Sucania

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IX Corso di Educazione alla Solidarietà Internazionale
Essere madri nel mondo globalizzato
Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare

Domani 28 marzo 2017, alle ore 16, nell’aula Capitini, Facoltà di Studi umanistici a Sa Duchessa, si svolgerà il seminario conclusivo del IX Corso di educazione alla solidarietà internazionale, organizzato dall’associazione Sucania in collaborazione con la Fondazione di Sardegna, l’Università di Cagliari e la Fondazione Anna Ruggiu onlus.

Il tema dell’ultimo seminario,
caravaggio riposo fufa partLA MATERNITÀ NEL CRISTIANESIMO
sarà introdotto dalle relazioni di due teologhe, Marinella Perroni, prof.ssa ordinaria nel Pontificio Ateneo S.Anselmo di Roma, ed Elizabeth Green, pastora protestante e teologa femminista, autrici di numerose opere teologiche. Il seminario sarà coordinato dalla prof.ssa Margherita Zaccagnini.
Durante i lavori, le attrici Lia Careddu e Cristina Maccioni, reciteranno alcuni brani letterari e teologici ispirati al tema del seminario.

La partecipazione al seminario è libera.
Con quest’ultima iniziativa, si chiude il Corso organizzato dall’Associazione Sucania onlus che si è sviluppato per 8 settimane, trattando il tema della maternità sotto differenti profili, con la partecipazione di autorevoli esperti della materia.
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APPUNTI INTERVENTO di FRANCO MELONI
X CORSO DI EDUCAZIONE ALLA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE
Essere madri nel mondo globalizzato
Una prospettiva interculturale ed interdisciplinare

Oggi 28 marzo 2017, alle ore 16, nell’aula magna della Facoltà di Studi umanistici a Sa Duchessa, avrà inizio il 6° seminario del IX Corso di educazione alla solidarietà internazionale, organizzato dall’associazione Sucania in collaborazione con la Fondazione di Sardegna, l’Università di Cagliari e la Fondazione Anna Ruggiu.
Nella prima parte del seminario la prof. Licia Lisei tratterà il tema: “La rappresentazione della maternità nelle arti figurative”, successivamente, Clara Murtas, accompagnata dalla chitarra, si esibirà in una rappresentazione del tema attraverso la musica ispirandosi ad un lavoro di Giovanna Marini.
Il seminario sarà coordinato da Franco Meloni.
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Beni comuni

Concetto di “beni comuni”, da individuare concretamente nelle “cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona (…) che devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico, anche a beneficio delle generazioni future” (1) e dei quali favorire la fruibilità e la gestione da parte dei cittadini attivi e organizzati in accordo con le Pubbliche amministrazioni. La categoria dei “beni comuni” è immensa. Il primo bene comune universale è la terra, nella sua generalità (superficie e sottosuolo), da utilizzare a beneficio di tutti, nel rispetto dei limiti imposti dall’ordinamento giuridico. E possiamo continuare in un’elencazione di dettaglio, non certo esauriente, traendola dalle elaborazioni della Commissione Rodotà (1): “i fiumi, i torrenti e le loro sorgenti; i laghi e le altre acque; l’aria; i parchi come definiti dalla legge, le foreste e le zone boschive; le zone montane di alta quota, i ghiacciai e le nevi perenni; i lidi e i tratti di costa dichiarati riserva ambientale; la fauna selvatica e la flora tutelata; i beni archeologici, culturali, ambientali e le altre zone paesaggistiche tutelate” (1).

