Riusiamo l’Italia. Riusiamo la Sardegna. Praticando l’obbiettivo, noi ripartiamo simbolicamente dalla Scuola Popolare di Is Mirrionis

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con Arkimastria
lampada aladin micromicroCon i giovani amici di Arkimastria del Dipartimento di Architettura di Alghero (nella foto, al centro, la presidente Adele Pinna e il vice presidente Pasquale Lotto) e con il prof. Aldo Lino sosteniamo il “Comitato promotore della Consulta Is Mirrionis-Scuola Popolare” per la partecipazione al Bando Culturability. Abbiamo un buon progetto per la “rigenerazione” del nucleo di quartiere dove c’è lo stabile che ospitò la Scuola Popolare di Is Mirrionis negli anni ’70. Quello che progettò Maurizio Sacripanti e che fu realizzato negli anni Cinquanta. Lo porteremo avanti con il pieno coinvolgimento della popolazione dei quartiere e della città. Di seguito alcune elaborazioni (tratte dal sito “riusiamolitalia”) di cui si avvale il progetto allo stato in fase di definizione.
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DOCUMENTAZIONE da RIUSIAMOL’ITALIA
CANTIERE ANIMATO: NUOVI APPROCCI ALLA PROGETTAZIONE
La progettazione del riabitare uno spazio pubblico si basa sempre più su percorsi che attivano incontri tra persone (spesso giovani) interessati al riuso a fini culturali e sociali di spazi vuoti ed Enti proprietari interessati a questo tipo di “rigenerazioni”, anche temporanee.

Oggi i territori vivono una situazione del tutto nuova, con una crescita smisurata di spazi che vengono progressivamente lasciati vuoti, privi di una loro funzione dʼuso. Eʼ un fenomeno particolare che vede il passaggio da “persone senza spazi” a “spazi senza persone”. Ciò sia nelle aree urbane, che nei territori rurali, dove lʼIstat ha mappato (ad aprile 2015) ben 6.000 “paesi fantasma”, intesi come agglomerati abitativi abbandonati.

Molte esperienze in Italia segnalano già il riuso di questi spazi come esperienza di creazione di valore sociale, culturale ed anche economico /occupazionale. Esistono però sia barriere che difficoltà allʼincontro tra giovani (ed in generale cittadini) interessati a questa rigenerazione e chi ha la proprietà / disponibilità di questi beni (nonostante diverse leggi ed in particolare lʼart. 24 dello Sblocca Italia).

Per favorire questi processi, nei Comuni e/o nei quartieri (comprese le periferie) in cui le relazioni e gli incontri tra persone ed istituzioni sono ancora possibili e fondati su un capitale fiduciario, si possono promuovere percorsi di riuso di questi spazi, affinché diventino “beni comuni”. Un concetto diverso sia da quello di bene di proprietà pubblica, che privata, interessante perché dà meno importanza a questa dimensione per privilegiarne la fruizione d’uso che lo spazio assume (“rivolta alla gente comune”). I “beni comuni” sono quindi spazi di proprietà pubblica (o del Terzo settore, ma anche di privati), affidati però – nella gestione – ad organizzazioni esterne. Ciò sempre garantendo una funzione pubblica – da mandato iniziale – occupandosi della governance della gestione / fruizione del bene.

Quando proprietario del bene è l’Ente Pubblico, proprio per garantirne una funzione pubblica, il ruolo diventa quello di partner del soggetto gestore, partecipe delle attività, grazie all’istituzione di una “cabina di regia pubblica / privata”, che si creerebbe ad hoc per la gestione. In questi percorsi possono nascere anche associazioni temporanee o di scopo, fondazioni di partecipazione, ecc. Non solo: se non partono dal basso e spontaneamente questi percorsi di riuso, l’Ente Pubblico assume il ruolo di attivatore di percorsi e la progettazione diventa la gestione del progetto, l’attesa della trasformazione, la programmazione del “frattempo”, in cui succedono però già delle cose. La rigenerazione non è quindi un’opera pubblica, ma diviene un percorso partecipato, che spesso è anche di co-realizzazione di alcune azioni di riuso (es. pulizia, manutenzioni semplici, ecc.).

