Lo Stato non si abbatte, si cambia! Verso la ricerca instancabile di democrazia.

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La politica non sempre è garante della natura libertaria del “paternalismo” dello Stato

Gianfranco Sabattini*

Il paternalismo dello Stato suscita non poche riserve da parte di chi lo subisce; sono molti quelli che lo aborrono, perché, a parere di Cass Sunstein, professore di diritto costituzionale all’Università di Harvard, essi “pensano che gli esseri umano debbano essere lasciati andare per la propria strada, anche a costo di finire in un fosso”. Sunstein in ”Effetto nudge. La politica del paternalismo libertario”, nega che ai consumatori debba essere lasciata la libertà assoluta di effettuare le proprie scelte, contestando il cosiddetto “principio del danno” formulato da John Stuart Mill; secondo questo principio, il solo aspetto della condotta individuale del quale ognuno “deve rendere conto alla società è quello riguardante gli altri: per l’aspetto che riguarda soltanto lui, la sua indipendenza è, di diritto, assoluta. Su se stesso, sulla sua mente e sul suo corpo l’individuo è sovrano”.
Le obiezioni di Sunstein contro il principio milliano del danno sono motivate dal fatto che le persone sono spesso propense a commettere errori, mentre “gli interventi paternalistici potrebbero rendere le loro vite migliori”. In tutte le circostanze in cui ciò può accadere vi sarebbero “forti argomenti” a favore del paternalismo.
Gli economisti, afferma Sunstein, generalmente hanno concentrato le loro argomentazioni in ossequio al principio della “sovranità del consumatore”, sui mezzi utilizzabili e non sui fini da perseguire; il loro obiettivo (quello degli economisti) è stato di creare una architettura istituzionale idonea a rendere “più probabile che gli individui riescano a promuovere i propri fini, così come essi stessi li intendono”. Sunstein, però, intende andare oltre il paternalismo libertario degli economisti, inteso come forma di pressione (nudge) esercitata sui consumatori per influenzare le loro scelte senza coercizione, con l’intento in ogni caso di conservare la pressione entro i limiti di un “paternalismo debole”, rendendolo così libertario.
Le argomentazioni di Sunstein, tuttavia, per quanto supportate da esempi calzanti, non si sottraggono al limite che le pressioni, anche se esercitate debolmente, risultino eccessivamente, se non in assoluto, inficiate dagli effetti della discrezionalità con cui lo Stato regola il comportamento del consumatore, sino a trasformare il suo paternalismo da libertario in autoritario.
Questo pericolo, presente nell’analisi di Sunstein, è dovuto al fatto che egli fa esclusivo riferimento ai beni economici intesi in astratto, mancando di tener presente, da un lato, la distinzione fra “beni privati” e “beni pubblici” e, dall’altro lato, il fatto che, proprio con particolare riferimento ai beni pubblici, gli economisti hanno elaborato un’opportuna organizzazione delle istituzioni economiche del sistema sociale, con cui estendere il paternalismo dello Stato non solo ai mezzi, ma anche ai fini, per contenere gli esiti della discrezionalità nell’esercizio del paternalismo.
Dal punto di vista economico, i beni privati sono definiti dalla presenza dei principi della “rivalità nel consumo” ed dell’“escludibilità dal consumo”. Il primo principio postula la condizione che il consumo di un bene da parte di un soggetto impedisce ad altri di consumare lo stesso bene; il secondo, invece, afferma che dall’offerta complessiva di un dato bene sul mercato è esclusa la possibilità di impedire il consumo di quel bene da parte di uno qualsiasi dell’intera platea di consumatori. Al contrario dei beni privati, i beni pubblici sono definiti sia dall’assenza della “rivalità” nel consumo, che dalla “escludibilità” dal consumo. Una caramella è un bene privato; se un soggetto ne compra una per mangiarla, nessun altro la può mangiare; d’altra parte, dal consumo di una caramella, delle tante disponibili nel mercato, nessuno può essere escluso. I segnali di un faro collocato su un promontorio a tutela dei naviganti sono un bene pubblico; il loro “consumo” da parte di un navigante non impedisce il “consumo” anche da parte degli altri naviganti; il fatto che molti naviganti possano “consumare”, contemporaneamente o in momenti successivi, i segnali del faro non riduce la disponibilità complessiva dei segnali del faro per tutti i naviganti che si trovino a passare in prossimità dello scoglio sul quale è collocato il faro.