Condividiamo i beni comuni e immateriali della conoscenza

di Antonio Memoli

Con la parola “conoscenza” si intendono tutte le idee, le informazioni e i dati comprensibili, in qualsiasi forma essi vengano espressi o ottenuti. Applicare il concetto di “beni comuni” alla conoscenza, ovvero a iniziative di carattere così  intellettuale e intangibile potrà apparire strano, data la storia del termine commons. Il concetto è infatti tradizionalmente associato ad appezzamenti di terra e alla presunta tragedia che scaturisce dal loro sfruttamento eccessivo da parte dei free riders; esistono tuttavia importanti differenze tra i beni comuni legati alle risorse naturali (la terra, il mare, le foreste)  che vanno soggetti a esaurimento e sono “rivali” (nel senso che molte persone desiderano usare una stessa risorsa, escludendo gli altri da essa) e i beni comuni della conoscenza che gestiscono risorse non esauribili e non rivali, come le informazioni e le opere creative. Ora in seguito all’invenzione delle nuove tecnologie digitali sono sorti gran parte dei problemi e dilemmi che riguardano la conoscenza. L’introduzione di nuove tecnologie può rivelarsi decisiva per la robustezza o la vulnerabilità di un bene comune. Le nuove tecnologie possono consentire l’appropriazione di quelli che prima erano beni pubblici gratuiti e liberi: così è avvenuto, per esempio, nel caso di numerosi “beni comuni globali” come i fondali marini, l’atmosfera, lo spettro elettromagnetico e lo spazio. Questa capacità di appropriarsi di ciò che prima non consentiva appropriazione determina una meta-morfosi sostanziale nella natura stessa della risorsa: da bene pubblico non sottraibile e non esclusivo, essa è convertita in una risorsa comune che deve essere gestita, monitorata e protetta, per garantirne la sostenibilità e la preservazione. I beni comuni della conoscenza in quanto non rivali devono essere di pubblica fruizione.  Lo erano in gran parte nei tempi passati, si pensi alla diffusione del sapere in ambito medioevale od alla creazione delle botteghe e delle scuole nel nostro rinascimento. Ora non lo sono più. Occorre un cambio di prospettiva, andare a pensare degli strumenti di difesa dei diritti legati ai beni comuni immateriali quali:
• Accesso: il diritto di entrare in un’area fisica definita e di godere di  benefici non sottrattivi.
• Contributo: il diritto di contribuire al contenuto.
• Estrazione: il diritto di ottenere unità di risorsa o prodotti di un  sistema di risorse.
• Rimozione: il diritto di rimuovere i propri artefatti dalla risorsa.
• Gestione/partecipazione: il diritto di regolare le modalità di uso interne e di trasformare la risorsa apportando migliorie.
• Esclusione: il diritto di determinare chi avrà diritti di accesso, contributo, estrazione e rimozione, e le modalità di trasferimento di  quei diritti.
• Alienazione: il diritto di vendere o dare in affitto i diritti di estrazione, gestione/partecipazione ed esclusione.
Ancora, seguendo il ragionamento di Hess e Ostrom – nel loro bel libro “La conoscenza come bene comune” (2) – abbiamo che la conoscenza è cumulativa. Nel caso delle idee l’effetto cumulativo genera vantaggi per tutti nella misura in cui l’accesso a tale patrimonio sia aperto a tutti, ma sia quello dell’accesso sia quello della conservazione erano problemi seri già molto prima dell’avvento delle tecnologie digitali. Una quantità infinita di conoscenza attende di essere disvelata. La scoperta delle conoscenze future è un tesoro collettivo di cui dobbiamo rispondere di fronte alle generazioni che ci seguiranno. Ecco perché la sfida di quella attuale è tenere aperti i sentieri della scoperta. Si tratta di un bene comune: il risultato della cooperazione e degli sforzi delle generazioni di filosofi, artisti, teologi, letterati e scienziati che l’hanno progressivamente creata. Che la conoscenza costituisca un bene comune è sancito anche dalla Costituzione della Repubblica Italiana che all’articolo 21 recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione»;  inoltre (art. 33): «La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi»;  ed anche (art. 34).«La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi» . La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, all’articolo 26, ribadisce e rafforza il carattere comune e gratuito di questo del diritto alla conoscenza: «Ogni individuo ha diritto all’istruzione. L’istruzione deve essere gratuita almeno per quanto riguarda le classi elementari e fondamentali. L’istruzione elementare deve essere obbligatoria. L’istruzione tecnica e professionale deve essere messa alla portata di tutti e l’istruzione superiore deve essere ugualmente accessibile a tutti sulla base del merito».