Lʼottica di queste operazioni di riuso è di permettere prevalentemente (ma non solo) a “giovani appassionati e competenti” di farne una occasione occupazionale. Ciò facilitando il riuso di questi spazi vuoti in tempi brevi (anche temporaneamente) nell’ottica di start up culturali e sociali, con “low budget”. LʼEnte Pubblico infatti si trova generalmente in carenza di risorse, ma può sostenere la progettazione finalizzata ad azioni di fund raising.

Rispetto ad eventuali capitali, i team di giovani possono accedere ad un programma di finanziamento di istituti finanziari del Terzo settore, su logiche di “capitale paziente” proprio per sostenere questi “cantieri di rigenerazione”. Ma possono guardare anche al fund raising, al crowdfunding, ai bandi pubblici e/o di Fondazioni.

Queste operazioni di riuso sono infatti azioni di rigenerazione (rurale o urbana), di aggregazione pubblica, di partecipazione attiva e di cittadinanza, oltre che di inclusione sociale, sempre in ottica di sviluppo occupazionale. Il Terzo settore (o No profit) infatti in questi anni è stato un ambito che è cresciuto dal punto di vista occupazionale, soprattutto coinvolgendo giovani, in prevalenza qualificati. Queste operazioni di riuso spesso diventano anche azioni di sviluppo locale, soprattutto là dove riprendono temi legati al turismo leggero, alla valorizzazione del territorio, al food, alle tradizioni, allʼarte e cultura.

Questi percorsi partono dalla condivisione interna alla P.A. sulle modalità e condizioni di esternalizzazione e procedono poi con la loro promozione, con lʼavvio di un percorso pubblico animativo di formazione / promozione del riuso dello spazio e si concludono con lʼassegnazione della gestione dello spazio, sempre con una evidenza pubblica e con una modalità trasparente. Viene elaborato anche uno “studio di fattibilità” ai fini di individuare – sempre in modo coprogettato – vocazione, funzioni dʼuso, analisi investimenti e sostenibiltà della gestione, elementi per un piano di marketing, reti e partner, nuovi pubblici.

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Il riuso però non è detto che parta sempre e solo dall’Ente pubblico. L’attivatore, a seconda dei territori, può essere un soggetto portatore di un bisogno (es. Terzo settore), un gruppo di persone che si unisce per una causa, un’organizzazione particolarmente sensibile alle questioni.Di conseguenza, anche il percorso di riuso / rigenerazione, può avere più dimensioni, dinamiche diverse, tempi più o meno lunghi.

Nel 2016, le buone prassi sviluppate grazie al lavoro diretto degli autori di “Riusiamo l’Italia” sono state l’avvio del co-working/incubatore a Tortona con Impact Hub in una ex Scuola/spazio pubblico vuoto, a Varese Vitamina-C, il social hub promosso da ACSV in una “terrazza” non utilizzata, a Formigine (Mo) la riprogettazione partecipata di un nuovo spazio per i giovani in uno spazio sotto utilizzato ed in Valle Sabbia (Bs), l’avvio di un nuovo fab lab in un ex convento. Oltre alla co-progettazione, decisivo è stato l’accompagnamento all’avvio della gestione di questi nuovi spazi.

giovanni.campagnoli@riusiamolitalia.it
Sacripanti per web

PERCORSI DI PROGETTAZIONE DI RI-USI PUBBLICI DI SPAZI VUOTI: LO STUDIO DI FATTIBILITÀ E LʼACCOMPAGNAMENTO ALLO START UP
Percorsi di progettazione di ri-usi pubblici di spazi vuoti: lo studio di fattibilità e lʼaccompagnamento allo start up

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Oggi si assiste ad una situazione nuova nel rapporto luoghi/territori. Ci si trova infatti di fronte a contesti dove sempre più gli spazi sono vuoti superano le richieste per eventuali e diverse funzioni dʼuso. Luoghi produttivi dismessi, aree abbandonate, edifici pubblici e para-pubblici vuoti, ma anche Oratori, Stazioni FFSS, cinema, locali commerciali… Sintetizzando, si potrebbe affermare che le politiche giovanili, quelle culturali e quelle urbanistiche dovrebbero darsi lʼobiettivo di riempire questi spazi vuoti con idee e talenti individuali e collettivi, contribuendo alla rinascita delle città e dei territori con nuove energie. A partire da aree interne e periferie. Questa strategia prevede un forte coinvolgimento degli attori locali, anche al fine di valorizzare saperi, tradizioni e know how del territorio, attualizzando magari antiche vocazioni e generando nuovo capitale sociale, indispensabile allo

sviluppo dei territori.

