Terremoto, come un film già visto

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sedia di VannitolaLa sedia
di Vanni Tola
La cronaca del terremoto, l’ennesimo in quelle aree, non ha bisogno di altri commenti. Prontamente i media ci hanno informato nel merito. E’ chiara in noi la gravità dell’accaduto, cresce il numero dei morti e dei feriti, aumenta vertiginosamente il numero dei senza tetto. Si muovono la macchina dei soccorsi e della protezione civile e il volontariato. Negli ospedali si registrano code per donare il sangue e la raccolta di aiuti e di denaro è attivata. Non è il momento delle polemiche e delle analisi ma quello della lotta per salvare vite, soccorrere i feriti e dare ospitalità e sostegno a chi non ha più un alloggio. Resta comunque netta la sensazione di rivedere un film già visto, qualcosa che abbiamo già vissuto in altre circostanze, in altre aree geografiche e con gli stessi drammatici problemi. Diventa quindi inevitabile cominciare a riflettere su alcune questioni fondamentali da approfondire ulteriormente quando la prima emergenza sarà superata. L’Italia è un paese con un alto tasso di pericolo sismico, un paese con vaste aree del territorio fortemente degradate e suscettibili di favorire catastrofi naturali di dimensioni considerevoli, si pensi alle frane e agli smottamenti diffusi. E’ evidente quindi che, pur evitando sterili polemiche e atteggiamenti demagogici poco produttivi, sia necessario riflettere seriamente per individuare valide linee guida per il governo del territorio e la massima protezione possibile dalle catastrofi. E’ vero che un terremoto non può essere previsto con assoluta certezza ma è anche vero che terremoti della stessa entità di quello in corso in questi giorni, in altre aree del pianeta fanno registrare un numero di morti molto esiguo e danni limitati. In un paese cosi esposto a eventi sismici, è inconcepibile che non si sia ancora pensato di estendere a tutte le nuove costruzioni, l’obbligo di adottare criteri costruttivi capaci di contenere l’impatto e i danni dei terremoti futuri che inevitabilmente accadranno. E’ inconcepibile che in nessuna città si pratichi la ristrutturazione ordinaria degli edifici antichi e il consolidamento dei monumenti dimenticando che qualunque edificio realizzato dall’uomo non può essere eterno, prima o poi subirà lesioni, cedimenti, crolli che produrranno danni per le vite umane e l’ambiente. La maggior parte dei Comuni non ha, nelle proprie commissioni edilizie, la figura del geologo e dell’esperto in sismi per garantire la massima sicurezza possibile almeno nelle nuove costruzioni e un’intelligente politica di recupero e consolidamento degli edifici vecchi. Occorre pensarci e agire di conseguenza. Sono necessari provvedimenti governativi che individuino concrete linee guida che vadano di là dell’emergenza. C’è poi da tenere sotto osservazione il meccanismo della raccolta dei fondi per i terremotati. La generosità della gente è sempre considerevole e di questo dobbiamo andare fieri. Ma è anche vero che troppe volte abbiamo assistito al fenomeno dei finanziamenti raccolti utilizzati con grave ritardo e in modo non sempre appropriato a causa dei meccanismi della burocrazia che si trova a dover gestire tale operazione di distribuzione degli aiuti finanziari. Anche in questo caso è necessario imparare dagli errori del passato. Le catastrofi naturali sono un qualcosa di relativamente imprevedibile, una fatalità con la quale convivere, ma sono anche fenomeni da controllare e, per quanto possibile, gestire in condizioni di massima sicurezza. La prevenzione dei rischi, un’attenta politica delle costruzioni di opere e infrastruttura, una politica di governo dei fenomeni naturali che interessano il territorio, sono quindi assolutamente indispensabili e prioritarie.
