Sa Die

Giorgio-Asproni-fto-picc-140x150Sa Die della Sarda Distrazione
di Nicolò Migheli

By sardegnasoprattutto/ 27 aprile 2017/ Società & Politica/

Ogni anno la stessa vicenda, ed ogni anno bisognerebbe scrivere lo stesso pezzo. Non si riesce a capire, o forse si comprende benissimo, il motivo per cui la giunta regionale pro tempore senta l’esigenza di dedicare sa Die de Sa Sardinia a chiunque, meno che alla Sarda Rivoluzione e a chi ne fu protagonista.

Quest’anno il Giorno della Sardegna viene dedicato a Giorgio Asproni (Bitti, 1809- Roma 1876). Chi è di sinistra si sentirebbe lusingato per la scelta. Giorgio Asproni parlamentare sardo, fu eletto prima nel Parlamento Subalpino e poi in quelli del Regno d’Italia. Repubblicano e mazziniano si oppose alle politiche di Cavour perché troppo liberiste.

Fu anti-piemontese perché riteneva che la corte sabauda agisse in Sardegna e Liguria come se fossero colonie. Fu vicino al nascente movimento operaio, scrisse molti articoli su giornali operai e persino su Libertà e Giustizia di Bakunin. Un personaggio insigne non solo nella storia della Sardegna ma in quella del Movimento Operaio e dell’Italia.

Quindi tutto bene? Una frase dell’assessore alla Cultura e Istruzione della Regione ci aiuta a capire: “Per il 2017 abbiamo scelto di ricordare la figura di Giorgio Asproni che oltre a essere stato sostenitore dell’autonomia sarda, si occupò delle problematiche dell’isola portandole all’attenzione della classe politica nazionale“.

Cominciamo con il travisamento della figura dell’insigne bittese: Asproni autonomista? No di certo, bensì federalista. Autonomismo e federalismo nelle dottrine politiche non sono sinonimi. Però potrebbe trattarsi di una svista. La seconda parte della frase invece rivela il progetto, la visione che anima questa giunta: “si occupò delle problematiche dell’isola portandole all’attenzione della classe politica nazionale“.
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Qui non si tradisce il pensiero e l’azione di Giorgio Asproni, lui convinto sostenitore del Risorgimento si adoperò per far conoscere le condizioni dell’isola dopo l’Unità. Si tradisce però il senso e significato de sa Die de sa Sardigna. L’uso del termine nazionale, è per lo meno fuorviante se non manipolatorio. I sardi di fine Settecento sia i rivoluzionari che i reazionari, si definivano nazione, lo avevano fatto da sempre, sin dalla guerre sardo-catalane.

Quello scontro, una novità per quei secoli, non era vissuto come conflitto tra case regnanti ma tra nazioni. Cosa che oggi è meglio non ricordare, anzi secondo le false Carte di Arborea i sardi sarebbero i primi italiani. Per la lettura proposta dall’assessorato i sardi, per bene che vada, sono popolo. Un popolo questuante, che deve in ogni caso portare le proprie istanze a Roma, così come fece l’Asproni che pochi risultati ebbe, ed oggi non è che sia diverso, la dipendenza viene rafforzata.

Se la Sarda Rivoluzione ha senso di essere ricordata, lo è perché fu un atto di grande soggettività dei sardi. Una rivoluzione sull’onda di quella francese ma non provocata da loro così come i moti del ’99 napoletano. Fu una vicenda tutta nostra, in cui si voleva la fine del feudalesimo e per alcuni dei promotori l’instaurazione della repubblica. L’ingresso dell’isola nella modernità. Una vicenda dentro uno stato indipendente: il Regno di Sardegna, che era riconosciuto dalle potenze europee.

Tutto questo evidentemente non si deve sapere, contrasta con la narrazione degli italiani di Sardegna. Meglio quindi dedicare sa Die ad altro, in modo che il senso vero di quei moti si perda. Se tra cento anni il 25 aprile Festa della Liberazione, venisse dedicato, che so, a Matteo Renzi, uno con il credo dell’assessore Dessena potrebbe chiedersi: ma cosa c’entra Renzi con la Resistenza?

Allo stesso modo io mi chiedo cosa c’entra Asproni con la Sarda Rivoluzione? Non esiste altro giorno del calendario per ricordare i sardi illustri come il grande bittese? A cui per altro fu dedicato nel 2008 un importante Convegno che si tenne a Bitti, promosso dalla Regione Sardegna all’interno appunto dell’iniziativa Sardi illustri.

Se si vuole insistere con queste scelte, l’anno prossimo Sa Die potrebbe essere dedicata ad un personaggio di fine Settecento, un imprenditore – politico morto esule in Francia. Si chiamava Giovanni Maria Angioy. Molto vi costa?

