E’ ormai noto a tutti che il profilo demografico del nostro paese subisce un declino da alcuni decenni. Il nostro tasso di fecondità è molto al di sotto della soglia di stabilità della popolazione. Ci si attende, sulla base di autorevoli studi, una contrazione della popolazione europea di oltre 30 milioni di abitanti intorno alla metà del secolo. In Sardegna delle semplici escursioni in macchina nel territorio, appena fuori dei pochi grandi centri abitati, una visita a tanti nostri paesini che ormai ospitano quasi esclusivamente pochi anziani, fornisce un quadro esaustivo della crisi demografica dell’isola e dei fenomeni di desertificazione in atto. Molti osservatori cominciano a riflettere seriamente sul fatto che i movimenti migratori in atto generati da guerre e miseria piuttosto che rappresentare un problema non possano configurarsi come strumento per la risoluzione di alcuni problemi del vecchio continente. Sarebbe per esempio interessante realizzare una proiezione demografica per stabilire che impatto avrebbe nella nostra isola l’integrazione permanente di tre o quattro nuclei familiari in ciascuno dei nostri comuni che si vanno sempre più spopolando. Nascerebbero bambini in aree con natalità prossima allo zero, si potrebbero riaprire piccole scuole chiuse per mancanza di alunni, recuperare e riconvertire il patrimonio edilizio, si potrebbero eseguire grandi opere agricole per contrastare l’abbandono delle campagne, la desertificazione dei suoli e i disastri idrogeologica, si potrebbe integrare con nuova forza lavoro il comparto agro-pastorale nel quale l’età media degli operatori e sempre più elevata. Ci vogliamo pensare o no a qualcosa di diverso e di migliore rispetto ai campi di accoglienza e all’impiego di lavoratori-schiavi nelle campagne?
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- Le foto sono di Macrì Sanna.

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