Il punto di partenza è quindi lʼelaborazione, con una fase di ricerca sociale, di uno studio di fattibilità vero e proprio. Finalità di questo lavoro sono quelle di guidare il percorso che porti questi spazi ad essere luoghi di innovazione ed eccellenza nellʼambito specifico delle politiche locali “site specific”, ma comparabili con quelle europee, in quanto pensate e gestite seguendo le linee guida della UE in materia.

A conclusione della fase di ricerca e studio, la fase successiva di questo lavoro è quella di un percorso di accompagnamento con soggetti committenti e gestori. Infatti, una volta definite le caratteristiche, le funzioni dʼuso, il piano marketing ed il budget grazie allo studio di fattibilità, prende avvio la fase di implementazione. Si tratta di un percorso dove formazione, consulenza, accompagnamento, supervisione, analisi di situazioni critiche, si fondono costantemente, in un servizio di tutoring a metà tra momenti dʼaula e lavoro a distanza, con supporto anche rispetto a materiali necessari allo start up del Centro (es. contratti tipo con organizzazioni giovanili, budget dei costi delle attrezzature, selezione dei fornitori, grafiche, ecc.).

2 Lo studio di fattibilità

Lo studio di fattibilità, nell’ambito della progettazione sociale, non sostituisce la redazione del progetto, ma fornisce spunti e indicazioni delle quali chi progetta può tenere conto per organizzare il proprio lavoro.

Per predisporre lo studio, vanno anzitutto raccolti dati, utilizzando diverse fonti informative:

– dati descrittivi del territorio (quanti giovani ci sono, che caratteristiche hanno,quali interessi e competenze, quali sono le attività produttive presenti, ecc…);

– colloqui con testimoni significativi individuati sul territorio (es.: rappresentanti di istituzioni, associazioni, figure educative, operatori economici, gestori di locali, ecc…);

– incontro aperto con tutte le persone potenzialmente interessate all’apertura del Centro;

sopralluogo della struttura, delle sue caratteristiche e della sua collocazione.

Utilizzando i dati raccolti si elabora uno studio di fattibilità ad hoc. Il documento, una volta “approvato” dal committente, viene poi presentato pubblicamente e messo a disposizione

dei soggetti locali interessati, anche alla gestione del Centro. Lo studio diventa, ad esempio per le Amministrazioni locali, il documento progettuale di riferimento in base al quale valutare le offerte in eventuali bandi pubblici.

Lo Studio di fattibilità viene commissionato infatti per definire se un progetto (o un programma) o un’idea di massima:

• produce utilità sociale e culturale;

• può essere realizzato/migliorato dal punto di vista tecnico;

• risulta sostenibile dal punto di vista economico.

Lo studio riguarda una dimensione di futuro (“pro-jecuts”, “verso cosa”) e si basa quindi su delle valutazioni, più che su elementi certi, per cui si devono adottare criteri chiari e trasparenti, in modo da garantire l’obiettività dello studio e dei suoi risultati.

Il prodotto finale dello studio è costituito da un insieme di conclusioni e di raccomandazioni sulla possibile realizzazione e sulla delimitazione degli ambiti, offrendo indicazioni utili a orientarne le priorità, le linee di azione, le strategie e le modalità di lavoro, la pianificazione economica e temporale, le procedure amministrative ed i criteri di valutazione per lʼassegnazione della gestione. Diventa quindi, per il committente, uno strumento conoscitivo utile a supportare le valutazioni relative allʼopportunità di adottare scelte in particolare per quel che riguarda lʼambito di operatività. Infine, oltre alle linee guida per un piano di marketing operativo, lo studio offre un budget degli investimenti necessari alla gestione del centro, insieme ad un budget triennale di gestione, quale strumento utile per accompagnare la fase di start up dello spazio.

Come detto, questo lavoro di ricerca ed elaborazione dello studio di fattibilità deve essere preceduto da un lavoro di analisi sia sulla eventuale documentazione già presente (ad esempio relativa allʼiter di questi centri), sia di ricerca di definizioni e buone prassi inerenti questi spazi, che possano fungere da modelli di confronto. Ma non solo: incontri ed interviste ad hoc, sono le modalità tipiche di lavoro, che prevede incontri/confronti costanti con i committenti e le realtà coinvolte, per la validazione delle ipotesi e/o la

successiva modifica/integrazione.