NOTE

• Proposta di articolato Commissione Rodotà – elaborazione dei principi e criteri direttivi di uno schema di disegno di legge delega al Governo per la novellazione del Capo II del Titolo I del Libro III del Codice Civile nonché di altre parti dello stesso Libro ad esso collegate per le quali si presentino simili necessità di recupero della funzione ordinante del diritto della proprietà e dei beni (14 giugno 2007).
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• Minima & Moralia

PER UN NUOVO WELFARE DELLA CONOSCENZA DIGITALE
di minima&moralia pubblicato venerdì, 15 giugno 2012 ·

È del 12 giugno la notizia della scomparsa dell’economista americana Elinor Ostrom. Pubblichiamo una recensione di Claudia Crocco, uscita su 404: File not found , sulla sua raccolta di saggi «La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica».
di Claudia Crocco
1. La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica è una raccolta di saggi a cura di Charlotte Hess (direttrice della “Digital Library of the Commons)) e Elinor Ostrom (docente di scienze politiche alla University of Indiana, insignita del Premio Nobel per l’Economia nel 2009), al cui interno si trovano contributi di vari studiosi americani (David Bollier, James Boyle, James C. Cox, Shubha Ghosh, Charlotte Hess, Nancy Kranich, Peter Levine, Wendy Pradt Lougee, Elinor Ostrom, Charles M. Schweik, Peter Suber, J. Todd Swarthout, Donald J. Waters.). L’edizione italiana è stata curata da Paolo Ferri: comprende anche una Premessa di Fiorello Cortiana e un’Introduzione scritta dallo stesso Ferri, intitolata La conoscenza come bene comune nell’epoca della rivoluzione digitale, che può essere considerata anche un saggio a sé.
Il libro si compone di tre parti: “Studiare i beni comuni della conoscenza”; “Proteggere i beni comuni della conoscenza”; “Costruire nuovi beni comuni della conoscenza”. Le prime due sezioni comprendono tre saggi ciascuna e sono di tipo più espositivo: innanzitutto sono spiegati i concetti chiave per seguire il dibattito intorno alla conoscenza come bene comune; quindi sono raccolti alcuni contributi che ne analizzano possibili strategie di ‘salvaguardia’.
Si parte dalla definizione di commons, che coincide (quasi completamente) con quella italiana di “bene comune”. Citando dall’Introduzione di Ferri:
Nella tradizione giuridica anglosassone […] sono definiti commons – beni comuni – quei beni che sono proprietà di una comunità e dei quali la comunità può disporre liberamente […]. La nozione di “beni comuni” identifica, perciò, tutti quei beni materiali e immateriali […] che costituiscono un patrimonio collettivo di una comunità e il cui sfruttamento deve essere regolato, per impedire che queste risorsi comuni, a causa del depauperamento indiscriminato a opera di questo o di quel soggetto, si esauriscano. (p. XXIII)
Per conoscenza, invece, “si intendono in questo libro tutte le idee, le informazioni e i dati comprensibili, in qualsiasi forma essi vengano espressi o ottenuti […] Il concetto include anche le opere creative come per esempio la musica, le arti visive e il teatro”. Si tratta di una forma di bene comune piuttosto particolare. Ad esempio, è scarsamente ‘sottraibile’[1], dal momento che il suo uso da parte di un soggetto non lo rende meno disponibile ad altri. Al contrario, la scoperta e l’utilizzo del lavoro cognitivo di una persona spesso crea le basi per lo sviluppo della conoscenza o del lavoro di un’altra, come accade quasi sempre nel settore della ricerca scientifica. Inoltre la conoscenza è indenne da quella che viene definita the tragedy of the commons, (teorizzata per la prima volta da Hardin nel 1968). La “tragedia dei beni comuni” è l’ipotesi per cui, essendo le risorse limitate, se un numero illimitato di persone vi ha accesso liberamente, queste sono destinate ad esaurirsi molto rapidamente. Alla presunta ineluttabilità di questo fenomeno contribuirebbe il free riding [2] “grazie a cui una persona trae beneficio dai beni comuni senza contribuire al loro mantenimento” (13).