One Response to Sa Die

  1. […] 3. La rivolta cagliaritana e la cacciata dei piemontesi Ecco come lo storico sardo da Girolamo Sotgiu descrive il fatto: “E fu così che il 28 Aprile 1794, come narrano le cronache «si videro i soldati del reggimento svizzero Smith vestiti in parata». La cosa passò inosservata perché si pensò che si trattasse di esercitazioni militari. Ma “sull’ora del mezzogiorno furono rinforzati i corpi di guardia a tutte le porte, tanto del Castello, come della Marina», e questo fatto cominciò a suscitare qualche preoccupazione fino a quando «sull’un’ora all’incirca, quando la maggior parte del popolo è ritirata a casa e a pranzo, fu spedito un numeroso picchetto di soldati comandato da un Capitano Tenente e tamburo battente con due Aiutanti ed il Maggiore della piazza» ad arrestare Vincenzo Cabras. «Avvocato dei più accreditati e ben imparentato nel sobborgo di Stampace», nonché il genero avv. Bernardo Pintor e il fratello Efisio Luigi Pintor, che poté sfuggire alla cattura perché assente. I due arrestati furono condotti alla torre di S. Pancrazio e furono subito chiuse tutte le porte, mentre già il popolo si radunava tumultuando. L’arresto di uomini noti anche per la partecipazione attiva alla vita pubblica apparve subito quello che probabilmente doveva essere: l’inizio, cioè, di una rappresaglia più massiccia. Da qui l’accorrere tumultuoso di centinaia, migliaia di persone, (almeno 2 mila, il 10% dell’intera popolazione cagliaritana) l’assalto alle porte, che furono bruciate o divelte, l’irruzione nei corpi di guardia, il disarmo dei soldati, la conquista del bastione e delle batterie dei cannoni. Tutto questo nel rione di Stampace, dove si erano verificati gli arresti. All’insorgere di Stampace seguì in rapida successione la sollevazione dei borghi di Villanova e della Marina. La folla, superata la resistenza dei soldati, aprì le porte che tenevano divisi i sobborghi l’uno dall’altro che la massa del popolo unita poté rivolgersi alle porte del Castello. Negli scontri rimasero uccisi alcuni popolani e alcuni soldati. L’assalto al Castello, dove il viceré voleva organizzare una più efficace resistenza, avvenne subito dopo. Bruciata la porta, lunghe scale appoggiate alle muraglie, «facendo scala delle loro spalle l’uno sopra l’altro», i dimostranti riuscirono a entrare nei locali dove erano ammassate le truppe a difesa del viceré e del suo quartier generale. Così, il 7 maggio 1794, 514 (secondo Girolamo Sotgiu) o 600-620 (secondo Luciano Carta) tra piemontesi savoiardi e niz¬zardi furono costretti ad abbandonare l’isola, e, «divulgata per tutto il Regno l’espulsione da Cagliari dei Piemontesi, fu universale l’approvazione»; ad Alghero fu fatta la stessa cosa e, dopo qualche resistenza, anche Sassari seguì l’esempio della capitale. Né mancò, nel giorno drammatico dello scommiato da Cagliari, anche il grande gesto da tramandare alla storia: «La piazza che dalla porta di Villanova mette nel Castello era ingom¬bra di popolani della classe più umile. Erano carrettaj, facchini, beccai, ortolani ed altri di simil fatta, gente poco ausata a squisi¬tezza di tratti», quando la piazza fu attraversata dai carri che «scendevano dal Castello nel quale aveano avuto stanza i mag-giori ministri», trasportando «al porto le loro masserizie con quelle del viceré». All’apparire di tanta «abbondanza di carriaggi», si levò un solo grido: Ecco le ricchezze sarde trasformate in ricchezza straniera: non giungeano qui con tanto peso di bagagli o con questa dovizia di guarnimenti: assottigliati ci veniano e scarsi quelli che oggi si dipartono con fortuna così voluminosa. Buoni noi e peggio che buoni, se lasciamo che abbiano il bando con questi stranieri anche le robe che erano nostre. E il passare dalle parole ai fatti sarebbe stato inevitabile, se un beccaio, Francesco Leccis, sentita nell’animo l’indegnità del tratto, sale sopra una panca, e brandendo in mano il coltellaccio del suo mestiere quale scettro d’araldo, fermatevi, grida a quei furiosi: quale viltà per voi, quale onta a tutti noi! Non si dirà più che la Sardegna ha bandito gli stranieri per insofferenza di dominio, si dirà che si è sollevata per ingordigia di preda. La Nazione volea cacciarli e voi li spogliate? Ed esortati i carrettieri a muoversi, «la folla si bipartiva, e le voci erano chete, e l’onore di quella critica giornata era salvata da un beccaio»9. Meno aulicamente del Manno, il padre Napoli racconta la stessa cosa: Lasciateli andare – sembra che il Leccis abbia detto – che i sardi benché poveri non han bisogno della M… dei Piemontesi, parole che colpirono in modo lo spirito di quelle plebaglie, che subito risposero nel loro linguaggio: aicci narras tui? chi si fassada, cioè: così dici tu? che si faccia. —————————————————- – La pagina fb dell’evento. ——————————————————————— Sa Die della Sarda Distrazione Sa Die della Sarda Distrazione di Nicolò Migheli, su SardegnaSoprattutto, ripreso da Aladinews. […]

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