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Editoriali
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Che succede?
CAPIRE LA DEMOCRAZIA. E DIFENDERLA
19 Maggio 2022 su C3dem
Gianfranco Pasquino spiega perché Putin piace alla destra e a certa sinistra: “Lo Zar piace a una destra che non capisce la democrazia” (Domani). Tema ripreso da Moises Naim nella sua riflessione su “La crisi della democrazia” (Repubblica) e da Angelo Panebianco: “L’Europa a un bivio” (Corriere della sera). POLITICA ESTERA E 5 STELLE: Antonio Polito commenta il voto nella Commissione Esteri del Senato: “Gli effetti collaterali” (Corriere della sera). Federico Capurso, “La sconfitta di Conte” (La Stampa). Emanuele Buzzi, “Conte: una bassa manovra. Avevo avvisato Draghi…” (Corriere). Lina Palmerini, “Una sconfitta e due passaggi ad alto rischio per l’unità M5S” (Sole 24 ore). Carlo Bertini, “Uscita dei 5S e voto a ottobre, i timori di Draghi e Letta” (La Stampa). Stefano Folli, “Ambiguità sull’Ucraina. Il governo è più debole” (Repubblica). Claudio Cerasa, “Meloni-Letta contro Salvini-Conte” (Foglio). NORD EUROPA E NATO: Danna Marin (premier finlandese), “Vogliamo un futuro sicuro. Putin deve essere fermato, da solo non lo farà mai” (intervista al Corriere della sera). Giovanna Vitale, “Sanna Marin a pranzo vede Letta e Conte: ‘Votate in fretta sull’Alleanza’” (Repubblica). PD: Daniela Preziosi, “Per Letta l’alleanza con M5S dovrà reggere. Sul referendum 5 No, ma senza litigare” (Domani). IDEE: Matteo Maria Zuppi, “Il buio della guerra e la fede da fitness” (intervento a Torino su Bonhoeffer – Il Fatto). Ferruccio De Bortoli, “La libertà è fatta di relazioni” (sul libro di Giaccardi e Magatti – Corriere). Cristina Dell’Acqua, “Le lezioni eterne sulla guerra dei Persiani di Eschilo” (Corriere della sera).
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DISSIDENTI RUSSI, GRANO UCRAINO, PROGETTI DI PACE
19 Maggio 2022 su C3dem
Anna Zafesova, “Slogan e rivolte anticensura. Gli Urali, patria dei dissidenti” (La Stampa). Francesco Semprini, “Un maxi corridoio umanitario per liberare il grano di Kiev” (La Stampa). Gianluca De Feo, “Lo stallo al fronte giova alle trattative” (Repubblica). Tommaso Ciriaco, “La pace in 4 tappe. Il piano del governo italiano inviato all’Onu” (Repubblica). Mario Giro, “Guerra in Ucraina, solo la cultura può fermare l’odio” (Domani). Daniela Fassini, “Nonviolenza. ‘Saremo a Kiev l’11 luglio, san Benedetto patrono d’Europa” (Avvenire). Enrico Lenzi, “Mons. Gallagher in Ucraina” (Avvenire). IL DIBATTITO SULLA GUERRA E LA PACE: Marco Minniti, “Il Mediterraneo per la pace” (Repubblica). Giovanni Maria Flick, “Non va oltrepassata la legittima difesa” (intervista a Avvenire). Roberto Gressi, “Le troppe scuse per giustificare lo Zar” (Corriere). Marco Bascetta, “Torna la logica dei blocchi e dei ricatti” (Manifesto). Gianni Cuperlo, “La sconfitta di Putin è davvero una possibilità?” (Domani). Dialogo tra quattro studiosi americani: “Come si ferma Putin” (Foglio). SANZIONI ED ECONOMIA: David Carretta, “Ue, come si esce dall’empass dell’energia” (Foglio). Beda Romano, “L’Ue mobilita 300 miliardi per dire addio all’energia russa” (Sole 24 ore). Federico Fubini, “Pil e inflazione. I dati pessimi delle dittature” (Corriere della sera). Renato Brunetta, “L’Europa si regge soltanto su un patto Roma-Parigi-Berlino” (Milano Finanza). Innocenzo Cipolletta, “La crescita preoccupa più dell’inflazione” (Domani).
