Ripensare la Sardegna. Un Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna Possibile e Auspicabile

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di Roberto Mirasola

Ultimamente gli impegni politici mi portano spesso fuori Cagliari consentendomi un riscontro sempre più preciso delle ripercussioni nel territorio che ha avuto l’istituzione della città metropolitana con l’approvazione della Legge Regionale 2/2016 con la quale si è proceduto al riordino del sistema delle autonomie locali in Sardegna. La città metropolitana di Cagliari ha un senso se riuscirà a svolgere un ruolo guida al servizio dell’isola, se riuscirà ad essere motore per lo sviluppo economico di tutti, se riuscirà a redistribuire nel territorio le molte risorse che riceve sia dall’U.E. sia dal governo centrale. Questo del resto era previsto nella relazione introduttiva alla legge.
Il timore è che invece tutto sia incentrato nella sola città madre ovvero Cagliari. Queste stesse preoccupazioni hanno fatto si che durante il percorso legislativo che l’ha istituita si creassero polemiche dannose che hanno trovato il culmine nella localizzazione della sede dell’Ats a Sassari. Riforme di questo genere devono essere quanto mai condivise e devono unire e non dividere.
Il problema se vogliamo non riguarda la sola novità della città metropolitana ma l’intera riforma degli enti locali. Riforma incentrata sull’esigenza minima di razionalizzare la spesa senza preoccuparsi di dare un’adeguata risposta alle esigenze dei territori, perché non si è voluto tener conto delle differenze. Pensate alla provincia del Sud Sardegna con capoluogo a Carbonia ma che si estende fino all’Ogliastra (fagocitata dalla provincia di Nuoro). Si è pensato di aumentare gli enti senza curarsi delle conseguenze, con il rischio di un ulteriore spopolamento delle zone interne a vantaggio delle aree urbane più sviluppate e verso i centri costieri. Rischio rafforzato e purtroppo confermato dalla Legge sull’urbanistica.
Le riforme istituzionali dovrebbero essere incentrate in un’ottica di sviluppo locale oggi totalmente assente. L’altro giorno ho osservato con grande attenzione i dati sulla disoccupazione in Sardegna che ha ricavato Salvatore Multinu dalla lettura dei dati ISTAT. Così mentre il Sistema Informativo del Lavoro sostiene che l’occupazione su base annua aumenta del 3% i dati ricavati dall’Istat ci dicono che i disoccupati sono aumentati dal 2006 al 2016 del 6,6%. Certo lo stesso Sistema Informativo spiega che l’analisi di questi dati può indurre in errore travisando la realtà. A questo punto noi spostiamo la nostra visuale e chiediamoci come mai tra il 2007 e il 2016 ben 21.746 sardi sono emigrati all’estero e nel solo 2016 le persone che hanno lasciato l’isola sono ben 3.370. Se consideriamo che partono generalmente i laureati e i diplomati allora ci dobbiamo chiedere quale futuro può avere questa terra se molti tra i suoi figli migliori vanno via.
Dico queste cose perché i temi istituzionali e quelli dello sviluppo sono strettamente connessi e quando parliamo di sviluppo dobbiamo chiederci se è il caso di continuare con un sistema industriale completamente estraneo al contesto Sardo basato sulle importazioni più che sulle esportazioni, con industrie come la chimica, la petrolchimica, la produzione dell’alluminio che hanno portato disoccupazione e miseria lasciando tra l’altro l’ambiente circostante fortemente compromesso avendolo inquinato, oppure voltare pagina e puntare sulle energie rinnovabili, l’agroalimentare, l’economia del mare, il turismo e il rilancio della nostra agricoltura.
Concludo con una riflessione. Noi abbiamo bisogno di una Regione snella capace di decentrare funzioni alla periferia per stimolare la capacità a risolvere i problemi locali, che le consenta di concentrarsi maggiormente in un rapporto alla pari con lo Stato Centrale, perché non è pensabile che da una parte lo Stato declini le sue responsabilità e faccia sparire dalla Costituzione il tema delle isole e del mezzogiorno e dall’altra faccia onore all’impegno previsto dallo Statuto sardo che all’art.13 recita: lo Stato col concorso della Regione dispone un piano organico per favorire la rinascita economica e sociale dell’isola. Forse è proprio dalla rivendicazione di un Nuovo Piano di Rinascita che occorre ripartire, unificando su questo grande obbiettivo i movimenti e i partiti che li sostengono e rappresentano.
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lampadadialadmicromicro133Recente dibattito su ipotesi di Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna: Vanni Tola su Aladinews.

3 Responses to Ripensare la Sardegna. Un Nuovo Piano di Rinascita della Sardegna Possibile e Auspicabile

  1. admin scrive:

    Da fb.
    Gian Giannizzero (https://www.facebook.com/gian.giannizzero) I piani di rinascita li vedo morti come concetto, insieme alla mistica dell’autonomia regionale. La costituzione materiale vede una regione dotata di minori competenze ed autonomia decisionale e finanziaria rispetto a quelle a statuto ordinario. La stessa burocrazia regionale che abbiamo ereditato soffre di tare genetiche gravissime, ed i tentativi di riformarla sono eterni ed apparentemente inutili (vedi il tentativo di Soru, abortito anch’esso). Mi chiedo, volendo un nuovo piano di rinascita, da dove partire per arrivare dove, visto lo spreco quotidiano di risorse per mantenere un sistema economico moribondo, senza alcun disegno che non sia l’accaparramento politico delle risorse pubbliche a fini elettorali.

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