Chimica verde in Sardegna. Dal fallimento annunciato del progetto Matrìca l’ennesima “cattedrale nel deserto”? Le responsabilità di Eni

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di Vanni Tola

Grandi manovre intorno al piano per la chimica verde – Il disimpegno dell’Eni con la cessione di Versalis. Mobilitazione operaia per la difesa dell’occupazione a Portotorres. Sciopero nazionale di otto ore il 20 Gennaio.

L’impianto di Matrìca per la trasformazione del vecchio polo petrolchimico di Portotorres in un moderno impianto per la chimica verde è ancora fresco di vernice e di recente inaugurazione quando si apprende che l’Eni, capofila del progetto, sta per cedere il 70 % del capitale della società Versalis – uno dei pilastri portanti del progetto Matrìca – Chimica Verde – a un fondo di investimenti internazionale. Operazione che, se realizzata, potrebbe significare la fine del progetto Matrìca, l’annullamento dei finanziamenti programmati, il mancato completamento degli impianti, il licenziamento per gli operai attualmente impiegati nello stabilimento di Portotorres. Il progetto di riconversione industriale del vecchio polo petrolchimico concordato nel non lontano giugno del 2011 per il quale sono stati finora investiti e spesi 200 milioni di euro, diventerebbe l’ennesima incompiuta nell’area industriale del nord Sardegna. A monte ci sarebbe la scelta di Eni, comune a molte altre multinazionali del settore petrolifero, di svincolarsi dal comparto per destinare le proprie risorse alle attività energetiche, alla produzione e distribuzione di energia. Ad essere messi in discussione quindi sarebbero l’insieme dei progetti per la riconversione e il rilancio della chimica nazionale, dei quali il progetto Matrìca è una componente, e neppure quella più importante. Una questione nazionale quindi che sta determinando la mobilitazione operaia anche in altre regioni. Cosa possa aver indotto il colosso chimico e rivedere cosi drasticamente i propri progetti per la chimica e quello per la chimica verde in Sardegna non è facile comprenderlo, siamo soltanto nel campo delle ipotesi. Sicuramente c’entra la congiuntura internazionale relativa al crollo del prezzo del petrolio che sta rivoluzionando le politiche energetiche ed il mercato internazionale del greggio e orientando le multinazionali del petrolio a rivedere le proprie strategie di investimento. Nel caso specifico del progetto Matrìca potrebbe aver avuto un ruolo anche il sostanziale fallimento di quella parte del progetto relativa al reperimento della materia prima in loco. Si ipotizzava la messa a coltura con il cardo di qualche migliaio di Ha di terreni incolti (senza nulla togliere alle aree già destinate ad altro utilizzo agricolo). In realtà a tutt’oggi non si è andati oltre i 550 Ha di messa a coltura di cardo (fonte Coldiretti) ed é noto che l’approvvigionamento di materia prima in aree lontane dall’impianto o mediante importazione non sarebbe assolutamente conveniente. Un fallimento nella comunicazione e nell’informazione ai lavoratori delle campagne sui quali sarebbe necessaria una maggiore riflessione. Ha certamente inciso la campagna allarmistica sul “pericolo” della monocoltura del cardo in merito alla quale sono state dette poche verità e molte sciocchezze fondate sostanzialmente su pregiudizi di una parte della nostra società. Non si è riusciti a far comprendere ai coltivatori che nessuno chiedeva loro di abbandonare i lavori agricoli tradizionali per sostituirli con la coltivazione del cardo. Nessuno lo ha mai ipotizzato. Si trattava invece di praticare, in aggiunta alle coltivazioni ordinarie, degli interventi colturali nei terreni incolti e nelle aree abbandonate per favorirne il recupero produttivo o fornire materia prima per l’impianto della chimica verde. Neppure le garanzie e gli incentivi finanziari che stavano alla base dell’accordo tra Matrìca e le organizzazioni agricole hanno scalfito luoghi comuni e modalità produttive consolidate e poco inclini a confrontarsi con il nuovo, con i cambiamenti di mentalità e di organizzazione produttiva. Ma anche tale considerazione non ci illumina più di tanto sulle cause che hanno indotto Eni e la sua creatura Matrìca all’abbandono del progetto chimica verde. Non dimentichiamo che si trattava di realizzare, su quello che rimaneva del vecchio petrolchimico un polo di rilevanza internazionale nella produzione di materie plastiche di origine vegetale contemporaneamente all’avvio delle bonifiche dell’intera area industriale e la promozione di nuovi insediamenti industriali per le seconde lavorazioni della materia prima che Matrìca avrebbe dovuto fornire. Un progetto di ampio respiro che non può certo essere accantonato dall’oggi al domani. Per dovere di cronaca pensiamo di dover dare conto anche di una ipotesi particolare sul voltafaccia dell’Eni che circola tra i vecchi lavoratori del petrolchimico, quegli operai che hanno vissuto l’intera esperienza petrolchimica del polo industriale. E’ soltanto una ipotesi tutta da verificare, forse anche un po’ fantasiosa, probabilmente dettata da una certa abitudine a “pensare male” dei potentati economici quali l’Eni. La riferiamo, cosi come l’abbiamo appresa. L’insediamento petrolchimico della Sir e delle sue consociate nell’area industriale di Portotorres ha determinato un inquinamento ambientale e dei territori dell’insediamento di dimensioni quasi incalcolabili. Studi scientifici accreditati parlano di livelli di inquinamento superiori perfino a quelli raggiunti a Taranto. Evidentemente si rende necessario un piano di bonifiche di grandi dimensioni e con costi elevatissimi nella speranza di poter ripristinare, almeno in parte, le condizioni ambientali dell’intero polo industriale. La questione delle bonifiche, o meglio degli enormi costi che una seria bonifica dell’area del petrolchimico comporterebbe, diventa centrale quindi non solo per la salute della popolazione e il recupero dell’integrità ambientale perduta ma anche, e soprattutto dal punto di vista dell’Eni, per gli ingenti capitali da investire. Nelle aree industriali dismesse l’intervento di bonifica deve essere integrale e comporta, come dicevamo, costi molto elevati. Nell’area della vecchia Sir, nel cuore dell’impianto petrolchimico che fu di Rovelli, una delle aree più inquinate in assoluto, non si parla di area dismessa e abbandonata bensì, grazie alla genialata dell’impianto per la chimica verde, di intervento di ristrutturazione industriale. Gli obblighi e i vincoli di bonifica, in questo caso sono molto inferiori. In pratica, afferma la citata “voce di popolo”, costruendo un nuovo impianto (Matrìca) sulle rovine del vecchio petrolchimico, l’Eni avrebbe evitato le costosissime operazioni di bonifica che sarebbe stato necessario affrontare nell’area. Il nuovo e scintillante impianto petrolchimico verde appena inaugurato avrebbe di fatto seppellito l’inglorioso passato del vecchio polo petrolchimico e, con esso, l’inquinamento straordinario ed eccezionale che l’area nasconderebbe. Certo per farlo Matrìca ha speso ben 200 milioni di euro, ma quanto sarebbe costata la bonifica integrale del sito? La cessione di Versalis affermano gli esperti, sarebbe più che sufficiente a far recuperare le somme investite e alla Sardegna resterebbe l’ennesima “cattedrale nel deserto” da gestire. Fantasie? Forse! Ma a costo di apparire ripetitivi non ci stancheremo mai di citare la solita frase attribuita a Giulio Andreotti: “a pensare male si commette peccato, ma spesso ci si azzecca”.

- Approfondimenti. Dossier chimicaverde Aladinews

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