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ESEMPI DI UN PARLAMENTO INADEGUATO
17 Maggio 2022 su C3dem
Mauro Calise, “La guerra con i partiti fragili” (Mattino). Sabino Cassese, “La Camera e il Senato possono fare molto di più (e meno peggio). Quattro esempi” (Corriere della sera). Salvatore Vassallo, “I partiti che usano i sondaggi dovrebbero prima capirli” (Domani). Marco Zatterin, “Crescita dimezzata, l’Italia sotto esame” (La Stampa). Alessandro Campi, “I politici improvvisati un danno per il Sud” (Mattino). Stefano Folli, “Perché Letta e Di Maio escluderanno Conte” (Repubblica). Andrea Carugati, “No di M5s, Sinistra, Lega: sulle armi non c’è più maggioranza” (Manifesto). Aldo Torchiaro, “Giustizia, il Pd si spacca sui referendum” (Il Riformista). Stefano Ceccanti, Enrico Morando: “Caro Letta, ripensaci. Il No al referendum sulla giustizia è un guaio” (Foglio). Gaetano Azzariti, “Onida, ci mancherà il suo pragmatismo militante” (Manifesto). UCRAINA/RUSSIA/NATO: Francesco Semprini, “L’Ucraina non vuole la tregua: permetterebbe ai russi di riposizionarsi” (Corriere della sera). Tonia Mastrobuoni, “Sì svedese all’Alleanza. Stoltenberg: l’Ucraina può vincere la guerra” (Repubblica). Claudio Cerasa, “Armare ancora Kiev per avere la pace” (Foglio). Nathalie Tocci, “Uno scudo europeo per gli scandinavi” (La Stampa). Stefano Stefanini, “Il gioco pericoloso di Ankara nell’Alleanza: minaccia il veto per Svezia e Finlandia” (La Stampa). Domenico Quirico, “Impossibile restare neutrali” (La Stampa). Vincenzo Camporini, “La Nato troppo forte? No, se anche l’Europa è più forte” (intervista a Il Riformista). Ivan Kristev, “Scompare la zona grigia. L’unica responsabile è Mosca” (intervista a La Stampa). Luigi Ferrajoli, “Guerra ucraina, il sogno oppure l’incubo?” (Manifesto). Robert Kaplan, “Xi è in difficoltà, ora non può aumentare il suo sostegno a Putin” (intervista a Repubblica). EUROPA/MONDO: Sergio Fabbrini, “Davanti alla sfida sovranista e alla crisi l’Europa deve darsi una nuova identità” (prefazione a un libro di G. Armillei – Il Quotidiano). Andrea Bonanni, “Il ricatto di Orban e il vincolo dell’unanimità” (Repubblica). Stefano Montefiori, “Donna, ‘veterana’ e di sinistra. Macron sceglie Borne come premier” (Corriere della sera). Maurizio Ambrosini, “Suprematismo mala pianta” (Avvenire).
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Matteo Maria Zuppi, “
Il buio della guerra e la fede da fitness
”
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L’arma dell’ascolto
Marianella Sclavi su Sbilanciamoci
Maggio 2022 | Sezione: Europa, primo piano
Non è facile il dialogo tra “noi” pacifisti italiani arrivati in Ucraina a portare aiuti e “loro”, gli ucraini sotto l’attacco della Russia. Lo potremmo sintetizzare in questo scambio, che insegna molto sull’arte di ascoltare.NOI: “Noi sentiamo l’esigenza di non limitarci a mandarvi armi, ma di esserci, qui con voi, accanto a voi. Vogliamo sapere cosa ne pensate dell’idea di organizzare una grande presenza nonviolenta a Kiev, di cittadini di tutti i paesi europei che vengono a mettere in gioco il proprio corpo, la propria vita, accanto alla vostra, a sfidare accanto a voi l’aggressore, con l’arma della nonviolenza”.