Inoltre, sempre dal punto di vista economico, se in un sistema sociale coesistono beni privati e beni pubblici, il mercato può funzionare correttamente solo quando tutti i soggetti economici, dal lato del consumo, rivelano le loro preferenze e, quindi, le disponibilità a pagare per le diverse quantità che è possibile consumare dei beni disponibili, ed inoltre quando tutti soggetti dal lato dell’offerta (i produttori) producono ed offrono i beni domandati in funzione delle preferenze rivelate e delle disponibilità a pagare i prezzi di mercato per l’acquisto quei beni.
Nei sistemi economici ad economia di mercato, queste due condizioni (rivelazione delle preferenze e della disponibilità a pagare) per i beni pubblici non sussistono, perché l’organizzazione delle istituzioni economiche del sistema sociale non motiva i consumatori a rivelare le loro preferenze e la loro disponibilità a pagare. Gli operatori economici, in quanto produttori, perciò, sono disincentivati a produrre e ad offrire i beni pubblici secondo la quantità e la qualità desiderate dai consumatori; ciò comporta il cosiddetto “fallimento del mercato”, al cui superamento provvede lo Stato, il quale fissa, attraverso procedure istituzionali, da un lato, quanti e quali beni pubblici produrre e, dall’altro lato, come ripartire il costo della loro produzione tra tutti i contribuenti dell’intero sistema economico.
La supplenza dello Stato, pur non presupponendo necessariamente che la produzione e l’offerta dei beni pubblici debbano essere da esso direttamente organizzate, è attuata attraverso il ricorso a “procedure istituzionali” che dal punto di vista economico costituiscono un “quasi-mercato”, espresso dalla contemporanea azione di istituzioni che nell’insieme simulano un mercato vero e proprio. In questo modo, lo Stato provvede alla produzione e alla distribuzione dei beni pubblici, con risultati prossimi a quelli del mercato di concorrenza.
Non tutti i beni pubblici sono consumati dalla generalità dei componenti del sistema sociale; esistono dei beni pubblici che i consumatori sono liberi di consumare nella quantità desiderata, o di non consumare affatto, pur essendo loro offerti. In questo caso si dice che i beni pubblici per i quali esiste questa libertà (di consumo o di non consumo) non hanno la natura di “beni pubblici puri”. Esistono, però, beni pubblici per i quali il fenomeno della libertà di consumare o di non consumare è rimosso, rendendo obbligatorio il consumo di tali beni, soprattutto in considerazione della “posizione di debolezza” del consumatore rispetto alla capacità di valutare con sufficiente razionalità gli esiti di tale consumo; sono questi i beni aventi natura di “beni pubblici puri di merito”, quali, ad esempio, i servizi dell’istruzione, quelli sanitari e quelli ambientali, per via della loro rilevanza dal punto di vista delle esigenze esistenziali dei consumatori. In questo caso, il paternalismo dello Stato è esercitato, oltre che sui mezzi, anche sui fini.
L’obbligatorietà che caratterizza il consumo dei beni pubblici puri di merito, tende ad evitare che il non consumo possa danneggiare, per cause imputabili a conoscenza imperfetta o a comportamenti opportunistici, l’interesse generale della comunità. L’implicazione dell’obbligatorietà del consumo dei beni pubblici puri di merito è che ogni singolo consumatore di una data collettività non possa essere l’unico “giudice” di ciò che è “bene” o “male” per sé. Pertanto, l’intervento dello Stato è giudicato necessario per correggere l’esito delle decisioni disinformate dei consumatori, in quanto componenti di una comunità. In tutti questi casi, l’opzione di stabilire il livello di consumo e la qualità dei beni consumati viene avocata a sé, e poi esercitata, dallo Stato.
La natura dei beni pubblici puri di merito non deriva tanto dall’obbligatorietà del loro consumo, ma dal fatto che questo consumo è determinato dall’esistenza di “rapporti diretti” tra i consumatori; nel caso di beni pubblici non-puri, un consumatore, in quanto facente parte di un insieme più ampio di soggetti, si trova nella condizione di dover effettuare il consumo di determinate quantità di tali beni per evitare di procurare un danno agli altri soggetti. Chi è portatore di una malattia deve curarsi, per evitare danni a se stesso ed agli altri componenti la comunità di appartenenza.
Nel caso dei servizi dei beni pubblici puri di merito, il consumo avviene in presenza di “rapporti diretti e di reciprocità tra tutti consumatori”; si ha perciò la configurazione di “uno stato di bisogno indivisibile, comune all’intera collettività”. Tale stato di bisogno è soddisfatto col comune concorso di tutti, in quanto ciascun consumatore, in condizioni di reciprocità, lo avverte congiuntamente agli altri componenti la comunità. Per questo motivo, per i beni pubblici puri di merito è appropriata l’espressione di beni comuni (commons, secondo la terminologia anglosassone) e il loro consumo, da parte di chi lo effettua, oltre ad essere vantaggioso per se stesso, lo è anche per gli altri, e viceversa.
