Terremoto, Renzo Piano: «Incentivi e bonus casa per mettere in sicurezza l’Italia fragile»

Terremoto Amatrice«Parlare di fatalità è un torto all’intelligenza, dobbiamo procedere con lavori adeguati. E rifacciamo tutto dov’era: sradicare la gente aggiungerebbe sofferenza a sofferenza»
di GIANGIACOMO SCHIAVI su Corriere.it

«Davanti alla dignità e al coraggio di questa gente prendiamoci un impegno per il futuro: la messa in sicurezza del territorio oggi è un dovere civile, politico e morale».

Renzo-Piano-a-12-ora-29-nov-15Renzo Piano, architetto e senatore a vita. Si dice sempre così, dopo.
«Per la verità è stato detto tante volte, prima. Ma non si è voluto ascoltare».

Irresponsabilità?
«Siamo eredi, indegni, di un grande patrimonio che ci è stato lasciato. Indegni perché non lo proteggiamo. Non ascoltare è colpevole. Davanti a catastrofi così non si può parlare di fatalità».

Non sempre i terremoti sono prevedibili.
«La natura fa il suo corso, è indifferente alle nostre sofferenze. Ma noi abbiamo una grande forza: l’intelligenza. Parlare di fatalità è fare un torto all’intelligenza umana. La storia insegna: ci siamo sempre difesi, con ripari, fortilizi, magie. Tocca a noi, al nostro senso di responsabilità, mettere la giusta energia nella messa in sicurezza del territorio».

Dobbiamo difenderci meglio…
«Ma non l’abbiamo fatto. Dove vengono alzate le difese si limitano i danni. A Norcia, per esempio, il sisma non è stato disastroso come nei paesi vicini. Perché sono stati fatti i lavori adeguati. Dopo gli ultimi terremoti si è agito bene. Non occorre cercare il Giappone o la California per trovare esempi imitabili. Ogni volta che è stato fatto uno sforzo, c’è stato un risultato positivo».
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Architetto Piano, davanti ai morti, alla disperazione dei sopravvissuti, allo smarrimento degli sfollati, allo straordinario lavoro dei soccorritori, lei dice: più che parole servono risposte. La prima?
«Non si deve allontanare la gente da dove ha vissuto. Amatrice, Pescara del Tronto, Arcuata, Accumoli, Grisciano: bisogna ricostruire tutto com’era e dov’era. Sradicare le persone dai loro luoghi è un atto crudele. Vuol dire aggiungere sofferenza alla sofferenza».

La pensa così anche il governo. E finalmente non ci sono polemiche.

«Mi fa piacere. Se cerchi un uomo c’è sempre una casa. Bisogna ricostruire tra le pietre, le soglie e la gente che la abita».

I paesi di cui parliamo sono distrutti.
«L’anima dei luoghi non si può cancellare. Chi ha subito un trauma terribile deve poter tornare a vivere dove è sempre stato. Né container né tendopoli».

Come dovrebbe essere il cantiere della ricostruzione?
«Un cantiere leggero. Superata la prima fase, si devono prevedere abitazioni montate nella zona sismica, strutture temporanee, non definitive. Si possono fare in poco tempo case di legno, a 600 euro al metro quadrato. Come a Onna, in Abruzzo. Finita la ricostruzione si ricicla tutto: il terreno occupato poi torna a essere campo di grano o pascolo».

Molti sfollati dormono in auto, accanto a quel che resta della loro abitazione.
«È un attaccamento che commuove. La gente vuole restare lì, per contrastare il senso di abbandono».

Così la ricostruzione non rischia di essere più lenta?
«I tempi del cantiere leggero sono più lunghi, questa è un’operazione sottile, quasi omeopatica. Un rammendo, che si avvicina al mio impegno di senatore sulle periferie. Sicurezza, terremoto, dissesto idrogeologico si portano dietro un’idea di fondo comune: quello di ricucire senza distruggere, la leggerezza come dimensione tecnica e umana».

Ci sono precedenti?
«Quarant’anni fa per l’Unesco ho lavorato con Gianfranco Dioguardi al cantiere sperimentale per il recupero dei centri storici. L’idea base aveva a che fare con la scienza medica: usare la diagnostica per fare interventi meno invasivi possibile, come con la microchirurgia».

Sarà difficile ricostruire i luoghi com’erano prima.
«Difficile, certamente. Ma possibile».

Sarà ancora più difficile lanciare una grande opera di manutenzione per tutto il Paese.
«Bisogna cominciare. Prendiamo in carico il lascito che abbiamo ricevuto dal passato e occupiamocene seriamente».

Da dove cominciamo?
«Prendiamo dal patrimonio pubblico: compito immediato dello Stato è quello di mettere in sicurezza scuole e ospedali. La legislazione c’è. Esistono le leggi per costruire in modo antisismico. Bisogna farle rispettare. Bambini e malati vanno protetti. Il governo non deve aspettare».

E il patrimonio privato? In gran parte è questo che necessita di manutenzione.
«Serve un programma di investimenti e incentivi. Come quelli che sono stati dati per l’energia. Defiscalizzazioni, agevolazioni, sconti sull’Iva. C’erano gli Ecobonus? Si facciano i Casabonus. All’Italia serve una definitiva messa in ordine, energetica, sismica, idrogeologica. Abbiamo le imprese e le competenze per poterlo fare».

Ci saranno maggiori costi per chi costruisce e per chi acquista.
«Vero: il maggior costo deve essere riconosciuto dallo Stato attraverso una forma di agevolazione. Ma questi sono investimenti che tornano. Non stiamo parlando di lustrini e paillettes. Stiamo chiedendo di rendere sicuro un patrimonio insicuro. Questo può innescare un ciclo virtuoso. Per edilizia e mondo del lavoro. Per le piccole imprese e per quelle più grandi».

Quanto tempo immagina possa servire?
«Un’operazione del genere dev’essere di sistema. Non si fa in un paio d’anni. Servono due generazioni. O anche più. D’altra parte la natura ragiona su tempi molto più lunghi. È importante partire. Sul serio, questa volta».

Dopo ogni disastro, si chiedono piani straordinari di manutenzione del patrimonio edilizio e del territorio. Poi, puntualmente, ce ne dimentichiamo.
«E sbagliamo, facciamo male. Veniamo meno a un nostro dovere. Quello di garantire più sicurezza alle persone e salvaguardare un patrimonio unico al mondo. Oggi non abbiamo alibi. Ce lo chiedono i sopravvissuti, lo impone la storia».

La storia, come ha scritto Emanuele Trevi, citando Voltaire e il terremoto di Lisbona, ci ricorda una lunga imperizia...
«Il nostro territorio va difeso. Lo chiede da anni. Domani si dovrà poter dire: bello, buono e solido. La nostra bellezza è un valore profondo. La speranza che ci deve guidare, dopo le lacrime e quei tanti, troppi morti, è quella di una grande operazione per il futuro: cancellare il fantasma della fatalità, tutelare le vite umane, rendere meno fragile questa grande bellezza».

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