2. A differenza di altri beni[3], però, la conoscenza non è una risorsa esauribile; e il suo uso da parte di un individuo non ne ostacola l’accesso ad altri. Al contrario, attualmente uno dei problemi più gravi ed urgenti per studiosi e ricercatori è quello di combattere le più recenti ‘enclosures’[4]: leggi sulla proprietà intellettuale e sul copyright sempre più severe, iperbrevettazione, vincoli di licenza, costi elevati delle riviste scientifiche etc.. sono una delle conseguenze – certamente, come questo libro evidenzia, la più pericolosa – del passaggio da una cultura di tipo gutemberghiano ad una digitale. Questi ‘strumenti di difesa’ ostacolano sia la condivisione di contenuti a livello ampio sia nel settore artistico, in quello accademico e della ricerca. Il problema, insomma, riguarda tutti. Nella seconda parte di La conoscenza come bene comune sono messe a fuoco le strategie elaborate per la tutela delle forme di lavoro intellettuale dalle nuove ‘recinzioni’ contemporanee, mettendone in luce le peculiarità e le diversità rispetto al passato.
La frizione fra carattere pubblico della conoscenza e possibilità di sfruttare insieme all’introduzione della stampa, e ha accompagnato e contraddistinto tutta l’età moderna. Ma il diritto d’autore non è un concetto fisso, statico: e ha rappresentato il centro di svariate riflessioni e speculazioni giuridiche, filosofiche, economiche nel corso degli ultimi secoli. All’interno di questi saggi si può rintracciare un’interessante ricostruzione storica dei principali provvedimenti che, dalla Licensing Act in poi, hanno tentato di ‘recintare’ la conoscenza, in nome della tutela del diritto allo sfruttamento economico e all’esclusivizzazione dei prodotti intellettuali. I capitoli dimostrano come la costruzione della conoscenza, a tutti i livelli, oggi proceda sempre più attraverso un modello “a spirale”, dunque integrando i propri risultati con quelli altrui, continuamente. Ciò rende indispensabile elaborare un modello di diffusione delle informazioni quanto più ampia possibile: e la direzione tracciata da questo libro (per quanto riguarda il settore della ricerca) è quella della letteratura royalty free e degli articoli basati su una certificazione peer review. La proprietà intellettuale va riconosciuta soltanto come mezzo (e non come fine), potenziale strumento per la creazione dei beni comuni dell’informazione.
3. La terza parte del libro, infine, è la più ampia: sei saggi contenenti contributi recenti, tutti provenienti da università e centri di ricerca statunitensi, nei quali sono illustrati i vantaggi derivanti dal libero scambio di idee e dallo sfruttamento di internet e di altri media per diffondere e valorizzare i saperi, intesi come bene comune.
“Siamo in una fase di migrazione da una cultura “gutenberghiana” o della stampa , con scorte limitate di opere “fissate”, canoniche, a una cultura digitale in cui le opere sono in continua evoluzione e possono essere riprodotte o distribuite facilmente e in una maniera praticamente gratuita. Il nostro sistema dei mass media, basato su produzione centralizzata e distribuzione uno-a-molti, sarà presto eclissato da una rete multimediale di produzione decentralizzata e distribuzione molti-a-molti.”
Questo cambiamento sta comportando effetti rivoluzionari per le strutture economiche e sociali del lavoro cognitivo, che “mettono in questione alcuni assunti fondamentali della teoria del libero mercato, almeno per quanto riguarda l’ambiente digitale in rete”.  Per questo motivo la rilevanza del paradigma dei beni comuni è destinata ad aumentare, e c’è bisogno della creazione di nuove regole per il suo funzionamento. In questo libro hanno uno spazio considerevole i contributi e le riflessioni sul nuovo ruolo delle biblioteche, catalizzatrici e potenziali enti di controllo dei nuovi sistemi e archivi di informazioni, oltre che centri delle nuove comunità che si formeranno (cap. 11); sulle trasformazioni all’interno della ricerca scientifica ed universitaria, dove sono mostrati i problemi e, soprattutto, i miglioramenti derivanti dalla diffusioni di progetti FOSS e di licenze creative commons (cap 10); sulla necessità di rivedere i diritti della proprietà intellettuale e di procedere verso un sistema di conoscenze ad accesso libero (cap. 8 e cap.10).
Le posizioni espresse negli ultimi capitoli sono comunque abbastanza sfaccettate: alcune sembrano proporre una tutela parziale del copyright, e dunque una regolamentazione della conoscenza intesa come bene comune all’interno del mercato (ad esempio Ghosh, capitolo 8). Altre, invece, insistono sulla necessità di rendere il sapere un patrimonio il più possibile pubblico e disponibile, puntando sulla diversità e sull’alterità del linguaggio dei beni comuni. In quest’ultimo caso, si può dire che la differenza diventa di tipo etico: “il linguaggio del mercato e della proprietà privata tende a ragionare in termini di valore di scambio e di prezzo, non della ‘cosa in sé’”. La nuova riflessione sui beni comuni, invece, da un lato risponde a nuove esigenze di adattamento molto concrete; dall’altro traghetta un nuovo sistema di valori, e rappresenta una “riscoperta delle basi sociali su cui hanno sempre poggiato la scienza, la ricerca accademica e la creatività. […] Difendere i beni comuni significa riconoscere che le società umane hanno esigenze collettive e identità cui il mercato non può rispondere da solo” (41).
