Dalla crisi anche qualcosa di buono: un po’ di creatività nell’accademia!

Aladinbozo istruzione e formazione

di Franco Meloni

Salutiamo con soddisfazione la proposta del rettore dell’università di Sassari Attilio Mastino (per brevità rimandiamo all’articolo apparso oggi su La Nuova Sardegna e ripreso nel blog di Aladinpensiero) dalla quale emerge la volontà dell’ateneo di mettersi in sintonia con le esigenze della società, nella ricerca di forme innovative di servizio. La proposta riguarda specificamente la formazione (quando si parla dell’università ci si preoccupa sempre di aggiungere l’aggettivo “alta”, ma sarebbe ora di finirla con queste inutili precisazioni da aristocrazia accademica) in favore delle donne, ma ovviamente le iniziative possono ampliarsi anche ad altre categorie, come peraltro emerge dal discorso dello stesso rettore. Della proposta di Mastino apprezziamo  lo specifico contenuto, ma soprattutto quella che ci sembra la disponibilità all’ascolto delle esigenze della società, che si esprimono in forme e contenuti inediti. Su queste questioni ci sembra pertinente rispolverare una vecchia polemica sul “fenomeno dei fuori corso” delle università italiane, di cui il sottoscritto ha cercato di dare una diversa lettura rispetto a quella dominante nell’accademia. Un’ultima considerazione: va bene la volontà dell’università, che registriamo positivamente, ma alle parole devono seguire iniziative concrete, che per dispiegarsi in modo adeguato devono prevedere forme robuste di organizzazione. Di queste l’università è fortemente carente, soprattutto le università sarde. Infatti per organizzare adeguatamente gli auspicati interventi e, in generale, tutta la formazione permanente (o, come la chiama l’Unione Europea, la long life learning ) occorrono strumenti come le fondazioni universitarie o appositi consorzi partecipati da altri soggetti pubblici e privati. In questo caso non serve esercitarsi in fantasia: basta prendere esempio dalle migliori pratiche delle migliori università italiane e straniere. Signori rettori iniziate facendovi una bella navigazione in internet utilizzando google!

Articolo tratto dall’intervento di Franco Meloni al Convegno “Il riconoscimento dei valori del paesaggio come presupposto delle scelte del piano urbanistico”, 24 Aprile 2008 – Cagliari

In questo periodo in cui l’innovazione e la creatività hanno molta udienza si potrebbe dire che all’Università serve un po’ di pensiero laterale che ormai è sinonimo di pensiero creativo. A volte si tratta di leggere i fenomeni con prospettive diverse. Un teorico del pensiero creativo, il professor Edward De Bono, al riguardo ha lanciato una metodologia originale: la teoria dei sei cappelli di diverso colore. A seconda del colore del cappello che si indossa occorre orientare forzatamente il pensiero rispetto al significato attribuito al colore del cappello medesimo. Per farla breve, solo alcune esemplificazioni: indossando il cappello nero si orienterà il pensiero al pessimismo; indossando il cappello rosso si orienterà il pensiero in modo passionale; indossando il cappello verde si orienterà il pensiero alla prospettiva ottimistica, e così via. Per fare una rapida applicazione a una questione universitaria, pensiamo al fenomeno dei fuori corso che appare drammatico per l’Università italiana. Bene, in parte lo è, esattamente per la parte che rappresenta le difficoltà di percorso dei giovani studenti. Certo non lo è per quanto riguarda gli studenti maturi, quelli cioè che si iscrivono all’Università per fare carriera negli impieghi, per gli adulti che vogliono cambiare o riqualificare una professione, per quanti si iscrivono all’università solo nella ricerca di stimoli culturali e nuove conoscenze, e così via. E allora, indossando un cappello di colore diverso dal nero, non si potrebbe ammettere che in certa parte, non so quanta, ma certamente rilevante, i fuori corso sono una risorsa? Fenomeno quindi da trattare in modo differenziato, distinguendo i problemi degli studenti normali, che devono fare l’Università entro gli anni canonici, da quelli degli studenti maturi, i quali vanno tolti dalle statistiche della produttività degli atenei, anche per non influire sul determinazione dell’importo dei fondi statali del Fondo di finanziamento ordinario (FFO) che lo Stato trasferisce annualmente agli stessi atenei. I lavoratori studenti vanno curati in modo diverso e particolare rispetto agli studenti normali. Sicuramente la questione è di competenza in prevalenza di altre istituzioni rispetto all’Università. Sono infatti lo Stato e le regioni che devono intervenire se vogliono che le università facciano la loro parte: si tratta in massima parte di persone che possono pagare tasse congrue, ma che hanno diverse esigenze per poter completare il ciclo di studi in tempi ragionevoli. Hanno bisogno di tutor, di aule aperte in orari serali e notturni, di modalità fad ed e-learning di erogazione della didattica… tutte cose che hanno costi che le università non possono affrontare con le sole tasse di iscrizione e che invece dovrebbe affrontare l’amministrazione pubblica, considerato che la questione rientra pienamente negli obiettivi dello Stato, delle Regione e, ovviamente, dell’Unione europea (obiettivi di Lisbona), e pertanto sono costi che possono essere in gran parte riconosciuti sui programmi europei Long life learning (fondi strutturali e programmi dedicati).

Di quali strumenti deve disporre l’Università per rispondere a questa esigenza? Una risposta la sta già dando ad esempio la nostra università con il Centro d’ateneo per la formazione permanente Unica.for. Una risposta in termini di struttura dotata di maggiore autonomia può essere la costituzione di apposite fondazioni universitarie, strumenti operativi delle università pubbliche.

Dunque come continuare? Premesso che occorre affinare gli strumenti di ascolto delle esigenze delle persone e delle organizzazioni, dobbiamo avere la capacità di utilizzare in maggior misura le risorse pubbliche, soprattutto quelle messe a disposizione dall’Unione europea per il tramite delle regioni. Si tratta in prevalenza di risorse del Fondo sociale europeo, ma non solo. Eccovi un dato: la Sardegna nella programmazione 2007-2013 dispone per gli interventi del Fondo sociale europeo, cioè interventi per il capitale umano, di oltre 791 milioni di euro, messi a disposizione dall’Unione europea, dallo Stato e dalla Regione Sarda, alle quali si aggiungono altre opportunità, anche di diretta assegnazione comunitaria.

 Sullo stesso argomento: intervento di Franco Meloni al Convegno conclusivo del Progetto Itaca, Arborea 10 novembre 2008

 

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