Infine, ultimo step di questo lavoro, sono i momenti pubblici di divulgazione dei risultati.

2.1 Obiettivi

Obiettivi specifici della fase di ricerca e studio di fattibilità sono:

a livello generale, se si tratta di spazi giovanili, applicare nel contesto locale le linee guida degli di “matrice europea” secondo quanto contenuto nei principali e recenti testi normativi in materia di gioventù;
se si tratta di spazi “ a vocazione indecisa”, seguire i criteri e linee guida delle progettazioni di riuso / rigenerazione contenute nella letteratura più innovativa in materia di rigenerazione / riuso;
– individuare – facendo emergere desideri e bisogni locali, tramite la ricerca sociale – l’identità/mission (o “vocazione”) dello, “costruirla” in un percorso di condivisione, comunicarla e renderla comprensibile alla comunità locale (giovani e non solo);

– predisporre, a questo fine, un adeguato piano di marketing e comunicazione;

– elaborare uno studio di fattibilità individuando le condizioni di equilibrio tra sostenibilità economica (budget triennale di gestione e di investimenti) ed utilità sociale dello specifico centro, le relative linee guida di un piano marketing e quelle per un procedimento amministrativo utile allʼindividuazione di un soggetto gestore. La gestione dello spazio, ai fini stessi dellʼefficienza economica, dovrà essere caratterizzata dal costante coinvolgimento dei soggetti ospitati e di nuove proposte, ottenendo valore economico dai processi aggregativi.

Il tutto parte da una fase di studio dei documenti istitutivi o storiografici dei progetti di realizzazione già redatti dalle realtà locali e/o dallʼanalisi di ricerche ad hoc già disponibili.

2.2 Precisazioni necessarie

Lʼapproccio metodologico adottato tende ad essere “generativo” ovvero punta a determinare un equilibrio più virtuoso tenendo conto da una parte del calo progressivo di risorse pubbliche da dedicare e dallʼaltra delle potenzialità e capacità di generare flussi di ricavi ed appropriate economie di scala da affidare a profili gestionali di tipo imprenditoriale.

Ne risulta automaticamente che lʼanalisi degli spazi, delle funzioni da introdurre, degli usi da adottare porti sempre a risultati diversi da quelli per i quali erano stati progettati. Ciò avviene non solo con le strutture le cui funzioni originarie sono cessate, modificate e trasferite in altre sedi, ma anche con contenitori nuovi, di recente e qualificata costruzione, dove le destinazioni dʼuso erano di fatto già riconducibili in tutto o in parte a quelle della nuova vocazione.

Nella conduzione di uno studio di fattibilità e nella gestione del dialogo con lʼente committente ci si trova di fronte a due modelli molto diversi: quello del passato che postulava la capacità del soggetto pubblico di gestire la struttura secondo una specifica visione pianificata e programmata e quello del presente che tenta invece di innescare meccanismi di “leva” economica in tutto o in parte finanziati da soggetti utilizzatori e /o gestori degli spazi.

Nonostante questa diversità di presupposti, lʼesigenza di modifiche agli organismi edilizi solitamente viene ipotizzata a livelli minimi e strettamente indispensabili (anche per il massimo contenimento dei costi), per fattori variegati quali principalmente:

• lʼadeguamento normativo necessario per lʼintroduzione di alcuni funzioni generatrici di reddito (es. il bar e servizi igienici connessi);

• lʼintroduzione di funzioni speciali tipicamente collegate ai target di nuovo pubblico che si intende coinvolgere (es. gli universi giovanili e non sempre presenti nei programmi funzionali originari, ad es. spazi per laboratori ed attività artistiche ed espressive in genere,

skatepark, sale prove musica, ecc.);

• la valorizzazione di alcune soluzioni spaziali di particolare appeal spaziale o emozionale: soppalchi, visuali, rapporto interno/esterno, verde, elementi di design, colori, ecc.;

• conferimento di elasticità e flessibilità ad alcuni specifici comparti del complesso edilizio, anche in termini di arredi e funzionalità varie;

• particolari esigenze di dimensionamento collegata al raggiungimento di standard funzionali o target prestazionali indispensabili per gli specifici obiettivi gestionali.