4. Uno degli aspetti più interessanti del libro, per i lettori italiani, è senz’altro l’integrazione fra prospettiva accademica e movimenti a favore dei commons. Nel nostro Paese si tende ancora a considerare questi ultimi una sottocultura, e la riflessione che portano avanti non è considerata rilevante per la cultura prodotta concretamente nelle nostre università. All’interno di questi saggi, invece, i movimenti a favore di un sistema libero e comune di saperi sono considerati “la punta avanzata dell’opposizione democratica alla politica delle recinzioni”. Gli studi sulla conoscenza intesa come bene comune sono recentemente entrati anche all’interno del dibattito universitario italiano (es: Paolo Ferri; Ugo Mattei, etc..), ma con molto ritardo e non poche difficoltà. È per questo motivo che un libro come La conoscenza come bene comune andrebbe letto e diffuso: per affiancare quello che esperienze concrete degli ultimi anni (l’occupazione del Teatro Valle e le modalità di autogestione dei suoi artisti ed occupanti) stanno contribuendo a smuovere e a modificare.
Le caratteristiche degli esempi italiani hanno bisogno di essere approfondite da studi mirati. Gli esempi analizzati all’interno di La conoscenza come bene comune sono tutti propri di un contesto tipicamente americano; nel nostro Paese le condizioni in cui si trovano biblioteche ed università, la reperibilità e l’uso fatto delle riviste scientifiche etc.., sono del tutto diversi, e sarebbe stupido non tenerne conto.  Tuttavia è importante notare la base teorica comune che rende i ricercatori del Maryland o dell’Università dell’Indiana in qualche modo apparentati con i nuovi precari della conoscenza e della cultura italiana. Gli studiosi che si impegnano a creare nuove biblioteche ed archivi digitali ad accesso libero, gli artisti del Valle, i professori americani che hanno rifiutato di pubblicare articoli su riviste con altissimi costi di abbonamento in favore di quelle con open access , tutti gli utenti ed i fruitori quotidiani di contenuti culturali online si sono opposti ad un’idea di conoscenza che hanno riconosciuto sia obsoleta e ormai inadeguata, sia intrinsecamente sbagliata: e cioè quella della conoscenza come merce di scambio. Un sistema socio-economico che riconosca il carattere comune dei prodotti della conoscenza è preferibile perché, innanzitutto, “funziona meglio”. Alla base di queste richieste, dunque, c’è innanzitutto un’esigenza pratica; ma c’è anche una scelta morale. Da questi nuovi bisogni sono nate nuove domande e nuovi problemi, riconosciuti e delineati sia nei primi capitoli del libro che in quelli finali. Conoscerli è indispensabile per risolverli; e risolverli è il primo passo per – nelle parole di Ferri – “ipotizzare un nuovo welfare della conoscenza digitale, che da un lato riconosca e garantisca la pubblicità e la gratuità digitale dei giacimenti informativi, dall’altro permetta un sistema di remunerazione del lavoro di creazione, produzione e diffusione della conoscenza digitale”.
 

[1] Cfr. l’uso dei concetti di sottraibilità e rivalità secondo Ostrom e Ostrom 1977, cit. in La conoscenza come bene comune. Dalla teoria alla pratica, Milano, 2009, p. 11
[2] “Accade quando una persona persegue il proprio interesse a danno di altri, evitando di fornire il proprio contributo a un’iniziativa comune nella quale trae beneficio dai contributi altrui”, cfr. Glossario, in Ivi, p.371
[3] per i quali comunque sono state elaborate diverse ipotesi per sfuggire a questo meccanismo: cfr. Ivi, pp. 17-29
[4] “Termine proveniente dal movimento europeo delle enclosures, in forza del quale venivano privatizzati terreni a coltura e pascoli comuni utilizzati da contardini, spesso affidandoli in proprietà alle élite.”cfr. Glossario, in Ivi, p.372
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Aggiornamento del 3 maggio 2018
Registrazione Seminario, su Aservice.

One Response to Sucania

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