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Crisi dell’Europa e responsabilità delle forze politiche tradizionali

Gianfranco Sabattini*

Jan Zielonka, docente di Politiche europee alla Oxford University, sotto forma di lettera a Ralf Dahrendorf (del quale è stato allievo alla London school of economics), ha scritto il libro “Contro-rivoluzione. La disfatta dell’Europa liberale”, shoppingnel quale sono valutate, da posizioni liberali, tutte le implicazioni del trentennio successivo al crollo del Muro di Berlino.
Zielonka vede svilupparsi al presente, nel Vecchio Continente, “una contro-rivoluzione illiberale”, proponendosi di coglierne “le radici e le conseguenze” e cercando, nel contempo, di dare risposte alle domande se l’Europa, a seguito della contro-rivoluzione, potrà sopravvivere e, nel caso in cui riuscisse ad evitare il collasso, come potrà superare la crisi politica ed economica che la affligge.
Dahrendorf, al contrario, in “1989. Riflessioni sulla rivoluzione in Europa”, aveva prefigurato dopo il crollo del Muro “lo sviluppo di una rivoluzione liberale nell’Europa orientale”, cercando di individuare le opportunità che la “rivoluzione avrebbe creato e anche le possibili trappole disseminate sul suo cammino”.
I libri dei due autori hanno a che fare perciò con visioni opposte: il libro di Dahrendorf parla “della rivoluzione che apriva i confini alle persone, alle idee e al commercio, della costruzione del governo della legge e della democrazia”; il libro di Zielonka, invece, riguarda la rivolta contro gli esiti della presunta rivoluzione, “sotto la pressione di forze antiliberali”, affiorate in tutto il continente europeo negli ultimi trent’anni. L’importanza della “rivolta”, precisa Zielonka, non riguarda i pericoli che tutti paventano per il crescere e diffondersi delle forze populiste, ma le responsabilità della contro-rivoluzione europea, ricadenti sul liberalismo. Ciò perché, secondo Zielonka, sebbene il populismo sia diventato “un tema di discussione privilegiato dei liberali, e nessuno mai abbia messo in luce gli inganni e i pericoli populisti meglio degli autori liberali”, essi si sono però dimostrati più abili “nel puntare il dito sugli altri che nel riflettere su se stessi”; così facendo, hanno rifiutato di riconoscere e valutare le loro insufficienze, che hanno portato al nascere della protesta populista, di cui si intestardiscono a disconoscere le motivazioni. Zielonka concentra la riflessione su questa contraddizione, dichiarando, comunque, che il suo libro vuole essere un’autocritica del liberalismo e dei suoi valori.
Quando Dahrendorf ha scritto il suo libro – afferma Zielonka – l’Europa era in preda a confusione e a incertezza, confinate però nella parte orientale, dove incominciava a crollare il sistema del comunismo sovietico; ora, però, è l’intera Europa ad esserne colpita, per non essere riuscita ad adattarsi ai cambiamenti geopolitici, economici e tecnologici che hanno investito l’intero continente negli ultimi tre decenni, causando la crisi dei “modelli europei” di democrazia, capitalismo e integrazione. In tal modo, i valori liberali che, a parere di Zielonka, hanno fatto prosperare l’Europa per molti decenni sono stati traditi.
Tuttavia, per quanto stia ora attraversando una fase depressiva, il liberalismo non sarebbe “fuorigioco”, nel senso che, sebbene la “deviazione neoliberista” abbia fatto (e continui a fare) molti danni, non ci sarebbe ragione “di abbandonare alcuni punti centrali della fede liberale: la razionalità, la libertà, l’individualità, il potere sotto controllo e il progresso”. I contro-rivoluzionari hanno potuto affermarsi, sfruttando “le patologie dell’Unione Europea, della democrazia liberale e del libero mercato, ma non hanno un plausibile programma di recupero e rinnovamento”; si può perciò nutrire fiducia sulla possibilità che le attuali difficoltà della situazione politica, economica e sociale europea possano essere superate; ciò, però, richiede che si abbia precisa contezza “su quanto sinora è andato storto”, se si vuole, dal punto di vista liberale, realmente prefigurare – afferma Zielonka – un nuovo progetto di futuro, in grado non solo di fronteggiare le sfide contro-rivoluzionarie, ma anche quelle poste dal graduale svolgimento dei processi economici, tecnologici e politici.
Perché – si chiede Zielonka – ciò che è accaduto dopo il 1989 ha dato il via ad una contro-rivoluzione? La caduta del Muro di Berlino aveva indotto Dahrendorf a prevedere che l’evento sarebbe stato seguito da una rivoluzione positiva tale da migliorare le condizioni politiche ed economiche di tutti gli Stati europei; in realtà, proprio a partire dalla “caduta”, si sono create le pre-condizioni che hanno annullato queste aspettative. Con la caduta del Muro e dei sistemi comunisti di stampo sovietico sono stati immediatamente messi sotto tiro – afferma Zielonka – alcuni degli ideali di tali sistemi, quali il collettivismo, la ridistribuzione del prodotto sociale, la protezione sociale e l’intervento regolatore dello Stato in economia.