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norcia675
(Da Il Fatto quotidiano) Norcia esempio virtuoso, senza morti né feriti grazie alla “buona ricostruzione”
Il caso del comune umbro: senza vittime, nonostante sia a soli 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma che ha provocato devastazioni tra le Marche e il Lazio. Qui le case sono state ricostruite, rispettando le disposizioni antisismiche, dopo i terremoti del 1979 e 1997. Il sismologo Boschi: “In Italia si costruisce con criteri antisismici solo dopo un terremoto grave”
di F. Q. | 24 agosto 2016
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Amatrice_distesa-macerie CNG
“(…) una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie”
Comunicato del Consiglio Nazionale dei Geologi
Tortorici: “In Italia in media un sisma di magnitudo superiore ai 6.3 ogni 15 anni”
“Sul nostro Pianeta, si verificano, in media, ogni anno, almeno un paio di terremoti distruttivi ed in Italia un sisma di magnitudo superiore a 6.3. ogni 15 anni in media. Ciò dovrebbe spingere ad una maggiore cultura della prevenzione sismica e della protezione civile”. Lo ha dichiarato Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, commentando quanto sta accadendo in queste ore in Italia.
“È necessario un continuo aggiornamento delle mappe di pericolosità sismica del territorio nazionale – ha proseguito Tortorici – e per far ciò sarebbe indispensabile la presenza dei geologi in ogni comune, con una loro distribuzione accurata sul territorio e non lacunosa come allo stato attuale.
Gli studi di microzonazione sismica, cioè di suddivisione di un dato territorio in zone omogenee sotto il profilo della risposta a un terremoto di riferimento atteso, tenendo conto delle interazioni tra onde sismiche e condizioni geologiche, topografiche e geotecniche locali, hanno dato i loro risultati; infatti, i fabbricati realizzati dopo l’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC) del 2008, hanno meglio resistito alla scossa di questa notte.
La microzonazione sismica ha una importante dimensione “sociale”, perché la conoscenza delle risposte dei vari siti è una condizione imprescindibile per prendere decisioni di governo del territorio. I risultati sono di grande utilità nella: pianificazione territoriale e urbanistica (per orientare la scelta di nuovi insediamenti e infrastrutture, per definire le priorità degli interventi sull’esistente); questo tipo di studi sono il futuro della geologia sismica e della prevenzione dai terremoti.
Ma una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie”
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Amatrice particolare di dipinto Madonna in trono
Citta’ di Amatrice- Lazio-Italy
Dal sito fb Fan di Philippe Daverio
<< Amatrice è la città delle cento chiese, tanti sono i luoghi di culto presenti sul territorio del comune reatino. Dal 2015 è entrata a far parte del Club "I borghi più belli d'Italia per il suo patrimonio storico architettonico che comprende monumenti romani, barocchi e rinascimentali, tra cui vanno ricordate: la Torre civica risalente al XIII secolo e le torri campanarie risalenti al quattrocento della chiesa Sant'Emidio e della chiesa di Sant'Agostino, la chiesa di San Francesco della seconda metà del Trecento con un portale gotico di marmo e contenente nell'abside affreschi del XV secolo, e quella di Santa Maria di Porta Ferrata. Amatrice deve la sua gloria gastronomica ad una tradizione antica; elemento fondante della sua scuola erano e sono le qualità degli ingredienti primari: la carne di primissimo livello, grazie ai pascoli abbondanti dei Monti della Laga, i formaggi conseguenti >> (Nella foto: particolare dell’affresco della Madonna in trono con bambino benedicente)
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Emergenza sisma
emergenza sisma ONG