Si tenga anche conto che proprio in quanto studi di fattibilità, lʼanalisi dello stato dei luoghi e degli spazi avviene attraverso sopralluoghi ed analisi degli elaborati grafici di progetto. Da questo punto di vista, le soluzioni proposte possono essere suscettibili di insufficienti approfondimenti di tipo strutturale e impiantistico. È quindi opportuno ricomprendere prima o durante lʼelaborazione degli studi di fattibilità momenti di confronto con, a seconda dei

casi, i progettisti, i manutentori o i detentori della memoria storica della costruzione e dei luoghi. Partendo dalla condivisione di dati e informazioni ed assicurando un buon livello di dialogo tra i vari portatori di conoscenze si possono ottenere i migliori risultati. Infine, anche lʼanalisi ed i budget delle soluzioni tecniche proposte in riferimento ad arredi ed attrezzature, deriva da elementi di altre realtà che già hanno adottato quanto proposto e che sono comunque comparabili con quelle oggetto di studio. Di conseguenza, tutte le

soluzioni proposte devono poi essere oggetto di approfondimento in sede di acquisto.

3 L’accompagnamento allo start up

In questo ambito, è utile prevedere un accompagnamento formativo/consulenziale alle fasi di start up del centro giovani, con il coinvolgimento attivo delle persone responsabili dellʼorganizzazione che si occupa della gestione, gli operatori, gli “attivi”, altro personale

professionale, referenti istituzionali. Il percorso formativo è molto calato nella situazione e prevede metodologie di apprendimento attivo, sperimentazioni, visite guidate, bench marking, innovazione sociale per arrivare ad una gestione di “successo” di un nuovo modello di centro giovani, su base delle recenti indicazioni europee in materia di gioventù.

3.1 Il contesto

Uno spazio giovani (nuovo o che si rinnova) in fase di avvio, affronta una serie di tappe delicate in quanto incidono e connotano le fasi ed i tempi successivi dello sviluppo del centro.

I requisiti base per il successo nella fase dellʼavvio di uno spazio sono lʼalta partecipazione di cittadini (e/o giovani) – fin dalla fase iniziale – ed una start up giovanile o una organizzazione “matura” in grado di garantire gli aspetti fiscali/gestionali/amministrativi, oltre che alla presenza attenta delle istituzioni.

La presenza contemporanea di questi elementi è il punto di partenza per lʼavvio degli spazi: la sfida è che da queste premesse nasca un progetto operativo gestionale che porti a garantire lʼapertura e lʼavvio del nuovo spazio o nel più breve tempo possibile, definendone anche aspetti di microprogettazione, quali la scelta di arredo ed attrezzatura, programmazione, attività, comunicazione, apertura, nuove azioni sperimentali, ecc.

Lʼipotesi base è che lʼavvio avvenga fin da subito con il coinvolgimento di operatori professionisti, giovani attivi e responsabili istituzionali.

Di conseguenza gli attori coinvolti in questo progetto sono i giovani stessi, gli operatori dellʼorganizzazione che ha la mission di avviare il centro, i responsabili istituzionali delle Amministrazioni coinvolte.

Il progetto si articola su un doppio binario:

– lʼaccompagnamento allʼavvio del centro (con supervisione anche nellʼattrezzaggio, marketing e comunicazione, microprogettazione, supervisione alla fasi gestionali)

– percorso formativo parallelo impostato sullʼacquisizione di conoscenze e competenze relative alla gestione di un centro giovani, alla assunzione di un ruolo, alla condivisione di obiettivi e finalità comuni.

Il percorso formativo prevede quindi momenti dʼaula comuni ed “assetti variabili”, visite guidate ad altre esperienze con alcune sperimentazioni in situazione, bench marking.

I contenuti del percorso devono essere veramente innovativi: ed il progetto formativo prevede quindi che sia garantito un accompagnamento ed una formazione allo start up di questi spazi, affinché diventino “luoghi” significativi per la comunità locale (a partire dai giovani), con un forte ruolo di “attrattore” per le nuove generazioni, unito a quelle capacità di progettazione che sanno cogliere le innovazioni di cui i giovani (e/o gli start uppers sociali e culturali) sono naturali “portatori” e che vengono richieste a chi “sa stare” ogni giorno con loro.

