Amicizia

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«Amicizia»: la poesia letta da Insinna ai funerali di Frizzi
a Roma
di Corriere della Sera, Redazione Online

Ecco il testo della poesia «Amicizia», di autore anonimo e attribuita Jorge Luis Borges, letta da Flavio Insinna durante i funerali di Fabrizio Frizzi a Roma. Recentemente un gruppo di amici e colleghi aveva dedicato proprio a Frizzi la poesia durante una delle ultime serate passate insieme.
«Amicizia»
Non posso darti soluzioni per tutti i problemi della vita,
Non ho risposte per i tuoi dubbi o timori,
però posso ascoltarli e dividerli con te.
Non posso cambiare né il tuo passato né il tuo futuro,
però quando serve starò vicino a te.
Non posso evitarti di precipitare,
solamente posso offrirti la mia mano perché ti sostenga e non cada.
La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono i miei,
però gioisco sinceramente quando ti vedo felice.
Non giudico le decisioni che prendi nella vita,
mi limito ad appoggiarti, a stimolarti e aiutarti se me lo chiedi.
Non posso tracciare limiti dentro i quali devi muoverti,
però posso offrirti lo spazio necessario per crescere.
Non posso evitare la tua sofferenza, quando qualche pena ti tocca il cuore,
però posso piangere con te e raccogliere i pezzi per rimetterlo a nuovo.
Non posso dirti né cosa sei né cosa devi essere,
solamente posso volerti come sei ed essere tuo amico.
In questo giorno pensavo a qualcuno che mi fosse amico,
in quel momento sei apparso tu…
Non sei né sopra né sotto né in mezzo,
non sei né in testa né alla fine della lista.
Non sei né il numero uno né il numero finale e tanto meno ho la pretesa di essere io il primo, il secondo o il terzo della tua lista.
Basta che tu mi voglia come amico.
Poi ho capito che siamo veramente amici.
Ho fatto quello che farebbe qualsiasi amico:
ho pregato e ho ringraziato Dio per te.
Grazie per essermi amico.

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Dal Corriere della Sera online.
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IL TERZO GRIDO
img_4678img_4810Newsletter n. 78 del 27 marzo 2018
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IL TERZO GRIDO
di Raniero La Valle

Cari Amici,
la settimana di Pasqua è cominciata col potente invito di papa Francesco, dall’altare di piazza san Pietro, a liberare e a mettere in gioco nel mondo il terzo grido.
Il primo grido è quello di cui si narrava nel vangelo della domenica delle palme: il grido gioioso dei malati che erano stati guariti, dei poveri che erano stati accolti, dei prigionieri che già vedevano cadere le loro catene, degli scartati chiamati per primi, dei sognatori del regno che lo vedevano arrivare sia pure in enigma. Il grido dell’osanna.
Il secondo grido è quello del popolo che era stato fuorviato e plagiato dai poteri religiosi e politici di allora e dal sistema comunicativo del tempo, e indotto a tradire le proprie stesse speranze e a pronunziare il “crucifige!”. Il grido del livore e dell’invidia della vita degli altri.
E non c’è solo il “crocifiggilo” di allora, ci sono i “crocifiggi” di oggi, dei poteri che vendono i popoli per un paio di sandali, dei nuovi sovrani che rubano il comune futuro per averlo tutto solo per sé, dei banditori che truccano la realtà e screditano chi resiste; e magari anche il “crucifige” degli zelanti della legge che si preparano al piccolo sinedrio antipapista convocato per il 6 aprile a Roma, allo scopo di tarpare le ali al magistero di Francesco.
Il terzo grido è quello che nessuno può mettere a tacere. Come disse Gesù quello stesso giorno delle Palme ai farisei che volevano che imponesse il silenzio ai suoi discepoli: “Io vi dico che se questi taceranno, grideranno le pietre”. È il grido della novità e della liberazione, non solo di un giorno, ma di sempre: l’aveva detto anche il profeta Abacuc che contro l’iniquità (Francesco la chiama inequità) “la pietra griderà dalla parete e la trave risponderà dall’impiantito”.
Questo grido il papa lo ha chiesto ai giovani, non solo cristiani, che aveva convocato nel colonnato per preparare il Sinodo a loro dedicato. Contro un mondo che cerca di rendere invisibili e anestetizzare i giovani perché non facciano rumore e i loro sogni siano ridotti a “fantasticherie rasoterra, meschine e tristi”, il papa ha suonato la sveglia: “Sta a voi non stare zitti, sta a voi la decisione di gridare”. E qui Francesco ha chiesto il secondo favore del suo pontificato; il primo lo aveva chiesto fin dall’inizio, era quello di pregare per lui. Il secondo è questo: “Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre”.
È chiaro che questo è un invito rivolto a tutti, anche a noi, perché non sono giovani, da poter gridare, solo i decrepiti nello spirito. Perciò è tempo non di fare le vittime di fronte a quello che viene descritto come il peggio che avanza, ma è tempo di gridare e di mettersi in gioco.
Nella diretta del TG1 dal sagrato di piazza san Pietro il telecronista, non sappiamo per quale associazione di idee, ha evocato il fatto che il giorno prima Camera e Senato a Roma avevano eletto i loro presidenti. Infatti contro le lugubri previsioni di quanti pensavano che con quei risultati elettorali ci sarebbero volute estenuanti settimane, l’operazione era stata sbrigata in un giorno.
È un buon auspicio sulla vitalità di questa legislatura. Tutto sembra tornato in Parlamento, tutto dunque, salvo attentati dall’esterno, è di nuovo possibile. La routine di un sistema che diluviava di parole ma non ascoltava nessuno è stata rotta. La “felice discontinuità” delle elezioni del 4 marzo comincia a operare. Paradossalmente l’orribile legge elettorale che era stata cucinata a tutt’altro scopo ha dato i suoi frutti migliori proprio in ciò per cui oggi viene rinnegata e deprecata: l’aver dato spazio proporzionale a tre forze, ciascuna delle quali può essere di governo o di opposizione, ma nessuna delle quali può dominare da sola; ciò vuol dire che il dialogo è imprescindibile, e che l’incognita del rischio è ridotta. Perciò, tutt’altro che ritirarsi imbronciati per le meritate sconfitte, occorre vegliare e cercare di volgere al bene le nuove esperienze, e capire che cosa dovremo gridare, e anche come ancora dire “sinistra”. Ma la democrazia c’è, la Costituzione e le due Camere sono ancora là, le istituzioni funzionano. Tutto sempre comincia.
Con i più fervidi auguri pasquali

