L’importanza di chiamarsi Ugo

cappellacci
di Raffaele Deidda

La storia ci trasmette un profilo elevatissimo di Ugo, figura leggendaria che esercita un fascino eccezionale, fondato su grandi doni spirituali e su uno straordinario carisma personale. Ugo è diventato, in virtù della sua buona amministrazione, un’icona di valori perenni a cui tutti gli amministratori dovrebbero ispirarsi. Da capo politico Ugo ha testimoniato e trasmesso valori di attaccamento alla propria terra, coscienza e onore, come pochi altri hanno fatto, pur godendo di una fama immeritatamente maggiore. La vita di Ugo, vissuta con coerenza ed energia, è diventata nel tempo un esempio irripetibile da ammirare. Ugo si è sempre inchinato ai valori perenni, mai a un padrone. Del resto gli uomini che si inchinano ai valori e alle tradizioni sono quelli che meno si inchinano ai potenti di turno, coltivando fortemente aspirazioni libertarie e autonomiste.

L’illuminata politica di Ugo ha consentito ai suoi amministrati di vivere al riparo di arbitrii e vessazioni e ha consentito il radicamento di un grande pluralismo istituzionale e politico. La sua autorevolezza è stata carismatica, quasi taumaturgica e portatrice di fortune, capace di moderazione e giustizia più che di comando e coercizione. Ugo ha saputo dimostrare come si possa essere più un garante delle tradizioni e della libertà che un governante nel senso pervasivo del termine. Grazie a lui i cittadini hanno sviluppato un forte impegno per una generale riscoperta di valori fondamentali di coscienza, attaccamento, onore e la volontà di difendere e migliorare la propria terra per lasciarla in eredità alle generazioni future.

huguesA coloro che a questo punto si staranno domandando: “Incredibile, ma si tratta di Ugo Cappellacci?” dobbiamo purtroppo rispondere di no. Il profilo tracciato è quello di Ugo di Toscana (950-1001) margravio dal 970 fino alla sua morte. Ugo di Toscana è ricordato da Dante nella Divina Commedia, canto XVI del Paradiso. L’altro, Ugo di Sardegna, è stato il vicepresidente della Sardegna, feudatario di Berlusconi, il vero governatore dell’isola nel periodo 2009-2014. Di lui la storia tramandata ai posteri dirà a malapena che nacque da Giuseppe, commercialista del monarca Silvio negli anni ’80 e che, sorridente, si distinse per aver eseguito gli ordini del suo padrone, permettendo che la Sardegna venisse depredata da Berlusconi e dai suoi amici, con le coste prese d’assalto da famelici costruttori. [segue]
La storia attuale vede invece l’Ugo sardo, in veste di coordinatore regionale di Forza Italia, contrastare il suo successore Francesco Pigliaru, voluto da Matteo Renzi alla guida della Regione Sardegna, a cui rivolge l’accusa di aver tentato di “svendere l’Autonomia sarda per ragioni di carriera” (sic!). Il fatto è che c’è chi, come l’urbanista Edoardo Salzano che, riferendosi al Disegno di Legge di riforma urbanistica della Giunta Regionale Sarda, sostiene ironicamente: “Sotto il governo del presidente Pd della Regione Sardegna Francesco Pigliaru accadono eventi che sotto la presidenza dell’uomo di Berlusconi, Ugo Cappellacci, non si sarebbe potuto immaginare. Saremo costretti a chiedere: Aridatece Cappellacci?” In effetti stupisce come un presidente di “sinistra” che in campagna elettorale dichiarava il solenne impegno ad impedire la cementificazione delle coste sarde, si sia poi trasformato in convinto sostenitore del cemento e dell’aumento dei metri cubi in prossimità dei litorali sardi.
Fa specie, e fa comunque sorridere per la leziosità manifestata, leggere di un Cappellacci che in relazione alla visita lampo in Sardegna del segretario nazionale del Pd Renzi a bordo di un autobus privato, afferma: “Noi di Forza Italia giriamo tutto l’anno la Sardegna zaino in spalla su treni e bus pubblici, Renzi è troppo delicato e scappa dalla realtà”, mentre posta sui social un collage di fotografie che lo ritraggono in veste di umile utilizzatore di mezzi di trasporto pubblici.
Mentre un redivivo Dante Alighieri non avrebbe dubbi nel collocare Ugo di Sardegna nel Canto III dell’Inferno, dove sono descritti gli ignavi, i dannati “che mai non fur vivi”, coloro che durante la loro vita si limitarono ad adeguarsi sempre al volere dei potenti, c’è da chiedersi dove Dante collocherebbe Francesco di Sardegna. A giudicare da un sondaggio di mesi fa sul gradimento dei Presidenti di regione, che ha collocato Francesco Pigliaru al penultimo posto, la maggioranza dei sardi lo boccia clamorosamente. Il sospetto che non troverebbe posto nel Paradiso dantesco è forte.
Però, si sa, sia per i credenti che per i laici può esistere anche un paradiso in terra. Basta sapersi adattare.

2 Responses to L’importanza di chiamarsi Ugo

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