LORO (dubitativi e allarmati): “Se questo fosse accaduto il secondo giorno dall’aggressione, quando gli abitanti delle prime città invase dai carri armati sono scesi in strada urlando loro di andarsene, riuscendo a farli arretrare, avrebbe avuto senso. Adesso è troppo tardi. Adesso una tale azione rischia di mettere in secondo piano quella che è in assoluto la nostra più vitale priorità: bloccare la loro invasione sul piano militare”.
NOI: “D’accordo con voi che le uniche ragioni che Putin capisce sono quelle della forza. Non è tipo col quale sedersi al tavolo a ragionare. Ma anche la nonviolenza è una forza, quando si manifesta nella presenza di migliaia di persone che hanno il coraggio di mettersi personalmente in gioco. Di fronte a cinquemila persone (come minimo) che dentro il territorio bellico manifestano pacificamente e coraggiosamente solidarietà con la resistenza del popolo ucraino, non credete che la minaccia di usare l’arma nucleare risulterebbe ridicola? I dittatori hanno più paura del ridicolo che delle armi e dei giudizi morali dei benpensanti”.
LORO: “Presenterebbe la vostra manifestazione come una ennesima “manipolazione occidentale”, un’altra “Piazza Maidan” organizzata dal governo Usa. E la stragrande maggioranza dei russi gli crederebbe. Il regalo che Putin ci ha fatto è stato di far di noi un popolo unito come non mai, unito e determinato anche a morire pur di non sottomettersi. Questa è la nostra forza attuale che ci fa sentire invincibili. Al negoziato si arriva unicamente con più armi e più sanzioni”,
NOI: “Ma se ai negoziati si arriva unicamente come esito del conflitto bellico, saranno solo i capi di governo e i signori della guerra a sedersi a quel tavolo e sappiamo già quale saranno i suoi contenuti e i suoi esiti, ovvero il perpetuarsi delle ostilità e la possibile ripresa della guerra ad ogni momento (vedi gli Accordi di Dayton che misero fine alla guerra nell’ex Jugoslavia). Invece all’ordine del giorno bisogna mettere come europei proprio l’idea di cambiare radicalmente il contesto politico, sociale, economico, che ha reso possibile l’aggressione. A quel tavolo deve esserci la presenza della società civile nonviolenta”.
LORO: “Siamo d’accordo, ma non è la nostra priorità in questo momento. E’ la vostra. Cambiate l’assetto dell’Europa nel senso che dite e noi siamo d’accordo”.
NOI: “Va bene. Mettiamola così: noi riteniamo fondamentale già oggi costruire gli Stati Uniti d’Europa che in futuro comprendano anche la Russia, dotati di un esercito difensivo e di Corpi civili di pace in grado di intervenire efficacemente nei conflitti al loro nascere. La Nato va superata, va eliminata come è successo al Patto di Varsavia. Sono espressioni della guerra fredda e non fanno che perpetuarla. Ma per fare questo non basta raccogliere firme e neppure partecipare a convegni o reclamare una nuova Conferenza di Helsinki, che nel 1975 aveva già deciso tutte le cose giuste rimaste sulla carta”.
LORO: “Noi siamo nonviolenti, amanti della pace costretti a difenderci con la violenza. Manifestate in massa perché i vostri governi ci diano più armi, mettano in atto più sanzioni e usino questo per arrivare ai negoziati al più presto possibile”.
NOI: “Per trasformazioni così radicali, per vincere le resistenze, perché la forza delle armi non annulli quella della nonviolenza, sono necessari atti clamorosi di coraggio messi in atto là dove è richiesto coraggio. Siamo convinti che una grande manifestazione a Kiev può avere delle ripercussioni molto più potenti che non decine di manifestazioni a Bruxelles”.
LORO: “Sì, forse sulle società e governi europei”.
NOI: “Non sopportiamo di sentirci come il popolo romano al Colosseo che guarda i gladiatori che lottano contro le bestie inferocite e si limitano ad alzare il pollice. Voi adesso siete i gladiatori d’Europa. Non è giusto, ci fa sentire dei vigliacchi. L’idea resta quella della grande manifestazione dei 5000 a Kiev”.