Va quindi tradotta in nuova progettualità tutta la “freschezza e l’attualità”, le novità, le mode, le innovazioni, i bisogni e desideri che si colgono in questi percorsi di partecipazione. Si vede come oggi i tempi sono maturi affinché le comunità locali, i territori, si impegnino invece a gestire situazioni di crisi e difficoltà, sapendo recuperare risorse e valori, per costruire nuovi “beni comuni”, attualizzando le domande ed organizzando risposte in modo innovativo ed al tempo stesso sostenibile, prevedendo – per questi luoghi – anche un investimento iniziale, un piano di rientro e sviluppando al contempo una funzione di “fund raising” locale.

3.2 Le attività da realizzare

Le attività da realizzare riguardano momenti formativi e consulenziali al gruppo, seguendo lʼavvio del centro, dalle prime fasi pre apertura, fino allʼinaugurazione ed allʼavvio. Questa supervisione riguarda il team di cui si è detto prima.

Il percorso formativo è basato su “assetti variabili” e, prevedendo anche momenti di visite, la partecipazione varia a seconda dei temi trattati, pur mantenendo il nucleo di partecipanti legati alla consulenza, attorno al quale – in questa fase formativa “non convenzionale” – possono appunto ruotare altri start uppers, operatori, referenti di istituzioni.

Il percorso si articola in un numero contenuto di incontri ed in breve lasso di tempo (ad es. 12 incontri in sei mesi) sei mesi.

3.3 Contenuti del percorso di accompagnamento allʼavvio di un nuovo spazio

Il team di lavoro che si occupa di un percorso di questo tipo, deve comprendere formatori con competenze diverse, dallʼanimazione sociale alla cultura, dalla creatività al welfare. I contenuti in relazione alle fasi sono:

Microprogettazione

> Individuazione del luogo: caratteristiche interne e localizzazione

> Il business plan, il budget dellʼinvestimento, la sostenibilità ed il punto di pareggio

> Realizzazione dello spazio: progettazione interna e co-progettazione con il territorio

> Attrezzature tecniche, strumentazioni ed allestimento interno

> Il marketing degli spazi rigenerati: il valore del brand, l’investimento in comunicazione e promozione ed obiettivi di ritorno sullʼinvestimento

> Naming, arredi, colori, lay out, attrezzature da interni (e da esterni) da prevedere nella progettazione egli spazi giovanili. La tecnica del “rendering” condiviso e le professionalità da coinvolgere

> I ruoli, le funzioni ed i compiti per la gestione dello spazio. L’avvio e la gestione

> La formula di gestione: diretta, concessione e partnership con altre organizzazioni.

> Dall’avvio all’evento di inaugurazione, dalla progettazione dello spazio, alla programmazione delle attività

> Processi di comunicazione e creazione di valore nella progettazione e sviluppo di spazi giovanili: ricerca di visibilità nella comunità locale

> Informazione e comunicazione, tra free cards e social networks

> La stima dei costi e degli investimenti in promozione e comunicazione, nelle varie fasi di sviluppo dello spazio

> Costruire reti di partnership, dalla comunità locale all’Europa, e con le realtà già presenti. La ricerca del coinvolgimento e della partecipazione diretta, dall’aggregazione al lavoro.

> Fund raising, crown funding, locale, marketing e Pubbliche relazioni a sostegno degli spazi giovanili nella comunità locale

> Finanziare la rigenerazione: opportunità nazionali, europee e locali. Il ruolo ed i finanziamenti dei programmi europei. La funzione di “fund raising” locale. Il ricorso al microcredito ed al prestito diffuso

> Entrare e stare nelle reti di spazi giovanili: costi e ritorno sugli investimenti. Verifica e valutazione

> Riprogettare spazi ed interventi generativi di utilità sociale e di risorse economiche

> La definizione e la valutazione valore sociale ed economico creato

> La valutazione come processo di attribuzione di significato, come momento di condivisione e riprogettazione.

Il servizio di Videolina del 16 marzo 2017:
http://www.videolina.it/articolo/tg/2017/03/16/cagliari_gli_spazi_abbandonati_rivivono_con_il_bando_culturabilit-78-579746.html
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Maurizio Sacripanti, evento di venerdì 24 marzo 2017: https://www.facebook.com/events/622155447981369/

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