Tutto questo ha spianato la strada all’avvento dell’ideologia neoliberista, per cui la “deregolazione, la mercatizzazione e la privatizzazione” sono diventate le linee guida della politica economica anche all’interno di quegli Stati che erano guidati da partiti socialisti democratici. Così, il settore privato è stato esteso a spese del settore pubblico, mentre i mercati si sono allargati sino ad inglobare sfere di attività che nel passato erano state tradizionalmente gestite dal settore pubblico. Anche la spesa sociale è diminuita, a scapito soprattutto dei gruppi più deboli, mentre i sindacati, tradizionali protagonisti e difensori del ruolo dello Stato nella regolazione dell’attività economica e della distribuzione socialmente condivisa del prodotto sociale, hanno visto diminuire il loro “peso” sulle decisioni che venivano assunte in fatto di politica economica e sociale.
Inoltre, a livello europeo, a seguito delle trasformazioni intervenute nell’organizzazione dei sistemi economici, “la politica si è configurata sempre più come un’arte di ingegneria istituzionale, anziché come arte di negoziazione fra le élite e l’elettorato”; per contro, poteri decisionali sempre maggiori sono stati delegati a istituzioni non elettive, per far sì che la politica fosse guidata dalla “ragione” e non dalla “passione”. Tutto ciò veniva realizzato sulla base dell’assunto che “i cittadini dovevano essere educati, piuttosto che ascoltati”, per cui l’idea che gli interessi pubblici dovessero riflettere la volontà dei cittadini è stata notevolmente affievolita.
Ancora, con l’allargamento dei suoi poteri, l’Unione Europea “è diventata – afferma Zielonka – un prototipo di istituzione non elettiva, guidata da esperti ‘illuminati’ largamente indipendenti dalle pressioni elettorali”; è grazie ad essa che gli esecutivi nazionali hanno potuto aggirare i rispettivi parlamenti, assumendo decisioni conformi agli interessi dei gruppi sociali prevalenti all’interno delle istituzioni europee. Infine, la crisi dell’euro e quella degli immigrati sono valse a dimostrare che il nuovo ordine seguito al crollo del “Muro” è risultato meno efficiente e liberale di quanto si affermava. Le due crisi, infatti, hanno concorso ad evidenziare il crescente squilibrio, sul piano economico e su quello sociale, venutosi a formare tra gli Stati membri dell’Unione Europea; ciò perché, le rigide regole comunitarie imposte per la stabilità dell’euro, per il controllo dei flussi degli immigrati e per il coordinamento e la governance delle politiche monetarie e fiscali dei singoli Paesi, non hanno consentito che questi, soprattutto quelli più indebitati, potessero adottare politiche più adatte ad affrontare i loro problemi interni.
Col passare del tempo, il distacco delle élite europee dall’elettorato, la diffusione e l’aumentato potere decisionale delle istituzioni non elettive, la crisi dell’euro e quella degli immigrati, non hanno tardato a fare emergere una molteplicità di conseguenze negative; ciò ha indotto l’elettorato ad abbandonare i partiti tradizionali, offrendo a “uomini politici alternativi” la possibilità di proporsi come protagonisti di un cambiamento delle modalità di governo dei singoli Paesi, il cui significato era quello di un abbandono delle scelte politiche sino ad allora privilegiate, se non quello di un abbandono del sistema organizzativo europeo realizzato.
I politici alternativi contro-rivoluzionari, pur esprimendo orientamenti politici diversi, condividono però l’opposizione all’ordine realizzato dopo il crollo del “Muro”; essi sono riusciti a mobilitare l’opinione pubblica, sia contro coloro che hanno governato l’Europa a partire dal 1989, sia contro “i loro progetti politici chiave: l’integrazione europea, il liberalismo costituzionale e l’economia neoliberista”. I leader contro-rivoluzionari – sostiene Zielonka – sono stati chiamati in generale populisti; un termine, questo, che però non coglie quello che è stato l’obiettivo fondamentale da essi perseguito, cioè quello di sostituire l’ordine costituitosi dopo il 1989 e il personale politico che lo ha realizzato.
Le élite dominanti, progressivamente sconfitte, hanno sempre sostenuto che i populisti si affermano perché propongono soluzioni semplici per risolvere problemi complessi e che le critiche all’ordine esistente enfatizzano in modo eccessivo la diversità di vedute tra governanti e governati. La semplicità delle soluzioni proposte e l’istanza di sostituzione del personale politico ritenuto incapace di risolvere i problemi sono, però, a parere di Zielonka, del tutto giustificabili, poiché la democrazia impone che il popolo debba comprendere il significato della politica attuata e che ad esso sia consentito di giudicare l’operato delle élite, per valutarne la rispondenza, o meno, all’interesse generale.
