RAZZISMO A CAGLIARI NELLE SCUOLE

Vignetta facciabuco com

di Piero Marcialis

Nessuna meraviglia che a Cagliari, in una scuola privata (anche se… ma di questo poi), si trovino tracce consistenti di razzismo.
Certo. è ancor più doloroso che questo coinvolga bambini, in una stridente contraddizione tra i fini dell’educazione e la lezione infame che viene loro impartita, vittime tutti i bambini che la subiscono, sia quelli che ne sono bersaglio, sia quelli che ne sono soltanto spettatori, più o meno già condizionati dai discorsi familiari.
Però, e c’è un però, non atteggiamo lo sguardo a stupore: noi qui? Di questi tempi? A Cagliari? Civili come siamo?
Gratta un po’, il razzismo è presente e diffuso, non residuale, non relegato ai discorsi di vecchi bacucchi allevati ai tempi del fascio, non isolato nelle case dove i libri sono soltanto decorativi, edizioni patinate di pensieri già masticati nei salotti televisivi.
No, il razzismo è radicato e praticato.
Risiede nel disprezzo per i poveri, nell’identificazione del valore delle persone con il loro stato patrimoniale ed estende la sua giurisdizione al colore della pelle, alla diversa religione, alla diversità sessuale.
Certo, il razzismo ha date storiche che si possono citare, ma solo per confermarne il procedere già in tempi lontani.
Il razzismo dei conquistatori verso noi sardi, popolo di selvaggi, di ribelli da impiccare; il razzismo dei sardi colonizzati delle città verso la gente di campagna, contadini e pastori, il razzismo dei quartieri “alti” verso quelli “bassi”.
Non facciamo finta di non saperlo, di non accorgercene, di scoprirlo con stupore in episodi eclatanti.
Meditiamo, facciamo memoria, dalla storia antica alle nostre personali esperienze.
Non c’è forse una fetta consistente di sardi disposta a mettersi a disposizione dei padroni di turno per disprezzo verso il resto della società sarda?
E se tra noi ci sono coloro che disprezzano i sardi stessi, che animo possono avere verso quanti vengono da fuori, poveracci o anche no, ma comunque di pelle diversa?
Non andarono poveracci sardi ad ammazzare poveracci africani? E che pensavano, per non sentirsi in colpa, di quelli che ammazzavano se non che erano esseri inferiori, animali o poco più, diversi dalle persone perfette, gente dal fiato orribile, dal sudore repellente, dalla pipì infetta?
Non ci furono quelli che accolsero con soddisfazione le leggi fasciste sulla razza e le trovarono soddisfacenti, persino scientificamente fondate?
Che educazione diedero ai loro figli e nipoti se ne avevano? ai loro scolari se erano insegnanti?
Noi lo percepimmo fin dalle scuole elementari negli anni ’50, quando nelle stesse classi venivano bambini con le scarpe nuove e bambini senza scarpe o con le scarpe rotte e, “naturalmente”, finivano agli ultimi banchi,
Quelli che nel tema in classe “descrivi la tua casa” scrivevano “è uno stanzone per dormire con la cucina e il cesso in fondo” e venivano corretti “si dice camere da letto, si dice bagno”. Quelli che parlavano sardo ed erano oggetto di colpi di bacchetta “parla italiano!”
E alle scuole medie e al ginnasio non c’era forse qualche professore che chiedeva a ciascuno “che mestiere fa tuo padre?” e a chi rispondeva “il contadino” replicava “e allora perchè non vai a zappare?”
Quando qualcosa di spiacevole accadeva in classe i primi indicati come colpevoli erano quelli dei quartieri bassi o dei paesi dell’interno, e venivano prontamente spediti dal preside con la raccomandazione “gentaglia di S.Avendrace, di S.Elia, de Is Mirrionis”.
E se nell’androne del liceo, all’entrata tumultuosa degli studenti, il monsignore insegnante di religione fermava il vocìo per arringare la plebaglia sulla bellezza del silenzio e della meditazione, la pernacchia fulminante che partiva era subito attribuita ai reietti e agli umili, anche se era partita da qualche figlio di papà che avrebbe finito gli studi nelle scuole private.
All’Università non fu per caso che allora quelli della mia generazione denunciarono il carattere classista della scuola, lottarono per il diritto allo studio di tutti, e non fu per caso che si levò l’indignazione dei “benpensanti” e che tutti i governi col consenso di tanti mandarono la polizia a mettere a posto le cose, e i fascisti locali organizzarono squadracce malintenzionate al confronto democratico.
Tutto ciò non nelle scuole private, quelle erano oasi per ricchi e per i figli degli onorevoli, ma nella scuola statale e nell’epoca in cui non arrivavano famiglie straniere con figli di pelle scura. Il razzismo c’era.
E volete che non ci sia oggi? E che non ci sia anche di più nelle scuole private, dove chi può paga per tenere i propri pargoli al riparo dal contagio coi poveri e coi sudori di pelle diversa?
E queste scuole private sono, alla faccia della Costituzione, finanziate dallo Stato, e sono, alla faccia della cristiana pietas, di “ispirazione” cattolica e come tali gestite, con misteriosi criteri contrattuali e decisionali.
Certo, è positivo che le suore di quell’istituto abbiano respinto la pretesa di genitori ignoranti di escludere dalla frequenza i due bambini pietra dello scandalo (ma per chi dà scandalo ai bambini…), ma poi che cosa accade?
Accade che, mentre le scuole statali cadono a pezzi, coi soffitti che crollano anche in assenza di terremoti, in una scuola privata si risolve il problema del razzismo con una stanza da bagno in più, per gli africani, che problema c’è?
Già, che problema c’è?
E’ tutto risolto avrebbero dichiarato le pie suore.
Irrisolta comunque è la lacerazione sociale che vede un’ampia divisione tra razzismo, emerso e sommerso, e democrazia dell’eguaglianza, quella che speriamo prevalga.
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manifesto_antirazzismo

Fonte della vignetta in testa.
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- manifesto_antirazzismo
union esarda su razz a scuola

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