LORO (finalmente benevolenti). “Se lo fate, vi diamo una mano”.
NOI: “Oltre alle armi per la difesa violenta, anche le armi per abbracciarci: More arms for more hugs” è un possibile slogan”.——-
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[…] Un bel aforisma di Barbara Wootton* “E’ dai campioni dell’impossibile piuttosto che dagli schiavi del possibile che l’evoluzione trae la sua forza creativa” Il CoStat propone un’Intesa al Centro Sinistra, al M5Stelle e alle organizzazioni indipendentiste e autonomiste per battere la Destra di Salvini e soci. Missione impossibile? Non è detto. Il CoStat non demorde e, dati alla mano, chiama tutti all’impegno perché la Sardegna non venga consegnata alla Destra, la peggiore Destra oggi presente sullo scenario politico. L’Unione Sarda – Edizione del 1/12/2018 Sezione “Primo Piano” Centrosinistra e Cinquestelle uniti al voto per battere Salvini in Sardegna. Fantapolitica? Non per Andrea Pubusa, ex consigliere regionale del Pci e animatore del dibattito nella sinistra sarda. «La mia proposta – spiega – nasce da un’osservazione: a livello nazionale si è arrivati a questo governo per il veto del Pd sui 5Stelle. Uguale a quello di Grillo su Bersani 5 anni fa. Esclusioni reciproche che hanno avuto esiti disastrosi». [segue] In Sardegna la situazione politica è diversa. «Parto da un ragionamento matematico, oltre che politico. Salvini è dato al 36%, il M5S sopra il 20, il centrosinistra con Zedda su cifre simili. Se cadessero quelle preclusioni, con un blocco unico potrebbero bloccare Salvini». È così importante batterlo? «Beh, se lo si accusa di fascismo, allora le forze democratiche dovrebbero mostrarsi responsabili e unirsi. E poi una forza da sempre anti-Sud non può trionfare nella terra di Lussu, Gramsci, Dettori». Ma il Movimento 5Stelle con Salvini ci governa. «Sì, ma ne è fagocitato ogni giorno di più. Il M5S ha interesse a non consegnargli la Sardegna per non dargli una forte rincorsa per conquistare del tutto il livello nazionale. E il Pd… il Pd deve decidere cosa fare da grande». Non sembra che ci siano le condizioni per un’intesa simile. «Io credo che ci possano essere. Lo impone la legge elettorale. Devi fare un contratto di governo prima del voto, perché poi non si può. Un vantaggio per tutti i contraenti, che vincendo eleggerebbero molti più consiglieri». Lei è stato spesso accostato ai 5Stelle. È corretto? «Non sono del M5S, mi considero un vecchio pensatore di sinistra. Condivido alcune loro idee, come il reddito di cittadinanza e la lotta alla corruzione, temi storici della sinistra. Se non ha i paraocchi, un vero democratico non può non sostenerle». Il M5S ha anche votato il decreto sicurezza. «Lì c’è un contratto da rispettare, se no cade il governo, e capisco che il M5S non voglia. Però, appunto, fermare Salvini qui servirebbe anche a rinfrescare la carica innovativa del Movimento». Ha mai parlato della sua idea ai vertici locali del M5S? «Mesi fa, ad alcuni amici, ho fatto una proposta limitata: con questa legge elettorale avrebbero dovuto accordarsi, prima del voto, con l’area democratica. Hanno detto di no, ma ora le cose sono cambiate. Il M5S arranca con le regionarie, il Pd ha scelto Zedda come foglia di fico». Zedda non le piace? «Lotta per arrivare secondo anziché terzo. Non credo che il suo impatto andrà oltre il Medio Campidano. Ma un po’ tutti stanno pensando a perdere bene più che a vincere. Pds e Autodeterminatzione sperano di superare il 5%; lo stesso M5S sa che non vincerà. Perché non provare a vincere tutti insieme?» Con quale candidato? «Si dovrebbe cercare insieme una figura condivisa». Non Zedda, comunque. «Lui rappresenta, al di là del suo successo, la sinistra minoritaria che si è autodistrutta. Il M5S sceglierà una brava persona, ma poco nota. In Sardegna ci sono molte figure autorevoli che potrebbero guidare una tale alleanza, non lo vedo un problema». E i programmi? «Ci sono molti temi su cui basare un contratto di governo: occupazione, lotta alla povertà, difesa dell’ambiente, taglio delle servitù militari». Su altri però ci sono vedute opposte, come il metanodotto. «Su questo, i contrari non sono solo nel M5S. Certo, il programma non sarà solo rose e fiori, ma il problema sono i pregiudizi reciproci. Però con gli stereotipi andiamo a sbattere contro il muro». Giuseppe Meloni, L’Unione Sarda sabato 1 dicembre 2018. […]