2 Responses to Terremoto, come un film già visto

  1. […] La sedia di Vanni Tola La cronaca del terremoto, l’ennesimo in quelle aree, non ha bisogno di altri commenti. Prontamente i media ci hanno informato nel merito. E’ chiara in noi la gravità dell’accaduto, cresce il numero dei morti e dei feriti, aumenta vertiginosamente il numero dei senza tetto. Si muovono la macchina dei soccorsi e della protezione civile e il volontariato. Negli ospedali si registrano code per donare il sangue e la raccolta di aiuti e di denaro è attivata. Non è il momento delle polemiche e delle analisi ma quello della lotta per salvare vite, soccorrere i feriti e dare ospitalità e sostegno a chi non ha più un alloggio. Resta comunque netta la sensazione di rivedere un film già visto, qualcosa che abbiamo già vissuto in altre circostanze, in altre aree geografiche e con gli stessi drammatici problemi. Diventa quindi inevitabile cominciare a riflettere su alcune questioni fondamentali da approfondire ulteriormente quando la prima emergenza sarà superata. L’Italia è un paese con un alto tasso di pericolo sismico, un paese con vaste aree del territorio fortemente degradate e suscettibili di favorire catastrofi naturali di dimensioni considerevoli, si pensi alle frane e agli smottamenti diffusi. E’ evidente quindi che, pur evitando sterili polemiche e atteggiamenti demagogici poco produttivi, sia necessario riflettere seriamente per individuare valide linee guida per il governo del territorio e la massima protezione possibile dalle catastrofi. E’ vero che un terremoto non può essere previsto con assoluta certezza ma è anche vero che terremoti della stessa entità di quello in corso in questi giorni, in altre aree del pianeta fanno registrare un numero di morti molto esiguo e danni limitati. In un paese cosi esposto a eventi sismici, è inconcepibile che non si sia ancora pensato di estendere a tutte le nuove costruzioni, l’obbligo di adottare criteri costruttivi capaci di contenere l’impatto e i danni dei terremoti futuri che inevitabilmente accadranno. E’ inconcepibile che in nessuna città si pratichi la ristrutturazione ordinaria degli edifici antichi e il consolidamento dei monumenti dimenticando che qualunque edificio realizzato dall’uomo non può essere eterno, prima o poi subirà lesioni, cedimenti, crolli che produrranno danni per le vite umane e l’ambiente. La maggior parte dei Comuni non ha, nelle proprie commissioni edilizie, la figura del geologo e dell’esperto in sismi per garantire la massima sicurezza possibile almeno nelle nuove costruzioni e un’intelligente politica di recupero e consolidamento degli edifici vecchi. Occorre pensarci e agire di conseguenza. Sono necessari provvedimenti governativi che individuino concrete linee guida che vadano di là dell’emergenza. C’è poi da tenere sotto osservazione il meccanismo della raccolta dei fondi per i terremotati. La generosità della gente è sempre considerevole e di questo dobbiamo andare fieri. Ma è anche vero che troppe volte abbiamo assistito al fenomeno dei finanziamenti raccolti utilizzati con grave ritardo e in modo non sempre appropriato a causa dei meccanismi della burocrazia che si trova a dover gestire tale operazione di distribuzione degli aiuti finanziari. Anche in questo caso è necessario imparare dagli errori del passato. Le catastrofi naturali sono un qualcosa di relativamente imprevedibile, una fatalità con la quale convivere, ma sono anche fenomeni da controllare e, per quanto possibile, gestire in condizioni di massima sicurezza. La prevenzione dei rischi, un’attenta politica delle costruzioni di opere e infrastruttura, una politica di governo dei fenomeni naturali che interessano il territorio, sono quindi assolutamente indispensabili e prioritarie. —————————– (Da Il Fatto quotidiano) Norcia esempio virtuoso, senza morti né feriti grazie alla “buona ricostruzione” Il caso del comune umbro: senza vittime, nonostante sia a soli 17 km in linea d’aria dall’epicentro del sisma che ha provocato devastazioni tra le Marche e il Lazio. Qui le case sono state ricostruite, rispettando le disposizioni antisismiche, dopo i terremoti del 1979 e 1997. Il sismologo Boschi: “In Italia si costruisce con criteri antisismici solo dopo un terremoto grave” di F. Q. | 24 agosto 2016 “(…) una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie” Comunicato del Consiglio Nazionale dei Geologi Tortorici: “In Italia in media un sisma di magnitudo superiore ai 6.3 ogni 15 anni” “Sul nostro Pianeta, si verificano, in media, ogni anno, almeno un paio di terremoti distruttivi ed in Italia un sisma di magnitudo superiore a 6.3. ogni 15 anni in media. Ciò dovrebbe spingere ad una maggiore cultura della prevenzione sismica e della protezione civile”. Lo ha dichiarato Fabio Tortorici, Presidente della Fondazione Centro Studi del Consiglio Nazionale dei Geologi, commentando quanto sta accadendo in queste ore in Italia. “È necessario un continuo aggiornamento delle mappe di pericolosità sismica del territorio nazionale – ha proseguito Tortorici – e per far ciò sarebbe indispensabile la presenza dei geologi in ogni comune, con una loro distribuzione accurata sul territorio e non lacunosa come allo stato attuale. Gli studi di microzonazione sismica, cioè di suddivisione di un dato territorio in zone omogenee sotto il profilo della risposta a un terremoto di riferimento atteso, tenendo conto delle interazioni tra onde sismiche e condizioni geologiche, topografiche e geotecniche locali, hanno dato i loro risultati; infatti, i fabbricati realizzati dopo l’entrata in vigore delle nuove Norme Tecniche sulle Costruzioni (NTC) del 2008, hanno meglio resistito alla scossa di questa notte. La microzonazione sismica ha una importante dimensione “sociale”, perché la conoscenza delle risposte dei vari siti è una condizione imprescindibile per prendere decisioni di governo del territorio. I risultati sono di grande utilità nella: pianificazione territoriale e urbanistica (per orientare la scelta di nuovi insediamenti e infrastrutture, per definire le priorità degli interventi sull’esistente); questo tipo di studi sono il futuro della geologia sismica e della prevenzione dai terremoti. Ma una realistica classificazione sismica del territorio nazionale, una pianificazione urbanistica una progettazione che segua i criteri antisismici non basta. Ma una delle condizioni fondamentali per la sicurezza del territorio è anche una “cultura diffusa” della prevenzione sismica, dal mondo politico ed istituzionale ai bambini delle scuole primarie”. […]

