La povertà abolita per decreto

valutazione microPoscrittino notturno (così mi levo fin d’ora il pensiero per domattina presto).
di Tonino Dessì su fb.
Stanno festeggiando l’aumento del debito pubblico del 2,4 per cento, che in comode rate pagheremo in aggiunta, con gli interessi, noi e i nostri figli e nipoti.
Se sapevo che era così facile, la manovra finanziaria gliela scrivevo io gratis: perdonate la consecutio, ma anch’io mi adeguo in qualche modo ai nuovi standard governativi.
Diciamo che abbiamo fatto -in democrazia quello che decidono per noi è come se lo avessimo deciso noi- come molti (ne conosco) che prendono danaro a prestito non per comprar casa, ma per finanziare i consumi della famiglia.
Nell’immediato un beneficio si dovrebbe avvertire. In futuro non si sa.
Confidare nell’effetto espansivo sull’economia di un aumento probabile della domanda per consumi finanziata dalla spesa pubblica corrente non è una raccomandazione che si trovi nemmeno nei bignami del keynesismo per scuole di recupero anni.
Paolo Savona, per esempio, tanti anni fa dimostrò in corpore vivo, proprio per la Sardegna della Rinascita, che l’economia in un sistema aperto non funziona affatto così.
Dubiterei pertanto della sensatezza dell’annuncio che “è stata abolita la povertà”. [segue]
Detto però tutto questo, l’ultima cosa che potrei accettare dall’opposizione è un atteggiamento che il partito di maggioranza relativa della scorsa legislatura avrebbe senz’altro definito da “gufi”.
Tifare per probabili reazioni negative a caldo dei mercati finanziari, confidare nell’aumento dello spread, paventare tragici effetti di declassamenti da parte delle agenzie di rating, sollecitare e sostenere acriticamente eventuali probabili richiami al rigore contabile della Commissione UE, sarebbe una posizione sterile, un atteggiamento, l’ennesimo, da futili mangiatori di pop corn.
La sfida va accettata ormai anche nella dimensione dello sforamento.
Ma quello che ci si attenderebbe da un’opposizione che non voglia condannarsi all’ulteriore impopolarità sarebbero proposte migliorative strutturali, finalizzate a evitare la dispersione dell’incremento della spesa, a riqualificare una quota consistente della spesa pubblica complessiva in direzione degli investimenti infrastrutturali permanenti e al riequilibrio territoriale e non di meno volte al recupero di altre risorse sul terreno delle entrate, con la lotta effettiva all’evasione fiscale, alla corruzione, agli sprechi.
Tutto ciò per scongiurare fin d’ora, preventivamente, il rischio che invece, appena assorbita e attenuata l’euforia di questa iniezione di nuove spese nel sistema, la successiva contrazione dei suoi effetti congiunturali induca o a un ulteriore, progressivo e più che proporzionale aumento del debito, o al taglio dei servizi pubblici, in primis quelli socio-sanitari e quelli dipendenti dalla finanza regionale e locale.
Se non saranno capaci di confrontarsi a questo livello, consiglierei alle opposizioni semplicemente di desistere e di lasciar perdere.
Chiacchiere puramente recriminatorie e contropropaganda parimenti demagogica non avranno nel Paese alcuna eco favorevole.

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