[…] Dopo la pubblicazione, nel 2013, di “Il reddito minimo universale” e, nel 2017, di “Il reddito di base”, entrambi dedicati dagli autori, Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght alla spiegazione del significato e della funzione del reddito di cittadinanza (assegnato a ogni individuo senza vincoli di “contropartite lavorative” e senza “prova dei mezzi”), era plausibile attendersi che la classe politica si fosse presa la briga di leggerli; ciò avrebbe consentito di evitare la confusione, ormai radicata anche nell’opinione pubblica, che solitamente viene fatta per la mancata distinzione tra la forma di reddito della quale parlano gli autori e tutte le misure monetarie di natura welfarista adottabili e adottate (come, ad esempio quella introdotta dall’attuale governo italiano) per contrastare il fenomeno della povertà. La confusione non potrà essere d’aiuto per riflettere sui contenuti più appropriati della politica economica, presumibilmente chiamata nel prossimo futuro ad affrontare i fenomeni dell’insicurezza economica e dell’esclusione sociale che affliggono attualmente il sistema socio-politico dell’Italia, congiuntamente a quello di molti altri Paesi industrializzati di mercato, per tutte le ragioni puntualmente illustrate nei libri sopra richiamati. Viviamo in un mondo radicalmente nuovo rispetto a quello nato e consolidatosi nei primi trent’anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale; si tratta – affermano Van Parijs e Vanderborght, – di un mondo “riplasmato da numerose forze: la dirompente rivoluzione tecnologica determinata dal computer e da Internet; la globalizzazione dei mercati, delle migrazioni e della comunicazioni; la crescita impetuosa della domanda mondiale di beni a dispetto dei limiti imposti dall’esaurimento delle risorse naturali e dalla saturazione dell’atmosfera; la crisi delle tradizionali istituzioni protettive, dalla famiglia ai sindacati, ai monopoli di Stato, ai sistemi di welfare; infine le interazioni esplosive di queste varie tendenze”. Per poter valutare razionalmente come contrastare le minacce delle quali sono portatrici queste tendenze, occorre, a parere di Van Parijs e Vanderborght, definire un quadro istituzionale di riferimento alternativo a quello esistente; a tal fine, gli autori, affermati docenti di economia e di scienza politica e divulgatori dell’idea di “reddito di base” (o reddito di cittadinanza), avanzano la proposta di un “nuovo quadro istituzionale” fondato sulla libertà, “intesa come libertà sostanziale di tutti e non solo dei ricchi”. Per realizzare il nuovo quadro istituzionale occorre agire su diversi fronti, dal miglioramento dell’uso delle risorse, alla ridefinizione dei diritti di proprietà, dal miglioramento del sistema dell’istruzione (attraverso la sua trasformazione in sistema di apprendimento permanente), alla ristrutturazione del modo in cui all’interno delle moderne società industriali ad economia di mercato si persegue l’obiettivo della sicurezza economica e dell’inclusione sociale. Lo strumento sul quale edificare il nuovo quadro istituzionale alternativo a quello attuale (non più in grado di garantire, sia la sicurezza economica, che l’inclusione sociale) consiste, secondo Van Parijs e Vanderborght, nell’introdurre nell’insieme delle regole di funzionamento delle moderne società industriali ciò che oggi “è comunemente chiamato reddito di base: un reddito regolare pagato in denaro ad ogni singolo membro di una società, indipendentemente da altre entrate e senza vincoli”. Qual è l’incombenza, si chiedono Van Parijs e Vanderborght, che, pesando oggi sullo stabile funzionamento delle società economicamente avanzate, a rendere necessaria una riforma del loro quadro istituzionale, fondata sull’introduzione di un reddito di base universale e incondizionato? Tutti coloro