  2. Aladin scrive:

    Articolo di Flavia Perina per La Stampa, ripreso da Linkiesta.
    (26 agosto 2016)

    Dopo l’Aquila, come possiamo fidarci?» chiedono i senzatetto di Amatrice. Ed è la domanda delle domande che comincia a farsi strada a tre giorni dal terremoto, man mano che si posa la polvere delle emozioni.
    Dopo L’Aquila, certo. Ma anche dopo l’Irpinia, dopo la Sicilia, dopo tutto quel che sappiamo di altre scosse e di altre distruzioni, dopo quella indimenticabile telefonata degli imprenditori che ridono al telefono, dopo gli scandali e gli arresti e le interviste giornalistiche a persone rimaste nei container o nei prefabbricati due anni, tre, cinque, dieci.
    La verità è che i modelli di prima assistenza e ricostruzione, in Italia, sono tanti quanti i terremoti: ogni governo ha scelto la linea sua, centralizzando o delegando al territorio, facendo leggi ad hoc o piegando all’emergenza quelle esistenti, favoleggiando di new town o numerando le singole pietre per ricostruire tutto esattamente com’era, ciascuno pressato da visioni e interessi non sempre coincidenti con quelli delle popolazioni.
    Un grafico interessante (fonte: La Stampa) mostra come nella disgrazia ci siano stati figli e figliastri, fortunati e sciaguratissimi: nel Belice, ad esempio, dovranno aspettare il 2028 per veder completata la ricostruzione dopo il sisma del ’68: sessant’anni, se tutto va bene. In Irpinia le previsioni fissano il d-day al 2023, così come in Marche, Umbria, Puglia, Molise, e anche nella celebrata ricostruzione emiliana a quattro anni dalla scossa solo il 48 per cento dei progetti riguardanti edifici pubblici è stato vagliato e un quinto delle 16mila famiglie rimaste senza casa è ancora in mano all’assistenza pubblica.
    Il solo “caso chiuso” è quello del Friuli: due scosse altamente distruttive nel 1976, mille morti, 44 paesi rasi al suolo, ma trent’anni dopo ogni opera è compiuta e non c’è un muro che non sia stato ritirato su com’era.
    Nell’immaginario collettivo, merito dei friulani e del loro carattere specialmente laborioso. Nella realtà, risultato di scelte politiche una volta tanto sagge, e di moltissimi soldi (390mila euro per sfollato) investiti nel recupero di città e borghi.