Raniero La Valle
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CELEBRAZIONE DELLA DOMENICA DELLE PALME E DELLA PASSIONE DEL SIGNORE
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OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO

Piazza San Pietro
XXXIII Giornata Mondiale della Gioventù
Domenica, 25 marzo 2018

[Multimedia]

Gesù entra in Gerusalemme. La liturgia ci ha invitato a intervenire e partecipare alla gioia e alla festa del popolo che è capace di gridare e lodare il suo Signore; gioia che si appanna e lascia un sapore amaro e doloroso dopo aver finito di ascoltare il racconto della Passione. In questa celebrazione sembrano incrociarsi storie di gioia e di sofferenza, di errori e di successi che fanno parte del nostro vivere quotidiano come discepoli, perché riesce a mettere a nudo sentimenti e contraddizioni che oggi appartengono spesso anche a noi, uomini e donne di questo tempo: capaci di amare molto… e anche di odiare – e molto –; capaci di sacrifici valorosi e anche di saper “lavarcene le mani” al momento opportuno; capaci di fedeltà ma anche di grandi abbandoni e tradimenti.

E si vede chiaramente in tutta la narrazione evangelica che la gioia suscitata da Gesù è per alcuni motivo di fastidio e di irritazione.

Gesù entra in città circondato dalla sua gente, circondato da canti e grida chiassose. Possiamo immaginare che è la voce del figlio perdonato, quella del lebbroso guarito, o il belare della pecora smarrita che risuonano forti in questo ingresso, tutti insieme. E’ il canto del pubblicano e dell’impuro; è il grido di quello che viveva ai margini della città. E’ il grido di uomini e donne che lo hanno seguito perché hanno sperimentato la sua compassione davanti al loro dolore e alla loro miseria… E’ il canto e la gioia spontanea di tanti emarginati che, toccati da Gesù, possono gridare: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». Come non acclamare Colui che aveva restituito loro la dignità e la speranza? E’ la gioia di tanti peccatori perdonati che hanno ritrovato fiducia e speranza. E questi gridano. Gioiscono. E’ la gioia.