che sinora si sono pronunciati in favore di tale forma di reddito chiamano in causa alcuni aspetti della dinamica propria delle moderne società industriali, quali, in primo luogo, l’ondata di automazione (di cui è prevista un’accelerazione nei prossimi anni) che sta investendo i processi produttivi, causando una crescente polarizzazione del prodotto sociale; in secondo luogo, l’approfondimento e l’allargamento della globalizzazione che, oltre ad aggravare le disuguaglianze distributive, causerà l’aumento del numero delle persone che perderanno irreversibilmente la stabilità occupazionale. Le innovazioni dei processi produttivi (che consentono “risparmio di lavoro”, indotto dal progresso scientifico e tecnologico e dalla natura altamente competitiva del mercato globale), potrebbero non rappresentare una “calamità sociale” insormontabile, se la maggior produttività da esse determinata potesse tradursi in una maggiore crescita; ma la fiducia su una crescita senza limiti presenta diverse controindicazioni: in primo luogo, esse sono dovute ai limiti ecologici, oggi amplificati dall’impatto sull’atmosfera; in secondo luogo, al fatto che i moderni sistemi industriali, come sottolineano molti economisti, sono esposti agli esiti di una loro tendenza a una “stagnazione secolare”; in terzo luogo, alla consapevolezza che la crescita, anche per chi la ritiene auspicabile che possibile, non costituisca una soluzione alla disoccupazione strutturale e alla precarietà. Le controindicazioni circa la possibilità che un’ulteriore crescita basti a risolvere i problemi della disoccupazione e della precarietà, nel contesto di un’automazione crescente e di un allargamento della globalizzazione, sono forse discutibili; esse, tuttavia, sono sufficienti a “spiegare e a giustificare” le richieste di una più efficace risposta alle sfide poste dall’aggravarsi dei fenomeni della disoccupazione strutturale e delle disuguaglianze distributive: secondo Van Parijs e Vanderborght, se non si troverà “un modo per assicurare un reddito di base da corrispondere alle persone che non hanno lavoro (o non hanno un lavoro decente), le moderne società industriali ad economia di mercato andranno incontro ad un futuro perennemente caratterizzato da instabilità economica e conflittualità sociale”. La previsione che la creazione di nuovi posti di lavoro “dignitosi” sarà sempre più difficile suggerisce perciò la necessità che gli establishment dominanti si convincano che occorre assicurare le risorse necessarie alla sopravvivenza della crescente massa di disoccupati e di poveri. Van Parijs e Vanderborght indicano due alternative per rispondere a questa necessità. Un primo modo di procedere (che gli autori considerano sconveniente) potrebbe consistere nell’allargamento dell’esistente sistema di assistenza pubblica; si tratterebbe di un modo utile solo per contrastare la “povertà estrema”, ma, a causa della sua “condizionalità”, varrebbe a trasformare i beneficiari in una classe di cittadini destinati a dipendere “permanentemente dall’assistenza sociale”. L’altra possibile soluzione, fondata sul principio che la libertà sostanziale debba essere garantita a tutti, consiste nell’introdurre un reddito di base di tipo incondizionato, inteso “nell’accezione più piena del termine”. Il reddito di base differisce da ogni altra forma di sussidio corrisposto a chi versa in stato di necessità, perché esso, oltre ad essere universale (dimensione di cui sono prive tutte le “misure” welfariste destinate ad alleviare le condizioni esistenziali di chi è privo di ogni fonte di sostentamento), è anche incondizionato, in quanto, a differenza di tutte le forme di assistenza welfarista, esso è esente da ogni accertamento della condizione economica del beneficiario. Infatti, ogni forma di assistenza condizionata presenta lo svantaggio che il sussidio sia corrisposto ai beneficiari solo “ex post” (cioè sulla base di una preliminare determinazione delle risorse materiali delle quali possono disporre gli stessi beneficiari); il reddito di base incondizionato, al contrario, è corrisposto “ex ante”, senza alcun