Il maschio debole

di Nicolò Migheli *

Don Piero Corsi esponendo quel volantino in cui accusava le donne di essere corree del loro assassinio si aspettava consensi. Li ha avuti solamente da un sito preconciliare come Pontifex. Il suo stesso vescovo gli ha imposto di togliere quel comunicato delirante e di fare silenzio. Evidentemente le centoventidue donne uccise nel 2012 cominciano a fare notizia. Centoventidue è una cifra enorme in assoluto, se poi la si paragona ai cinquantadue caduti italiani in dieci anni di guerra vera come quella in Afghanistan, si ha la misura della follia di certo mondo maschile. Il fenomeno non è nuovo.

Sino a pochi decenni orsono il codice penale italiano contemplava l’attenuante del delitto d’onore che rendeva il corpo femminile di esclusiva proprietà maschile. La scomparsa di quell’articolo, il nuovo diritto di famiglia, sono il risultato non solo delle lotte delle donne ma anche di una nuova maturità della società italiana. Come tutti i mutamenti che toccano processi di lunga durata i percorsi non sono mai lineari; hanno momenti di rinculo e sacche di resistenza. Gli stessi sistemi religiosi, ben differenti dalla spiritualità, faticano a prendere coscienza della nuova realtà. Organizzazioni che vivono in perenne contraddizione, perché il controllo della sessualità e della morte, sono punto centrale della loro predicazione e ritualità. In quest’ottica il corpo femminile è visto con sospetto se non peggio.

I sistemi religiosi monoteistici sono un tentativo di imbrigliamento del sacro, che non è solo il luogo del positivo ma anche del tremendo. Il sacro è stato da sempre il tentativo delle società umane di trovare risposta ai due misteri fondanti: la nascita e quindi la riproduzione, e la morte. Nella sessualità si è sempre espresso il potere archetipico della donna e la volontà maschile della proprietà. Possedere il corpo femminile era per il maschio controllare la propria discendenza, escludere gli altri maschi per averne certezza. Più discendenti, più ricchezza e più potere. Un ordine che non poteva essere messo in discussione pena le rappresaglie più dure.

Quanto i sistemi religiosi abbiano contribuito alla creazione di quell’immaginario, lo si può rilevare in un “brebu,” – una formula-preghiera- di guarigione dalla mastite, che raccolsi qualche anno fa a Nuxis nel Sulcis. ”Ci fiant tres feminas/ sciaquendi lana in d’unu arriu/ est passau Santu Simoni/ e subitu esti istetiu agrediu/ Labai, labai Santu Simoni/omini mannu e piticu de pessoni/ si de sa pessoni mia s’arrieis?/ Peritu (mastite) si caliri e mai n’di saneis/ Ohi nossi, nosu no s’arrieus/ de sa pessoni bosta/ s’arrieus de sa banidari nostra/ Si de sa banidari bostra s’arrieis/peritu si caliri e ‘ndi saneis.” Il brebu continua con la presa in giro di Sant’Emiliano per la sua statura e per la barba lunga sino al ginocchio. Anche lui fa ammalare le donne di mastite e poi le guarisce quando confessano di ridere della loro vanità. I due santi, alla messa in dubbio della loro autorità e virilità, rappresentate dalla statura e dalla barba, reagiscono togliendo alle donne il loro potere: quello del nutrimento dei loro figli. Uno scontro tra virilità e femminilità dove la prima vuole detenere il controllo della seconda. Le donne, in questo brebu, rinnovano la loro subordinazione, perché solo così possono essere. Per farlo rinunciano a quella che viene definita banidari-vanità. Termine che in altri tempi era sinonimo di seduzione, adescamento.

Don Piero Corsi, di sicuro, non conosce questa preghiera, ma le sue parole hanno raccontato quel conflitto in tutta la sua arcaicità. Solo che oggi, sotto le dubbie apparenze di un atteggiamento puritano, mostrano il maschio debole ed impaurito. Un individuo incapace di rapportarsi con le donne che dispongono del loro corpo e della loro indipendenza. Maschi in crisi, che concepiscono una sola forma di relazione con il femminile: la violenza. Aggressioni che per massima parte avvengono in famiglia. Altra formazione sociale mitizzata dai sistemi religiosi.

Il percorso è lungo, impegna tutti, in particolare le donne per come allevano i loro figli sia maschi che femmine, perché sono loro le artefici della prima socializzazione e della trasmissione dei valori. Tutto ciò non cancella le responsabilità dei maschi. Il mondo è cambiato anche per chi vorrebbe che il tempo si fermasse. In fin dei conti il parroco di Lerici è stato utile, così come lo è Pontifex. Mostrano le nostre contraddizioni. Quello che non si vorrebbe essere. Auguri per un 2013 migliore.

* intervento pubblicato su Sardegnademocratica

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