Questa gioia osannante risulta scomoda e diventa assurda e scandalosa per quelli che si considerano giusti e “fedeli” alla legge e ai precetti rituali[1]. Gioia insopportabile per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti al dolore, alla sofferenza e alla miseria. Ma tanti di questi pensano: “Guarda che popolo maleducato!”. Gioia intollerabile per quanti hanno perso la memoria e si sono dimenticati di tante opportunità ricevute. Com’è difficile comprendere la gioia e la festa della misericordia di Dio per chi cerca di giustificare sé stesso e sistemarsi! Com’è difficile poter condividere questa gioia per coloro che confidano solo nelle proprie forze e si sentono superiori agli altri![2]

E così nasce il grido di colui a cui non trema la voce per urlare: “Crocifiggilo!”. Non è un grido spontaneo, ma il grido montato, costruito, che si forma con il disprezzo, con la calunnia, col provocare testimonianze false. E’ il grido che nasce nel passaggio dal fatto al resoconto, nasce dal resoconto. E’ la voce di chi manipola la realtà e crea una versione a proprio vantaggio e non ha problemi a “incastrare” altri per cavarsela. Questo è un [falso] resoconto. Il grido di chi non ha scrupoli a cercare i mezzi per rafforzare sé stesso e mettere a tacere le voci dissonanti. E’ il grido che nasce dal “truccare” la realtà e dipingerla in maniera tale che finisce per sfigurare il volto di Gesù e lo fa diventare un “malfattore”. E’ la voce di chi vuole difendere la propria posizione screditando specialmente chi non può difendersi. E’ il grido fabbricato dagli “intrighi” dell’autosufficienza, dell’orgoglio e della superbia che proclama senza problemi: “Crocifiggilo, crocifiggilo!”.

E così alla fine si fa tacere la festa del popolo, si demolisce la speranza, si uccidono i sogni, si sopprime la gioia; così alla fine si blinda il cuore, si raffredda la carità. E’ il grido del “salva te stesso” che vuole addormentare la solidarietà, spegnere gli ideali, rendere insensibile lo sguardo… Il grido che vuole cancellare la compassione, quel “patire con”, la compassione, che è la debolezza di Dio.

Di fronte a tutte queste voci urlate, il miglior antidoto è guardare la croce di Cristo e lasciarci interpellare dal suo ultimo grido. Cristo è morto gridando il suo amore per ognuno di noi: per giovani e anziani, santi e peccatori, amore per quelli del suo tempo e per quelli del nostro tempo. Sulla sua croce siamo stati salvati affinché nessuno spenga la gioia del vangelo; perché nessuno, nella situazione in cui si trova, resti lontano dallo sguardo misericordioso del Padre. Guardare la croce significa lasciarsi interpellare nelle nostre priorità, scelte e azioni. Significa lasciar porre in discussione la nostra sensibilità verso chi sta passando o vivendo un momento di difficoltà. Fratelli e sorelle, che cosa vede il nostro cuore? Gesù continua a essere motivo di gioia e lode nel nostro cuore oppure ci vergogniamo delle sue priorità verso i peccatori, gli ultimi, i dimenticati?

E a voi, cari giovani, la gioia che Gesù suscita in voi è per alcuni motivo di fastidio e anche di irritazione, perché un giovane gioioso è difficile da manipolare. Un giovane gioioso è difficile da manipolare!

Ma esiste in questo giorno la possibilità di un terzo grido: «Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”; ed Egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”» (Lc 19,39-40).

Far tacere i giovani è una tentazione che è sempre esistita. Gli stessi farisei se la prendono con Gesù e gli chiedono di calmarli e farli stare zitti.

Ci sono molti modi per rendere i giovani silenziosi e invisibili. Molti modi di anestetizzarli e addormentarli perché non facciano “rumore”, perché non si facciano domande e non si mettano in discussione. “State zitti voi!”. Ci sono molti modi di farli stare tranquilli perché non si coinvolgano e i loro sogni perdano quota e diventino fantasticherie rasoterra, meschine, tristi.

In questa Domenica delle Palme, celebrando la Giornata Mondiale della Gioventù, ci fa bene ascoltare la risposta di Gesù ai farisei di ieri e di tutti i tempi, anche quelli di oggi: «Se questi taceranno, grideranno le pietre» (Lc 19,40).

Cari giovani, sta a voi la decisione di gridare, sta a voi decidervi per l’Osanna della domenica così da non cadere nel “crocifiggilo!” del venerdì… E sta a voi non restare zitti. Se gli altri tacciono, se noi anziani e responsabili – tante volte corrotti – stiamo zitti, se il mondo tace e perde la gioia, vi domando: voi griderete?

Per favore, decidetevi prima che gridino le pietre.
[1] Cfr R. Guardini, Il Signore, Brescia-Milano 2005, 344-345.
[2] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 94.
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- La foto in testa all’articolo è di Renato d’Ascanio Ticca.

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