accertamento della condizione economica degli aventi diritto. Le conseguenze dell’incondizionalità risultano tali da rendere il reddito di base profondamente diverso da ogni forma di assistenza condizionata; dal punto di vista del disoccupato strutturale o del povero, l’elemento che più di ogni altro vale a differenziare questo tipo di reddito dai sussidi condizionati è la possibilità assicurata ai beneficiari di sottrarsi al ricatto intrinseco alla condizioni alle quali è tradizionalmente subordinata la fruizione di un sussidio condizionato; ne è un esempio il “potere di ricatto” che può essere esercitato da ogni datore di lavoro ai danni dei lavoratori, quando questi ultimi siano “obbligati a svolgere un lavoro” infimo e mal pagato, per conservarsi nella condizione di poter fruire del beneficio assistenziale. In conseguenza di quanto sin qui osservato sulle specificità del reddito di base, si può dire che, mentre la sua universalità consente di evitare la “trappola” delle disoccupazione e della povertà, il fatto di non essere condizionato serve a contrastare la “trappola” del lavoro obbligato, spesso sottopagato o degradante. Considerati i vantaggi connessi alle specificità del reddito di base universale e incondizionato, è difficile – affermano Van Parijs e Vanderborght – negare che esso costituisca nelle moderne società industrializzate ad economia di mercato, non solo un “potente strumento di libertà”, ma anche, più che una spesa, una forma d’investimento, utile a garantire una maggior flessibilità nel governo dei moderni problemi economici e sociali delle società economicamente avanzate e integrate nell’economia mondiale. I principali interrogativi che incombono sulla possibilità di istituzionalizzare il reddito di base universale e incondizionato (come antidoto alla crescente disoccupazione strutturale e alla diffusione della povertà nelle società industriali avanzate e ad economia di mercato) riguardano la sua sostenibilità e il sui finanziamento. Per quanto riguarda la sostenibilità, molto diffusa è la preoccupazione che l’offerta di lavoro venga negativamente influenzata dall’assenza di obblighi da parte dei beneficiari del reddito di base. Van Parijs e Vanderborght ritengono fuorviante “ridurre le conseguenze economiche del reddito di base al suo impatto immediato sull’offerta del mercato del lavoro”. Fornendo sicurezza e autonomia economica, è plausibile prevedere che il reddito di base possa incoraggiare l’imprenditorialità, promuovendo l’allargamento di forme di lavoro autodiretto; in secondo luogo, esso può motivare molti lavoratori a scegliere di optare per un lavoro a tempo parziale; in terzo luogo, liberando chi è privo di reddito dalla “trappola della disoccupazione”, il reddito di base universale e incondizionato può produrre effetti positivi sul capitale umano, motivando i fruitori ad aumentare il loro “interesse a investire nell’istruzione e nella formazione continua”. Secondo Van Parijs e Vanderborght, tutte queste ragioni concorrono a rendere stretta la connessione che esiste tra una maggior sicurezza garantita dal reddito di base e una maggior flessibilità del mercato del lavoro; si tratta di una connessione che tende ad assicurare ai senza reddito la libertà di non lavorare, piuttosto che l’obbligo di lavorare. Tra l’altro, la stretta connessione che esiste tra la libertà dal bisogno e la maggior flessibilità del mercato del lavoro rende possibile anche una più funzionale riorganizzazione del tradizionale sistema di welfare State; essa consente infatti la sua trasformazione da “sistema protettivo caritatevole e punitivo” in “sistema di welfare State attivo ed emacipatorio”, orientato “a rimuovere gli ostacoli allo svolgimento di un’attività lavorativa gratificante, quali sono le trappole della disoccupazione e dell’emarginazione”, e a “facilitare l’accesso delle persone all’istruzione e alla formazione”, strumentali all’intrapresa di una pluralità di attività produttive. In questo modo, nelle moderne società industriali, il welfare State cesserebbe d’essere strumento “punitivo del lavoro” (come avviene