Quanto sin qui detto consente di definire meglio il ruolo e la funzione del paternalismo libertario del quale parla Sunstein. Con riferimento ai beni pubblici puri di merito, la “presenza meritoria” dello Stato non può tuttavia oscurare del tutto l’autonomia valutativa dei consumatori dei servizi dei beni comuni riguardo alla loro quantità e alla loro qualità. E’, infatti, il rispetto delle valutazioni dei consumatori, circa la quantità e la qualità dei beni comuni desiderati, che assegna rilevanza alla natura libertaria del paternalismo dello Stato. A tal fine, per neutralizzare l’eccesso di discrezionalità dello Stato, è necessario che i servizi dei beni comuni siano prodotti e distribuiti all’interno di un quasi-mercato; ciò, per evitare che i servizi dei beni comuni, prodotti, offerti e consumati non siano totalmente estranei al consumatore, in quanto “non consumatore ubbidiente e passivo”, ma “consumatore interessato” ad orientare ed a controllare le decisioni riguardanti le sue esigenze esistenziali.
Per raggiungere questo obiettivo è necessario che lo Stato assicuri alla produzione, all’offerta ed al consumo dei servizi dei beni comuni alcune garanzie, nel senso che i servizi prodotti, offerti e consumati devono essere di “alta qualità”, prodotti in modo “efficiente”, erogati con “efficacia”, “rispondenti” alle aspettative dei consumatori, fiscalmente “giustificabili” e distribuiti secondo “equità”.
La qualità riguarda le modalità di soddisfazione delle esigenze del consumatore sul piano della premura, della velocità e della competenza con cui i servizi devono essere resi accessibili. L’efficienza, considerato il livello delle risorse impiegate, deve implicare che tale livello sia il migliore possibile in termini di quantità e qualità. La rispondenza alle aspettative dei consumatori deve essere volta a garantire il rispetto delle esigenze esistenziali del consumatore, in considerazione del fatto che per ogni soggetto il consumo di una determinata quantità di servizi resi da beni comuni deve risultare compatibile con il principio dell’autonoma determinazione individuale delle scelte di vita, mentre l’autonomia decisionale che deve sottostare al consumo dei servizi dei beni comuni deve essere assicurata attraverso la realizzazione da parte dello Stato delle condizioni utili allo scopo.
La giustificazione fiscale deve essere fondata sulla necessità che la rispondenza alle aspettative di consumo dei componenti la collettività sia controbilanciata dall’accettazione di una pressione fiscale condivisa e sostenibile, al fine di evitare che in determinate circoscrizioni territoriali (a causa, per esempio, della presenza di immigrati esentasse) le preferenze dei soggetti, in quanto contribuenti fiscali, non coincidano con le preferenze degli stessi soggetti in quanto fruitori di determinate aspettative in termini di servizi. Infine, la distribuzione equa dei servizi dei beni comuni deve comportare una omogenea distribuzione territoriale dei consumi, in modo tale da annullare qualsiasi ostacolo che possa tradursi in una discriminazione sociale intraterritoriale e interterritoriale.
Sono queste le garanzie che possono rendere libertario il paternalismo del quale parla Sunstein; non sembrano sufficienti i livelli di “pressione” deboli o forti ai quali egli fa di continuo riferimento, a seconda del tipo di bene consumato. La considerazione unilaterale di tali livelli da parte dello Stato implica un eccesso di discrezionalità che è plausibile considerare, pur anche all’interno di un mercato regolato da un regime politico democratico, non adeguato al rispetto del principio di autonomia di giudizio del consumatore in quanto cittadino, ma anche ad evitare che i singoli consumatori con le loro scelte arrechino danni ad altri.

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2 Responses to Lo Stato non si abbatte, si cambia! Verso la ricerca instancabile di democrazia.

  1. […] La politica non sempre è garante della natura libertaria del “paternalismo” dello Stato. Gianfr…. […]

  2. […] stia imparando nulla. La seconda questione, scusatemi, mi sta proprio facendo girare le scatole. (Segue) Va bene, il Sindaco Nizzi, proponendo di intitolare una scuola di Olbia alla madre dell’Emiro […]

Rispondi a Oggi sabato 17 febbraio 2018 | Aladin Pensiero Annulla risposta

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