Le forze contro-rivoluzionarie, secondo Zielonka, sono forse ben lontane dallo sconfiggere la tradizione del liberalismo democratico; tuttavia, esse sono ora in grado di sconfiggere sul piano elettorale le forze politiche tradizionali, non perché abbiano un “programma esaltante”, ma solo perché le forze tradizionali hanno operato in maniera “maldestra”. Le forze ora sconfitte dai cosiddetti populisti devono capire in che cosa hanno sbagliato e rendersi conto che il liberalismo, negli ultimi trent’anni, ha espresso solo un’ideologia di potere e di legittimazione di una politica che è valsa a giustificare l’ampliamento delle ineguaglianze distributive e la continua estraniazione del popolo dal controllo dell’attività politica. Ciò che le forze politiche tradizionali devono fare è, dunque, capire dove, con le loro presunte idee liberali, hanno fallito; solo dopo una seria riflessione sui propri errori, esse potranno intessere una convincente azione conto le forze populiste che le hanno sconfitte.
Nel 1963, ricorda Zielonka, Karl Popper individuava due atteggiamenti contrastanti nel campo della politica: il primo è quello proprio del politico convinto di essere al di sopra di ogni critica e che nessun esito negativo conseguente a qualcuna delle sue azioni sia dovuto a suoi errori, ma piuttosto alle “cospirazioni” dei suoi oppositori; il secondo, invece, è quello proprio del politico che, consapevole della sua fallibilità, sa di essere esposto al rischio di sbagliare e spera che i suoi oppositori, con le loro critiche costruttive, lo aiutino ad evitare i possibili errori. Popper considerava il secondo atteggiamento come quello più appropriato per le forze politiche che intendessero ispirarsi ai principi del liberalismo costituzionale. Alla luce dell’esperienza europea degli ultimi trent’anni non può certo dirsi che tale principio sia stato quello al quale hanno fatto riferimento le élite che dovevano portare a compimento il progetto di integrazione europea.
Il progetto era considerato uno “strumento efficace per affrontare la globalizzazione, un coraggioso esperimento di democrazia transnazionale” e un veicolo per consolidare una prosperità condivisa da tutti Paesi europei. Ora, afferma Zielonka, “picchiare duro sull’Unione Europea” e sul processo di integrazione “si è rivelato il modo più sicuro per fare guadagnare voti ai contro-rivoluzionari”, i quali, per quanto divisi su molte questioni, “sono però uniti nell’opposizione all’Unione Europea”, contro la sua struttura burocratica, “non democratica e staccata dalle preoccupazioni dei cittadini comuni”, che la accusano di essere agente della globalizzazione, causa della perdita di molti posti di lavoro, di freno ai benefici sociali e all’origine di insostenibili ondate migratorie.
Esiste una via d’uscita dalla contro-rivoluzione? A parere di Zielonka, per quanto al presente non sia dato di sapere quale sarà il tipo di futuro dei Paesi europei, si può però immaginare lo scenario verso il quale essi gradirebbero andare: sicuramente verso un futuro che riservi la salvaguardia di una “società aperta” in grado di tradursi in una forma di vita sociale nella quale sia possibile “coltivare” i valori di libertà, tolleranza e giustizia; una forma di società aperta che non si schieri mai per lo status quo, ma sia costantemente impegnata a sperimentare risposte nuove ai sempre mutevoli problemi che accompagnano la dinamica sociale; un’”apertura” della società che sperimenti anche la ricerca di nuove forme di esercizio della democrazia, nella consapevolezza che il sistema della rappresentanza parlamentare sta attraversando ora profonde difficoltà, che giustificano la ricerca di soluzioni complementari o alternative; infine, una società non più dominata da forme di critica orientate solo a discreditare le forze politiche pro-tempore al governo, partendo dal presupposto che se le elezioni sono necessarie per la democrazia, quest’ultima può accreditarsi ulteriormente solo se sorretta da pratiche collaborative tra forze politiche concorrenti.
Di questa collaborazione, in questo momento particolare, avrebbe bisogno l’Italia, chiamata ad affrontare problemi di una gravità mai sperimentata nel suo passato recente. La realtà, però, esprime un orientamento diverso, per via del fatto che le forze politiche siano principalmente impegnate a screditarsi vicendevolmente; in tale impegno, ciò che stupisce è vedere le forze responsabili degli specifici motivi di crisi gravanti sul Paese, solo a criticare i populisti, piuttosto che a riflettere sul perché questi ultimi continuino a prevalere in quasi tutti i Paesi europei.

* Anche su Avanti! online.

Approfondimenti sull’illustrazione in testa.

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