    Grafico Terremoti
    fonte http://www.lastampa.it
    Più che chiedersi «come possiamo fidarci?» ci sono insomma gli elementi per dire: caro Renzi, scegli il modello Friuli. È il solo che ha funzionato, tra l’altro con una minima necessità di interventi legislativi da Roma: solo sei, un record. Il fatto è che in Friuli una Dc preoccupatissima di perdere importanti bacini elettorali, scartò fin dai primi giorni le tentazioni della vanità e del gigantismo, quelle – per intenderci – che hanno fregato Silvio Berlusconi quando all’Aquila si vide nume tutelare di una città di fondazione nuova di zecca, una Milano Due formato Abruzzo, magari coi laghetti e i prati all’inglese, senza intuire che la gente è affezionata alle sue pietre, ai suoi vicoli, persino alle sue buche, e che quel mirabolante progetto di ricostruzione-lampo sarebbe diventato presto un incubo.
    Una suggestione simile fregò l’Irpinia, che i governi dell’epoca immaginarono di trasformare in area industriale d’eccellenza, in una Rivoli, in una Grugliasco, in una Detroit, spalando soldi in un sistema che non sapeva come usarli, in imprese che fallivano cinque minuti dopo l’incasso, e dando così un impulso formidabile alla camorra più che alla rinascita dei luoghi.
    In Friuli no. In Friuli si disse: rifacciamo tutto com’era. Non una pietra in più ne’ una in meno. E la cosa ha funzionato, seppure attraverso “strappi” che all’epoca sembrarono addirittura autoritari, come la requisizione di migliaia di roulotte in tutta Italia nei giorni dell’emergenza e l’esproprio pubblico di interi paesi durante la ricostruzione (successe a Venzone), per accelerare i tempi dei lavori e impedire alla burocrazia di impantanare le pratiche di singoli residenti.

    Per la ricostruzione post-sisma c’è un solo modello che ha funzionato davvero: quello del Friuli. Solo sei interventi legislativi, nessun gigantismo inutile, solo la volontà di rifare tutto com’era. È stato un successo
    All’altro capo di un immaginario grafico dell’efficienza post-terremoto, dal lato degli esempi negativi, delle cose da non ripetere mai più, c’è il Belice. 14 paesi distrutti nel 1968, novantamila senzatetto e un conto degli sprechi perso nei rivoli delle mille ragionerie che gestiscono fondi pubblici. Ancora nel maggio scorso i sindaci dell’area chiedevano 150 milioni di euro per completare le opere di edilizia pubblica e 280 milioni per l’edilizia privata.
    Coperta d’oro come mai nessuna area italiana è stata, la valle di Gibellina dovrebbe essere la nostra California, invece resta una delle zone più depresse d’Italia e persino il J’Accuse del presidente Sandro Pertini, pronunciato dopo un altro grande terremoto, quello in Irpinia, è ricordato più per la gag che ne tirò fuori Massimo Troisi che per le conseguenze pratiche.

    Anche lì, in Sicilia, si pensò di sostituire alle case di tegole e pietra villette in stile anglosassone e sperimentare l’utopia di teorie sociali e modelli urbanistici che all’epoca andavano per la maggiore. Le tipologie architettoniche usate dai progettisti dello Stato guardavano alla Danimarca, all’Olanda, alla Svezia, anziché alla cultura mediterranea. Teoricamente efficientissime: tutti i centri nuovi dovevano avere scuola, centro sociale, chiesa, sede comunale, strade dimensionate sul numero di abitanti. In pratica, un disastro. Il Belice è oggi un agglomerato periferico senza identità, semideserto perchè nessuno può viverci bene, brullo perchè il clima ha disseccato gli inimmaginabili giardinetti all’inglese delle tristi villette a schiera, prova provata dell’assoluta idiozia di fare tabula rasa del passato e di introdurre identità posticce in luoghi che ne hanno una loro da secoli. E quelle case ricostruite “a norma”, per lo squallore del contesto, hanno il valore più basso d’Italia: dai 300 ai 600 euro al metro quadro.

    Lo spreco di denaro, l’arricchimento delle mafie, le ruberie, sono cosa grave ma il peggio è l’annientamento di un modo di vivere che rendeva persino quella zona di pastori e agricoltura rurale speciale, vivibile, amata da chi ci abitava e interessante per chi ci passava per caso.
    E questo è il rischio da scongiurare ad Amatrice oggi e ovunque, domani, la terra tornerà a tremare: lo spettro di quel che Marc Augè ha chiamato non-luogo, contrapponendolo ai luoghi antropologici, cioè identitari, relazionali, storici, quelli dove si possono mettere radici e non soltanto tirare avanti in attesa di qualcosa di meglio.
    POLITICA
    L’unica vera emergenza italiana? Il terremoto, e non ce ne occupiamo

    di Flavia Perina

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