Lavoro

sedia di VannitolaLa Sedia
di Vanni Tola

Lavori usuranti e gravosi, ma di che stiamo parlando?

Una notizia che dovrebbe servire per mitigare l’effetto devastante dell’aumento dell’età pensionabile, in realtà sta diventando un boomerang per chi la propone e una presa in giro per chi la dovrà subire. “Stop dell’aumento a 67 anni dell’età di pensione dal 2019 per 15 categorie di lavori gravosi: le 11 già fissate dall’Ape social (tra cui maestre, infermieri turnisti, macchinisti e edili) e altre 4 (agricoli, siderurgici, marittimi e pescatori). Questa la proposta messa dal governo sul tavolo tecnico a Palazzo Chigi, secondo quanto riferiscono i sindacati”. Non prendiamoci in giro, che significa lavori gravosi? Si può valutare la “gravosità” di un lavoro secondo parametri risalenti agli anni della Rivoluzione Industriale? Tutti i lavori sono gravosi se svolti con impegno e competenza soprattutto quando protratti per periodi molto lunghi. Lo sono per almeno due motivi, l’esasperante ripetitività nel tempo e la riduzione delle capacità mentali e fisiche del lavoratore conseguenti all’invecchiamento fisiologico. Come si fa a decidere che il lavoro del minatore è usurante e quello del panettiere no? Spesso entrambi muoiono per problemi respiratori conseguenti all’ingerimento di polveri nei polmoni. Come si può decidere che è usurante il lavoro delle maestre e non quello degli insegnanti della scuola media e delle scuole superiori? Davvero si può pensate che l’infermiere, l’operaio siderurgico, il lavoratore marittimo subiscano, per conseguenza del loro lavoro, una usura mentale e fisica maggiore di quelle di una cassiera di un supermarket o di un impiegato che opera in uno sportello aperto al pubblico, di un operatore di aziende di vendita e spedizione pacchi? Cerchiamo di seguire la logica e lasciare da parte i luoghi comuni spesso originati da convinzioni errate e conoscenza superficiale delle differenti mansioni lavorative. Il lavoro, attività indispensabile per l’uomo, provoca inevitabilmente livelli elevati di usura dello stato psico-fisico di chi lo pratica anche e soprattutto con lo scorrere degli anni e per il decadimento fisiologico che l’invecchiamento comporta. Allora, se tutto ciò è fondato, (segue) occorrerebbe discutere su quale sia il periodo di lavora ottimale per un individuo di medie capacità (fisiche e mentali) e cominciare ad interrogarsi su quale debba essere l’età media oltre la quale sarebbe opportuno non andare per tutti gli individui. Superare i sessanta anni praticando ancora la propria attività lavorativa è pura follia ed è usurante comunque, a prescindere dall’attività nella quale si è impegnati. C’è il diritto al riposo, al tempo libero, alla pratica delle attività parentali (essere nonni e curare la formazione dei bambini, assistere i parenti anziani ammalati e altro ancora) che deve essere rispettato. E’ evidente che il problema è complesso e di non facile risoluzione Occorrerebbe ripensare, e molti studiosi da tempo lo fanno, il concetto stesso di lavoro cercando di comprendere quale sia oggi il modo ottimale di lavorare e produrre considerando anche le possibilità di riduzione del tempo di lavoro fornite dell’enorme sviluppo di tecnologie che lo consentirebbero. Penso alle corrette applicazione della robotica, giusto per fare un esempio. Certamente il parametro di riferimento per qualunque decisione non può essere quello di fare quadrare i conti dell’Inps prendendo a pretesto l’allungamento medio della vita. Non si può subordinare la discussione sul come lavorare e per quanto tempo lavorare nel terzo millennio alla risoluzione dei problemi legati ad un sistema pensionistico fondamentalmente inadeguato. Un sistema che sopravvive percorrendo un’unica strada, la più semplice, quella di allungare il periodo lavorativo individuale per risparmiare sulle pensioni da erogare. Peraltro entrando in contraddizione palese con la necessità di ridurre l’occupazione giovanile e favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Se è necessario, e certamente lo è, ripensare l’intero sistema pensionistico per adeguarlo ai tempi e ai nuovi modi di produrre e lavorare, lo si faccia ma non a spese e sulle spalle dei lavoratori, di tutti i lavoratori.

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