con il sistema esistente, che rimuove il beneficio corrisposto al lavoratore disoccupato o al povero indigente che dovessero rifiutare di sottostare ai “vincoli” previsti per il loro reinserimento e/o inserimento lavorativo), per diventare, al contrario, strumento di promozione di forme gratificanti e socialmente utili di lavoro. Per quanto riguarda l’altro interrogativo (quello relativo al finanziamento), incombente sulla possibilità di istituzionalizzare il reddito di base universale e incondizionato come antidoto alla crescente disoccupazione strutturale e alla diffusione della povertà, la preoccupazione principale che esso solleva è riconducibile all’ipotesi che le società industriali moderne, già gravate di un oneroso sistema fiscale, possano non tollerare un suo ulteriore inasprimento per finanziare il reddito di base, a meno che l’inasprimento non sia associato ad una riduzione dell’asimmetria nel trattamento fiscale dei redditi da capitale e dei redditi da lavoro, “caricando” prevalentemente sul capitale l’onere del finanziamento del reddito di base. Un più equo trattamento fiscale delle due classi di reddito, però, si scontrerebbe con l’opposizione delle forze economiche e politiche prevalenti, per via del fatto che l’asimmetria nel trattamento fiscale a vantaggio del capitale è tradizionalmente “giustificata dalla necessità – affermano Van Parijs e Vanderborght – di incoraggiare investimenti ad alto rischio e lo spirito imprenditoriale” e di non promuovere la mobilità internazionale del capitale che, di fronte alla minaccia di perdere in parte i privilegi fiscali potrebbe “fuggire all’estero”. Per finanziare il reddito di base esistono però – sottolineano Van Parijs e Vanderborght – delle alternative che non prevedono il ricorso alla tassazione. Tra queste, la principale consiste nella creazione di un “Fondo Sovrano Permanente”, una sorta di “salvadanaio collettivo”, nel quale fare affluire le entrate derivanti da tutte le forme di collocamento (a titolo di affitto o di cessione) delle risorse mobiliari e immobiliari di proprietà pubblica. In questo modo, il finanziamento del reddito di base avverrebbe secondo le modalità previste da James Meade nel suo “modello agathopista”; in altri termini, il reddito di base potrebbe essere finanziato senza bisogno di alcuna tassazione, mediante la distribuzione annuale a tutti i cittadini, su basi paritarie, della dotazione del “Fondo”, sotto forma di reddito di base universale e incondizionato, inteso come dividendo del rendimento economico di un capitale pubblico. Un disegno di riforma del quadro istituzionale di riferimento, quale quello fondato sull’introduzione di un reddito di base (o di cittadinanza, come anche viene chiamato), per risolvere i problemi delle società industriali avanzate, richiede ovviamente che il loro sistema economico sia efficiente e gestito da forze economiche e politiche interessate al suo stabile funzionamento. Ipotizzare che questo disegno sia proponibile e attuabile all’interno di un Paese qual è l’Italia di oggi può apparire temerario, considerato lo stato in cui essa versa. Una cosa però è certa: se tutte le forze sociali impegnate (sul piano culturale, politico ed economico) a risolvere i problemi che maggiormente affliggono il Paese (rilancio della crescita e contrasto della disoccupazione strutturale e della diffusione della povertà) abbandoneranno molti dei pregiudizi ideologici che hanno sinora condizionato la ricerca di adeguate soluzioni, dovranno (quelle forze) necessariamente tener conto del fatto che l’istituzionalizzazione del reddito di base universale e incondizionato è uno dei presupposti per fare dell’Italia del futuro, parafrasando un’efficace espressione di Meade, “un luogo in cui è ancora conveniente e gratificante vivere”. ——————————————————— ——————————————————— – Gianfranco Sabattini su AladiNews. – Campioni dell’impossibile: http://www.aladinpensiero.it/?p=89277 […]
[…] o impresa possibile portata avanti da un “campione dell’impossibile”? Ce ne faremo un’idea più precisa nell’incontro di questo pomeriggio, a cui siete tutti […]